Top Secret: Honda Style

Top Secret: Honda Style
Dietro le quinte della HRC con Livio Suppo

Redazione

08.04.2014 ( Aggiornata il 08.04.2014 12:44 )

Neppure quando entra in una delle affascinanti caffetterie del centro, caratteristiche di questa città che vive e lavora a bassa voce, Livio Suppo lascia che la torinesità abbia la meglio su di lui. Rispetto all’eleganza antica dell’ambiente che lo circonda, il Team Principal della Honda HRC si muove in modo troppo veloce, parla troppo in fretta e con un tono di voce troppo alto. Non manifesta neppure quella tipica cortesia spesso eccessiva, a volte sembra perfino sgarbato nei suoi modi spicci. Tradisce invece la torinesità quando non vuole ostentare quello che è, né quello che fa. E di cose di pregio, ne ha fatte e ne fa parecchie. A Torino vive “collegato”. Tokyo è il suo punto di riferimento. E lui, per la Honda, è diventato anche un “tramite” importante. «Di tecnica non so nulla, sono laureato in economia e commercio. Mi occupo dei rapporti con gli sponsor e con la Dorna, della comunicazione e della squadra. E sono anche una sorta di collegamento tra la cultura occidentale e quella giapponese. Shuhei Nakamoto (capo operativo della HRC) arrivò in MotoGP, a capo del progetto Honda, all’inizio del 2009 e già in giugno mi disse: ho bisogno di un manager, mandami il tuo curriculum. Nakamoto ha capito in fretta che questo può diventare un mondo ostile per i giapponesi – per la lingua, la cultura, il modo di pensare e agire – quindi per un’azienda come la Honda avere in Europa uno che aiuta a capire cosa succede qui, è molto utile. C’è una grande differenza, tra la maniera in cui vedono le cose in Giappone e come le vediamo noi in Occidente. A volte sembra che io e Nakamoto parliamo di due mondi diversi, pur parlando dello stesso argomento».  Non ti sei mai pentito di avere lasciato la Ducati?  «No, anche se per me, in Honda, è più difficile. In Ducati eravamo Claudio (Domenicali), Filippo (Preziosi) ed io: si decideva sempre tutto in fretta, perché avevamo la stessa mentalità e parlavamo la stessa lingua. Ma per me è poco stimolante restare troppo tempo a fare lo stesso lavoro, e io sono rimasto in Ducati undici anni. Inoltre in Honda ho la possibilità di conoscere una cultura diversa e molto interessante».  L’articolo completo del nostro inviato al Motomondiale lo potete leggere nel numero di Motosprint in edicola da martedì mattina 

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