Il cinque volte iridato è stato protagonista di una parata col figlio, terzo pilota Alpine, nel sabato del GP Australia

F1 contro MotoGP: Mick Doohan sfida Jack a Melbourne

        La verit&agrave;, Mick Doohan si era abituato a non dirla. In particolare agli ingegneri, quando la sua Honda funzionava come uno Stradivari. A orientarlo in questa direzione era il rischio che il reparto corse giapponese abbassasse la guardia sul fronte dello sviluppo. Il ritornello con i tecnici era sempre: fare di pi&ugrave;, essere ancora pi&ugrave; virtuosi. Tanto che nel 1999, il suo ultimo anno in sella, l&rsquo;australiano aveva convinto l&rsquo;HRC a fornirgli una moto particolare. Oltre alle due NSR 500 ufficiali, come da prassi, nel suo box c&rsquo;era una terza versione nata come esperimento per sistemare il punto debole delle mezzo litro che pure gli avevano portato 54 vittorie nella classe regina, tradotte in cinque Mondiali consecutivi. Passa alla prossima pagina Johnny Cecotto, bello e dannato | Storie Sprint &nbsp; Storie Sprint: Mick Doohan  Da sempre, la due tempi nipponica a centro curva non girava, e per Doohan era un problema: cos&igrave; il marchio del Sol Levante aveva elaborato un telaio molto simile a quello della Yamaha, il riferimento in quel dettaglio. Che la moto &ldquo;laboratorio&rdquo; fosse stata realizzata soltanto per assecondare le richieste dell&rsquo;australiano divenne chiaro dal terzo GP della stagione, quando il campione in carica incapp&ograve; a Jerez nella caduta che lo spinse al ritiro: da quel momento, la terza moto non si vide pi&ugrave;. Neppure l&rsquo;australiano sa che fine abbia fatto. Doohan definisce questo episodio come lo specchio dell&rsquo;attenzione che dedicava all&rsquo;arte di motivare gli uomini HRC, con cui il rapporto era iniziato una decina d&rsquo;anni prima, nel 1989, quando aveva 23 anni. Per lui, l&rsquo;esordio era stato con un pacchetto tecnico lontano dai migliori: nella prima stagione aveva chiuso a meno di 30 secondi dalla vetta soltanto tre volte. Nell&rsquo;anno successivo firm&ograve; la prima pole alla terza gara e vinse alla penultima, in Ungheria. Poi la conferma, con il titolo del 1991 perso per nove punti e l&rsquo;annata successiva iniziata alla grande: cinque successi e due podi nei primi sette appuntamenti, prima dell&rsquo;infortunio che rischi&ograve; di diventare la tomba della sua carriera. Una gamba quasi amputata, quattro GP saltati e il titolo sfumato per quattro punti. I rivali erano Wayne Rainey e Kevin Schwantz, nemmeno loro capaci di sfuggire a barelle e infermerie in un periodo in cui il ritiro non era una scelta propria, ma la conseguenza dei problemi fisici. Dal suo infortunio peggiore Doohan riemerse come un tornado e dal 1994 spazz&ograve; via una concorrenza rimasta orfana prima di Rainey e poi di Schwantz. Tre anni pi&ugrave; tardi firm&ograve; il dominio pi&ugrave; schiacciante: vinse 12 gare su 15, con l&rsquo;unico zero nell&rsquo;ultimo round, a ennesima prova della sua determinazione e testardaggine. A una decina di giri dalla bandiera a scacchi del GP Australia, l&rsquo;ufficiale Honda guidava la corsa con un margine immenso, eppure continu&ograve; a spingere come un dannato siglando il giro veloce. Ma poi perse l&rsquo;anteriore della sua NSR, provando comunque a tenerla su. Per lui quello di Phillip Island era un circuito stregato: ci ha vinto una sola volta, l&rsquo;anno dopo, a poche gare da un ritiro non programmato, a causa del volo a 180 all&rsquo;ora a Jerez. Numerose fratture, tanto bast&ograve; per alzare bandiera bianca dopo aver dominato un&rsquo;era. Un koala come mascotte, lo stile di guida avvitato in sella, sui fianchi delle Honda le livree Rothmans prima e Repsol poi. Fumo e lubrificante, tabacco e carburante, per un pilota con il fuoco dentro. Ma quando le cose andavano lisce come l&rsquo;olio, non lo ammetteva mai. Soprattutto agli ingegneri. Il GP della tua pole numero uno, Jerez 1990: caduto in prova, ti si incastr&ograve; una gamba nella parte posteriore della moto, tanto che i commissari impiegarono parecchio per liberarti. In gara scattasti male, recuperasti firmando il giro veloce, finendo per&ograve; fuori dal podio, quarto.  &ldquo;Stavo ancora cercando di capire le 500: prototipi molto leggeri, attorno ai 115 chili di peso, con telai rigidi, completamente diversi da quelli che avevo utilizzato fino a quel punto. Avevo esordito nel Motomondiale l&rsquo;anno precedente, mentre nel 1988 avevo corso con una Superbike e nella stagione prima con una Yamaha 250 derivata di serie che avr&agrave; avuto meno del 30% della potenza delle mezzo litro. Il salto fu decisamente grande: mi dovevo adattare, e se fare un giro veloce era una cosa, avere la fiducia necessaria per andare al massimo in tutta la gara era differente&rdquo;.  Nel 1989 avevi esordito come pilota Honda: il tuo materiale era come quello dei piloti di punta, Eddie Lawson e Wayne Gardner?  &ldquo;Non direi. Se non sbaglio il mio telaio era sette versioni pi&ugrave; indietro del loro- Poi c&rsquo;era la questione pneumatici: certi ufficiali ricevevano le gomme migliori, noi prendevamo il resto. La differenza sul giro, in qualifica, poteva essere di un secondo. C&rsquo;era praticamente una gara nella gara, decisa da questi aspetti&rdquo;.  Era una situazione difficile da accettare?  &ldquo;Diciamo che ci ho dovuto fare i conti. Poi arriv&ograve; la Suzuki, che mi fece un&rsquo;offerta per il 1991: mi voleva accanto a Schwantz. Restai in Honda perch&eacute; ebbi la garanzia di ottenere lo stesso materiale degli altri ufficiali. Nel team non ci sarebbe stato pi&ugrave; un numero uno, le novit&agrave; tecniche sarebbero state distribuite in modo equo&rdquo;.  A proposito di Schwantz: delle cinque volate per il primo posto che vi hanno coinvolti, ne hai vinta una e perse quattro.  &ldquo;Kevin era un pilota sensazionale, faceva cose straordinarie. Uno dei pi&ugrave; talentuosi contro cui abbia corso. La sua filosofia era rischiare tutto, vincere o cadere, mentre io ero anche disposto ad accettare un secondo posto, o il miglior risultato possibile, perch&eacute; pensavo che una stagione andasse affrontata cos&igrave;. Kevin era veloce, probabilmente il pi&ugrave; coraggioso di tutti noi. Quando gli andava bene trionfava e festeggiava. Quando andava male, finiva con un ruzzolone. Ed &egrave; accaduto spesso&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Mick Doohan: intervista esclusiva  Il primo successo arriv&ograve; in Ungheria, su un tracciato pieno di buche e in condizioni critiche, tanto da sollevare le proteste dei piloti perch&eacute; non sicuro: ci voleva del pelo?  &ldquo;In quel caso, penso che quello che descrivi come coraggio fosse il frutto di una fiducia costruita in anni di corse. A ci&ograve; faceva da contraltare la paura, quell&rsquo;ingrediente che a volte ti fa esitare abbastanza da farti evitare un viaggio in ambulanza. L&rsquo;importante era conoscere il limite. Altrimenti sarebbe stato pericoloso: per s&eacute; e per gli altri&rdquo;.  Parlando di incidenti, nel 1993 a Donington generasti la carambola coinvolgendo la coppia Suzuki: tamponasti Alex Barros, finendo poi addosso a Schwantz.  &ldquo;Avevo visto un varco in frenata, ma poi Alex chiuse lo spazio e ci fu il patatrac. Lo tamponai e, cadendo, andai addosso a Schwantz. Un casino: le moto che strisciavano a terra, sembrava di essere al bowling. Per fortuna c&rsquo;era una via di fuga abbastanza ampia davanti a noi. La responsabilit&agrave; fu mia: stavo tentando di approfittare di una situazione e improvvisamente il varco in cui volevo infilarmi non c&rsquo;era pi&ugrave;&rdquo;.  Un salto in avanti fino al 1998: a due minuti dalla fine delle qualifiche di Assen la sessione venne interrotta dalle bandiere rosse. Eri secondo, in prima fila, ma decidesti comunque di rientrare e spingere, chiudendo per un soffio il giro di lancio e poi stampando la pole. Nonostante quattro Mondiali gi&agrave; vinti non lasciavi agli altri nemmeno le Briciole.  &ldquo;Pi&ugrave; vinci, pi&ugrave; vuoi vincere, e pi&ugrave; senti che dovresti vincere. &Egrave; un appetito che viene mangiando. Ero abituato a essere in pole e quando non succedeva ero deluso. In quella specifica occasione, correvamo su una pista in cui i piloti equipaggiati con le Dunlop avevano un vantaggio, mentre io ero con le Michelin, pi&ugrave; costanti da un circuito all&rsquo;altro ma a volte non al livello della concorrenza. Volevo demoralizzare gli avversari, ecco il motivo. Era un gioco mentale&rdquo;.  Cinque titoli vinti e due sfiorati: eri in sella alla moto migliore?  &ldquo;Da pilota non ti senti mai al 100%, pensi che esista sempre del margine per migliorare. In alcune occasioni la mia Honda si comportava in maniera fantastica, ma quando succedeva non lo dicevo agli ingegneri. C&rsquo;era il rischio che si rilassassero. Ecco perch&eacute; nel 1999 nel mio box c&rsquo;era una moto con un telaio copia di quello Yamaha. Ero stato io a spingere per averlo. Appena mi sono ritirato, &egrave; sparito&rdquo;.  Qual era il tallone d&rsquo;Achille delle NSR? &ldquo;Avevano una gran velocit&agrave; di punta, ma non voltavano: era nel loro DNA. Yamaha e Suzuki in inserimento erano pi&ugrave; facili, e a centro curva per noi non c&rsquo;era modo di cambiare la traiettoria impostata, mentre loro riuscivano a chiudere meglio. Noi, per farlo, dovevamo rallentare troppo. Il telaio &egrave; stato il punto debole delle NSR nell&rsquo;arco di tutta la mia carriera, l&rsquo;aspetto a cui ho dedicato pi&ugrave; impegno. Per fortuna, di margine per lavorare ce n&rsquo;era parecchio: non c&rsquo;erano le limitazioni ai test e allo sviluppo come succede oggi in MotoGP. Arrivava sempre qualcosa di nuovo&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Mick Doohan il motivatore  Di preciso, su quel fronte qual era il tuo ruolo?  &ldquo;Da pilota, ero la componente organica che l&rsquo;ingegnere non poteva costruire o analizzare. Il tassello che poteva fare la differenza, perch&eacute; riportavo il mio feedback, le sensazioni. In questo senso, le abilit&agrave; risiedono anche nel modo di comunicare: come parli, quali gesti usi e via dicendo. In sostanza, devi farti capire. E non &egrave; cos&igrave; scontato, perch&eacute; hai davanti persone che parlano diverse lingue, dall&rsquo;italiano al francese, e vengono da culture a volte distanti, come quella australiana oppure europea, con approcci e modi di lavorare diversi che devono trovare una sintesi e funzionare&rdquo;.  Chi teneva le redini di tutta la faccenda?  &ldquo;Ero io il leader del box. Come penso fosse Michael Schumacher in Ferrari. Quando resti al top a lungo, com&rsquo;&egrave; successo a me, impari ad affrontare tutti gli aspetti: non sei un atleta che la domenica viene estratto da una scatola e messo su una moto per performare e basta, ti confronti con un ricco contorno. Relazioni con amministratori delegati, rappresentanti di aziende, sponsor, politici. Ci devi navigare, in mezzo a tutta quella roba, e il modo in cui lo fai pu&ograve; essere decisivo. E poi c&rsquo;&egrave; un team che lavora per te. Devi saperlo motivare e tenere unito&rdquo;.  Come si fa?  &ldquo;Con un comportamento da professionista: disciplina, puntualit&agrave;, etica lavorativa, determinazione. Il fatto &egrave; che io odiavo perdere. Lo detestavo proprio. Se vincevo lavoravo duro, e se non ce la facevo, lavoravo ancora di pi&ugrave;. Dopo un successo non ho mai pensato di rilassarmi, n&eacute; fisicamente, n&eacute; mentalmente. Dicevo al team: &egrave; stata una grande gara, ma ecco quali aspetti possiamo migliorare&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Mick Doohan e l'ossessione per la vittoria  &nbsp;Eri ossessionato?  &ldquo;Se ero impegnato nel mio mestiere, s&igrave;. Ma riuscivo a dividere il lavoro dalla vita privata. Penso ai pugili: quando sono sul ring, si trasformano&rdquo;. Esiste un segreto, per vincere?  &ldquo;A volte la differenza tra finire primo o secondo &egrave; piccolissima e dipende da quanto lavori sodo. Se mi chiedi chi era il pi&ugrave; forte fra me, Kevin, Wayne o altri, non penso fossimo cos&igrave; diversi nelle capacit&agrave; di guida. A essere decisivo era l&rsquo;aspetto mentale, relativamente sia a una gara che a un&rsquo;intera stagione. Correre &egrave; tutta questione di testa. Perch&eacute; devi gestire una marea di cose: la pressione, la posizione in cui ti trovi, la concentrazione e poi le distrazioni. Vince chi gioca meglio le sue carte. Magari sei in testa con cinque secondi di vantaggio e cadi. Se succede, &egrave; perch&eacute; hai avuto un calo di concentrazione&rdquo;.  Hai citato tante virt&ugrave;: ce le avevi dentro o le hai dovute acquisire?  &ldquo;Ci ho lavorato, non &egrave; successo in uno schiocco di dita. &Egrave; molto raro imparare qualcosa senza commettere errori. Da pilota, cerchi di ridurli al minimo e prepararti al massimo per prevenirli, ma sai che prima o poi qualcosa succeder&agrave;. Purtroppo, a differenza di altri sport, nelle moto il conto pu&ograve; essere salato. Perch&eacute; ci si fa male&rdquo;. Sito Pons: "Ho fatto scoprire la 250 alla Spagna" | Storie Sprint       

