        Avevo gi&agrave; avuto l&rsquo;occasione di provare la Triumph Daytona 675 del team BE1, portata in gara nel mondiale Supersport da Ivan Clementi. Nel 2008 questo team si&egrave; guadagnato la stima della Casa inglese, a tal punto da meritarsi, per il 2009, i galloni di &ldquo;team ufficiale&rdquo;. Come sapete, la moto di serie aveva subito qualche importante aggiornamento tecnico, ed &egrave; stato quindi un piacere per me, tornare a provarla. Per l'occasione ho potuto usare la moto di Garry McCoy, proprio quella che aveva consentito al pilota australiano di ottenere il settimo posto in Qatar, a nove secondi dal vincitore, spuntando oltretutto la migliore velocit&agrave; massima (oltre 280 km/h) in fondo al rettilineo... Prove Amarcord: la Ducati 1098R F08 di Troy Bayliss Nuovi condotti   Le poche modifiche introdotte dalla Triumph sulla Daytona 2009 erano frutto anche delle esperienze sul campo di gara. Le rivisitazioni ai condotti di aspirazione, odi sezione ellittica, e dei condotti di scarico, avevano reso il motore pi&ugrave; propenso a salire di giri e lo studio di nuove tolleranze sugli accoppiamenti avevano limitato la vulnerabilit&agrave; delle bronzine che tanti grattacapi avevano causato al motorista Davide Corradini. In effetti la potenza massima del tre cilindri inglese arriv&ograve; praticamente a livello delle pi&ugrave; accreditate quattro cilindri nipponiche: 140 CV alla ruota a 14.000 giri/min erano un valore di tutto rispetto, soprattutto se accompagnati da una curva di coppia sempre sostenutissima e da una capacit&agrave; di allungo senza cali fino a 15.000 giri. Da segnalare l&rsquo;adozione di un mastodontico radiatore dell&rsquo;acqua realizzato da Febur. Agli inizi la moto non adottava il radiatore dell&rsquo;olio, ma si affidava ad uno scambiatore acqua-olio comunque in grado di contenere le temperature di esercizio. Risolti i problemi di affidabilit&agrave; (addirittura le revisioni del motore si effettuavano ogni 1.000 km e non pi&ugrave; ogni 500), il team poteva concentrarsi sullo sviluppo dell&rsquo;elettronica sfruttandola centralina Magneti Marelli Marvel4 che sovraintendeva e gestiva tutti gli aspetti del motore. Come ovvio &egrave; presente il modulo per la cambiata assistita, un Dynojet installato sul leveraggio del cambio. Importante il lavoro di alleggerimento compiuto a Hinckley sulla moto di serie, in particolare il chilogrammo abbondante sottratto al cerchio posteriore regalava minori masse non sospese ed effetti giroscopici limitati. La moto in configurazione corsa pesava 158 kg e necessitava quindi di ben 4 kg di zavorra per raggiungere il peso limite imposto, zavorra che convenientemente posizionata poteva migliorare le dinamiche di guida. &nbsp; Meno gentile con le gomme   Nel 2008 la Triumph era famosa per consumare poco le gomme il che permetteva in alcune occasioni di scegliere un pneumatico pi&ugrave; performante senza che ci&ograve; pregiudicasse la resa sulla distanza. Nel 2009 questo vantaggio si era in pratica annullato visto che Pirelli portava un numero minore di mescole alla gara rendendo in pratica obbligata e comune per tutti la scelta della gomma da gara. Quello che &egrave; cambiato tanto durante l&rsquo;anno 2008 &egrave; stato a livello di sospensioni. Il team BE1 ha abbandonato Ohlins per passare a Bitubo. In effetti la scelta non &egrave; dipesa dalla bont&agrave; del materiale, perch&eacute; in entrambi i casi la qualit&agrave; &egrave; indiscutibile, bens&igrave; dal trattamento di assistenza: passare dallo status di &ldquo;cliente&rdquo; a quello di &ldquo;ufficiale&rdquo; significa godere di un supporto tecnico costante e di uno sviluppo ad hoc del materiale. Seguito dal tecnico Devis Sgarbassa, il team test&ograve; una nuova cartuccia Bitubo pressurizzata, che garantiva anche una maggiore escursione della ruota anteriore, ma soprattutto stava sviluppando un nuovo assetto base tendenzialmente pi&ugrave; morbido rispetto a quello adottato lo scorso anno. In effetti, soprattutto al posteriore, il cambiamento fu radicale, con un passaggio da una molla dall&rsquo;impressionante valore di rigidit&agrave; di 150 N/mm ad una &ldquo;pi&ugrave; umana&rdquo; nell&rsquo;ordine di 90 N/mm. L&rsquo;obiettivo era di ottenere una moto magari meno precisa nella guida, ma pi&ugrave; gestibile nelle situazioni critiche, quando deve assecondare l&rsquo;istinto del pilota per azzardare un sorpasso al limite. Il rovescio della medaglia era una moto che risultava pi&ugrave; esigente con i pneumatici, e non era infrequente trovare il pneumatico posteriore decisamente &ldquo;finito&rdquo; sui lati al termine di una gara. &nbsp; Guida diversa dalle giapponesi   Ricordavo molto bene le ottime sensazioni di guida della 675. Le stesse, quasi identiche, che ho ritrovato in questa versione 2009. Ricordavo una moto dalla &ldquo;base&rdquo; telaio/sospensioni decisamente pi&ugrave; efficace delle concorrenti, pi&ugrave; &ldquo;moto da corsa&rdquo; insomma, diretta nella risposta e sincera nelle reazioni agli ordini del pilota. Ricordavo anche una scarsa protezione aerodinamica (cosa confermata a Monza) e un motore con una gran coppia, ma dall&rsquo;allungo poco soddisfacente. Devo dire che guidandola una seconda volta a distanza di pochi mesi, mi ha permesso di andare a a scavare un po&rsquo; meglio nel mio &ldquo;archivio&rdquo; personale, ed &egrave; spuntata fuori una certa somiglianza con un&rsquo;altra grande moto da corsa: la Honda NS 500 a tre cilindri! gi&agrave;, proprio quella. Stessa differenza rispetto alle concorrenti a quattro cilindri: una guida migliore, e un&rsquo;accelerazione pi&ugrave; facile fuori dalle curve, che finch&eacute; guidi da solo, senza lottare, ti permette di girare davvero forte e di pennellare le traiettorie con una grande tranquillit&agrave;. Il problema della mancanza di allungo si presenta solo quando sei in lotta, perch&eacute; se un avversario ti blocca in mezzo alla curva, non puoi sfruttare la tua migliore accelerazione e non puoi sperare di passarlo sul dritto o in staccata. Il team BE1 e la Triumph avevano lavorato un po&rsquo; in questa direzione rispetto al passato. Posso garantirvi che se per caso in Supersport avessero messo un limite massimo di giri a 14.000, questa moto sarebbe stata imbattibile.... Comunque la moto &egrave; pi&ugrave; efficace rispetto al 2008, se &egrave; vero che Garry &egrave; riuscito a stabilire il giro veloce su una pista velocissima come Losail, e anche ad ottenere la maggiore velocit&agrave; di punta! Questo motore &egrave; davvero super dai 7.000 ai 14.000, anche se conserva una certa aggressivit&agrave; al momento della riapertura se si &egrave; a 5 -6.000 giri. Con le modifi che alla ciclistica ho trovato un assetto pi&ugrave; morbido, meno affaticante, quindi ancora pi&ugrave; &ldquo;facile&rdquo; per il pilota nelle concitate fasi di gara... Nella mia prima sessione ho apprezzato il lavoro della frizione antisaltellamento modificata, che garantiva staccate davvero controllate nel posteriore, ma nel mio secondo run, dove ho usato il muletto con la frizione standard, devo dire di aver notato una moto migliore nella percorrenza delle curve strette... Questione di messa a punto diversa. Ho anche usato marce pi&ugrave; lunghe, scoprendo che se provi a guidarla in modo diverso dai quattro cilindri, sfrutti ancora meglio il suo potenziale, la gran coppia del motore, e capisci perch&eacute; in Qatar le Honda non riuscivano a passarlo in fondo al dritto di 1,2 km durante la furiosa rimonta che lo port&ograve; al settimo posto... Prove Amarcord: la Yamaha R6 del team Lorenzini       

La tre cilindri inglese realizz&ograve; un notevole salto prestazionale rispetto alla stagione precedente, dando a Nannelli e McCoy una moto da prima fila. Ecco per voi la prova curata di Randy Mamola

Prove Amarcord: il passo avanti della Triumph Daytona 675 2009

        Il Team UnionBike Gimotorsports, capitanato da Gigi D&rsquo;Esposito, schier&ograve; al via del campionato italiano Superstock 2008 la MV F4 R 312 preparata con accuratezza tale da garantirsi la costante presenza nei primi dieci in classifica. Come noto l&rsquo;elaborazione permessa dal regolamento Stock era molto limitata e per la prestazione tanto dipende dal progetto di base, progetto che nel caso di MV dimostr&ograve; di essere ancora valido nonostante gli anni che passano. Talmente valido che per il 2009 si decise di ritentare l&rsquo;avventura della Coppa del Mondo, affidando la MV ufficiale al giovane talento Davide Giugliano e all&rsquo;inglese Alex Lowes. Se la ciclistica veniva affidata alle sapienti mani di &ldquo;Pedro&rdquo; Palladino del reparto corse Marzocchi la preparazione del quattro cilindri a valvole radiali avveniva all&rsquo;interno del team. Sulla meccanica era stata svolta un&rsquo;opera di &ldquo;blue printing&rdquo; estesa, lavorando anche sulla guarnizione di testa per aumentare per quanto possibile il gi&agrave; alto rapporto di compressione. Prove Amarcord: la Yamaha R6 del Team Lorenzini &nbsp; Potenza "controllata"   L&rsquo;adozione di un filtro aria BMC e dello scarico completo Arrow garant&igrave; un discreto aumento di potenza massima nell&rsquo;ordine dei 182-187 CV alla ruota. Il picco di potenza poteva variare in funzione delle diverse configurazioni che cambiavano da circuito a circuito. Gran parte del lavoro effettuato dal team riguard&ograve; l&rsquo;elettronica. Nel 2008 venne utilizzata una centralina Magneti Marelli che permise ai tecnici di lavorare su molti parametri, in modo da migliorare non tanto la potenza massima quanto l&rsquo;erogazione. L&rsquo;obiettivo era eliminare un fastidioso effetto &ldquo;apri /chiudi&rdquo; che si verificava attorno ai 7.000 giri /min, proprio il regime in cui spesso si ritrova il motore in piena percorrenza di curva quando il pilota riprende il gas in mano. Qualche grattacapo per i tecnici proveniva dalle carenature che, essendo molto estese, permettono una ottima efficienza aerodinamica, ma limitavano lo spazio per i radiatori e soprattutto non permettevano una corretta estrazione del calore prodotto dal propulsore. Venne quindi installato un radiatore supplementare per l&rsquo;acqua, anche se l&rsquo;ottimale sarebbe stato un radiatore per l&rsquo;olio non permesso per&ograve; dal regolamento. Per massimizzare la superficie di scambio termico con l&rsquo;aria erano state adottate dove possibile anche tubazioni in alluminio. Il peso della moto era tutto sommato contenuto, in ossequio al regolamento si pu&ograve; scendere di 12 kg sul valore dichiarato a secco. La F4 denunciava 184 kg in ordine di marcia, allineata in pratica alle concorrenti a 4 cilindri. Il team lavor&ograve;, nei limiti permessi dal regolamento, anche sulla frizione antisaltellamento di serie in modo da migliorarne il funzionamento, vennero sostituiti i dischi di attrito nonch&eacute; le molle di contrasto per variare secondo le esigenze la soglia di intervento del limitatore di coppia. &nbsp; Migliorata    Dico spesso che fra le voci che un team deve tener conto nello sviluppo di una moto figura al primo posto il "comfort" del pilota. Per "comfort" intendo dire la facilit&agrave; con cui il pilota pu&ograve; gestire la moto e soprattutto il motore. Ebbene, provando la moto del 2009 mi sono trovato subito meglio. Stessa sella (un po' troppo scivolosa per me), stesse pedane, stesse sovrastrutture un po' troppo abbondanti che la fanno pi&ugrave; lunga delle avversarie giapponesi nel contatto del pilota, ma molto pi&ugrave; "confortevole&rdquo;, e quindi facile da guidare, perch&eacute; il "tatto" con il gas &egrave; migliorato rispetto all&rsquo;inizio del 2008. Un grande lavoro di sviluppo, non ancora portato a termine, come ho potuto constatare nel pomeriggio provando la moto "nera" di Giuliano, con la nuova elettronica, che &egrave; un ulteriore passo avanti. Tornando alla moto base, che &egrave; praticamente l'evoluzione finale del modello 2008, l'ho trovata pi&ugrave; confortevole perch&eacute; ora &egrave; un po' pi&ugrave; facile controllare il motore con il gas, quindi sta meglio in traiettoria e l'erogazione ai medi &egrave; meno violenta, anche se per me, dai 7 ai 10.000 giri, la MV rimane fin troppo rapida e aggressiva nel prendere giri, mentre dopo i 10.000 l'erogazione si appiattisce, spinge meno fi no agli 11.000, poi, anche se il limitatore &egrave; quasi a 13.000, per me conviene cambiare, non spinge tanto... O perlomeno non lo fa per come ti aspetteresti sentendola urlare! Tutto quel ben di Dio che il motore esprime dai 7 ai 10.000, fosse per me, lo sposterei pi&ugrave; in alto. In questo modo credo si semplificherebbe ulteriormente la vita del pilota, con una &ldquo;attacco&rdquo; meno violento alla riapertura del gas, con tutti i vantaggi che questo porta anche in termini di controllo della traiettoria. E con un allungo pi&ugrave; esteso vengono facilitati i sorpassi in fondo ai rettilinei, cosa che fa sempre comodo nelle bagarre in gara. Altro vantaggio da non trascurare sarebbe un miglior uso delle gomme. La tanta coppia ai medi, secondo me, le consuma in fretta nella prima parte di gara. Poche curve mi sono bastate per avvertire una moto molto pi&ugrave; &ldquo;racing&rdquo; della precedente. Questa 2009 &egrave; decisamente pi&ugrave; facile da far voltare in curva, tiene la corda egregiamente anche se entri pinzato e, finalmente, la risposta del gas &egrave; pi&ugrave; trattabile, dolce, a agli alti regimi l&rsquo;ho sentito pi&ugrave; &ldquo;libero&rdquo;, spinge meglio fra gli 11 e i 12.000 giri, dove l&rsquo;altro motore tendeva a piantarsi. Per farvi capire meglio la differenza, possiamo dire che la versione evoluta d&agrave; proprio l&rsquo;impressione di essere nata come moto da corsa, non come una stradale adattata alle corse... E l&rsquo;effetto non &egrave; dovuto solo al motore. Sappiamo tutti che la F4, di base, ha gi&agrave; un avantreno granitico e che tiene perfettamente la linea, un avantreno che manda sempre al pilota un segnale preciso su tutto quello che succede sotto la gomma. Ebbene, su questa seconda moto a questi pregi va sommata una migliore reattivit&agrave; e neutralit&agrave; nel seguire gli ordini del pilota, che si pu&ograve; anche permettere di buttarla gi&ugrave; con i freni ancora tirati, senza paura che si rifi uti di scendere o che venga meno la sensazione di &ldquo;solidit&agrave;&rdquo;. Si fa meno fatica, insomma... E allora torniamo al punto iniziale: moto pi&ugrave; &ldquo;confortevole per il pilota si traduce in moto pi&ugrave; veloce, perch&eacute; il suo pensiero non &egrave; bloccato dal motore troppo aggressivo nella risposta alla riapertura o da un avantreno pi&ugrave; pesante da mettere in piega...    Prove Amarcord: la Ducati 1098R F08 di Troy Bayliss           

