A tu per tu: Pirro, il trasformista

A tu per tu: Pirro, il trasformista

"Preferisco correre piuttosto che guardare le gare in tv: le wild-card in MotoGP e Superbike e l’esperienza nel CIV mi aiutano per l’attività di tester. L’ascesa di Ducati? La sento anche mia"

26.08.2019 16:41

Un weekend nel paddock della MotoGP, uno in quello del mondiale Superbike e uno nel CIV. Stessa Casa, la Ducati con cui il rapporto iniziò nel 2013, ma moto, gomme e sospensioni differenti. Eppure la passione è la stessa, e spinge Michele Pirro a scendere in pista. Che siano test (anche su piste sconosciute come il KymiRing “inaugurato” in questi giorni), gare da vivere come wild card iridata o da campione italiano in carica, il pugliese è sempre pronto, immerso in una sorta di paradosso: il suo nome e il suo volto sono associati al ruolo di tester, al punto che Pirro e la Ducati hanno dettato un trend seguito dalle altre Case della MotoGP che si sono dotate di un collaudatore in grado di girare con ritmi da pilota ufficiale. Eppure il ruolo che il trentatreenne ha interpretato come nessun altro, continua ad andargli un po’ stretto. «Il sogno di fare il pilota “titolare” è presente, e mi aiuta anche per l’esperienza da tester: questa mentalità mi spinge a disputare più gare durante l’anno, e mantenere il tono agonistico agevola l’attività di collaudatore». 

Quanti chilometri percorri in pista nel corso di un anno?
«Non l’ho mai calcolato, e mi dispiace, magari lo faccio proprio quest’anno. In realtà, non credo di compierne tanti di più rispetto a un pilota ufficiale, perché comunque chi vive 19 weekend della MotoGP svolge anche i test invernali e quelli, come Barcellona e Brno, nel corso dell’anno. E in un weekend di gara ne fai abbastanza di chilometri. Nel mio caso, la particolarità è un’altra». 

Quale?
«Cambio spesso moto e gomme. Da un lato aiuta ad affinare un certo tipo di sensibilità, ma se vuoi ottenere la prestazione, è più faticoso quando scendi in pista come wild card, ti mancano due-tre decimi e devi cercare il limite o la perfezione». 

Per fare un esempio concreto, com’è il tuo percorso tra una moto e l’altra?
«La Ducati non ha più le concessioni regolamentari in MotoGP, ovviamente, e quindi non posso compiere più di due-tre giorni al mese di test. Poi il mio calendario dipende dalle gare. Per esempio in giugno ho disputato il GP della MotoGP al Mugello e poi i test, quindi la wild card nel mondiale Superbike a Misano e la tappa del CIV a Imola. Luglio è stato meno intenso, con due giorni di test sulla MotoGP e la tappa del CIV a Misano. In agosto, per esempio, mentre gli altri piloti vivono tre GP con i test di Brno, io ho soltanto tre giorni di prove. Dipende dai periodi, occorre farsi trovare pronti». 

Ti piace essere considerato il simbolo dei tester della MotoGP, tanto da aver dettato un trend copiato dalle Case concorrenti?
«Ovviamente fa piacere, anche se ammetto che all’inizio ero un po’ contrario e non dico che mi ero scontrato con le idee della Ducati e di Gigi Dall’Igna, ma sicuramente ci eravamo confrontati. La loro idea, che poi è stata messa in pratica, era quella di costruire una vera e propria struttura per i test: con il tempo hanno avuto ragione, lo hanno detto la crescita della moto e i risultati, perché ci siamo giocati il Mondiale con Marc Marquez. Quindi oggi sono orgoglioso di quanto è stato fatto e del mio ruolo, perché le soddisfazioni non sono mancate. Ma l’obiettivo più grande, il titolo della MotoGP, non l’abbiamo ancora conquistato e continuiamo a inseguirlo». 

Jorge Lorenzo disse più volte pubblicamente di fidarsi parecchio delle tue indicazioni: è stato il complimento più gratificante?
«In realtà anche altri piloti, come Andrea Dovizioso e Danilo Petrucci, hanno apprezzato il mio lavoro e non l’hanno nascosto. Tra noi c’è grande rispetto reciproco, questo aiuta a ottenere il massimo». 