L'australiano: "Motivare il proprio gruppo di lavoro &egrave; un&rsquo;arte: quando dominavo, chiedevo alla Honda sempre qualcosa in pi&ugrave;. Come Schumi in Ferrari"

Mick Doohan: "Ero esigente con tutti. Odiavo perdere" | Storie Sprint

        A distanza di diverse ore, fa ancora discutere quanto accaduto in Qatar nella gara della Moto3, che ha assegnato il titolo iridato allo spagnolo Jaume Masia. Guardando i numeri, il valenciano ha sicuramente meritato la corona della classe leggera, forte di 4 vittorie a cui si aggiungono 6 piazzamenti a podio, contro le 10 Top 3 e zero successi accumulati da Ayumu Sasaki, ma a far parlare sono le modalit&agrave; in cui &egrave; maturato il trionfo del numero 5. Sasaki contro Masia: "Una vergogna"  Durante il GP, Masia si &egrave; reso protagonista di manovre dure nei confronti di Sasaki, episodi poi ripetuti quando &egrave; stato Adrian Fernandez, compagno di squadra di Jaume in Leopard, a incrociare le sue traiettorie con quelle del giapponese. &ldquo;Volevo lottare nel modo giusto con Masia, avrei accettato la sconfitta in caso di sfida equa e mi sarei anche congratulato con lui &ndash; ha spiegato Sasaki a microfoni di DAZN Spagna &ndash; ma non credo di aver perso nel modo giusto, quindi&nbsp;non posso congratularmi con lui perch&eacute; &egrave; una vergogna&rdquo;.             Visualizza questo post su Instagram  Un post condiviso da MotoGP&trade; (@motogp)      GP Valencia, MotoGP: orari tv, dove vederlo Mick Doohan in difesa di Sasaki  Il pilota Intact GP ha ricevuto diversi messaggi di sostegno, tra cui quello di Mick Doohan. "Sono sotto shock", ha scritto il cinque volte campione del Mondo della classe 500. "Nessuna sanzione contro la condotta di guida del pilota vincitore e del suo team.&nbsp;Le gare devono essere dure, ma giuste. Il vincitore non ha vinto per il suo talento, sapeva di non averne tanto quanto te &ndash; ha insistito l&rsquo;australiano &ndash; sei stato sensazionale Sasaki, hai dato tutto". Quello di Doohan non &egrave; stato l&rsquo;unico messaggio a supporto del nipponico, che sotto al suo ultimo post Instagram ha ricevuto incoraggiamenti anche da David Alonso, Ana Carrasco, Iker Lecuona, Jake Dixon e Deniz Oncu.             Visualizza questo post su Instagram  Un post condiviso da Ayumu Sasaki (@ayumusasaki_71)      Classifica piloti MotoGP       

Il cinque volte campione del Mondo della classe 500 si &egrave; schierato a favore del giapponese: "L'altro pilota non ha vinto per il talento"

Moto3: Mick Doohan "sotto shock" per la vicenda Masia-Sasaki

        Trent&rsquo;anni fa, fa, il 18 luglio 1993, il pubblico del Mugello fu spettatore della rinascita di Mick Doohan, al primo successo dopo il gravissimo incidente di tredici mesi prima, ad Assen, dove l&rsquo;australiano rischi&ograve; l&rsquo;amputazione della gamba destra. I fratelli Birchall, un record di famiglia | Quella (S)Volta Che Mick Doohan salvato dal Dottor Costa  A salvargli l&rsquo;arto fu la prontezza del Dottor Costa che lo port&ograve; in Italia. Non ancora guarito, Mick risal&igrave; sulla Honda NSR 500 per disputare gli ultimi due GP del 1992, nel tentativo di contenere la rimonta di Wayne Rainey che gli aveva recuperato 43 dei 65 punti di vantaggio. Fu inutile perch&eacute; lo statunitense oper&ograve; il sorpasso. Malgrado la sosta invernale, nel 1993 Doohan continu&ograve; a lamentare problemi di scarsa mobilit&agrave; al piede destro. Tre anni prima la Honda aveva iniziato a servirsi della Brembo, come ci racconta Eugenio Gandolfi, una vita spesa con il costruttore bergamasco di impianti frenanti, rivestendo per decenni il ruolo di ingegnere di pista: &ldquo;Doohan aveva avuto problemi di freni, non si trovava bene con quelli disegnati e progettati dalla Honda e prodotti dalla Nissin. Mi agganci&ograve; perch&eacute; nel campionato australiano Superbike aveva usato Brembo senza problemi. Spinse la Honda a passare alla Brembo, anche se i giapponesi si chiedevano perch&eacute; affidarsi a un produttore italiano di pinze freno&rdquo;. Celebrato il matrimonio, nel 1990 Doohan vinse il suo primo GP e aggiunse quattro podi. L&rsquo;anno dopo conquist&ograve; tre successi, con 14 podi in 15 GP, ma Rainey lo beff&ograve; per nove punti. Nel 1992, complice il motore &ldquo;big bang&rdquo;, nei primi sette GP Mick ottenne cinque vittorie e due secondi posti anche grazie a uno stile che Gandolfi ben racconta: &ldquo;Prima dell&rsquo;incidente Mick usava tanto il freno posteriore, soprattutto per controllare la velocit&agrave; di percorrenza della curva. Con l&rsquo;incidente non ci furono pi&ugrave; gli estremi per compiere quel lavoro con la gamba. Con i suoi ingegneri ci convincemmo che serviva qual cosa che gli permettesse di usare il freno posteriore&rdquo;. Mick Doohan e il freno posteriore  All&rsquo;inizio del 1993 la Honda introdusse una pompa freno assiale in luogo della pompa pedale, sul lato sinistro del semimanubrio vicino alla leva frizione: &ldquo;Quella pompa si azionava con dito indice e medio ma non era di facile attuazione e risultava poco efficace: sul semimanubrio sinistro c&rsquo;erano diversi controlli, oltre alla leva frizione che ai tempi era usata spesso, quindi il pilota faticava a manovrarla. Con la Honda a Jerez si decise di metterla sotto, per usufruire dello spazio tra le piastre forcelle inferiori e il semimanubrio, e di farla controllare dal pollice che &egrave; il dito che esercita una grande forza&rdquo;. I giapponesi l&rsquo;avrebbero voluta &lsquo;per ieri&rsquo;, ma la Brembo spieg&ograve; loro che non sarebbe stato possibile progettarla, testarla e produrla in pochi giorni, anche se fornirono una serie di indicazioni. I tecnici Honda lavorarono un pezzo di alluminio e, dopo averci messo dentro tutti i componenti di una pompa a pedale, realizzarono il primo prototipo. Nacque cos&igrave; la pompa pollice, che la Brembo perfezion&ograve;, anche se non fu facile per il pilota servirsene: &ldquo;Pi&ugrave; che lo stile di guida, Mick dovette cambiare la propensione mentale. Fatto lo &lsquo;switch&rsquo; si accorse dei vantaggi perch&eacute; poteva usare il freno posteriore dappertutto, non soltanto nelle curve a sinistra, per controllare la velocit&agrave; di percorrenza e sfruttare meglio l&rsquo;erogazione, dato che ai tempi non c&rsquo;era controllo di trazione. Nella sua sfortuna apprese una tecnica che gli altri non riuscivano a fare, un plus tornato in auge in MotoGP&rdquo;. Doohan ha vinto cinque titoli della 500, dimostrando come si possa rinascere dal male, diventando ancora pi&ugrave; forti. Orgoglio tricolore: il TT di Bonetti | Quella (S)Volta Che       