La prova delle F4 ufficiali impegnate nella Coppa FIM Stock 1000 2008-2009. A cura di Randy Mamola&nbsp;

Prove Amarcord: la MV Agusta F4 312 R Unionbike Gimotorsports

        L&rsquo;Aprilia RSA rappresentava lo stato dell&rsquo;arte della tecnologia applicata ai motori due tempi. Schierata nel mondiale con le livree di Gilera, Derbi e ovviamente Aprilia, costituiva al tempo l&rsquo;oggetto del desiderio di tutti i piloti &ldquo;privati&rdquo;. Marco Simoncelli se la guadagn&ograve; a suon di vittorie e di prestazioni esaltanti in sella alla versione LE con cui aveva iniziato il mondiale 2008. Una volta arrivato in vetta alla classifica, ricevette come premio l&rsquo;agognata RSA, proprio quella che ho potuto testare. Prove Amarcord: la Ducati 1098R F08 di Troy Bayliss &nbsp; Le caratteristiche tecniche   L&rsquo;impostazione generale della RSA non si discostava dalla versione clienti LE: telaio in alluminio a doppio trave con forcellone in carbonio e motore bicilindrico a V. In effetti si trattava di una evoluzione e non di una rivoluzione. La RSA era nata principalmente con l&rsquo;intento di garantire maggiore trazione in uscita di curva oltre a fornire qualche cavallo in pi&ugrave; ed una curva di coppia pi&ugrave; fruibile&hellip; &ldquo;optional&rdquo; sempre molto graditi ai piloti. L&rsquo;obiettivo dei tecnici quindi era chiaro: realizzare un veicolo che avesse lo stesso interasse del suo predecessore, se non addirittura pi&ugrave; corto per mantenere invariate le caratteristiche di agilit&agrave;, possibilmente anche la stessa distribuzione di pesi, ma che disponesse di un forcellone pi&ugrave; lungo in modo da garantire maggiore trazione in uscita di curva. Per ottenere questo obiettivo era obbligatorio lavorare sul gruppo motore cambio in modo da ridurne l&rsquo;ingombro longitudinale e cos&igrave; &egrave; stato fatto. Il motore poteva essere idealizzato come due unit&agrave; monocilindriche da 125 cm3 con ammissione a disco rotante disposte con una inclinazione reciproca di 90&deg; con alberi controrotanti. Le due &ldquo;termiche&rdquo; erano praticamente indipendenti e si &ldquo;autoequilibravano&rdquo; grazie agli alberi motori che ingranavano uno sull&rsquo;altro. Il nuovo motore era montato ruotato, in pratica il pistone &ldquo;guardava in basso&rdquo;, e risultava traslato leggermente in avanti. In pi&ugrave; i due alberi del cambio (ovviamente estraibili per variare i rapporti in qualsiasi momento) non erano allineati su un piano orizzontale ma erano ruotati. Il cambio prendeva il moto dall&rsquo;albero del pistone anteriore ed era posizionato sotto il pistone posteriore: in questo modo gli ingombri longitudinali vennero ulteriormente ridotti senza stravolgere la distribuzione dei pesi. L&rsquo;alimentazione era gestita da due enormi carburatori Dell&rsquo;Orto VHSG 42 dotati di tecnologia Power Jet che garantiva una perfetta carburazione con regolazioni fini anche ai medi e massimi regimi; come ogni due tempi il motore veniva alimentato a miscela: benzina Agip con miscela di olio al 4,5%. Il lavaggio e il riempimento delle camere di scoppio veniva coadiuvato dal lavoro delle valvole di contropressione presenti allo scarico gestite dalla centralina elettronica al pari dell&rsquo;accensione. Lo scarico in titanio con i silenziatori in carbonio contribuiva alla prestazione ed era regolabile nella lunghezza dei condotti, lunghezza che viene variata di pochi mm alla ricerca della massima performance. Una leggera sovrapressione all&rsquo;aspirazione veniva garantita dall&rsquo;enorme airbox, ovviamente in carbonio, che occupava tutto lo spazio disponibile sotto la carena di destra. L&rsquo;accensione era il parametro utilizzato dalla centralina quanto operava da traction control; i dati forniti dall&rsquo;acquisizione, in particolare quelli provenienti dalla piattaforma inerziale che forniva le accelerazioni e gli angoli di Eulero della moto (Yaw, Pitch e Roll) nonch&eacute; la velocit&agrave; di rotazione delle due ruote, venivano utilizzati per limitare la potenza erogata variando i gradi di anticipo dell&rsquo;accensione delle candele. La soglia di intervento del TC veniva gestita dal pilota con due pulsanti sul semimanubrio sinistro. Il sistema funzionava anche da antiwheeling, opzione che veniva sistematicamente disattivata in partenza quando era il pilota che autonomamente gestiva tutta la potenza e l&rsquo;eventuale impennata. &nbsp; Ha sempre bisogno di "attenzioni"  Il motore veniva definito dai meccanici &ldquo;un bambino piccolo&rdquo; bisognoso di attenzioni continue ed in effetti cos&igrave; era: dopo ogni turno in pista le termiche venivano aperte per verificare usura e carburazione, ogni 1.000 km venivano sostituite le bielle e i pistoni addirittura ogni 200 km. I dati provenienti dai sensori di battito e di temperatura venivano analizzati con la massima cura per valutare i parametri di carburazione e gli anticipi dell&rsquo;accensione. I getti dei carburatori andavano sostituiti anche per minime variazioni di temperatura, per non parlare della frizione multidisco a secco che veniva sostituita ad ogni week end di gara. Il tutto per fare rendere al meglio i circa 100 CV che il motore riusciva a fornire in un ristretto range di giri. Il motore in effetti risultava cos&igrave; spinto che non riesce ad autosostentarsi sotto i 6.000 giri/min, ma era meglio non scendere sotto i 10.000, soprattutto con le marce alte, considerando che la potenza massima era disponibile sopra i 13.000 giri e a 14.000 &egrave; posto il limitatore. Il telaio, un classico doppio trave in alluminio, grazie alle migliorie del motore era pi&ugrave; corto, dotato di pivot con il fulcro di attacco del forcellone pi&ugrave; vicini al cannotto. Interamente saldato a mano, presentava molti particolari realizzati dal pieno. All&rsquo;anteriore era possibile modificare tramite boccole eccentriche sia l&rsquo;offset che l&rsquo;inclinazione della piastra di sterzo. Il telaio al posteriore disponeva del fulcro del forcellone regolabile in altezza. Sempre in tema di ciclistica Simoncelli stava utilizzando nuove piastre di sterzo pi&ugrave; compatte che dovevano garantire maggiore maneggevolezza, ma che imponevano l&rsquo;utilizzo di pinze freno anteriori modificate per non andare in interferenza con il cerchio. I dischi per regolamento erano in acciaio, il diametro standard &egrave; di 255 mm e solo a Motegi hanno dovuto utilizzare dischi speciali perch&eacute; molto sollecitati. Le pinze erano montate sui piedini di una forcella Ohlins con steli da 43 mm di diametro pressurizzate e dotate del sistema TTX. Al posteriore il monoammortizzatore, che ovviamente agiva con un sistema a leveraggi progressivi, era sempre Ohlins ed era incastrato in una angusta nicchia fra telaio, motore e lo splendido forcellone in carbonio veramente imponente. I pneumatici Dunlop Slick forniti mediamente in quattro differenti varianti per ogni gran premio erano alloggiati su cerchi che sono indifferentemente in magnesio o carbonio... il peso non cambiava. Tendenzialmente, Simoncelli adottava i cerchi in carbonio in gara. Per limitare il peso del veicolo tutte le sovrastrutture erano realizzate in carbonio, compreso il serbatoio con una capacit&agrave; superiore ai 22 litri. &nbsp; Sembra una 500 dei vecchi tempi   Non so se &egrave; per i tanti problemi, ma il giorno prima di questa prova ero abbastanza nervoso. Moto leggerissima, telaio sensibilissimo, motore da oltre 100 CV... Praticamente lo stesso rapporto peso/potenza delle 500 che guidavo io nel mondiale! Ecco cosa mi rendeva nervoso: il dovermi riabituare ad una guida sul filo del rasoio, dopo anni di &ldquo;pantofole&rdquo; con i motori a quattro tempi, l&rsquo;antisaltellamento, i controlli elettronici... All&rsquo;inizio mi sono trovato non perfettamente a mio agio anche con i freni. Abituato a &ldquo;scaldare&rdquo; quelli in carbonio, sono stato spiazzato dalla reattivit&agrave; quasi brutale dei dischi in acciaio sollecitati dalle pinze Brembo. Poi pian piano ho cominciato a &ldquo;ricordare&rdquo; come si guida un due tempi da corsa: rigorosamente con il gas aperto o completamente chiuso (vietato parzializzare, come mi hanno ricordato i meccanici prima di partire, per non grippare) e ago del contagiri fra i 10.000 e i 13.000 (la luce del cambio marcia si accende poco dopo), a sfruttare tutta quell&rsquo;energia. Il motore pu&ograve; essere usato anche fino a 14.000, ma i meccanici mi hanno raccomandato di non farlo sempre. quei 1.000 giri in pi&ugrave; vanno tenuti di riserva, per i momenti topici della gara. Anche se ho fatto molti errori nella gestione del gas (ero sempre in ritardo nell&rsquo;apertura), giro dopo giro ho preso a sfruttarla e ho cominciato a sentire anche il controllo di trazione, che a dire il vero con i miei 83 kg di peso &egrave; inutile! Per&ograve; in impennata se alzi la ruota anteriore in terza, la moto viene gi&ugrave; subito! Per quanto riguarda l&rsquo;erogazione del motore, mi aspettavo fosse pi&ugrave; &ldquo;grezzo&rdquo;. Invece questo bicilindrico Aprilia &egrave; un diamante rifinito in tutte le sue sfaccettature, brillante e &ldquo;limpido&rdquo; nella risposta se lo usi al giusto regime. Il telaio invece &egrave; un po&rsquo; pi&ugrave; &ldquo;appuntito&rdquo;, va interpretato con pi&ugrave; attenzione&hellip; A me sarebbe piaciuto allargare un po&rsquo; i semimanubri e lavorare sull&rsquo;assetto dell&rsquo;avantreno, ma devo dire che questa 250 mi ha fatto tornare indietro a quando avevo vent'anni! Prove Amarcord: la Yamaha R6 del team Lorenzini       