Sulla Desmosedici hanno vinto quattro piloti differenti, in questi anni. Se dovessi spendere un aggettivo per ciascuno di loro, quale utilizzeresti?
«Andrea Iannone è talento e istinto. Dovizioso è arrivato al vertice con metodo, professionalità e lavoro. Lorenzo è un tre volte campione del Mondo della MotoGP, non serve dire altro: veniva da nove anni di Yamaha, la sua guida era particolare, molto pulita, è stato bravo ad adattarsi, siamo stati bravi anche noi ad aiutarlo ad arrivare alla vittoria. Petrucci è approdato nel team ufficiale dopo tanti anni e ha dimostrato di meritare quel posto, perché la sua dedizione è stata enorme». 

Petrux ha saputo modellare la propria guida anche per gestire meglio il consumo delle gomme, e la Ducati l’ha aiutato con lo spoiler a cucchiaio atto anche a tenere sotto controllo la temperatura del pneumatico posteriore. 
«Negli ultimi due anni era stato un po’ il limite per Danilo, ma alla fine nonostante la sua stazza è riuscito a migliorare anche in questo particolare». 

Sei il tester di una Casa che ha dettato vari trend in particolare a livello di aerodinamica. 
«Nelle corse ad alto livello, che sia Formula 1 o MotoGP, ogni costruttore cerca di esplorare più possibilità, focalizzandosi su ciò che nei vari momenti viene ritenuto redditizio. La Ducati è sempre stata dotata di un motore davvero potente, ma per poterlo sfruttare quando hai due ruote devi affidarti all’aerodinamica per esaltarne le caratteristiche. Il motore è il nostro punto forte anche se la concorrenza si è avvicinata. Anche perché a livello aerodinamico, su ogni nostra idea tutti ci sono sempre venuti dietro». 

Qual è la Desmosedici che, da un anno all’altro, ha compiuto il salto di qualità più grande?
«Senza dubbio la svolta è arrivata con la GP15, la prima moto davvero riconducibile a Dall’Igna. Tra quella moto e la versione odierna non ci sono enormi differenze, anche se poi l’evoluzione è stata costante e abbiamo sempre compiuto passi in avanti. Il vero salto, dalla notte al giorno, fu tra la GP14 e la GP15, grazie alla quale abbiamo gettato le basi per una moto che ha permesso a piloti differenti, e con stili di guida differenti, di vincere, nonché ai team satellite di essere competitivi». 

Qual è stato il tuo contributo sulla nuova Panigale V4, che nel mondiale Superbike ha vinto 15 manche nelle prime nove tappe?
«La V4 è abbastanza figlia della Desmosedici impostata nel 2015, quindi nei test mi sono trovato a provare entrambe: le moto hanno caratteristiche simili e quindi non è stato un lavoro difficile. La difficoltà, forse, è stata per il salto legato alle gomme. In SBK i pneumatici sono più “familiari”, nel senso che sono più semplici da portare al limite. Infatti un pilota con un fisico minuto come Alvaro Bautista non ha trovato grande difficoltà nell’adattamento alle Pirelli, mentre in MotoGP per i piloti con meno stazza è meno facile portare al top del rendimento le gomme, mi ricordo anche i problemi che aveva Dani Pedrosa». 

Qual è l’aspetto dei test che ami di meno?
«Forse le lunghe pause, ma non le puoi evitare, altrimenti non si chiamerebbero test. Fanno parte della routine, appesantiscono il lavoro, ma quando vedi che arriva il risultato, senti che l’impegno è stato ripagato. Vale per me e per le persone che lavorano nell’ombra, anche a casa». 

Quanto senti tua una doppietta come quelle messe a segno l’anno scorso da Dovi e Lorenzo al Mugello e a Brno?
«Fa tutto parte di quel lavoro che non vedi, che la gente non conosce, ma in piccola parte mi sento partecipe di quel successo, perché c’è molto lavoro dietro, svolto dal test team e dai ragazzi a casa. Gli esperimenti e le prove li ho sempre fatti io e mi assumo anche dei rischi». 