Trent&rsquo;anni fa l'australiano introdusse il freno posteriore sul semimanubrio sinistro: un&rsquo;idea (anche) italiana

Mick Doohan e il pollice della rinascita | Quella (S)Volta Che

        In casa Honda &ndash; come nel paddock in generale &ndash; il nome di Mick Doohan &egrave; storia, ed il suo parere &egrave; quasi cassazione. La leggenda australiana era presente al Mugello, per assistere ad un Gran Premio dove alle fantastiche prestazioni di Bagnaia e Ducati sono corrisposte quelle negative della pattuglia Honda, ancora alla ricerca della giusta soluzione per tornare in alto. Una ricetta che, secondo Doohan, riguarda solo in parte dati e numeri. Il parere di Doohan  &ldquo;Honda ha fatto dei passi indietro &ndash; le sue parole - e ora sta cercando di recuperare. Certamente tutto quello che &egrave; accaduto a Marc ha contribuito alle difficolt&agrave;, ma la casa deve sapere come ritrovare la strada. Nelle corse una componente fondamentale &egrave; la passione, anche pi&ugrave; importante dei numeri: Honda ha sempre avuto il desiderio di vincere e la passione per le corse, pi&ugrave; di ogni altro costruttore, ma ora quella passione deve tornare. Con il giusto mix di passione, impegno e dedizione Honda pu&ograve; tornare a vincere&rdquo;.&nbsp;Ovviamente se si parla di Honda il primo nome conseguente &egrave; quello di Marc Marquez, al centro del mercato e del progetto di risalita della casa alata.&nbsp;&ldquo;Marc &egrave; un pilota e vuole vincere. Ha un ottimo rapporto con Honda, ma &egrave; un rapporto lavorativo, e la casa in questo momento non &egrave; al livello in cui dovrebbe essere. Magari sarebbe interessante vedere se in sella ad una KTM Marc potrebbe vincere, mentre Ducati la escluderei visto il grande numero di piloti. Lui ha ancora il potenziale per vincere il titolo, ma gli anni passano: restare con Honda &egrave; certamente una opzione, ma deve percepire l&rsquo;impegno di Honda oltre i numeri, dato che lo stesso Marc &egrave; un pilota che non guarda i numeri, ed in pista &egrave; da tutto o niente&rdquo;. GP Germania, MotoGP: dove vederlo, orari Sky e TV8, programma       

La leggenda australiana: "Passione, impegno e dedizione: la ricetta per tornare in alto. Marc con la casa ha un ottimo rapporto, ma lavorativo e basta"

MotoGP, Doohan: "Honda deve ritrovare la passione, Marquez? Ancora vincente"

          Al Goodwood Festival of Speed 2023, in progrmma dal 13 al 16 luglio, andr&agrave; in scena una grande celebrazione per la MotoGP, con protagonisti i piloti della top class insieme ai miti del passato, pronti a rimettersi in sella alle loro moto davanti al pubblico inglese. Il primo Festival of Speed era iniziato con il Duca di Richmond che sfrecciava sulla collina che caratterizza l&rsquo;evento in sella a una Ducati. In occasione del trentesimo anniversario di quell&rsquo;episodio, le due ruote torneranno cos&igrave; protagoniste con piloti e moto da Gran Premio che accorreranno in gran numero, pronti a ripercorrere quella stessa strada. Tra le squadre della classe regina attuale parteciperanno all'evento: Ducati Lenovo Team, Red Bull KTM Factory Racing, LCR Honda e GASGAS Factory Racing Tech3. Ci sar&agrave; anche il tema GASGAS Aspar Moto2&trade;, insieme al pilota di casa, Jake Dixon.  Agostini, Spencer, Doohan, Stoner e tanti altri ancora&nbsp;     Ai protagonisti della MotoGP odierna si aggiungeranno una serie di nomi storici del motomondiale, per un totale di 35 campionati del mondo vinti complessivamente. Alla kermesse inglese saranno presenti: Giacomo Agostini, Mick Doohan, Jorge Lorenzo, Casey Stoner, Kevin Schwantz, Freddie Spencer, Wayne Gardner, Kennt Roberts jr, Alex Criville e Randy Mamola. Altri nomi storici delle due ruote potrebbero dar conferma della loro presenza. Tutta la truppa della MotoGP si piazzer&agrave; nel Ballroom Paddock, a pochi passi dal Drivers' Club: una vetrina perfetta per offrire agli appassionati una prospettiva completa su ci&ograve; che succede quando si preparano le moto per entrare in azione. Un evento che si prospetta speciale e che &egrave; sempre stato richiamo per le leggende delle due ruote. Proprio a Goodwood, nel 2022, Agostini aveva festeggiato i suoi 80 anni, mentre il tre volte iridato Wayne Rainey ha guidato la Yamaha YZR500 con cui ha vinto il Mondiale 1992, tornando per la prima volta in sella dall&rsquo;incidente che aveva messo fine alla sua carriera nel 1993.       Le parole di Carmelo Ezpeleta &ldquo;Il Festival of Speed quest'anno ospiter&agrave; la sua pi&ugrave; grande celebrazione della MotoGP e ci&ograve; mi rende entusiasta&rdquo;, le parole del Duca di Richmond. &ldquo;Ringrazio Dorna Sports, i team e i piloti. La loro presenza significa molto per tutti gli addetti ai lavori di Goodwood e per tutti i fan che saranno qui a fare festa con noi".     "&Egrave; un onore per noi poter rivestire un ruolo chiave nel 30&deg; anniversario dell&rsquo;evento" ha commentato Carmelo Ezpeleta, CEO di Dorna Sports. &ldquo;Sar&agrave; qualcosa di veramente unico. Voglio ringraziare i nostri team, i piloti e le leggende che parteciperanno, per il loro entusiasmo. Ci auguriamo di riuscire a mettere in scena uno spettacolo incredibile, sia per i fan che per il Duca di Richmond. La sua incrollabile passione per il nostro sport ci onora&rdquo;. Il Ceo di Dorna ha poi continuato: "Abbiamo recentemente celebrato il millesimo Gran Premio FIM. La prossima stagione, inoltre, segner&agrave; il 75&deg; anno da quando &egrave; andato in scena il primo campionato del mondo di motociclismo, il primo nel motorsport. Alla luce di questa combinazione di storia e innovazione, il Festival of Speed 2023 sar&agrave; l'occasione perfetta per celebrare il ricco patrimonio di questo sport".      Melandri: "Toprak? In BMW servono le persone oltre ai soldi, Bassani merita un Team ufficiale"            

Al Goodwood Festival of Speed 2023 saranno presenti alcune tra le leggende della storia del motomondiale, oltre che i piloti della classe regina attuale

Le stelle della MotoGP passate e presenti brillano a Goodwood

        Michael Schumacher e Mick Doohan sono due campioni che hanno fatto la storia di due contesti molto diversi tra loro come la F1 e il Motomondiale, ma c'&egrave; una piccola curiosit&agrave; che lega a doppio filo queste due leggende del motorsport. Michael Schumacher e Mick Doohan  Eddie Jordan, ex team principal dell'omonima scuderia con cui il sette volte campione del mondo debutt&ograve; in F1 nel lontano 1991, ha raccontato un aneddoto che riguarda Michael e il nome di suo figlio Mick, attuale terzo pilota Mercedes. 'Mick' &egrave; un'abbreviazione di 'Michael' e sarebbe quindi facile presumere che il giovane pilota tedesco abbia preso il nome da suo padre, ma secondo Jordan non ci sarebbe una correlazione tra i due nomi.&nbsp; Calendario MotoGP 2023: date, orari tv, dove vederla La rivelazione su Schumacher e Doohan  "C'&egrave; una piccola storia che sono felice di condividere - ha raccontato Jordan a OLBG - Mick Schumacher non prende il nome da suo padre come molte persone potrebbero pensare. Mick Schumacher prende il nome da una persona che suo padre Michael stimava tantissimo visti i cinque titoli mondiali consecutivi vinti con la Honda". "Ovviamente parlo di Mick Doohan. Per questo motivo, e in segno di rispetto, Michael Schumacher ha chiamato suo figlio Mick" ha concluso Jordan. Una piccola curiosit&agrave;, che avvicina due personalit&agrave; che hanno fatto la storia dei motori.&nbsp;        

L'aneddoto coinvolge i due campioni e il figlio del tedesco, Mick Schumacher, attuale terzo pilota Mercedes

F1: Michael Schumacher e Mick Doohan, arriva l'incredibile rivelazione

        Di padre in figlio, anche se con due ruote in meno. Jack Doohan, figlio del mitico Mick, si sta preparando a tagliare un importante traguardo: il pilota australiano debutter&agrave; in Formula 1 nel corso del GP del Messico, quando guider&agrave; l&rsquo;Alpine nella sessione della FP1 che si svolger&agrave; venerd&igrave; 28 ottobre. GT: Valentino Rossi pronto a partecipare alla 24 Ore di Dubai Occasione per Jack  Il pilota australiano, infatti, fa parte dell&rsquo;Academy Alpine e l&rsquo;apparizione in Formula 1 fa parte del programma junior stilato dal team transalpino. Non si tratter&agrave; di un debutto assoluto per Doohan: Jack aveva anche guidato la &ldquo;vecchia&rdquo; Alpine A521 (datata 2021) in test privati in Qatar a maggio, a Monza a giugno e a Budapest il mese scorso, ed era stato protagonista di un filming day al volante dell&rsquo;A522 a Monza nello scorso settembre. MotoGP, Marc Marquez: "Niente pace con Valentino Rossi" Una carriera in crescendo  Adesso Jack potr&agrave; tornare al volante dell&rsquo;A522 e potr&agrave; misurarsi direttamente con i mostri sacri della categoria come Max Verstappen, Lewis Hamilton e Charles Leclerc. Doohan &egrave; reduce dal secondo nel campionato di Formula 3 del 2021 e si sta ben comportando nell&rsquo;attuale stagione di Formula 2:&nbsp;ha conquistato tre vittorie su prestigiosi circuiti come Silverstone, Ungheria e Spa, portando a casa altre tre apparizioni sul podio. &ldquo;Il mio obiettivo &egrave; arrivare in Formula 1, questa opportunit&agrave; rappresenta un altro passo avanti verso il raggiungimento di questo traguardo&rdquo; ha dichiarato Jack, che punta a conquistare un sedile nella formula pi&ugrave; importante del motorsport a quattro ruote.        