"Guidare questa brillantissima due tempi mi ha fatto tornare ventenne! &Egrave; difficile sfruttare al meglio l&rsquo;agilissima ciclistica", ci ha raccontato Randy Mamola, autore di questa prova

Prove Amarcord: il ruggito della Gilera 250 di Marco Simoncelli

        La Yamaha R6 del team Lorenzini by Leoni poteva essere considerata a tutti gli effetti lo stato dell&rsquo;arte del campionato Supersport, una moto in grado di competere sempre per le prime posizioni. Telaio, forcellone, serbatoio, airbox e cerchi erano gli unici elementi che, in ossequio al regolamento, rimanevano originali, su tutto il restante fu svolto un lavoro certosino volto ad ottenere il massimo della prestazione, proprio come si richiedeva ad un team che voleva lottare per la vittoria in uno dei campionati fra i pi&ugrave; difficili. La differenza principale dalla moto di serie era sicuramente l&rsquo;uso capillare dell&rsquo;elettronica che ormai controlla e dirige ogni parte del veicolo. Il team Lorenzini si appoggiava a EFI per il controllo ed usavano un doppio sistema di acquisizione dati (EFI e 2D) su canali separati che facevano riferimento a due diversi tecnici, uno per il motore, uno per la ciclistica. I rilevamenti venivano poi interpolati con i dati di posizionamento forniti dal ricevitore GPS in modo da poter ricostruire il comportamento della moto in ogni punto della pista. Prove amarcord: la Ducati 1098R F08 di Troy Bayliss &nbsp; Preparazione specifica per ogni circuito   Il gruppo motore cambio veniva preparato ad hoc per ogni pista, mappature di accensione/iniezione e rapporti potevano essere variate in qualsiasi momento, lo stesso gruppo di scarico subisce leggere modifiche in funzione del tipo di erogazione che si vuole ottenere. La giusta carburazione era garantita dalla sonda lambda lineare allo scarico grazie alla quale la centralina autoadatta i parametri istante per istante. Sotto controllo in tempo reale sono anche tutti gli altri dati relativi al funzionamento del motore: pressioni, temperature, regimi di rotazione, tutti dati che possono essere fatti apparire sul display nel cruscotto. In realt&agrave; il pilota aveva giusto il tempo per accorgersi dei led di cambiata e per controllare il tempo sul giro oltre eventualmente a qualche temperatura che i tecnici chiedono di tenere sotto controllo. L&rsquo;elettronica gestiva pesantemente l&rsquo;accelerazione, sia in partenza con un programma dedicato di &ldquo;launch control&rdquo; sia in uscita di curva con un traction control che pu&ograve; essere modificato in tempo reale dal pilota. Questa R6 disponeva di una frizione antisaltellamento regolabile coadiuvata nel suo lavoro dall&rsquo;onnipresente centralina che era in grado di limitare il freno motore agendo sull&rsquo;apertura del secondo corpo farfallato. Un enorme radiatore artigianale era fondamentale per dissipare il calore prodotto dal motore, mentre il circuito dell&rsquo;olio rimane sostanzialmente quello di serie. Il quattro cilindri Yamaha curato da Lorenzini era assolutamente prestazionale ma necessita di intervalli di revisione tutto sommato accettabili: 1.500 km senza essere aperto, dopodich&eacute; si andava a sostituire buona parte degli elementi interni soggetti ad usura. I componenti che si differenziavano dalla moto di serie erano relativamente pochi, il kit YEC comprendeva in pratica alberi a camme, guarnizione di testa, valvole e molle. Una buona parte della potenza in pi&ugrave; si ricavava limitando le perdite per attrito grazie ad una corretta messa a punto con una cura maniacale delle tolleranze di accoppiamento. Gi&agrave; in questa categoria si avvertivano problemi legati ai consumi: gli oltre 135 CV alla ruota mettevano a dura prova la capacit&agrave; del serbatoio di serie che nelle gare pi&ugrave; veloci risulta appena sufficiente. &nbsp; Controllata dal chip anche la ciclistica   Il comportamento dinamico della moto veniva rilevato anche dai sensori sulle sospensioni che, oltre a fornire dati utili per la gestione del controllo di trazione, erano ovviamente indispensabili per la corretta taratura di forcella e monoammortizzatore. All&rsquo;anteriore tutto l&rsquo;interno della forcella veniva sostituito con molle e cartucce Ohlins ed era oggetto di un costante lavoro di taratura dopo ogni turno in pista. Il monoammortizzatore di serie era stato sostituito con l&rsquo;Ohlins TTX 36 (l&rsquo;ultimo grido in fatto di sospensioni posteriori), con doppie regolazioni dell&rsquo;idraulica in compressione ed una eccellente costanza di rendimento. La moto era al limite del regolamento in quanto a peso: alla bilancia denuncia 158 kg comprese le protezioni in materiali compositi per telaio, forcellone e carter motore. Da corsa   Ho provato la R6 di Roccoli sulla pista di Valencia subito dopo aver girato con la R1 Superstock dello stesso team (la trovate in un&rsquo;altra puntata di Prove Amarcord) e devo dire che questa Supersport &egrave; una vera purosangue, anche rispetto alla pi&ugrave; potente mille.&nbsp;Ecco, diciamo che io, personalmente, la preferirei con un freno motore pi&ugrave; deciso per poterla sfruttare meglio secondo il mio stile di guida nella percorrenza delle curve, senza doverla richiamare in traiettoria facendo sempre affidamento sui freni perch&eacute; dietro &egrave; troppo libera... Con una ciclistica cos&igrave; raffinata non devi guidarla come una stradale anche se la potenza non &egrave; esagerata. Con le Supersport contano due cose: la velocit&agrave; di percorrenza in curva, che pu&ograve; essere elevatissima anche grazie alle gomme Pirelli, e l&rsquo;accelerazione in uscita. Pensate che ho avuto delle difficolt&agrave; a capire se entrava o no in azione il traction control da tanto elevati sono il grip dei pneumatici e la tenuta della ciclistica. Ormai con queste moto bisogna aprire il gas non appena si molla il freno. La mia testa lo pensava ad ogni curva, ma il mio polso lo faceva sempre in ritardo rispetto a quanto fosse possibile! S&igrave;, bisognerebbe passarci almeno mezza giornata, invece di accontentarsi di una decina di giri, per imparare a sfruttare al 100% una ciclistica e un&rsquo;elettronica cos&igrave; sofisticate, anche se il telaio &egrave; facilissimo da capire per le sue reazioni cos&igrave; spiccatamente &ldquo;racing&rdquo;. &nbsp; Motore meno semplice da capire  Il motore non &egrave; altrettanto semplice da capire, o meglio, hai bisogno di fare tanti giri per imparare a sfruttarlo anche in funzione dei rapporti, perch&eacute; soffre un po&rsquo; ai bassi e ai medi dello stesso effetto &ldquo;elastico&rdquo; che ho notato sulla R1, apri il gas e la connessione con il motore non &egrave; direttissima, non avverti una potenza suffi ciente nella prima riapertura del gas, ma quando &ldquo;attacca&rdquo; spinge da far impressione, sfoderando un allungo davvero entusiasmante. Mi sembra che la spinta pi&ugrave; forte parta dai 13.000 (ma gi&agrave; dai 10.000 la risposta &egrave; consistente) e si esaurisca attorno ai 16.000, quando si accende la spia che consiglia di passare alla marcia successiva. Riguardo alla spaziatura del cambio, ho avuto un po&rsquo; di difficolt&agrave; nel mio primo round di quattro giri, perch&eacute; in alcune curve la prima era troppo corta e la seconda un pelo lunga, ma posso immaginare quanto possa essere maledettamente veloce in accelerazione e in percorrenza se a guidarla &egrave; un pilota leggero come Roccoli... E s&igrave;, magari prima di chiedere di cambiare la rapportatura del cambio o la taratura del freno motore o della mappatura del motore farei bene a dimagrire di qualche chilo.. Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250       

Una moto che rappresentava lo stato dell&rsquo;arte della categoria pi&ugrave; combattuta. Dopo averla provata, a raccontarcela &egrave; Randy Mamola

Prove Amarcord: la Yamaha R6 Supersport del team Lorenzini

Ogni modello ha fatto, a modo suo, la storia. Indipendentemente dai titoli vinti o meno, tutti le ricordiamo con passione. Qual è la vostra preferita?

Le 24 moto più iconiche di Motomondiale e SBK - FOTO

L&rsquo;8 maggio del 1995 iniziava la stagione del mondiale Superbike sul circuito tedesco di Hockeneheim. All&rsquo;epoca, infatti, i round erano 12 e l&rsquo;appuntamento di Phillip Island, che da anni tradizionalmente apre le competizioni, si disputava in chiusura.  La Superpole   Il 7 maggio 1995, dunque, si disputa la Superpole, e la partenza al palo viene conquistata da quello che sarebbe stato un nuovo protagonista del mondiale Superbike: Troy Corser, che dopo un paio di ottime apparizioni come wildcard sarebbe stato affiancato a Carl Fogarty in Ducati. Nella Superpole Carl Fogarty coglie il terzo tempo alle spalle di Chili.  Motosprint On Air, Di Pillo: &ldquo;Foggy - Bayliss? La vera SBK&rdquo;  La doppietta di Fogarty   Nelle due manche, per&ograve;, a comandare &egrave; Carl Fogarty, capace di siglare una grande doppietta. In Gara 1 il britannico vince sull&rsquo;indimenticato Fabrizio Pirovano, anche lui su Ducati, e sul tedesco Jochen Schmid su Kawasaki, mentre in Gara 2 il secondo posto va a Schmid e il terzo a Aaron Slight su Honda.  Fogarty ha corso due gare identiche, scendendo pi&ugrave; volte sotto il muro di 2&rsquo;03&rsquo;&rsquo;3 (il record del circuito di Slight era di 2&rsquo;03&rsquo;&rsquo;26). Un ritmo decisamente infernale. In Gara 1 il nostro Fabrizio Pirovano &egrave; stato attaccato alla ruota posteriore di Fogarty a lungo, portandosi subito fuori dalla bagarre, e siglando un eccellente secondo posto, ma non &egrave; riuscito a replicare nella seconda manche, per via di una brutta partenza e un dritto alla seconda variante che lo hanno relegato in tredicesima posizione.    Il Giorno della Vittoria   Carl Fogarty in questo periodo &egrave; particolarmente attivo sui social. Dopo aver totalizzato oltre un milione di visualizzazioni con il video che lo vede mimare la danza sulle scale del Joker, oggi ha il pluricampione britannico ha ricordato la doppietta in Germania, condividendo due foto dell&#39;epoca.     &nbsp;   &nbsp;  &nbsp;    &nbsp;     Visualizza questo post su Instagram   75th anniversary of #VEDay today. Few pics here from 25yrs ago on the 50th anniversary of VE day when I won both races in Germany and did the Churchill Victory salute on the rostrum.. the British media loved it.!! #VEDay75 pics courtesy of @doubleredphoto  Un post condiviso da  Foggy Carl Fogarty MBE (@carlfogarty1) in data: 8 Mag 2020 alle ore 2:46 PDT      &ldquo;Oggi &egrave; il settancinquesimo anniversario del Giorno della Vittoria&rdquo;, scrive Fogarty. &ldquo;Alcune foto di 25 anni fa, per il 50esimo anniversario del Giorno della Vittoria, quando vinsi entrambe le gare in Germania e feci il saluto della vittoria di Churchill sul podio&hellip; ai media britannici piacque molto&rdquo;.  L&rsquo;8 maggio, infatti, ricorre il &quot;Giorno della Vittoria&quot;, ovvero la fine della Seconda Guerra Mondiale. E nel 1995 era esattamente il cinquantenario. Un&rsquo;occasione che Carl Fogarty ha voluto festeggiare alla sua maniera, ovvero dal gradino pi&ugrave; alto del podio.  Fogarty &amp; Bayliss: le leggende SBK in edicola con Motosprint 

