Avrei voluto essere Nicky Hayden

Avrei voluto essere Nicky Hayden

E’ stato il primo pilota in grado di battere il fenomeno Rossi nella MotoGP. Un outsider vincente e un figo vero 

 

23.05.2017 00:28

Diciamoci la verità: a Valencia, nel 2006, noi italiani eravamo quasi tutti troppo dispiaciuti per la disfatta in gara di un Valentino Rossi all’apice della carriera (ma scivolato ad un soffio dalla conquista del suo quinto titolo mondiale consecutivo nella MotoGP), per riuscire ad apprezzare in pieno l’impresa sportiva di Nicky Hayden e tutto ciò che è successo dopo quella bandiera a scacchi. 
Le sue lacrime di gioia durante il giro d’onore percorso senza casco. Le sue urla liberatorie al termine del momento di maggiore stress della carriera. I suoi abbracci con una famiglia che ha fatto delle “moto” uno stile di vita. E il suo sorriso, così cristallino e autentico. 

RAGAZZO PRODIGIO - Come spesso accade durante una vita, torniamo ad analizzare le gesta passate solo nel momento in cui la persona che le ha fatte viene a mancare. Nicky è stato un ragazzo prodigio già nelle sue prime esperienze “vere”, quelle nel campionato nazionale americano (vinto, ovviamente, quando aveva soli 19 anni). Un predestinato capace di portarsi a casa il titolo iridato della MotoGP al quarto anno di “militanza” nel campionato più difficile del mondo, battendo piloti del calibro di Rossi, Capirossi, Melandri, Pedrosa ma anche Roberts Jr, Edwards, Stoner, Hopkins e Gibernau.

DAL KENTUCKY AL MONDO - Era rispettato e benvoluto da tutti. E le migliaia di dimostrazioni di affetto di queste ore da parte di appassionati, addetti ai lavori e anche rappresentanti di sport diversi dal motociclismo sono lì a dimostrarlo. Era rispettato e benvoluto non solo per la sua estrema educazione, per la grande disponibilità e per il suo sorriso disarmante. Lo era perché rappresentava in pieno lo stereotipo del pilota “che ce l’ha fatta”. Un ragazzo degli Stati Uniti come tanti, innamorato della terra e della velocità, in grado di diventare un riferimento per molti suoi aspiranti colleghi anche per la sua capacità di trasformarsi da outsider a campione.

NUOVA AVVENTURA - Negli anni successivi al titolo, outsider era tornato ad esserlo (solo 8 podi in nove stagioni di MotoGP passati tra Honda e Ducati), trovando poi una nuova dimensione in Superbike. Campionato in cui lo scorso anno, all’esordio, portò la “vecchia” Honda CBR al quinto posto nel mondiale grazie a una vittoria da manuale sotto il diluvio di Sepang, tre terzi posti e sette risultati da top five. Nella SBK, nonostante il progetto un po’ “acerbo” di una nuova Honda CBR tutta da sviluppare, Nicky stava costruendo una seconda parte di carriera promettente e stimolante. Fino a quel maledetto incidente di cinque giorni fa. 

UN "ALIENO" DA AMMIRAREL’ultima volta l’ho incontrato tre mesi fa, in occasione della presentazione del Red Bull Honda Team in Austria. Aveva gestito con estrema professionalità, serietà e anche una buona dose di simpatia una tavola rotonda composta da una “mandria” di giornalisti affamati di domande. In quel momento sono tornato ragazzino: ero in soggezione e provavo ammirazione. E, non mi vergogno a scriverlo, anche un po’ di invidia. Per la sicurezza dei suoi mezzi, per il suo essere un “figo vero” e per l’essere totalmente a suo agio in un mondo, quello delle gare di moto, che si era fortemente scelto per dare il meglio di sé. Ancora una volta, ero rimasto colpito da quel suo sguardo che sembrava provenire da un altro pianeta. Buon viaggio di ritorno, alieno Nicky.

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