Il figlio del leggendario pilota australiano disputer&agrave; le FP1 al volante dell'Alpine

Michael Doohan: il figlio Jack esordirà in Formula 1 nel GP Messico

        Marc Marquez e Mick Doohan sono probabilmente i due piloti pi&ugrave; rappresentativi della Honda per quanto riguarda il Motomondiale, oltre che essere i pi&ugrave; vincenti. Sei titoli in MotoGP per lo spagnolo contro i cinque dell'australiano, entrambi diventati di conseguenza, punti di riferimento per la casa di Tokyo. In questo momento, Marquez sta attraversando il processo di riabilitazione che dovrebbe riportarlo in pista nel 2023, ponendo fine ad un calvario iniziato ormai pi&ugrave; di due anni fa. In un'intervista rilasciata ad "As", Doohan si &egrave; espresso sulla delicata situazione dell'otto volte iridato, mostrando delle similitudini con quanto vissuto sulla propria pelle: "La mia prima preoccupazione &egrave; la sicurezza, la salute, la vita dopo le corse. Le corse sono solo una piccolissima parte della vita. Ho parlato pi&ugrave; volte con Marc, ancor pi&ugrave; spesso da quando ha avuto gli infortuni qualche anno fa. L'infortunio che ho avuto io &egrave; paragonabile al suo psicologicamente, si hanno gli stessi pensieri.&nbsp;Penso che questo l'abbia aiutato in qualche modo". L'australiano &egrave; sicuro: "Marquez &egrave; tra i migliori di tutti i tempi"  La sfida pi&ugrave; ardua riguarda specialmente l'aspetto mentale; ovvero la capacit&agrave; di restare concentrati e non perdere stimoli e motivazioni: "Marc &egrave; ancora chiaramente molto veloce e mentalmente forte. Quello che si prova in queste situazioni &egrave; la frustrazione. La pi&ugrave; grande delusione, come pilota, &egrave; la frustrazione di sapere che non puoi correre come una volta. A volte vai oltre il limite perch&eacute; fisicamente non sei in grado di guidare allo stesso livello. Credo che Marc si stia prendendo tempo per sistemarsi il braccio nel modo giusto, per recuperare al cento per cento. E cos&igrave; sar&agrave; in grado di guidare la moto senza compromettere la sua sicurezza, per vincere di nuovo". Quando Marquez torner&agrave; in pista si trover&agrave; a confronto con piloti che non si sono mai fermati e che pertanto hanno continuato nel loro processo di crescita mentale e tecnico. Un fattore che potrebbe mettersi di traverso tra Marquez ed il ritorno alla vittoria, o al titolo: "Lo sport non aspetta nessuno. Allo stesso tempo Marquez ha gi&agrave; dimostrato che pu&ograve; vincere le gare con un braccio. Come ho detto, mentalmente &egrave; molto forte, ha vinto sei titoli MotoGP ed &egrave; uno dei migliori di tutti i tempi. Penso che lui possa tornare, fare qualche test, ritrovare la forma e poter competere con chi &egrave; davanti, del resto &egrave; ancora giovane. Se ha gi&agrave; vinto con un braccio, con due braccia e due gambe penso che sia in grado di vincere". Doohan: "Marc &egrave; l'unico che riesce a sfruttare la Honda, ma prende troppi rischi"  Da quando lo spagnolo &egrave; protagonista di questo spiacevole calvario, la Honda non riesce pi&ugrave; a ottenere i risultati sperati e Doohan ha sottolineato quest'aspetto: "Anche la Honda si trova in una situazione difficile. Dico questo perch&eacute; Marc &egrave; l'unico che rende la moto sempre veloce. Suo fratello sta soffrendo, cosi come Pol Espargar&oacute;. Chi sale sulla Honda soffre, Marc fa la differenza ma allo stesso tempo corre troppi rischi, per questo cade. Honda deve lavorare, proprio come Marquez. In questo senso Alberto Puig &egrave; l'uomo giusto, lo conosco bene. &Egrave; forte. Spero che possa influenzare gli ingegneri Honda a diventare di nuovo un riferimento". MotoGP: ufficiale l'accordo tra Alex Rins e Honda LCR per il 2023        

La leggenda australiana si &egrave; espressa sul recupero del 29enne spagnolo, evidenziando le sue qualit&agrave; e i risultati ottenuti negli ultimi due anni, nonostante tutto

MotoGP, Mick Doohan loda Marquez: “Ha vinto anche con un braccio solo”

        The relationship between Valentino Rossi and Honda was never idyllic. This was true back when the nine-time champion was winning aboard the Japanese bike and (inevitably) became even more valid once the Italian moved to Yamaha, winning right from season one. In 2003, tensions in the garage grew, the Honda managers and engineers tending to highlight the performance of the bike rather than that of the rider. Rossi moved to Yamaha also as a way of showing Honda that the rider was still key when it came to winning, and that the victories with Honda had essentially come down to his talent. During an interview with MotoGP.com, the Italian champion explains that he didn&rsquo;t feel respected at Honda. Rossi at odds with Honda: "They thought they&rsquo;d win with Gibernau and Biaggi"  The nine-time champion has spoken about his years with the Tokyo-based manufacturer, revealing the way he was treated was not exactly in line with the results achieved: "The Honda was the bike to beat. But they thought that if I left, they&rsquo;d win with other riders, like Gibernau and Biaggi. They didn&rsquo;t treat me like a champion and I had to thank them if I won. That&rsquo;s why I decided to leave". History shows that Rossi was right, and the relationship with Honda was never restored. And the fact that the Japanese manufacturer chose not to gift him the bikes with which he won the 2001 to 2003 titles only confirms this. Mick Doohan on Rossi&rsquo;s side: "There was no respect at Honda"  And the Italian&rsquo;s opinion is shared by Mick Doohan, the legendary Australian Honda rider and winner of five world titles and 54 races: "There was some arrogance at Honda, they were too confident. They didn&rsquo;t show respect for what Valentino Rossi did for them". This situation, which led to the Italian&rsquo;s move to Yamaha, would contribute to him becoming the very face of MotoGP and create a precedent that is still very much alive (fortunately) in the world championship, or rather the importance of the rider over that of the bike, a cardinal principle of racing and one that is underestimated in other motorsport competitions. Translated by Heather Watson MotoGP, is the title within Enea Bastianini&rsquo;s reach?       

The "doctor" spent four seasons with the Japanese manufacturer, winning three world titles and 33 races. In 2004, he moved to Yamaha for various reasons, not least a lack of respect on the part of Honda itself

MotoGP, Valentino Rossi: “Honda didn’t treat me like a champion”

Il rapporto tra Valentino Rossi e la Honda non &egrave; mai stato idilliaco. Era cosi negli anni in cui il 9 volte iridato vinceva proprio in sella alla moto giapponese, e (inevitabilmente) lo fu ancora di pi&ugrave; quando pass&ograve; in Yamaha trionfando sin dalla prima stagione. Nel 2003 infatti, le tensioni all&#39;interno del box crebbero, con i dirigenti e gli ingegneri Honda che sottolineavano maggiormente le prestazioni della moto piuttosto che quelle del pilota. Rossi pass&ograve; in Yamaha anche per dimostrare al mondo e alla Honda quanto il pilota fosse ancora indispensabile per vincere, e per far capire che le vittorie della Honda era dovute principalmente al suo talento. A tal proposito, in occasione di uno speciale realizzato da MotoGP.com, il campione di Tavullia ha spiegato in che modo in Honda si sentisse poco rispettato.  Rossi contro il pensiero Honda: &quot;Pensavano che avrebbero vinto anche con Gibernau e Biaggi&quot;   Il 9 volte iridato si &egrave; soffermato sugli anni passati tra le fila della Casa di Tokyo, evidenziando come il trattamento riservatogli non rispettasse i risultati ottenuti: &quot;La Honda era la moto da battere. Ma pensavano che se me ne fossi andato, avrebbero vinto con altri piloti, come Gibernau e Biaggi. Non mi hanno trattato da campione e dovevo ringraziarli se vincevo. Per questo ho deciso di andarmene&quot;.&nbsp;La storia ha dato poi ragione a Rossi e i rapporti con la Honda non si sono mai ricuciti, come conferma anche la scelta della casa giapponese di non omaggiarlo consegnadogli la moto con la quale vinse i mondiali nel triennio 2001-2003.  Mick Doohan dalla parte di Rossi: &quot;In Honda non hanno avuto rispetto&quot;   Dello stesso parere si &egrave; espresso Mick Doohan, la leggenda australiana icona della Honda e vincitore di 5 titoli mondiali e 54 GP ha dichiarato: &quot;C&#39;era un po&#39; di arroganza in casa Honda, erano troppo fiduciosi. Non hanno avuto rispetto per quello che Valentino Rossi ha fatto per loro&quot;.&nbsp;Queste premesse legate al passaggio in Yamaha contribuirono a rendere Rossi il volto pi&ugrave; rappresentativo della MotoGP e soprattutto crearono un precedente che ancora oggi non fuoriesce (per fortuna) dal mondo del motomondiale, ovvero l&#39;importanza del pilota superiore a quella del mezzo, un principio cardine delle corse e che in altre competizioni motoristiche viene sottostimato.  Valentino Rossi e la Ferrari: &quot;C&#39;era un piano per andare in Formula 1&quot;  &nbsp;  &nbsp;   &nbsp; 