&ldquo;Ricorreva il cinquantenario della giornata della fine della seconda guerra mondiale, e sul podio feci il saluto della vittoria di Churchill&rdquo;, ricorda il pluricampione britannico

SBK: 25 anni fa la doppietta di Fogarty in Germania

Non pi&ugrave; tardi di tre giorni fa Carl Fogarty ha postato sul suo profilo social un video scherzoso nel quale combatte la noia del lockdown da Coronavirus danzando sulle scale di casa travestito da Joker. Un video, tra l&rsquo;altro, diventato virale, con quasi 500.000 visualizzazioni, pi&ugrave; di 5.000 condivisioni e quasi 10.000 like.  Il giorno di San Giorgio   Ormai da tanto tempo Carl Fogary ha ritrovato il sorriso, ma venti anni fa come oggi Foggy incappava in una caduta che avrebbe messo fine prematuramente alla sua carriera. Il britannico, classe 1965, non aveva ancora compiuto 35 anni quando &egrave; finito a terra sulla pista di Phillip Island, durante gara2, procurandosi una brutta frattura all&rsquo;omero sinistro.  Lo ricorda lo stesso Carl, attraverso il suo profilo Facebook: &lsquo;Buon San Giorgio a tutti! E&rsquo; ironico che tutto fin&igrave; per me proprio in questa giornata fra tutti i giorni, 20 anni fa in Australia&rdquo;  Con queste parole Carl Fogarty conferma quanto il motociclismo agonistico fosse &lsquo;tutto&rsquo; per lui. E per chi non lo sapesse, ricordiamo che non c&rsquo;&egrave; giorno pi&ugrave; inglese di San Giorgio, appunto il 23 aprile: George &egrave; il nome del padre della regina Elisabetta e di altri cinque sovrani, e Giorgio &egrave; il Santo Patrono d&rsquo;Inghilterra. La leggenda narra che uccise un drago, e da allora &egrave; simbolo del trionfo del bene sul male.  Fogarty posta la foto che vi proponiamo in apertura, dove &egrave; in un giro d&rsquo;onore, proprio con la bandiera di San Giorgio: la croce rossa su campo bianco, i colori che il Papa aveva affidato all&rsquo;Inghilterra (e a Genova) durante le crociate.    La gara  Per chi guard&ograve; quella gara quelle immagini sono rimaste indelebili: furono, tra l&rsquo;altro, momenti di paura, perch&eacute; il Re &ndash; allora era il pilota pi&ugrave; vincente di sempre nel mondiale Superbike &ndash; rimase a lungo immobile nell&rsquo;erba dopo un tremendo urto contro le barriere: un muro di gomme di auto riempite di terra. Un ostacolo che lo avrebbe potuto uccidere. Molti si chiesero successivamente perch&eacute; non fossero coperte dall&rsquo;air-dence.  Le immagini della TV in diretta avevano mostrato l&rsquo;on board dalla moto di Fogarty che urtava accidentalmente un altro pilota, l&rsquo;austriaco Robert Ulm, mentre rimontava da una brutta partenza, e con la complicit&agrave; della pista umida.  King Carl abbandon&ograve; la scena in barella. Fu portato subito in ospedale a Melbourne e l&rsquo;esito della TAC escluse compromissioni al rachide cervicale. La prognosi, allora, fu di almeno un mese e mezzo di stop.  Quarantena: Carl Fogarty diventa il Joker - VIDEO  Il ritiro. E il sollievo   Per la Ducati fu un duro colpo, perch&eacute; si cap&igrave; subito che Carl non avrebbe potuto puntare al quinto titolo mondiale, viste le assenza forzate. Per&ograve; si pensava ad un suo possibile rientro in occasione del round di Germania a Hockenheim, il 4 giugno. Invece &lsquo;Foggy&rsquo; non &egrave; pi&ugrave; tornato a correre nel mondiale Superbike.  &ldquo;Non ricordo nulla di quella caduta, persi immediatamente conoscenza&rdquo;, rivel&ograve; tempo dopo Carl Fogarty. &ldquo;Ho provato a tornare in forma per un po&#39; ma in un angolo della mia mente sapevo che era tutto finito. E il mio feeling fu contrario a quello che mi ero sempre aspettato.   &quot;Mi sentii sollevato sapendo che era tutto finito: la pressione e le aspettative, la folla e la TV. Mi sentivo male ogni domenica mattina sapendo che tutti si aspettavano che vincessi. Spensi la TV e per molto tempo non pensai pi&ugrave; alle corse&rdquo;.  Il suo rientro in circuito fu infatti nel 2003, quando divent&ograve; team manager di una squadra creata da lui, portando in pista la Petronas FP1. Ma quella &egrave; un&#39;altra storia.      SBK: Rea vince anche in quarantena - VIDEO     

Il 23 aprile di venti anni fa dopo un secondo posto in gara1, il &nbsp;quattro volte iridato si fratturava la spalla sinistra in Australia. Fu la sua ultima gara &nbsp;

SBK 2000: a Phillip Island la caduta decisiva di Fogarty

Otto aprile 1990, ottovolante di Laguna Seca. Giochi di numeri e parole per descrivere la doppietta americana siglata dagli idoli dei tifosi locali, che hanno applaudito e festeggiato le gesta di Rainey in 500 e Kocinski nella dueemmezzo.  Wayne e John, due caratteri diversi, medesimo team, quello del connazionale Kenny Roberts, che aveva fatto appiccicare sulle Yamaha quattro e due cilindri alcuni bei adesivi con le scritte Marlboro.  Il munifico sponsor tabaccaio alimentava le attivit&agrave; manageriali del Marziano, in un collegamento diretto con Iwata. Siglare una doppia vittoria in casa, nella pista in cui egli era cresciuto, di fronte ai responsabili Phillip Morris decret&ograve; la squadra USA con base in Europa come la pi&ugrave; competitiva del Motomondiale. E, al termine della stagione, la soddisfazione divenne enorme: titolo vinto e... titolo vinto. Proprio grazie a Rainey e Kocinski, cos&igrave; diversi, cos&igrave; simili.  Classe 250: &ldquo;Little&rdquo; John Kocinski iniziava a diventare &ldquo;Big&rdquo; John   Scleravano tutti e non poco, perch&eacute; Kocinski era davvero originale. Poteva essere (in parte) accettata la sua scenetta coi pupazzi sulla griglia di partenza, non era tollerato l&rsquo;aspirapolvere acceso nel bel mezzo della notte: &ldquo;Ehm, mi sono ricordato di quello sporco lasciato in quell&rsquo;angolo del motorhome, pensavo di rimuoverlo&rdquo;...  Ma Kenny aveva ragione. John era forte e prometteva bene. Il giovane pilota dell&rsquo;Arkansas - Little Rock - poteva diventare uno dei pi&ugrave; grandi. I successi datati 1989 in Giappone e a Laguna Seca rappresentavano l&rsquo;antipasto 1990, anno in cui il numero 19 vinse il titolo della 250 Grand Prix, classe perfetta per il suo stile di guida.  Lo striscione di affermazioni cominci&ograve; proprio nei pressi di Monterey, ad un passo dalla casa di Rainey. Scattato dalla terza casella, Kocinski lott&ograve; con Roth, Zeelemberg e Cadalora, poi li salut&ograve;.   Lo sbandieratore ne sanc&igrave; il primo posto con un vantaggio di circa 10 secondi su Luca, talento italiano che raccolse fortune nella quarto di litro. Ma in quella domenica primaverile californiana, la Yamaha rivale, guidata dall&rsquo;americano, si dimostr&ograve; irresistibile, in traiettorie percorse a memoria.   Kocinski rimedi&ograve; all&rsquo;opaca prestazione inaugurale di Suzuka e, da l&igrave; in avanti, spian&ograve; il terreno che lo port&ograve; all&rsquo;iride: 7 gradini pi&ugrave; alti del podio e targa di campione finale nelle sue mani.    &nbsp;Classe 500, Rainey completava la festa USA   Di primo acchito, Wayne fu molto contestato da Roberts: &ldquo;Rainey non &egrave; pronto. Questo &egrave; il Motomondiale, non l&rsquo;AMA. Qui ci corrono i migliori piloti del mondo e credo sia meglio rispedirlo in California&rdquo;.  Mannaggia a Kenny, lo disse, lo fece. L&rsquo;opaca stagione 1984 in 250 non convinse affatto il team manager che in Europa lo volle ed in America lo rimand&ograve;.  Anni pi&ugrave; tardi, Rainey fu riconvocato dallo stesso Roberts, stavolta per guidare la mezzo litro: &ldquo;Penso che lui sia maturato e la potenza delle 500 si addica meglio al suo stile&rdquo; ribad&igrave; KR, che gli affid&ograve; una Yamaha YZR di livello.  L&rsquo;uomo di Monterey ripag&ograve; la fiducia: un successo nel 1988, tre l&rsquo;anno dopo, ed ecco il 1990, iniziato con il primo posto di Suzuka.  A Laguna la folla desiderava un eroe a stelle e strisce sul gradino pi&ugrave; alto. D&rsquo;accordo, ma quale tra i diversi &quot;american boys&quot; al via?   Lawson no, perch&eacute; Eddie si era &ldquo;autoeliminato&rdquo; schiantandosi in prova, a causa di una moto rimasta senza freni e impattata contro le barriere.  Kevin Schwantz, ma il texano non arriv&ograve; al traguardo. Rimanevano Randy Mamola e Rainey. Il californiano della Cagiva giunse settimo, mentre il californiano Yamaha duell&ograve; con Chili e Doohan su Honda, relegandoli al terzo e secondo posto.  I tifosi furono molto soddisfatti, Roberts ancor di pi&ugrave;. Per King Kenny Laguna Seca fu come un casello autostradale aperto che gli concesse la linea giusta per una doppietta 1990, sia a Laguna Seca che a conti finali fatti: Kocinski e Rainey si laurearono campioni del mondo nelle rispettive cilindrate.   Cagiva Ferrari F4: il sogno in Rosso 

A Laguna Seca i tifosi americani festeggiavano la doppietta con Wayne primo in 500 e John sul gradino pi&ugrave; alto della 250. Per Kenny il 1990 fu l&#39;anno del doppio titolo da team manager