Ti aspetti che un giorno vengano a dirti «C’è una moto per te, fai il campionato»?
«Per fare ciò che faccio e per rimanere a questi livelli, serve sognare questo scenario, o serve pensare a questa evenienza. Perché se invece pensi di fare soltanto qualche gara e soltanto il tester, hai perso in partenza. Significa che ti limiti al compitino, che non ti presenti al Mugello e a Valencia, facendo settimo e quarto in MotoGP, o a Misano in Superbike, dove avevo tutto da perdere con sospensioni Showa, mentre nei test sulla V4 avevo usato le Öhlins e nel CIV ho le Mupo. E anche in quel weekend ho imparato qualcosa. Io amo mettermi in gioco e mantengo l’illusione di un posto da ufficiale. Quel tipo di ambizione ti mantiene “vivo”, ti rende migliore, più veloce, e a beneficiarne sarà anche il tuo apporto nei test». 

Per questo ringrazi il Team Barni che, schierandoti nel CIV, ti garantisce una valvola di sfogo?
«Negli ultimi quattro anni ci siamo tolti parecchie soddisfazioni, mi piace sentirmi pilota a tutto tondo e con loro vivo i weekend di gara a tutti gli effetti. È gratificante e poi, come ho detto, aiuta anche il mio lavoro da tester della MotoGP. Tutto questo lavoro, con Ducati e con Barni, mi ha fatto crescere come pilota, come tester, come tutto». 

A proposito della tua storia: da San Giovanni Rotondo al successo in un GP (a Valencia in Moto2 nel 2011) e a un ruolo importante in Ducati, il percorso non è stato breve. 
«Se fossi nato in Romagna, come la maggior parte dei piloti, con genitori esperti di questo mondo, forse avrei fatto anche di più. Perché ringrazio il Signore per le doti che mi ha dato, in virtù delle quali sono diventato un pilota del Mondiale, e non era scontato vista la mia provenienza. Ho sempre avuto una grande passione, iniziai a 14 anni e mi trasferii in Romagna nel 2002, da lì con l’aiuto di persone fantastiche ho potuto coronare un sogno. Ho trovato una seconda famiglia a Cesena, perché la famiglia Zavalloni, presidente del Moto Club Paolo Tordi, mi ha ospitato come un figlio. Al punto che, sorridendo, dico che ho vissuto più anni a casa Zavalloni che a casa Pirro...». 

Ti sei costruito da solo. 
«Mi sono dedicato al mio sogno, anima e corpo. Non amavo la scuola, eufemismo, però ho sempre creduto in questo percorso, anche di fronte a mille difficoltà. Poi ho conosciuto ostacoli importanti: se il primo anno nel Mondiale, dopo aver vinto l’Europeo, non l’avessi fatto con la Malaguti 125, nel 2005, ma con una moto competitiva, la mia carriera avrebbe preso una piega diversa. Quando sei giovane sei sempre a rischio con gli “avvoltoi”, e non avevo qualcuno che potesse consigliarmi. Però mi sono ripreso e ho trovato persone che hanno creduto in me e sono stato capace di risalire e rientrare dalla porta principale, con Fausto Gresini in Moto2 e MotoGP e poi con la Ducati. Mi sono dovuto guadagnare tutto, ma non mi pento di nulla, e in fondo è questo lo spirito che mi spinge a fare le wild card mondiali avendo tutto da perdere, perché in un’ora e mezzo di prove non puoi inventarti nulla. Ma preferisco correre piuttosto che guardare le gare in TV». 

E puoi essere orgoglioso del fatto che il ruolo di tester sia associato al tuo nome e al tuo volto, e del fatto che sia difficile trovare chi non parla bene di te. 
«Mi fa piacere, io ci ho messo tutto. Poi qualcuno pensa che nel CIV “rubo le caramelle”, ma non è così. Se venisse Marquez nel CIV, io sarei contento, perché alzerebbe il livello e darebbe a tutti la possibilità di misurarsi con qualcuno molto forte. Ed è soltanto confrontandosi con quelli forti che si migliora. E questo vale anche per i piloti che si confrontano con me nel CIV: io corro nel campionato italiano per allenarmi e per vincere, e vincere non è mai scontato soprattutto quando, come in passato, ho conquistato 12 successi di fila. E corro volentieri nel CIV perché il livello è cresciuto, la FMI ha svolto un lavoro incredibile facendo progredire il campionato in ogni aspetto». 

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