Il &quot;Dottore&quot; ha trascorso quattro stagioni alla corte della casa dell&#39;ala dorata, vincendo tre titoli mondiali e 33 GP. Nel 2004 pass&ograve; alla Yamaha per vari motivi, tra cui il comportamento poco rispettoso della stessa Honda

MotoGP, Valentino Rossi: &ldquo;Honda non mi trattava da campione&rdquo;

        Valentino Rossi&rsquo;s farewell has highlighted the passage of motorcycling time more than any other retirement that has come before. 21 years have passed since the nine-time champion made his debut in the top class, and it&rsquo;s 20 years since the final appearance of the &lsquo;500s&rsquo;, for many the race bike par excellence. The move to MotoGP bikes in 2002 was an important milestone, which then brought the extreme development of electronics, a lot less present up until a few years ago but now essential in terms of managing the bike&rsquo;s performance and reliability. And riding style has evolved at a similar rate, having changed several times over the years. From Saarinen and Roberts&rsquo; knee all the way to Valentino Rossi  Riding style is always a hot topic among technicians and fans alike, and is something of a trademark for the rider, who harnesses it in order to perform to the best of their ability. In the last twenty years, riding style has evolved (or adapted) to technical variables that are continuously improving and developing, like the electronics of course, but also the tyres, which now allow for the kind of lean angles and braking that would have been hard to imagine just a few years ago. The evolution of world championship riding can be traced back to a few specific moments. Kenny Roberts and Jarno Saarinen were the first to get their knee down, with the dual aim of moving overall bike-rider weight closer to the centre, and &ldquo;feeling&rdquo; the lean angle so as to achieve greater speed through the turn. A need that gradually became the norm. Then, with Kevin Schwantz and particularly Mick Doohan, riding got &lsquo;dirtier&rsquo;, moving away from the standard riding position, or rather with the body in line with the bike. This concept was further developed by Valentino Rossi who, also due to his physical build, was for many the (unintentional) pioneer of riding with the body &ldquo;outside&rdquo; the bike. But the Doctor had another trick up his sleeve too, or rather his hard braking, which he accompanied for many years with the &ldquo;saving leg&rdquo;, or rather sticking a leg out to ensure greater stability when braking (according to some) or act as an aerodynamic brake (according to others). The Doctor&rsquo;s technique (derived from his flat track experience at the Ranch), seen for the first time in 2005 when he passed Sete Gibernau at the last turn, set the example for many riders who would follow, not least Stoner, Marquez, Quartararo and Bagnaia. Innovators Dani Pedrosa and Casey Stoner  Another important turning point came in 2006 when Dani Pedrosa landed in the top class, and then, albeit in a different way, with Casey Stoner. The innovation that the Spaniard brought remains the basis for riding modern MotoGP bikes. The current KTM test rider's style involves hanging right off with the torso when exiting the turn before straightening the bike very early so as to accelerate earlier, effectively transferring the horsepower to the ground and reducing electronic intervention. This way of turning, which became essential as a result of tyre development, was followed up with Stoner&rsquo;s ability to turn the bike with only his right wrist, or rather by sliding the rear wheel to get the bike to turn mid-corner. A riding style that made the Australian almost inimitable, similar to the legends of the 500 class who would exploit this sliding of the rear wheel to &lsquo;hold&rsquo; the line through and out of the corners. Marquez and Dovizioso, Bagnaia and Quartararo  In 2013 MotoGP entered a new era, with the arrival of meteorite Marquez. The Spaniard brought further innovation, with increasingly extreme lean angles (reminiscent of Stoner) and one elbow on the ground, as if this were another &lsquo;indicator&rsquo; of corner feeling, in the same way as the knee, but with the added benefit of being able to prevent the front from closing. In recent years, this has been the general direction, with all the young riders pushing this riding style to the limit, with one notable exception - Andrea Dovizioso. The Italian&rsquo;s golden years aboard the Ducati (from 2017 to 2020) rather bucked the trend in terms of riding style. The characteristics that the Borgo Panigale bike has always required, along with Dovizioso&rsquo;s clean style, resulted in the perfect combination, quite the opposite of the riding style that pushes the body&rsquo;s movements on the bike to an extreme. With the Italian, we saw more composed, but equally effective, riding, without any excessive body movement or bike &ldquo;angularity&rdquo;. A style that is imitated, in part, by Pecco Bagnaia. And so now it&rsquo;s up to the latest generation of riders &ndash; from Quartararo&rsquo;s clean style to Mir&rsquo;s more aggressive approach, from the untidy riding of Rins and Miller to Vinales&rsquo; explosiveness, and of course Marquez&rsquo;s technique. All in the knowledge that riding style will only ever continue to evolve. Translated by Heather Watson Valentino Rossi is back at Valencia for a Test with the Audi       

2021 will be remembered as the year of Valentino Rossi&rsquo;s retirement, a rider who was able to adapt despite many changes relating to the bike and how it is ridden. Riding style has changed a lot over the years, particularly with the advent of the MotoGP bikes

MotoGP, 20 years since the end of the 500 era: how has riding style changed?

        L&rsquo;addio di Valentino Rossi ha scandito il tempo del motomondiale come nessun altro ritiro aveva fatto prima d&rsquo;ora, sono passati 21 anni dal debutto in top class del 9 volte iridato, e 20 dall&rsquo;ultima apparizione delle &ldquo;500&rdquo;, per molti le moto da corsa per eccellenza. Il passagio alla MotoGP nel 2002 ha segnato un cambio di rotta importante, con la prepotente evoluzione dell&rsquo;elettronica, decisamente meno presente fino a qualche anno fa, e oggi essenziale per gestire le prestazioni e affidabilit&agrave; delle moto. Di pari passo all&rsquo;evoluzione del mezzo ha viaggiato lo stile di guida, cambiato svariate volte negli anni e snodo cruciale per raggiungere i risultati migliori. Dal ginocchio di Saarinen e Roberts fino a Valentino Rossi  Lo stile di guida &egrave; sempre al centro del dibattito di tecnici e tifosi, un marchio di fabbrica e di riconoscimento per il pilota, che attraverso di esso cerca di essere il pi&ugrave; performante possibile. Negli ultimi vent&rsquo;anni si &egrave; evoluto (o adattato) tanto a variabili tecniche in continuo miglioramento e affinamento, come appunto l&rsquo;elettronica, ma anche le gomme, che oggi permettono angoli di piega e frenate prima difficilmente ipotizzabili. L&rsquo;evoluzione della guida nel motomondiale poggia le sue radici in diversi, ma precisi momenti. Con Kenny Roberts e Jarno Saarinen per la prima volta il ginocchio inizi&ograve; a strusciare l&rsquo;asfalto, con il duplice scopo di spostare pi&ugrave; a centro curva il peso del comlpesso moto-pilota, "sentire" l&rsquo;angolo della piega e di conseguenza raggiungere velocit&agrave; maggiori in curva. Un&rsquo;esigenza che man mano divenne comune trasformandosi in routine.  Con Kevin Schwantz e soprattutto Mick Doohan la guida si &ldquo;sporc&ograve;&rdquo;, andando contro alla canonica posizione in sella, ovvero con il corpo in linea con la moto, concetto portato ancor pi&ugrave; avanti da Valentino Rossi, che un po' anche per la conformazione fisica, fu per molti addetti ai lavori, il precursore (inconsapevole) del corpo &ldquo;fuori&rdquo; dalla moto. Il &ldquo;Dottore&rdquo;, per&ograve;, si porta dietro nel suo bagaglio d&rsquo;innovazioni, anche la staccata, da sempre suo punto di forza, al quale per anni ha accompagnato la cosiddetta &ldquo;gamba di salvataggio&rdquo;, ovvero l&rsquo;esposizione dal lato della curva, della gamba, che si stacca dalla pedana per assicurare maggiore stabilit&agrave; in frenata secondo alcuni, e per agire da freno aereodinamico secondo altri. Sta di fatto che la tecnica del &ldquo;Dottore&rdquo; (mutuata dalla esperienza nel flat-track al Ranch), vista per la prima volta nel 2005 nel sorpasso all&rsquo;ultima curva ai danni di Sete Gibernau, &egrave; stata presa ad esempio da moltissimi piloti avvenire, come Stoner e Marquez, fino a Quartararo e Bagnaia. La svolta con Dani Pedrosa e Casey Stoner  Una svolta importante arriv&ograve; per&ograve; nel 2006 con l&rsquo;arrivo di Dani Pedrosa nella top class, e poi anche ma in maniera diversa, con Casey Stoner. L&rsquo;innovazione che il pilota spagnolo port&ograve; &egrave; tutt&rsquo;ora la base della guida delle moderne MotoGP. Lo stile dell&rsquo;attuale collaudatore KTM consiste nello sporgersi molto con il busto in uscita di curva, raddrizzando la moto molto presto in modo da accelerare prima scaricando al meglio i cavalli a terra e riducendo l&rsquo;intervento dell&rsquo;elettronica. A questo modo di curvare, che divenne essenziale in virt&ugrave; dell&rsquo;evoluzione degli pneumatici, segu&igrave; la capacit&agrave; di Stoner di girare la moto semplicemente con il polso destro, cio&egrave; attraverso la derapata, ovvero facendo scivolare la ruota posteriore per far girare la moto a centro curva. Uno stile di guida che rese il pilota australiano quasi inimitabile e che quasi lo avvicinava agli assi delle 500 che sfruttavano molto lo scivolamento della ruota posteriore per "chiudere" le traiettorie in percorrenza e in uscita. Marquez e Dovizioso, Bagnaia e Quartararo  Nel 2013 la MotoGP entr&ograve; in una nuova era con l&rsquo;approdo del meteorite Marquez, che apport&ograve; ulteriori innovazioni allo stile, con pieghe sempre pi&ugrave; estreme (ricordando un po' Stoner) e poggiando il gomito a terra, come se fosse un altro "indicatore" del feeling in curva, alla stessa stregua del ginocchio, con un&rsquo;ulteriore valenza per&ograve;, ovvero quella di prevenire e delle volte salvarsi da chiusure dell&rsquo;anteriore. Negli ultimi anni si &egrave; andati dunque in questa direzione, tutti i giovani piloti non hanno fatto altro che estremizzare lo stile di guida fin qui delineato, con un&rsquo;eccezione per&ograve;: Andrea Dovizioso. Le annate d&rsquo;oro del forlivese in sella alla Ducati (dal 2017 al 2020) sono state caratterizzate da una controtendenza in termini di stili di guida. Le caratteristiche che la rossa di Borgo Panigale ha sempre richiesto, di concerto con lo stile pulito di Dovizioso, hanno prodotto un binomio perfetto, in antitesi alla guida che estremizza e spettacolarizza i movimenti del corpo sulla moto. Con l&rsquo;italiano si &egrave; tornati a vedere una guida pi&ugrave; composta, ma ugualmente redditizia, senza eccessive esposizioni del corpo o &ldquo;spigolature&rdquo; della moto. Un modo di guidare che si vede in parte anche con Pecco Bagnaia. Oggi dunque tocca ai nuovi piloti di questa generazione: dalla guida pulita di Quartararo allo stile aggressivo di Mir, dalla guida scomposta di Rins e Miller all&rsquo;esplosivit&agrave; di Vinales, e ovviamente alla tecnica di Marquez. Il tutto nella consapevolezza che lo stile di guida &egrave; destinato ad evolvere sempre. "Valentino Rossi: l'uomo, il pilota, la leggenda", dal 4 dicembre in edicola&nbsp;       