Trent&#39;anni fa: Rainey e Kocinski servono a Roberts l&#39;antipasto mondiale

Sono passati 17 anni da quel Gran Premio del Giappone che cost&ograve; la vita a Daijiro Kato: era il 6 aprile del 2003 quando la sua Honda impatt&ograve; contro un muro del circuito di Suzuka. Lo sfortunato pilota, che era portacolori del team Gresini, mor&igrave; due settimane dopo, per le gravi lesioni riportate nel tremendo impatto. Aveva 26 anni e lasciava la moglie Makiko e due figli, Ikko e Rinka.  Oggi Daijiro Kato occupa un posto nella Hall of Fame internazionale e continua a vivere nel ricordo degli appassionati, e primo fra tutti nel cuore di Fausto Gresini, che allora era il suo team manager.  Il suo numero, il 74, &egrave; stato ritirato dalla Dorna e nessun altro pilota potr&agrave; utilizzarlo nel mondiale.  La sua morte ha ispirato anche la nascita della Commissione di Sicurezza nella quale il CEO di Dorna, Carmelo Ezpeleta, ha dato la possibilit&agrave; ai protagonisti del campionato di potersi esprimere in termini di salvaguardia della propria incolumit&agrave;. La prima decisione presa dalla Commissione fu proprio quella di eliminare il circuito di Suzuka da Motomondiale.  Candidato al mondiale   In Honda consideravano Kato come l&rsquo;erede di Valentino Rossi, e molti si aspettavano da lui una stagione 2003 iridata, tale era il suo talento. Viveva in Italia, nei pressi di Ravenna, anche se ancora non parlava bene l&rsquo;italiano. Aveva debuttato nel Motomondiale nel 1996, direttamente in 250, dopo essersi laureato vicecampione giapponese nella quarto di litro l&rsquo;anno precedente. Corse&nbsp; IL GP di Suzuka come wild card della classe 250, concludendo al terzo posto. L&rsquo;anno dopo disput&ograve; ancora il GP di casa come wild card, e si aggiudic&ograve; il Gran Premio.  La sua prima stagione da titolare del mondiale 250 fu quella del 2000, in sella ad una Honda NSR 250 del team AXO Gresini, e il debutto fu sorprendente: Kato vinse quattro gare e conquist&ograve; la terza posizione in campionato. In quello stesso anno si aggiudic&ograve; anche la 8 Ore di Suzuka insieme a Toru Ukawa sulla Honda VTR 1000SPW.  L&rsquo;anno successivo, il 2001, fu confermato dal team Gresini e vinse 11 gare, che gli consentirono di aggiudicarsi il mondiale davanti al connazionale Harada e al nostro Melandri. Nel 2002 era gi&agrave; in MotoGP, che era alla sua prima stagione. Inizi&ograve; la stagione su una Honda NSR500 a 2 tempi, poi da Brno gli arriv&ograve; una RC211V 4 tempi, con la quale ottenne una pole e due secondi posti. Concluse la sua prima stagione al settimo posto della classifica piloti, migliore degli esordienti. Vinse ancora la 8 Ore di Suzuka, in questa occasione con Colin Edwards.  Errore o guasto?   Nel 2003 avrebbe disputato la stagione con il team Gresini, ma alla fine del terzo giro del primo GP dell&rsquo;anno Kato incapp&ograve; in quel maledetto incidente.  Le cause per cui Kato impatt&ograve; contro il muro sono rimasti per molti ancora un&#39;incognita: un&rsquo;indagine condotta da Honda e Dorna imput&ograve; la colpa ad un errore del pilota e alla presenza di un muretto nella via di fuga. &nbsp;Enrico Borghi di Motosprint, invece, scrisse il contrario (ovvero che c&#39;era stato un problema tecnico) e non venne mai smentito.&nbsp;Un episodio del genere sarebbe avvenuto a Casey Stoner alla 8 ore di Suzuka del 2015, ma, fortunatamente per il pilota australiano, senza le stesse conseguenze. In quel caso Honda conferm&ograve; il difetto dell&rsquo;acceleratore.  6 aprile 2003: Poggiali vince in Giappone al suo esordio in 250cc 

17 anni fa, Daijiro Kato impattava a 200 km/h contro un muro del circuito di Suzuka. Mor&igrave; due settimane dopo &nbsp;

6 aprile 2003: l&rsquo;incidente di Kato

Il circuito di Kyalami era - voce del verbo &ldquo;essere&rdquo; al passato, poich&eacute; la pista sudafricana &egrave; stata, negli anni, pesantemente modificata - tecnica, veloce, selettiva. Da pioti veri.  Correre laggi&ugrave;, tra saliscendi ed un mega parco naturale, piaceva molto a Michel Fabrizio, autore della sua ultima vittoria di carriera nel 2010.  La gara   Il 16 maggio di 10 anni fa, Mich84 portava nel garage Ducati Xerox il successo di Gara 1, colto con la 1098 R ufficiale, bicilindrica che, nelle mani del pilota romano, volava spedita nei ciechi scollinamenti, piegando forte nei curvoni, specialmente in quelli sinistrorsi.   Scattato dalla prima fila con il quarto crono - aridaje: all&rsquo;epoca la griglia prevedeva quattro piloti per &ldquo;row&rdquo; - Fabrizio, memore dei due secondi posti centrati proprio l&igrave; l&rsquo;anno precedente, decideva di bruciare tutti nello scatto iniziale, inscenando un fuga solitaria.  In pochi passaggi, Michel si ritrovava in testa con un buon margine da gestire: alle sue spalle si consumavano duelli e scaramucce, mentre lui guidava pulito e scorrevole, dopo un metaforico &ldquo;se vedemo&rdquo; nei confronti dei rivali, l&rsquo;arrivo in solitaria sotto la bandiera a scacchi.  Festoso sul podio, con in testa due cappelli - Ducati e Pirelli, nel ringraziamento per entrambi, l&rsquo;allora venticinquenne di Frascati tocc&ograve; l&rsquo;apice del suo rendimento nelle derivate di serie: &ldquo;Cazzo, che vittoria - racconta oggi Michel - dal primo all&rsquo;ultimo giro ho avuto Carlos a 1,2 secondi, in tutti e 24 i passaggi. Il vantaggio rimaneva lo stesso in ogni tornata, pensavo che il meccanico al muretto che mi dava la tabella dei distacchi si fosse addormentato (ride). Sul podio, ho festeggiato spruzzando lo champagne sotto la gonna della hostess... la TV non inquadrava mai il podio, invece, quel giorno l&rsquo;ha fatto vedere e... niente, pi&ugrave; tardi mia moglie me ne ha dette quattro, forse pure cinque&rdquo;.    Gli avversari battuti   Per farvi comprendere quale fosse il livello della SBK 2010 e quanto fosse il numero 84 forte, eccovi la lista di titoli battuti da Fabrizio in quel di Kyalami, giunti nel seguente ordine:  &nbsp;- Carlos Checa, vittorie in 500, podi in MotoGP e futuro campione SBK 2011  - Leon Haslam, vittorie in SBK e futuro campione BSB  - Max Biaggi, quattro titoli in 250, vittorie in 500 e MotoGP, due mondiali vinti in SBK, il primo proprio nel 2010  - Johnny Rea, cinque volte iridato SBK dal 2015 al 2019  - Leon Camier, campione BSB e autore di podi in SBK   - James Toseland, due volte campione del mondo SBK  - Cal Crutchlow, iridato Supersport, vincitore di gare in SBK ed in seguito in MotoGP  - Jakub Smrz, podi in SBK  - Sylvain Guintoli, futuro campione SBK  - Luca Scassa, vice iridato Supersport  - Troy Corser, campione del mondo di categoria nel 1996 e nel 2005  - Sheridain Morais, protagonista in Supersport e ottimo conoscitore della pista di casa  - Ruben Xaus, autore di vittorie in SBK e podio in MotoGP  - Noryiuki Haga, vicino all&rsquo;iride SBK pi&ugrave; volte  - Shane Byrne, pluricampione BSB, due vittorie in SBK   - Tom Sykes, numero 1 SBK nel 2013  - Chris Vermeulen, iridato Supersport, pi&ugrave; volte primo in SBK, podi e vittoria in MotoGP  Vi pare poco?  #IoRestoaCasa: Melandri e Fabrizio si sfidano a suon di &ldquo;lato B&rdquo; - FOTO 

Il pilota romano numero 84 della Ducati bruciava tutti allo spegnersi del semaforo e li seminava con un passo vincente. In Sud Africa l&#39;ultimo di quattro successi nelle derivate

Dieci anni fa: la vittoria di Michel Fabrizio a Kyalami

Rivivere le gare che hanno fatto la storia del motociclismo &egrave; sempre un&#39;emozione, e ancora di pi&ugrave; &egrave; farlo attraverso gli occhi e i ricordi dei diretti interessati. In un&#39;intervista a Speedweek.com, Colin Edwards ha raccontato la sua gara pi&ugrave; importante, andata in scena ormai 18 anni fa.  I protagonisti della stagione 2002   Era il 29 settembre del 2002 quando, sul tracciato di Imola, and&ograve; in scena l&#39;ultima gara della stagione che, grazie ad una doppia vittoria in gara 1 e gara 2, port&ograve; Edwards a vincere il titolo iridato in Superbike. Per lui si trattava del secondo titolo in carriera, il primo conquistato nel 2000 e il secondo arrivato nel 2002, entrambi in Superbike ed entrambi in sella alla Honda.  Ma quello che arriv&ograve; grazie alla doppia vittoria ad Imola, fu di certo il pi&ugrave; combattuto per Texas Tornado che riusc&igrave; a spuntarla sul suo agguerritissimo rivale Troy Bayliss in lotta fino all&#39;ultima gara di campionato.  Per entrambi, infatti, fu una stagione davvero sopra le righe: Edwards conquist&ograve; in tutto undici vittorie, arrivate per&ograve; dopo una prima parte di stagione nella quale era stato l&#39;australiano Bayliss a primeggiare con quattordici vittorie (tra gara 1 e gara 2) in otto round.  Arrivati all&#39;ultima prova di Imola, c&#39;era solo un punto a dividerli e i due, davanti ad un pubblico di oltre 100 mila persone dettero vita ad uno spettacolo degno di essere ricordato in tutti gli annali del motociclismo.  Il test   &ldquo;Ricordo quasi ogni dettaglio: - racconta Edwards al giornale tedesco - come potrei non farlo? E ricordo anche le vittorie delle gare precedenti. Le ricordo cos&igrave; bene perch&eacute; eravamo molto indietro. Dopo aver ottenuto nuove parti, sono stato in grado di superare Bayliss a Oschersleben. Il finale di stagione a Imola doveva portare ad una conclusione&rdquo;.  Edwards prosegue nel suo racconto: &rdquo;Stavamo tornando a casa da Assen quando il mio team manager Neil Tuxworth mi chiam&ograve; suggerendomi di fare un test di un giorno a Imola. Quindi facemmo questo test per avere almeno un vantaggio. Sapevo gi&agrave; che la gomma anteriore funzionava, dovevamo solo lavorare un po&#39; con la gomma posteriore. Questa era la nostra base di partenza&rdquo;.  Sul rapporto con Bayliss   Il pilota americano parla quindi del suo rapporto con Bayliss: &ldquo;Tutto il mio team, i miei suoceri e molti altri erano venuti per supportarmi nel fine settimana di gara. La tensione si tagliava con un coltello. Parlai anche a Troy, andavamo d&#39;accordo e siamo sempre stati amici. Le cose erano difficili tra noi in pista, ma avevamo rispetto reciproco. Vincere o perdere non contava, fu bello essere parte di questo spettacolo. L&#39;atmosfera era elettrica, si sentiva perch&eacute; in campionato ci separava solo un punto. Anche se Bayliss guidava una Ducati, non mi sentivo un estraneo ad Imola, sentivo di avere la maggior parte dei tifosi dalla mia parte, a loro non importava chi vincesse, erano venuti per vedere delle belle gare&rdquo;.  La gara   Nella seconda manche di Imola, dopo la vittoria in Gara 1 di Edwards e il secondo posto di Bayliss, i due era separati soltanto da sei punti. Una volta che il semaforo verde si accese, quindi, si scaten&ograve; fin da subito una gran bagarre che li vide protagonisti di una gara indimenticabile: &rdquo;Dopo la vittoria in Gara 1 Troy - va avanti Edwards - aveva imparato e sapevo che sarebbe stato pi&ugrave; veloce di prima. Conosceva le mie traiettorie e dove fosse pi&ugrave; veloce di me. Ma io conoscevo il suo piano, voleva rallentarmi in modo che Xaus o qualcun altro potesse sorpassarmi&rdquo;.  Edwards conclude il suo racconto: &rdquo;Non riuscii a scacciare Troy, mi segu&igrave; come un&#39;ombra. Nell&#39;ultimo giro, non sapevo che Xaus avesse avuto problemi e fosse rimasto indietro. Tre giri prima della fine avevo gi&agrave; deciso che avrei vinto la gara, e c&#39;era solo un modo per farlo. Uscii bene dalle Acque Minerali e sapevo che sulla svolta a destra successiva sarei stato pi&ugrave; veloce su per la collina verso la variane alta. Imola 2002 &egrave; probabilmente una delle poche gare che ricorder&ograve; per sempre. Mentre cercavo di concentrarmi, vidi persone impazzire sugli spalti e incoraggiarci in ogni modo. &Egrave; una delle poche gare in cui puoi sentire il pubblico cos&igrave; bene e sentirne l&#39;intensit&agrave;&rdquo;.  6 aprile 2003: Poggiali vince in Giappone al suo esordio in 250cc 

Il pilota americano, a distanza di 18 anni, ha ricordato la doppia vittoria ad Imola che gli fece conquistare il titolo mondiale Superbike

Imola 2002, Edwards: &ldquo;Una delle gare che ricorder&ograve; per sempre&rdquo;

L&rsquo;anno 2010 inizi&ograve; per Max Biaggi con un quinto e un ottavo posto sul famigerato tracciato di Phillip Island, in Australia, e il secondo appuntamento si tenne il fine settimana del 27 e 28 marzo a Portimao, in Portogallo. Sulla pista dell&rsquo;Algarve gli avversari erano tanti, e tra questi c&rsquo;era senz&rsquo;altro Leon Haslam, che tornava vittorioso (in Gara 1) dall&rsquo;Australia, e che aveva dominato le prove libere. Eppure non ci fu storia.  Gara 1   Il duello tra l&rsquo;italiano e l&rsquo;inglese tenne banco per la maggior parte della corsa, fino al diciassettesimo giro, quando finalmente l&rsquo;Aprilia RSV4 numero 3 riusc&igrave; a prendere i giusti metri di vantaggio per assicurarsi la vittoria senza troppa preoccupazione. E proprio di Biaggi &egrave; il giro veloce, firmato in 1&rsquo;42.774 che migliorava il record della pista di quasi otto decimi.    Gara 2   Un&rsquo;altra gara all&rsquo;insegna del talento e della velocit&agrave; del romano, che se all&rsquo;inizio riusc&igrave; a prendere subito la testa della corsa, poi se la dovette vedere con un bel trio agguerrito composto da Haslam, Crutchlow e Checa. Solo il pilota Suzuki, per&ograve;, divenne davvero pericoloso e ci fu un altro duello tra i due. Dal diciassettesimo al ventesimo giro fu l&rsquo;inglese a dominare la corsa, con il romano che si prepar&ograve; perfettamente al grande finale andando a firmare cos&igrave; una doppietta storica per lui (la sua prima in Superbike) e per Aprilia.  Biaggi dichiar&ograve;: &ldquo;Gare fantastiche e combattute fino all&rsquo;ultima curva dell&rsquo;ultimo giro. Sono soddisfatto di questo weekend &egrave; la prima volta che centro una doppia vittoria. Le gare si sono decise negli ultimi due giri e sapevo che potevo giocarmela fino alla fine. Nel finale Haslam mi ha attaccato, ma ho chiuso tutte le porte possibili per centrare questo risultato. La moto andava decisamente bene e quei problemi che ci avevano rallentato in Australia, sono solo un brutto ricordo. Sono conscio che sar&agrave; un campionato durissimo ma posso dire che ci siamo anche noi! Un bravo va anche al mio team che mi ha messo in condizioni di lottare per la vittoria. Grazie anche a tutti i ragazzi che lavorano a Noale, senza di loro tutto questo non sarebbe stato possibile, grazie!&quot;  Dieci anni fa: Pirro conquista il suo primo podio in Supersport 

Dopo un inizio non brillante in Australia, il &ldquo;Corsaro&rdquo; domin&ograve; a Portimao con la sua Aprilia

Dieci anni fa: Biaggi firma la doppietta in Portogallo

Correva l&#39;anno 2010. Era domenica 28 marzo e i piloti della Supersport erano pronti sulla griglia di partenza del circuito di Portimao, in Portogallo, che ospitava il secondo round stagionale. Dalla pole position scattava Eugene Laverty, seguito dal grande Kenan Sofouglu che solo qualche anno dopo divenne di diritto il punto di riferimento nella classe. All&rsquo;epoca il turco aveva all&rsquo;attivo un titolo iridato, conquistato tre anni prima, e proprio quell&rsquo;anno era tra i favoriti alla guida della Honda CBR600RR del team HANNspree Ten Kate. Terzo sullo schieramento un nostro portacolori, Michele Pirro, suo compagno di squadra, che alle spalle aveva un paio d&rsquo;anni di corse in 125 senza nessun risultato di spicco e un 2009 piuttosto buono in Supersport alla guida della Yamaha.  Completava la prima fila Joan Lascorz, che dopo esser riuscito a mantenere il passo dei primi, si trov&ograve; sul finale a lottare proprio per la vittoria contro un agguerrito Sofuoglu. Lo spagnolo non tentenn&ograve; a cedere la testa della corsa, ma il turco con una magistrale manovra alla prima staccata dell&rsquo;ultima curva, si assicur&ograve; il successo, il primo stagionale, il quindicesimo nella categoria.  Fino all&rsquo;undicesimo giro a lottare con il turco e lo spagnolo per il gradino pi&ugrave; alto del podio c&rsquo;era anche Pirro, che ben riusciva a difendersi dagli avversari. L&rsquo;italiano era stato autore di un&rsquo;ottima prima parte di gara, nella quale aveva addirittura firmato il giro pi&ugrave; veloce in 1&rsquo;45.180 al suo secondo passaggio, salvo poi dover fare il ragioniere e concretizzare la buona prestazione avuta. Il pugliese si accontentava cos&igrave; del terzo posto, che per&ograve; valeva oro per la sua carriera.  All&#39;epoca 24enne, Pirro conquistava cos&igrave; il suo primo podio iridato, che fu seguito nello stesso anno dalla prima vittoria, a Imola, e che gli apr&igrave; le porte della Moto2 l&#39;anno successivo.  Lucia Rivera su Marquez: &ldquo;Non mi importa se ha una un&#39;altra&rdquo; 

Il pilota di San Giovanni Rotondo per la prima volta sul podio nelle derivate di serie, dava uno scossone alla sua carriera

Dieci anni fa: Pirro conquista il suo primo podio in Supersport

I giapponesi ricordano con grande piacere quella domenica 9 aprile di venti anni fa e noi lo facciamo con loro. Anno 2000, Suzuka, terzo Gran Premio stagionale. Nelle tre classi - 125, 250 e 500 - altrettanti nippo trionfarono, di fronte al pubblico amico in festa.   La cosa bella, che si va a sommare con il dominio gi&agrave; citato, fu un dominio sfiorato nei tre podi di fine gare. Nell&rsquo;ottavo di litro, l&rsquo;ordine di arrivo racconta Masao Azuma terzo, Noboru Ueda secondo e Yoichi Ui vincitore. Nella dueemezzo, Shynia Nakano sul gradino pi&ugrave; basso, Toru Ukawa su quello centrale, Daijiro Kato sul pi&ugrave; alto. Mezzo litro con l&rsquo;americano Kenny Roberts &ldquo;incastrato&rdquo; tra Tady Okada e Norifumi Abe. In pratica, nel caldo weekend primaverile il Sol Levante and&ograve; vicino al monopolio.  125, che &ldquo;Derbi&rdquo; tra Ui e le Honda di Ueda e Azuma!   &nbsp;Diciotto giri sull&rsquo;ottovolante pi&ugrave; bello nel mondiale, sul quale le piccole 125 affrontavano a gas pieno molti tratti guidati della pista. Yoichi Ui, al secondo anno con la Derby, si trova in lotta con i connazionali Ueda su Honda gestita da Lucio Cecchinello e Masao Azuma, portacolori (nel vero senso della parola) del team Benetton Playlife anch&rsquo;esso motorizzato Honda.   La battaglia ha visto i tre nippo sfidarsi sino a due terzi di gara, poi Ui cambi&ograve; passo e semin&ograve; i rivali. Il numero 41 port&ograve; al marchi Derbi la prima di cinque affermazioni d&rsquo;annata, cogliendo a fine campionato un secondo posto.   Ueda ed Azuma, sfoggiarono nel parco chiuso sorrisi a tutti denti, meno gioie per Roberto Locatelli, che non fin&igrave; la corsa. Il bergamasco del team Vasco Rossi, tuttavia, si riscatt&ograve; ben presto, vincendo il titolo. Ma, quella Suzuka 125, si stava dipingendo tutta bianca con un sole rosso al centro. Quello giapponese.  250, Daijiro Kato si fece conoscere da tutto il mondo   Daijiro non era una semplice wild card kamikaze. Anzi. Kato era stato ingaggiato nientemeno che da Fausto Gresini, un ex pilota e attuale manager piuttosto... bravissimo nel saper riconoscere i talenti.  Ci prese in pieno: la vittoria del suo pilota su una bellissima NSR bicilindrica non fu che la prima di una serie che port&ograve; Kato al terzo posto nel 2000 e al numero 1 l&rsquo;anno dopo.  A Suzuka le &ldquo;minacce&rdquo; Ukawa e Nakano erano piuttosto serie: Toru rappresentava HRC, Shynia era la punta Yamaha che giocava in casa, anche se in quel 2000 il titolo and&ograve; al francese Olivier Jacque, molto forte e ben supportato da Herv&egrave; Poncharal.  A differenza della 125, la 250 si risolse quasi al fotofinish. Daijiro complet&ograve; un sabato da pole aggiungendo il primo posto domenicale, con soli 129 millesimi su Toru. I tifosi sulle tribune continuavano a festeggiare.    &nbsp;500, Abe su Roberts e impazzirono i bookmakers   Prima dello start, Norifumi era dato dalle agenzie a 30. Ci&ograve; significava che - per esempio - scommettendo 10.000 lire su Abe, in caso di primo posto del nippo in gara, si sarebbero vinte 300.000 lire. Bei tempi.   Un ardito appassionato e lettore di San Donato Milanese ebbe la giusta intuizione: &ldquo;Voglio puntare dei soldi su Abe&rdquo;.   - Ma &egrave; dato a 30, ti conviene?  &ldquo;S&igrave;, certo. Qualcosa mi dice che lui potrebbe trionfare in 500&rdquo;.  Scattato ottavo, il capelluto rockstar gestito dal team di Luis d&rsquo;Antin dovette far derapare parecchio la ruota posteriore, perch&eacute; l&agrave; davanti il gruppo fuggiva.   A suon di grandi staccate con i freni Nissin e Tokico fischianti come arbitri impazziti, la lotta per la coppa pi&ugrave; ambita era tra Kenny Junior con la Suzuki, il compagno Aoki, Okada su NSR, gli spagnoli Checa e Criville, cavalcanti Yamaha e Honda ufficiali.  Ma Abe stava risalendo la china, passaggio dopo passaggio. Relegati a pi&ugrave; miti consigli Barros, McCoy e Rossi, uscito di scena Biaggi, a Norick interessava una cosa sola: la vittoria.  Per ripetere quanto fatto quattro anni prima - successo con la Yamaha Roberts a Suzuka il 21 aprile 1996 - Abe agganci&ograve; Roberts, sino ad averne la meglio nell&rsquo;ultimo giro, per soli 279 millesimi: &ldquo;Hai visto, ho vinto 300.000 lire. E adesso, oltretutto, mi paghi pure da bere&rdquo; festeggi&ograve; qualcuno in provincia di Milano.   I pi&ugrave; felici erano i tifosi in tribuna. Quel giorno fu sfiorata la tripletta in tutte le classi. Il Motomondiale contava tanti piloti giapponesi, tutti forti e competitivi. Oggi lo scenario &egrave; cambiato, ma Nagashima sembra essere il degno erede di quei nomi che fecero la storia di Suzuka 2000.  Lorenzo risponde alle accuse: &ldquo;Chi ha detto che avevo paura?&rdquo; 

Norifumi vinse il Gran Premio di casa in 500 ed i connazionali Kato e Ui trionfarono in 250 e 125. I piloti del Sol Levante sfiorarono per poco il cappotto