Il 2021 sar&agrave; ricordato come l'anno del ritiro di Valentino Rossi, un pilota capace di adattarsi ai tanti cambiamenti legati alla moto e alla guida. Un aspetto cambiato molto negli anni, soprattutto con l'arrivo delle MotoGP

MotoGP, 20 anni fa l'addio delle 500: com'è cambiato lo stile di guida?

Nella MotoGP del Sachsenring, Marc Marquez ha ritrovato la situazione che pi&ugrave; gli piace, cio&egrave;, correre in moto lottando per la vittoria. Conducendo il Gran Premio di Germania, l&#39;otto volte iridato ha - finalmente - capito di potercela fare, infatti ha sfoderato un passo monstre proprio quando il resto del gruppo tentenneva.  Sicch&egrave;, alla fine dei 30 giri programmati, lo spagnolo del Repsol Honda Team ha potuto togliersi di dosso tutto quanto accaduto in nove mesi: infortunio, dolore, illusione, tentativo di ritorno, disillusione, dolore, operazione chirurgica, fastidio, frustrazione, dolore, nuovo e vano tentativo, ulteriore intervento in sala operatoria, infezione, dolore, noia, sacrificio, paura, critiche spietate e suggerimenti dei vari blogger.  Questa lunga lista di emozioni ed avvenimenti ha ricordato la storia di Michael Doohan, pluricampione Classe 500, conciato male a seguito di un volo rimediato ad Assen nel 1992. Pure per il fenomenale australiano l&#39;inferno ed il purgatorio anticiparono il Paradiso. Entrambi griffati HRC, MM93 e Mick ebbero tuttavia storie simili ma diverse.  Mick, stesse paure di Marc: il Mugello fu un toccasana per Doohan     Le colline toscane ospitavano il Gran Premio di San Marino, nono appuntamento stagionale del Motomondiale. Il paddock dei prototipi offriva davvero reali prototipi, tutti motorizzati due tempi, che echeggiano nella valle del Mugello. Quella domenica 18 luglio 1993 si rivel&ograve; un tappa fondamentale nel cammino di Doohan.  Michael che, appunto, aveva ripreso a camminare da poco. Quanto successo al Van Drenthe circa 12 mesi addietro, lo segn&ograve; fisicamente e psicologicamente, limitandolo nelle azioni in sella, riassaporate solo dopo aver flaggato la lista di voci gi&agrave; letta tre paragrafi qui sopra.  Al pari di Marc, Mick non seppe, in primis, se sarebbe tornato a condurre una vita normale dal punto di vista funzionale. Perch&eacute; se il numero 93 temeva di non poter pi&ugrave; usare il braccio evitando fastidi e limiti, il talento Down Under zoppic&ograve; per mesi ed anni interi ed ancor oggi claudica vistosamente.&nbsp;  Manettino magico     L&igrave; al Mugello, il team HRC Rothmans perfezion&ograve; un dettaglio tecnico gi&agrave; usato da Doohan nelle uscite precedenti. Sulla NSR numero 2 venne montata una leva, piccola. Chiamiamolo manettino. Questo particolare sostituiva il pedale che - normalmente - azionava il freno posteriore della motocicletta di Michael.  L&#39;australiano non riusciva ad usarlo e la sua postura in sella rimane tuttora una delle pi&ugrave; originali ed asimmetriche. Oltretutto, redditizia. perch&eacute; dal Mugello in avanti la storia del pilota di Brisbane stava preparando i capitoli pi&ugrave; belli. Ci era andato vicino, lui, al sucesso, non toccato prima di met&agrave; 1993.  Una grande imbarcata, innescata dalla perdita di aderenza della ruota posteriore, l&#39;ottimo controllo per recuperare l&#39;assetto e rimettersi in carreggiata: nel duello condiviso insieme a Kevin Schwantz. Doohan us&ograve; il mestiere che gi&agrave; deteneva, sfruttando anche il lavoro del citato manettino, azionato dal pollice della mano sinistra. Dopo pi&ugrave; di un anno, vincendo, il portacolori Honda si sblocc&ograve; e per la concorrenza cominciarono i dolori.  &quot;Unica&quot; differenza: prima dello stop Marc aveva gi&agrave; vinto titoli     Nonostante il sottotitolo appena letto, giuriamo che il ventottenne di Cervera abbia ancora una gran fame. Lo si &egrave; visto bene e ci vuole poco a capirlo. Altrimenti, avremmo da parte sua sentito frasi uguali a quelli pronunciate da Doohan: &quot;Dopo Assen soffrii cos&igrave; tanto che, se gi&agrave; avessi centato almeno un Mondiale, mi sarei fermato&quot;.  Per Mick non era cos&igrave;, ecco perch&eacute; la forzata attesa lo spron&ograve; a gettare il cuore oltre l&#39;ostacolo: &quot;Non volevo ritirarmi senza la posta massima portata in Australia. Giammai. Vincere al Mugello mi dette la convinzione di avere le doti per battere tutti. Dal 1994 in avanti, riuscii a trarre dalla pista quanto mi era mancato nelle stagioni precedenti&quot;.  Quindi, Doohan mise in fila cinque allori consecutivi della mezzo litro, la vera Regina del motosport a due ruote. Lui, come Marc, pass&ograve; dall&#39;inferno e soffr&igrave;. Poi, si annoi&ograve; nel purgatorio, pregando e impegnandosi per tornare. Il Paradiso si apr&igrave; definitivamente dal successo di quell&#39;estate 1993.&nbsp;  Immaginate se... 8+5=13     Immaginate se Marc, una volta sbloccatosi, potesse ripetere quanto fatto da Mick. Cio&egrave;, iniziare a vincere tantissimo, collezionando gradini pi&ugrave; alti del podio e conseguenti titoli mondiali. Caspita, sarebbe veramente una storia incredibile, perch&eacute; Marquez ha gi&agrave; in bacheca coppe relative ad otto affermazioni iridate.  Stiamo parlando di un pilota &quot;cattivo&quot;, determinato, pronto a tutto pur di figurare in cima alla lista dei cronologici di una singola FP1, figuriamoci quando si parla di gara con relativi punti da assegnare. Del resto, volerci provare sempre e comunque &egrave; la caratteristica peculiare dei campioni.  Perci&ograve;, sempre immaginando, pensate se alle otto ne aggiungesse cinque. Lo stesso numero di mondiali vinti dall&#39;australiano. La somma totale toccherebbe quota tredici, vero record per un professionista dell&#39;era moderna. Ovviamente, tutto questo rappresenta fantasia, ma... avete visto come Marc ha battuto tutti ieri al Sachsenring?  Jorge Lorenzo su Marquez: &quot;Il migliore &egrave; tornato!&quot; 

Entrambi vestiti dai colori Honda, lo spagnolo e l&#39;australiano condividono infortunio, sofferenza, lungo stop e ritorno al successo. Mick vinse cinque mondiali dopo il rientro, immaginate se il numero 93, che ne ha gi&agrave; otto, facesse come l&#39;esperto...

MotoGP, Marquez come Doohan: e se Marc vincesse altri 5 titoli?