Vent&#39;anni fa: la vittoria di Abe e la tripletta giapponese a Suzuka

L&rsquo;inizio della stagione 1998 offriva premesse e lanciava promesse davvero interessanti.   La classe 500 aveva ancora in Michael Doohan il dominatore assoluto, tuttavia, l&rsquo;australiano del team Honda Repsol HRC si apprestava a trascorrere qualche grattacapo in pi&ugrave;, nelle sembianze di Max Biaggi.  Con in tasca quattro titoli consecutivi vinti in 250 - tre con l&rsquo;Aprilia, l&rsquo;ultimo con una NSR non certo irresistibile, per&ograve; ben seguita dal manager Erv Kanemoto - il ventiseienne romano debuttava nelle file della Regina in veste di mina vagante, portandosi con s&eacute; il nippo - americano che tanto piaceva a Freddie Spencer.  Ed il rookie, min&ograve; immediatamente la sicurezza di Mick. Velocissimo nei test invernali, il numero 6 (mai sfoggiato prima) risultava spesso e volentieri in cima alle liste dei cronologici, malgrado Doohan minimizzasse cos&igrave;: &ldquo;Sono solo prove, in gara sar&agrave; diverso, Nel frattempo io mi devo ancora abituare alla nuova moto&rdquo;.  Un dettaglio specifico mut&ograve; il carattere del quattro cilindri giapponese: scartato l&rsquo;utilizzo della benzina rossa - qui da noi chiamata &ldquo;Super&rdquo; - in virt&ugrave; di quella verde, con meno ottani e potere detonante, la NSR risultava meno cattiva, esplosiva, difficile. Michael continu&ograve; la sua spiegazione: &ldquo;Se prima sapevo che girando il gas mi sarebbe arrivata una botta violenta di potenza, adesso dico che in accelerazione non succede nulla. Non mi piace guidare in questa maniera, sembra pi&ugrave; una dueemmezzo&rdquo;.  Caratteristica perfetta per chi, con la quarto di litro, aveva sbaragliato la concorrenza: proprio Biaggi, il quale lavor&ograve; s&igrave; di polso destro, ma anche sulle sospensioni Showa e nella scelta delle giuste gomme Michelin. C&rsquo;era meno da derapare rispetto al solito e conveniva curvare pi&ugrave; tondo e lineare.  Suzuka, il luna park del Corsaro   &nbsp;A dire il vero, da quelle parti Max si present&ograve; con &ldquo;solo&rdquo; una affermazione, colta nel 1996. Suzuka non era Shah Alam e neppure Brno, ma al Corsaro piaceva, perch&eacute; le pieghe da raccordare in terza marcia calzavano perfettamente con il suo stile e la sua tecnica.   Infatti, a sorpresa ma non pi&ugrave; di tanto, ecco per lui la pole position: 2&#39;05&rdquo;772 il tempo di Biaggi, con il solo locale Namba in grado di infastidirlo. E Doohan, dalla quarta casella: &ldquo;Ma tanto sono solo le qualifiche, in gara sar&agrave; diverso&rdquo; .  Aveva ragione, Mick: lui usc&igrave; di scena malamente al quindicesimo passaggio e la NSR privata dell&rsquo;italiano si involava verso il successo. Ammirare Max era una goduria. Pelava il gas quanto bastava con tocchi delicati, derapando appena appena, sfruttando i regimi medio alti. Senza far urlare il motore, tanto non serviva farlo. Il contrario di Doohan, in pratica.  Ci provarono in diversi a soffiare il primo posto al pilota del team Marlboro Kanemoto. Su tutti Okada, compagno dell&rsquo;australiano. Anche Haga, asso SBK e a Suzuka da wild card. Tady e Nori finirono sul podio, con ritardi superiori ai cinque secondi.  I quotatissimi Criville, Barros e Checa - esperti e ben conoscitori nell&rsquo;ambito dell&rsquo;Ala dorata - impotenti, Abe contro le barriere, Kocinski aveva il suo daffare nel passaggio derivate di serie - prototipi.  Massimiliano, invece, scappava e sembrava sul velluto, Pochi trasferimenti di carico, traiettorie perfette, coperture gestite alla perfezione. Vittoria, che fece il giro del mondo ed arriv&ograve; in quel di Roma dove, tra gli altri tifosi, il bravo e giovane Patrizio Cacciari, che tuttora ne conserva un ricordo meraviglioso: &ldquo;Dedico ai miei fans questa impresa - dichiar&ograve; alla TV RAI il primo arrivato - ben sapendo che in un solo Gran Premio abbiamo sovvertito i pronostici del precampionato. Sono qui per battere il campione e ci prover&ograve; fino in fondo&rdquo;  Ricordi meno belli per i rappresentanti di Tokio, i quali avevano scarsi motivi per cui gioire. Nonostante una Honda fosse sul gradino pi&ugrave; alto del podio, a loro poco importava: l&rsquo;adesivo HRC non era appiccicato sulle carene della NSR di Biaggi. Fateci caso.   Biaggi intervista Iannone: &ldquo;Il mio mito era Rossi&rdquo; 

Nel 1998 a Suzuka Max riusc&igrave; a domare la mezzo litro, battendo gli avversari pi&ugrave; esperti di categoria. Doohan rimase a bocca aperta e rimedi&ograve; uno zero in classifica

Duelli Sprint: il debutto vincente di Biaggi in 500

Esattamente 20 anni, nel weekend dell&rsquo;01-02 aprile del 2000, Pierfrancesco Chili compiva la sua impresa al via della stagione del mondiale Superbike, cogliendo un podio in sella alla Suzuki in Gara 2 a Kyalami, in Sudafrica, dopo un quinto posto in Gara 1.  Gi&agrave;: il Sudafrica all&rsquo;epoca ospitava il primo round della stagione: l&rsquo;Australia seguiva tre settimane dopo. Il primo a qualificarsi in griglia fu Troy Corser su Aprilia, con Colin Edwards su Honda e Car Fogarty su Ducati a completare la prima fila dello schieramento di partenza, mancata di circa 3 decimi da Pierfrancesco Chili, autore del quarto tempo, in seconda fila insieme a Noriyuki Haga e Gregorio Lavilla.  Al via c&rsquo;erano anche tanti altri italiani:&nbsp; Giovanni Bussei, undicesimo tempo, Alessandro Antonello, quattordicesimo davanti a Vittoriano Guareschi, Marco Borciani, diciottesimo, Mauro Sanchini ventesimo davanti a Alex Gramigni, Igor Antonelli, il pap&agrave; di Niccol&ograve;, ventitreesimo, e Massimo De Silvestro ventisettesimo.  Per Pierfrancesco Chili fu un weekend impegnativo, costellato di problemi tecnici, ma alla fine la GSX-R riusc&igrave; a dargli delle belle soddisfazioni con un quinto e un terzo posto.    Il manometro e l&rsquo;elettronica   Un problema era stato dovuto addirittura all&rsquo;altitudine: il circuito &egrave; infatti a 1.500 metri. Si era guastato il manometro con il quale la squadra controllava la pressione delle gomme: cos&igrave; per tutta la giornata del venerd&igrave; Frankie gir&ograve; senza capire perch&eacute; non riusciva a dare il massimo. Il giorno dopo, invece, arrivarono dei problemi elettrici sulla moto con il propulsore pi&ugrave; evoluto.  Alla fine, Chili corse con la moto meno performante ma pi&ugrave; affidabile. All&rsquo;epoca le due gare si disputavano nella stessa giornata, e fra gara1 e gara2 Chili cambi&ograve; l&rsquo;assetto della moto, peggiorando addirittura la situazione: il chattering era forte e gli imped&igrave; di attaccare i due leader.  Nei primi giri di gara2, infatti, il bolognese seguiva come un&rsquo;ombra Haga e Edwards, rispettivamente al primo e al secondo posto, facendo pensare ad una possibile vittoria. La pista, del resto, gli si era rivelata gi&agrave; una volta favorevole, perch&eacute; 9 anni prima, nel 1991, Chili aveva vinto una gara internazionale con l&rsquo;Aprilia 250, sul bagnato.  Chili arriv&ograve; terzo al traguardo, particolarmente stanco per i problemi che aveva incontrato nel weekend, ma alla fine soddisfatto di quel risultato.    Le gare   Per la cronaca, in Gara 1 Colin Edwards con la nuova Honda VTR 1000 gommata Michelin sigl&ograve; subito una vittoria davanti a Noriyuki Haga sulla Yamaha R1 gommata Dunlop. A completare il podio della prima gara fu un Carl Fogarty ancora dolorante alla spalla destra per un recente infortunio. Corser, dopo la pole, port&ograve; l&rsquo;Aprilia due volte al quarto posto.  In Gara 2 Haga s&rsquo;impose davanti a Edwards, mentre Carl Fogarty incapp&ograve; in una strana caduta, che lo stesso campione del mondo in carica non riusc&igrave; a spiegarsi.  Dopo Chili, il miglior italiano a Kyalami fu Giovanni Bussei (nella foto con il numero 35), autore di un dodicesimo e un undicesimo posto, mentre Alessandro Antonello (con il numero 30) manc&ograve; la zona punti in Gara 1 per centrare la top ten in Gara 2.  Vent&#39;anni fa: la doppietta virtuale di Edwards a Kyalami 

&quot;Frankie&quot; si piazz&ograve; sul terzo gradino del podio di Gara 2 in sella alla Suzuki, alle spalle di Noriyuki Haga e Colin Edwards

Vent&#39;anni fa: Chili sul podio a Kyalami

Un giovanissimo Valentino Rossi, il 31 marzo di 24 anni fa, faceva il suo esordio nella classe 125cc del Motomondiale. In sella all&#39;Aprilia, a Shah Alam, conquist&ograve; il sesto posto, mentre, a fine campionato riusc&igrave; ad ottenere il nono posto nella classifica generale. In questa stagione di esordio conquist&ograve; la sua prima vittoria in Repubblica Ceca...era nato il grande &quot;Vale&quot; che tutti conosciamo.

31 marzo 1996, l'esordio di Valentino Rossi nel Motomondiale - FOTO

La SBK dell&rsquo;anno 2000 inizi&ograve; con un vero e proprio &ldquo;Millennium bug&rdquo;, legato al primo round iridato, disputato a Kyalami, Sud Africa. Perch&eacute; l&rsquo;albo d&rsquo;oro dice una cosa e le cronache la raccontano diversamente. Viene citata la doppietta Honda di Colin Edwards, anche se nella seconda manche fu Noriyuki Haga con la Yamaha a trionfare. La squalifica retroattiva patita da Nitro Nori - colto positivo ad un controllo antidoping - determin&ograve; gli ordini di arrivo reali, facendoli divenire virtuali, seppur valevoli di classifica ufficiale.  Il livello della competizione era altissimo: il mondiale delle derivate di serie metteva in pista il meglio della tecnologia con lo schema a quattro tempi pensato per le due ruote: la &ldquo;guerra&rdquo; intrapresa con il Motomondiale a due tempi aveva la meglio nel paddock Flammini e HRC, consapevole di come stesse girando il fumo e degli scenari MotoGP futuri, mise in campo la nuovissima VTR, guarda caso, bicilindrica. La medesima filosofia Ducati, rivale che i giapponesi volevano battere a tutti i costi. Proprio a tutti i costi: il budget del team Castrol non invidiava nulla alle sponsorizzazioni Repsol in 500.   Ad arricchire il tutto, l&rsquo;evoluta R7, che Haga pretese assolutamente con la gommatura Dunlop, marchio che equipaggiava anche le Aprilia RSV 1000 di Corser e Antonello. Lo schieramento nippo era folto, con Kawasaki, Suzuki - Frankie Chili la bandiera - mentre Ducati contava ancora sul numero 1 Fogarty, non sapendo che lo scenario stava per cambiare. La Bimota partecip&ograve; a pochi round, mettendosi per&ograve; in gran luce grazie a Gobert.  Debutto col botto per Texas Tornado   Con un garage HRC zeppo di uomini dagli occhi a mandorla, Edwards sapeva che, se avesse voluto lasciare il Sudafrica serenamente, almeno un primo posto sue due tentativi avrebbe dovuto coglierlo.  Una staccata secca, micidiale, con la ruota posteriore alzata da terra di almeno due spanne delle mani dell&rsquo;alto capotecnico inglese che lo seguiva: cos&igrave; Texas Tornado riusc&igrave; a regolare nell&rsquo;ultimo di 25 giri gli attacchi di Haga e Fogarty, entrambi desiderosi di gradino pi&ugrave; alto del podio.  Noriyuki e Carl dovettero accontentarsi delle posizioni due e tre, perch&eacute; l&rsquo;americano e la - rombante come un trattore, specialmente ai regimi bassi - VTR affrontarono in testa la esse che precedeva il lento tornantino e poi, in accelerazione, salutarono gli avversari.   Missione compiuta dallo statunitense, che interpretava la parte del soldato: &ldquo;Da queste parti &egrave; cos&igrave;, loro comandano io eseguo gli ordini&rdquo;, mentre il compagno di squadra Crafar, sostituto dell&rsquo;assente ed acciaccato Aaron Slight, entr&ograve; a fatica nella zona punti. Ma i giapponesi erano comunque soddisfatti.    Haga e Yamaha vincenti. Solo per la cronaca   Messa a punto la sua filante ed aggressiva R7, Nori e due belle gommette Dunlop dedicate furono protagonisti di una fuga selvaggia nella seconda manche. Haga derapava praticamente ovunque: in ingresso ed in uscita dalle curve, a bassa e alta velocit&agrave;. Lui e la sua Yamaha erano un tutt&rsquo;uno ed il team con base a Gerno di Lesmo corse sotto al podio per festeggiare la prima vittoria stagionale, senza sapere a cosa il loro pilota sarebbe pi&ugrave; avanti andato incontro.   Trovato positivo ad un controllo antidoping, il giapponese corse molte gare &ldquo;sub judice&rdquo;, in attesa dell&rsquo;appello definitivo che cos&igrave; sanc&igrave;: niente 25 punti ottenuti (proprio) a Kyalami, e conseguente cancellazione di nome e cognome dalla classifica, con tanto di titolo mondiale per lui sfumato e poi finito nelle mani di Edwards.  Per Haga si tratt&ograve; di una vera disdetta, perch&eacute; i vari Corser - in pole con l&rsquo;Aprilia in Sudafrica, la prima per Noale in SBK - Chili. Fogarty - che non concluse la manche - e lo stesso Edwards, sapevano benissimo che il vincitore morale e reale della corsa era il nipponico numero 41.  Duelli Sprint: Assen 1998, Fogarty vs Chili 