Jack Miller &egrave; il ducatista del momento. Anzi, Jack Miller &egrave; il pilota MotoGP del momento, o meglio, di due precisi momenti. Il primo, la vittoria ottenuta nella soleggiata Jerez. Il secondo, l&#39;affermazione centrata sotto e sopra la pioggia di Le Mans. Grazie a questi due risultati, il numero 43 &egrave; ora quarto nella classifica piloti.  Peccato per il doppio nono posto di Losail, ancor di pi&ugrave; per lo zero rimediato a Portimao. Altrimenti, Jackass sarebbe piazzato ancor meglio. Invece, la Rossa vede i suoi Francesco Bagnaia e Johann Zarco rispettivamente secondo e terzo, all&#39;inseguimento della Yamaha guidata da Fabio Quartararo.  Cosa mancherebbe (condizionale d&#39;obbligo, poich&eacute; la stagione &egrave; ancora lunga) a &quot;Crazy Jack&quot; per piazzarsi in cima al gruppo? Verrebbe da rispondere &quot;vincere sempre&quot;, certo, ma non &egrave; l&#39;unico ingrediente necessario. Sembra che all&#39;australiano manchi - perlomeno ad oggi - la costanza di rendimento. Perch&eacute;?  Mick Doohan era un martello     Scatta un paragone tra connazionali. Vi ricordate Michael Doohan? Ebbene, il pilota di Brisbane, ripresosi dal brutto incidente rimediato ad Assen nel 1992, una volta sbloccatosi al Mugello circa un anno dopo, cominci&ograve; il suo cammino da rullo compressore.  Con la Honda NSR, Mick ha conquistato cinque titoli della classe 500, per un computo di 54 successi e 95 podi. Si evince come la costanza fosse la sua peculiarit&agrave;, unita ad uno stile di guida unico, &quot;strano&quot;, ma dannatamente redditizio. La bandiera australiana del Motomondiale moderno era sventolata sempre da lui.  Lui che, per&ograve;, non esaltava le folle. Oddio, magari a Phillip Island s&igrave;, chiaro. Nei restanti circuiti iridati, meno. A volte niente. Non perch&eacute; il pubblico poco lo amasse, anzi. Il rispetto nei confronti di Doohan era incondizionato e sincero. Ma ai tifosi piacevano (e piacciono) i corridori passionali ed instintivi che, a Gran Premio vinto, sappiamo regalare emozioni. Il contrario di Mick.  Casey Stoner aveva un istinto micidiale     Mannaggia quanto manca. O non manca? B&egrave;, fin quando ha gareggiato, si &egrave; fatto ben notare: Casey Stoner, canguro di Curry-Curry, correva forte, eccome se lo faceva! Lasciamo perdere i due Mondiali conquistati. Mmm, no. Non lasciamoli perdere. Parliamone.  Il numero 27 era il Gilles Villeneuve delle due ruote: istintivo, sempre e comunque al limite, in ogni condizione, su qualsiasi moto, indipendentemente da gomme ed assetto. Wow. Infatti, Stoner fu &quot;roccioso&quot; sia con Ducati che con Honda, portate al successo nel 2007 e 2011, con primati ottenuti qua e l&agrave;.  Lunatico, selvaggio, serio, sempre di parola, introverso, buono, &quot;cattivo&quot;, veloce. Velocissimo. Casey era in grado di esaltare, perch&eacute; sebbene non amasse cinema o Zelig a fine corsa, incantava per il modo in cui arrivava alla bandiera a scacchi. Ah, se solo avesse continuato...  Miller, un mix tra Doohan e Stoner?     Ed eccoci al resoconto su Miller. Se solo potesse, Jack guiderebbe &quot;avvitato&quot; proprio come faceva Mick. Ricordate l&#39;esultanza del ducatista a Losail dopo giri veloci in qualifica? Tutto storto, matto come un cavallo, la punta della squadra Factory percorreva il passaggio di rientro al box imitando il pi&ugrave; adulto connazionale.&nbsp;  Con la costanza di Doohan, Miller diverrebbe un fenomeno. Scriviamo questo basandoci su come egli faccia divertire il pubblico che lo ammira: in questo, somiglia a Stoner, esempio perfetto ed unico di rapidit&agrave; in sella e spettacolare nelle manovre compiute.  Anche Jackass &egrave; spettacolare, nonostante qualche domanda in pi&ugrave; di Casey se le conceda. Stoner girava il gas e basta - e molto bene - l&#39;attuale Aussie della MotoGP, ogni tanto, ci riflette un po&#39;. Chiss&agrave;, forse perch&eacute; lui sia in mezzo tra Doohan e Stoner: alla ricerca della continuit&agrave;, sempre spettacolare e veloce, in condizioni &quot;bastarde&quot; come quelle viste in Francia.  Leandro Mercado &egrave; pronto alla SBK iridata: &quot;Al CIV per fare chilometri&quot; 

L&#39;australiano Ducati detiene caratteristiche simili a quelle esibite dai connazionali Michael e Casey, attirandone relativi paragoni. Jackass riuscir&agrave; a trovare una immagine tutta sua ed originale e ripeterne le imprese di carriera?

MotoGP, Jack Miller somiglia a Doohan o a Stoner?

        There is still uncertainty as to whether Marc Marquez will be ready to take part in the season-opener at Losail on 28 March. We&rsquo;ll find out next week, but in the meantime we&rsquo;ve spoken to Doctor Claudio Costa, the man who founded motorcycle racing&rsquo;s Clinica Mobile and who has helped so many riders make history along the way. What would you say about the Marquez case? "I start by saying that I haven&rsquo;t seen the details and can only speak from experience. No rider has ever missed a season in the 50 years of the Clinica Mobile. Marquez's last surgery saw the insertion of a plate with a transplant from the iliac crest and then there was an infection of the bone known as osteomyelitis. But you can&rsquo;t leave osteomyelitis with a plate, so this means it was under control, and it doesn&rsquo;t prevent the natural bone healing process. I&rsquo;d foresee a recovery time of six months, or maybe four if one is very lucky&rdquo;. Could all this have been avoided? "A fractured humerus is not easy to fix. I definitely wouldn&rsquo;t have let him race at Jerez the week after. I would have told him: &ldquo;Marc, I can save your shoulder, I&rsquo;ll put in a plate and then see you in three months at Misano&rdquo;. If he&rsquo;d wanted to get back on track at all costs, I&rsquo;d have put in a nail with two screws. This wasn&rsquo;t done, and then they carried out another surgery. Considering the delay in healing, I wouldn&rsquo;t have waited until December to operate, but would have done it earlier". Would you have acted in the same way right from the outset? "I&rsquo;d have done what I always do, allowing myself be guided by the rider&rsquo;s wishes. If the rider said to me: &ldquo;I want to race next week&rdquo;, I would have put in big semi-elastic nail. But if he preferred not to damage the injured shoulder, I&rsquo;d have used a plate and not let him race until Misano. A humerus takes three months to heal with a plate. With a nail it doesn&rsquo;t heal in a week, but it would have held. Then the rider would have been helped by their own strength of will, the fuel that drives the energy inside the human body and that has riders doing the things we&rsquo;ve seen them doing, miracles&rdquo;. Might we see Marc in Qatar? "I can only guess. There is a possiility this miracle might happen, but I believe that with an injury like his, perhaps it will take a little longer&rdquo;. And will he be the same Martian when he returns? "From a physical point of view, we have to hope he regains the strength in his arm. Then, psychologically speaking, he&rsquo;ll be stronger than ever. Adversity gives you this incentive, as we saw with Doohan, this desire to be even more successful. And if his body were to fail to heal completely, he would be able to overcome that setback with his strength of will. So I think we&rsquo;ll see a strong Marquez. As he himself said in reference to me in 2013: &lsquo;He&rsquo;s a crazy doctor, but he had me win the title&rdquo;. Do you appreciate this description? "I like it, because normality is something that bores me. While madness is given by god, as the ancient greeks would say&rdquo;. Do you have a favourite anecdote? "I have so many and am pleased to have them. Symbolically, there&rsquo;s one that sums it all up: my history with Mick Doohan. A story of love, great risk and danger. We challenged something that cannot be challenged, that kept me awake at night. Doohan's greatness lies in the fact that he didn&rsquo;t ask me to heal me, but only to let him race. We&rsquo;ve remained close. Outside of the motorcycle world, I was in a similar situation with Alex Zanardi". In addition to Doohan, which other riders do you hold in your heart? "I can&rsquo;t answer that, it&rsquo;s like asking a mother to admit who her favourite child is&rdquo;. Translated by Heather Watson Mick Doohan: the rise from hell to heaven       

The doctor who founded the Clinica Mobile more than 50 years ago talks about the Marc Marquez case and recalls some of his career highlights

MotoGP, Dr. Costa: “Marquez wouldn’t have missed the season with me”

        Winning always has a sweet flavour but winning after having reaching the depths of hell has an even greater taste, thanks to that sense of vengeance that makes everything better. On hearing these words, riders may picture a number of riders, not least Michael &ldquo;Mick&rdquo; Doohan. The Australian, born on 4 June 1965 in Brisbane, proved how a human can win five world titles in a row after having come scarily close to never riding again. But first things first. The rise  Doohan debuted in the 500 championship in 1989, riding a Honda (the manufacturer for which he would continue to compete throughout his career) and immediately attracting attention for his coarse yet clean riding style. He scored his first podium in his rookie season, while his first win came the following year, at the penultimate round in Hungary. In 1991 Mick began to get a whiff of the title, but then along came another talent, American Wayne Rainey, who just pipped him to the post by nine points. The following year saw Mick come even closer, with five wins and two second-place finishes in the first seven races, but then came the Assen incident. The crash and recovery  During qualifying, Doohan crashed and was trapped under his number two Honda. He fractured his right tibia and fibula. A real blow, and one that could even have proved fatal as, after his operation (carried out in the hours following the accident), a terrible infection attacked his leg during the night, putting the rider&rsquo;s life at risk and causing the doctors to consider amputating the limb. And it was here that a key figure in Mick Doohan&rsquo;s career entered the scene: Doctor Claudio Costa. &ldquo;We kidnapped Mick in the dead of night &ndash; Costa has since said &ndash; also taking Kevin Schwantz with us, he was injured too&rdquo;. Costa took the Australian under his wing and came up with an original solution, or rather the idea of binding Mick&rsquo;s legs together for fifteen days, so that the healthy limb could irrigate the injured one. This unconventional method paid off, and proved to be Doohan&rsquo;s salvation. Two months later, the rider was back on track for the Brazilian GP, a race he finished twelfth, and the South Africa season-finale, where he finished sixth. 1993 was a transition year for Mick, in which Wayne Rainey tragically retired following the Misano accident and Kevin Schwantz took the title, although the Australian did get back on to the top step of the rostrum (at Misano). The definitive rise to legendary status  After some very tough times, Doohan finally got what he deserved. In 1994, riding the number 4 Honda, the Australian essentially had no rivals, winning nine of the fourteen scheduled races and becoming world champion for the first time, exactly two years after his return to competition following the terrible Assen injury. And from there Doohan proved unstoppable, successfully defending his title year on year. In 95 he beat fellow countryman Daryl Beattie, while in 96 and 97 he was up against team-mates Alex Criville and Tadayuki Okada. The last rider who was forced to bow to King Mick was Max Biaggi, during a 1998 that was characterised by the much discussed black flag that the Italian received at the Barcelona GP. Doohan&rsquo;s career would come to an end the following year, when bad luck came knocking once again. Mick was ruled out when he fractured his wrist, shoulder and particularly his right leg, the same leg that, in one way or another, had helped him to become a legend. Translated by Heather Watson MotoGP, Dovizioso like Lawson: tempted by a beautiful Italian       

In 1992 the Assen incident and the risk of amputation, then the rebirth, the result of grit, tenaciousness and Doctor Costa. The story of the five-time champion who won&hellip; with only one leg