Colin trionf&ograve; in Gara 1 ma la seconda manche fu realmente vinta da Haga. La squalifica per uso di sostanze dopanti tolse il giapponese dalla classifica e cambi&ograve; le sorti del mondiale

Vent&#39;anni fa: la doppietta virtuale di Edwards a Kyalami

L&#39;attesa era finita: nella mattinata sudafricana di Welkom del 19 marzo, la Classe 500 stava per effettuare il warm up di categoria, in preparazione del primo Gran Premio dell&#39;anno 2000.  La scorbutica, puzzolente e indomabile mezzo litro a due tempi proponeva una griglia di tutto rispetto: Alex Criville era l&rsquo;erede di Michael Doohan in Honda, grazie al titolo conquistato mesi addietro. Max Biaggi comandava l&rsquo;assalto Yamaha, Kenny Roberts il tiratore scelto Suzuki. Inoltre, pronti alla battaglia i vari Barros, Gibernau, Checa, Capirossi, Abe, Okada, Harada, Mc Williams, Laconi... e poi c&rsquo;era lui. Valentino Rossi, rookie italiano con in tasca due allori: 125 e 250.  Questi grandissimi nomi dovettero, per&ograve;, piegarsi al cospetto del piccolo, magro ed orecchiuto australiano Garry McCoy, pilota di Sidney, trasferitosi a Roma in cerca di fortune agonistiche.  Nessuno poteva immaginare come sarebbe andata la gara e nemmeno il vincitore stesso, per sua diretta ammissione.    McCoy, vince e diventa &ldquo;Derapator&rdquo;   L&rsquo;inizio della corsa fu molto acceso, nei primi giri su 28, contammo tanti sorpassi al vertice, con Biaggi, Roberts, Capirossi e Checa in duelli all&rsquo;ultimo sorpasso. Da met&agrave; contesa, le gomme iniziarono a calare e vennero fuori i derapatori. Pi&ugrave; o meno: perch&eacute; il &ldquo;novello&rdquo; Rossi si sdrai&ograve; malamente, Kenny perse posizioni, Biaggi fu costretto al ritiro, il campione in carica Criville non aveva il passo per stare davanti. Nel frattempo, una Yamaha color blu con la tabella numero 24 cominci&ograve; a risalire la china.  La guidava McCoy, al primo anno completo su una quattro cilindri di Iwata, nella fattispecie messagli a disposizione dal magnate Peter Clifford, vero scopritore di talenti.   E di stoffa, Garry ne aveva. Realmente dritto nemmeno in rettilineo, lo stuzzicadente Aussie intraversava in uscita - ma non datelo per scontato - ed anche in ingresso curva, in pieno stile rallistico. In pratica: se la piega da affrontare era a sinistra, sino all&rsquo;ultimo metro disponibile offerto dalla sua staccata, la moto rimaneva inclinata a destra. Poi, con un colpo secco, il pilota la indirizzava in traiettoria.  Resosi conto che la le loro glorie stavano durando poco, i fuggitivi Capirossi e Checa furono infilati da McCoy esattamente in quest&rsquo;ordine: frenata al limite della YZR che super&ograve; la NSR numero 65 e secondo micidiale sorpasso ai danni della Yamaha numero 4.  Tutti erano a gomma Michelin anteriore finita, forse anche la posteriore. La cosa non preoccup&ograve; &ldquo;Derapator&rdquo; che si aggiudic&ograve; corsa ed il nickname appena letto: &ldquo;Sono molto felice - le parole di McCoy a contesa conclusa - perch&eacute; mica me l&rsquo;aspettavo di vincere, sapete?! Oggi &egrave; un giorno fantastico per me. Volete sapere come faccio a derapare cos&igrave;? Semplice: l&rsquo;ho imparato guidando lo scooter nel centro di Roma. Nella capitale ci sono tanti sampietrini ed &egrave; facile perdere aderenza. Ebbene, ho imparato a gestire lo scivolamento in accelerazione e frenata&rdquo;. Altro che ranch o posti del genere.  Chi pensava che il suo fosse un mero exploit, si ridimension&ograve;: l&rsquo;australiano vinse nel 2000 anche all&rsquo;Estoril e a Valencia, calcando i podi di Malesia, Brno e Brasile. Sempre di traverso.  Lorenzo lancia la sfida: al pi&ugrave; in forma il casco replica JL 2020 

A Welkom, l&#39;australiano del team Yamaha WCM conquist&ograve; a suon di derapate il primo di tre Gran Premi della mezzo litro, regolando nel finale Checa, con Capirossi terzo

Venti anni fa: la prima vittoria di Garry McCoy in 500

Trent&rsquo;anni (e pochi giorni) fa, sulla pista di Jerez si disputava il primo round stagionale del mondiale Superbike. Era il 18 marzo del 1990, e il campionato iridato delle derivate dalla serie era soltanto alla sua terza stagione. Per Giancarlo Falappa era il primo anno in sella alla Ducati, gestita dal campione del mondo della 500 Marco Lucchinelli che era passato nel ruolo di team manager. In squadra con lui c&rsquo;era un certo Raymond Roche.  Falappa aveva gi&agrave; corso anche l&rsquo;anno prima nel mondiale Superbike, ma in sella ad una Bimota, marchio con il quale aveva vinto il campionato italiano Sport Production nel 1988. Il marchigiano veniva da una stagione positiva: nel 1989 aveva vinto all&rsquo;esordio a Donington e aveva concluso l&#39;anno con un sesto posto in classifica iridata, ma anche con un terzo posto nel campionato italiano Superbike, che a quei tempi si disputava in prova unica sul circuito di Vallelunga.  Le gare di Jerez   In quel primo round a Jerez Giancarlo Falappa si qualific&ograve; quarto, con il tempo di 1&rsquo;52&rsquo;&rsquo;28, a 8 decimi da Raymond Roche, detentore della pole, e poco dietro a Fred Merkel e Terry Rymer. Tra gli altri italiani, un certo Davide Tardozzi si qualific&ograve; nono, ovviamente gi&agrave; allora su una Ducati, e Baldassarre Monti quindicesimo sulla Honda, mentre Fabrizio Pirovano si piazz&ograve; diciassettesimo, davanti ad un certo Carl Fogarty, allora venticinquenne, su Honda. Al via c&rsquo;erano anche l&rsquo;indimenticato Marco Papa, Stefano Caracchi, Mauro Ricci, Aldeo Prescutti.  In gara1 Falappa concluse al quinto posto, ma in gara2 il leone di Jesi tir&ograve; fuori gli artigli, e and&ograve; persino al comando per molti giri, dopo una brutta partenza del campione del mondo in carica, Raymond Roche. Ma Falappa non aveva ancora preso tanta confidenza con la Ducati, mentre il suo compagno di squadra ne conosceva ogni segreto. Saggiamente, puntando dichiaratamente al titolo, Falappa non ostacol&ograve; Roche quando arriv&ograve; a sorpassarlo, e prefer&igrave; non fare errori e accumulare i punti del secondo posto, meritandosi i complimenti di Lucchinelli.   &ldquo;Roche era troppo veloce perch&eacute; potessi tentare di batterlo&rdquo;, disse sportivamente Falappa alla fine della gara.&nbsp;  Per la cronaca, Pirovano si classific&ograve; sesto in gara1 e ottavo in gara2, dopo una stoica rimonta dalla sesta fila, Tardozzi concluse di poco fuori dalla top ten in gara1 e si ritir&ograve; in gara2, Carl Fogarty si piazzo in zona punti solo in gara1.  Il casco Apache   Una curiosit&agrave;: nella gara di Jerez Giancarlo Falappa us&ograve; per la prima volta un casco disegnato in stile Apache, con grandi penne e colori sgarcianti, firmato da Aldo Drudi: per la prima volta Falappa aveva abbandonato il leone rampante, simbolo della sua Jesi, per quanto gli fosse molto affezionato.  L&rsquo;incidente   Il 1990 non sarebbe stato un anno facile per Falappa, che inizi&ograve; bene e arriv&ograve; al terzo posto in classifica quando, durante le prove ufficiali in Austria - l&#39;ottavo round della stagione - cadde, impattando contro il guardrail. Il leone di Jesi si procur&ograve; 27 fratture e perse oltre due litri di sangue dopo essersi rotto l&rsquo;arteria femorale. Dopo 12 giorni di coma riusc&igrave; a riprendersi, per tornare in pista nel 1991.  Trent&#39;anni fa: Roche e Ducati, doppietta antipasto di titolo SBK 

Il Leone di Jesi era alla gara del debutto sulla Ducati gestita da Marco Lucchinelli: dopo un quinto posto in gara1, si aggiudic&ograve; un secondo posto davanti a Fred Merkel e alle spalle di Raymond Roche, vincitore delle due manche

29 risultati per 'amarcord'

Prove Amarcord: il passo avanti della Triumph Daytona 675 2009

Prove Amarcord: la MV Agusta F4 312 R Unionbike Gimotorsports

Prove Amarcord: il ruggito della Gilera 250 di Marco Simoncelli

Prove Amarcord: la Yamaha R6 Supersport del team Lorenzini

Le 24 moto più iconiche di Motomondiale e SBK - FOTO

SBK: 25 anni fa la doppietta di Fogarty in Germania

SBK 2000: a Phillip Island la caduta decisiva di Fogarty

Trent'anni fa: Rainey e Kocinski servono a Roberts l'antipasto mondiale

6 aprile 2003: l’incidente di Kato

Dieci anni fa: la vittoria di Michel Fabrizio a Kyalami

Imola 2002, Edwards: “Una delle gare che ricorderò per sempre”

Dieci anni fa: Biaggi firma la doppietta in Portogallo

Dieci anni fa: Pirro conquista il suo primo podio in Supersport

Vent'anni fa: la vittoria di Abe e la tripletta giapponese a Suzuka

Duelli Sprint: il debutto vincente di Biaggi in 500

Vent'anni fa: Chili sul podio a Kyalami

31 marzo 1996, l'esordio di Valentino Rossi nel Motomondiale - FOTO

Vent'anni fa: la doppietta virtuale di Edwards a Kyalami

Venti anni fa: la prima vittoria di Garry McCoy in 500

Trent’anni fa: il podio di Falappa a Jerez