Mick Doohan: the rise from hell to heaven

Vincere ha sempre un dolce sapore, ma vincere dopo aver passato le pene dell&rsquo;inferno (forse) ha un sapore ancora pi&ugrave; delizioso, grazie a quel senso di rivalsa che rende tutto pi&ugrave; bello. Ad qualsiasi appassionato di motociclismo queste parole potrebbero far venire in mente tanti piloti, primo fra tutti (forse) Michael &ldquo;Mick&rdquo; Doohan. Questo perch&eacute; l&rsquo;australiano, nato per la precisione il 4 giugno 1965 a Brisbane, ha dimostrato come un essere un umano possa vincere cinque titolI mondiali di fila dopo aver rischiato seriamente di non salire mai pi&ugrave; in sella ad una moto. Ma andiamo per ordine.  L&rsquo;ascesa     Doohan sbarca nel mondiale 500 nel 1989, salendo in sella ad una Honda (casa che lo accompagner&agrave; per tutta la sua carriera) e mettendosi subito in mostra per il suo stile di guida, ruvido ma allo stesso tempo pulito. Il primo podio arriva gi&agrave; nella stagione da rookie, mentre il primo successo giunge l&rsquo;anno successivo, nel penultimo appuntamento della stagione in Ungheria.  Nel 1991 Mick inizia a sentire odore di titolo, ma incontra sulla sua strada un altro talento puro come lo statunitense Wayne Rainey, che per nove punti sale sul trono della categoria. Nella stagione successiva Mick sembra ancora pi&ugrave; vicino all&rsquo;alloro, forte di cinque vittorie e due secondi posti nelle prime sette gare, ma ecco arrivare l&rsquo;ormai celebre infortunio di Assen.  La caduta e la risalita     Durante le qualifiche del GP d&rsquo;Olanda Doohan cade, rimanendo bloccato sotto la sua Honda numero 2, e procurandosi la frattura di tibia e perone della gamba destra. Un colpo tremendo, che rischi&ograve; di diventare addirittura fatale: dopo l&rsquo;operazione (effettuata nelle ore successive all&rsquo;incidente) una terribile infezione attacc&ograve; la gamba durante la notte, mettendo a rischio la vita del pilota e portando i medici a pensare all&rsquo;amputazione dell&rsquo;arto.  Qui entra in scena un personaggio chiave nella carriera di Mick Doohan, il Dottor Claudio Costa. &ldquo;Rapimmo Mick nel cuore della notte &ndash; ha raccontato negli anni Costa &ndash; portando con noi anche Kevin Schwantz, anch&rsquo;egli infortunato&rdquo;. Costa prende sotto la sua ala protettrice l&rsquo;australiano, scommettendo su una soluzione medica particolare: l&rsquo;idea (rivelatasi poi vincente) fu quella di legare insieme le due gambe per circa 15 giorni, in modo che l&rsquo;arto sano potesse irrigare quello malmesso.  Questa folle quanto ardita manovra rappresent&ograve; la salvezza per Doohan, che due mesi dopo la grande paura torn&ograve; in sella per il GP del Brasile, terminato 12&deg;, e per quello di fine stagione del Sudafrica, concluso in 6&deg; piazza. il 1993 &egrave; un anno di transizione per Mick, caratterizzato dalla tragica uscita di scena di Wayne Rainey in seguito all&rsquo;incidente di Misano e dalla vittoria del titolo mondiale di Kevin Schwantz, dove l&rsquo;australiano riesce comunque a tornare alla vittoria (proprio a Misano).  La rinascita definitiva verso la leggenda     Dopo tante sofferenze, momenti difficili risalite, ecco per Doohan arrivare la tanto merita ricompensa. Corre l&rsquo;anno 1994, ed in sella alla sua Honda numero 4 l&rsquo;australiano non ha essenzialmente rivali: vince nove gare sulle quattordici in calendario, laureandosi per la prima volta Campione del Mondo esattamente due anni dopo il suo ritorno alle competizioni dopo il terribile infortunio di Assen.  Una volta sbloccatosi Doohan diviene inarrestabile, riconfermandosi campione anno dopo anno. Nel 95 piega la resistenza del connazionale Daryl Beattie, nel 96 e nel 97 quella dei due compagni di squadra Alex Criville, mai particolarmente amato e Tadayuki Okada.  L&rsquo;ultimo a doversi genuflettere a Re Mick &egrave; Max Biaggi, in una stagione (quella 1998) caratterizzata dall&rsquo;ancora oggi discussa bandiera nera data al romano nel GP di Barcellona. La carriera di Doohan si chiuder&agrave; l&rsquo;anno dopo, quando la malasorte torner&agrave; a bussare in quel di Jerez, dove Mick finisce fuori gioco a causa della frattura di polso, spalla e soprattutto gamba destra, quella stessa gamba che, in qualche modo, ha aiutato Doohan ad entrare nella leggenda.  MotoGP, Aprilia stuzzica Dovizioso: Andrea salir&agrave; sulla RS-GP! 

Nel 1992 l&#39;incidente di Assen ed il rischio amputazione, poi la rinascita grazie a grinta, tenacia ed il Dottor Costa. Storia del pentacampione che vinse... con una gamba sola&nbsp;

Mick Doohan: come risalire dall&#39;inferno al paradiso

Sembrava ad un passo dalla fine il matrimonio tra Honda e lo storico sponsor Repsol, ed invece no. Proprio oggi infatti le parti hanno ufficializzato il rinnovo della loro partnership per altri due anni, mettendo a tacere le malelingue e dando nuova linfa al binomio moto - sponsor pi&ugrave; iconico e vincente della storia del motociclismo.  Numeri da capogiro   Dal primo anno di collaborazione (1995) tra la compagni petrolifera spagnola ed il costruttore giapponese ad oggi sono arrivate 180 vittorie, 10 titoli team (premio istituito nel 2002) e soprattutto 15 titoli mondiali, il primo dei quali tra l&rsquo;altro proprio nel 1995, grazie al dominante Mick Doohan.  Numeri a dir poco incredibili, che non sono comunque bastati a far storcere il naso a Repsol nelle settimane scorse, quando i risultati di Alex Marquez e Stefan Bradl, vista l&rsquo;assenza di Marc Marquez, latitavano vistosamente. Tutto risolo ad ogni modo, anche grazie (forse) alle ultime ottime prestazioni di Alex, e dall&rsquo;approssimarsi del rientro in pista del Campione del Mondo in carica.  La soddisfazione di Honda   &ldquo;E&rsquo; sempre un piacere proseguire la nostra collaborazione con Repsol &ndash; ha commentato il presidente di HRC Nomura &ndash; dato che insieme abbiamo raccolto grandi risultati. Il 2020 &egrave; stato ed &egrave; un anno difficile per tutti, ma questo rinnovo ci da la forza per continuare a scrivere nuove pagine di storia&nbsp;del motociclismo&rdquo;.  Andrew Pitt: &ldquo;Locatelli &egrave; gi&agrave; pronto per la SBK&rdquo; 

La casa alata e la compagnia petrolifera spagnola hanno ufficializzato il proseguimento della collaborazione pi&ugrave; vincente della storia, con 180 vittorie e 15 titoli all&#39;attivo

MotoGP, Honda e Repsol scacciano la crisi: insieme per altri due anni

Mercato in fermento, la MotoGP che a breve ripartir&agrave; e tante novit&agrave; in vista. A parlare di tutto questo &egrave; stato il pentacampione Mick Doohan che in un&#39;intervista a MotoGP.com ha spiegato il suo punto di vista sul possibile futuro di Valentino Rossi in Petronas, cos&igrave; come la scelta dubbia di Honda di sostituire Pol Espargar&ograve; con Alex Marquez senza che questo abbia avuto modo di dimostrare di cosa &egrave; capace.  &ldquo;Rossi non ha voglia di smettere&rdquo;   Ancora non &egrave; certo, ma dopo le dichiarazioni di Uccio Salucci, collaboratore di Rossi, sembra proprio che il nove volte iridato proseguir&agrave; anche per la prossima stagione, andando a correre con il team Petronas. Di questa scelta ha parlato anche Doohan dicendo che Rossi, anche se non sar&agrave; pi&ugrave; al team ufficiale, potr&agrave; godere dell&#39;appoggio di Yamaha: &rdquo;Valentino non sembra mostrare i segni di uno che pensa al ritiro. &ndash; ha detto &ndash; In gara ce la mette sempre tutta, nonostante magari in qualifica non abbia ottenuto grandi risultati. Questo gli permette di giocarsela spesso per il podio o per le prime posizioni. Se firmer&agrave; con Petronas, non ci sar&agrave; differenza rispetto al team ufficiale Yamaha perch&egrave; sicuramente influenzer&agrave; Yamaha per avere il miglior materiale possibile. Se rester&agrave; in MotoGP sar&agrave; un successo per questo sport, quando si ritirer&agrave; sar&agrave; un giorno triste e non verr&agrave; mai dimenticato&rdquo;.  Doohan: &ldquo;Avrei voluto Rossi come compagno di squadra&rdquo;  Marc ancora il pi&ugrave; forte?   Doohan ha proseguito parlando della stagione 2020 che sar&agrave; atipica rispetto alle altre: meno gare, tempi pi&ugrave; serrati e GP ripetuti pi&ugrave; volte su uno stesso circuito. Marc Marquez anche in queste condizioni particolari riuscir&agrave; ad essere il pi&ugrave; forte? &ldquo;Il campionato sar&agrave; sempre lo stesso, - ha aggiunto - tutti sono nelle stesse condizioni e i primi piloti continueranno ad essere tali. Negli ultimi anni nessuno &egrave; riuscito a contrastare Marc Marquez, ma in questa stagione c&#39;&egrave; da capire come i piloti l&#39;affronteranno e reagiranno. La sfida pi&ugrave; grande sar&agrave; quella di apportare modifiche alla moto in tempi molto brevi&rdquo;.  Marquez: &ldquo;Ora sono al 100% della forma fisica&rdquo;  &ldquo;In Honda situazione strana&rdquo;   Infine l&#39;australiano ha parlato della &ldquo;spinosa&rdquo; situazione Honda che vede Alex Marquez in bilico nonostante non abbia ancora affrontato una gara MotoGP: &rdquo;Questa situazione &egrave; un po&#39; strana. Non sono cos&igrave; vicino alla Honda per sapere quali sono i suoi piani. Pol Espargar&ograve; potrebbe andare forte con la Honda&rdquo;.  &nbsp; 

Il pentacampione della classe 500cc ha parlato del mercato piloti e anche della nuova stagione, Marc Marquez sar&agrave; ancora il pi&ugrave; forte?

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