Nel settore auto i SUV hanno cambiato il concetto di moda e di guida. Questa voglia di possedere mezzi imponenti, dall’aspetto fuoristradistico ma con le caratteristiche tecniche e il comfort di un normale veicolo destinato all’utilizzo su asfalto, non ha tardato ad arrivare anche nel pianeta moto. I SUV a due ruote si chiamano maxi enduro e altro non sono che delle bicilindriche dalla cubatura prossima ai 1000 cm3, dotate di sospensioni dall’escursione medio lunga e di pneumatici stradali con il disegno del battistrada che ricorda i veri tassellati mordi fango delle monocilindriche e bicilindriche da cross e da enduro. La proposta maxi enduro di Moto Guzzi si chiama Stelvio e ha tutte le carte in regola per accontentare il mototurista che ha voglia di acquistare qualcosa di diverso, una moto adatta ai lunghi viaggi ma comunque modaiola. Salendo a bordo della Stelvio stupisce la larghezza del manubrio; la sua piega e le sue finiture sono ottime ma per raggiungere le manopole con le mani bisogna avere delle braccia piuttosto lunghe.
Chi è piccolo farà davvero fatica a trovare una sistemazione adeguata sulla Stelvio, che richiede un po’ di attenzione quando si effettuano le manovre a moto spenta. La sella è invece comodissima e la doppia regolazione in altezza permetterà anche a chi non arriva ai 175 centimetri di altezza di gestire la moto alle basse velocità. Azzeccata la posizione delle pedane, che evita precoci indolenzimenti ai muscoli delle gambe nelle lunghe percorrenze. Non condividiamo il posizionamento del cavalletto laterale, troppo lontano dal piano di seduta e per questo difficile da azionare rimanendo seduti in sella. Spingendo il pulsante dell’avviamento motore il grosso V2 della Stelvio inizia subito a “borbottare”, fatto che può risultare traumatico per chi non è abituato a guidare una moto con l’albero motore montato longitudinalmente: la coppia di rovesciamento è notevole e spalancando l’acceleratore questa “Guzzona” tende a inclinarsi verso destra.
Innestando la prima ci si accorge subito che la frizione è dura da azionare e poco modulabile in fase di partenza. La leva del cambio ha una corsa ampia; gli innesti sono precisi ma rumorosi. La spaziatura tra i vari rapporti è corretta, la sesta non è una marcia di riposo. L’erogazione del bicilindrico della Stelvio non è molto fluida: il motore ai bassi regimi spinge bene, anche quando la lancetta del contagiri staziona al di sotto dei 2.000 giri, però, tra i 3.500 e i 4.500 giri ha un evidente calo di coppia e potenza. Questa flessione è fastidiosa in quanto avviene proprio in quei regimi più utilizzati nella guida turistica e nei trasferimenti in città. Avvicinandosi ai 5.000 giri il V2 Guzzi si risveglia, cominciando di nuovo a spingere con forza fino all’intervento del limitatore. Nonostante questo acuto finale le caratteristiche del propulsore sono poco adatte al tipo di moto, soprattutto guidando in coppia e con bagagli al seguito.
Nel misto occorrono un po’ di chilometri per instaurare un buon feeling con l’acceleratore, infatti, riaprenado il gas dopo averlo chiuso completamente, il motore risponde bruscamente; la colpa non è della taratura del sistema d’iniezione elettronica ma della trasmissione cardanica, che a moto inclinata non consente di accelerare in maniera decisa La prima parte del test si è svolta in autostrada, dove la Stelvio ha messo in mostra una notevole stabilità ed una protezione aerodinamica eccezionale. Il piccolo parabrezza è regolabile e lasciandolo completamente abbassato l’aria non dà alcun fastidio. Ottimo il comfort anche in caso di pioggia, condizione nella quale sembra di avere un tetto sopra la testa. Incredibile! Spostando il plexiglass del cupolino alla massima altezza, invece, (operazione che va effettuata a moto ferma) si avverte un fastidioso flusso d’aria nella zona addominale. Va infine segnalato che in caso di pioggia la strumentazione può andare in tilt, riprendendo a funzionare dopo essersi asciugata. Altro difettuccio della Stelvio sono le vibrazioni, avvertibili su manubrio e pedane e piuttosto fastidiose, soprattutto in accelerazione. Ad andatura costante la situazione migliora notevolmente e non si avvertono fastidi alle mani e ai piedi.
Spostandosi sulle tortuose strade collinari, la Stelvio ha dimostrato di avere sospensioni ben tarature, confortevoli ma adatte anche a sopportare maltrattamenti causati dalla guida sportiva: comoda nel turismo, non mostra accentuati trasferimenti di carico quando si guida in modo aggressivo. Solo l’ammortizzatore tende ad avere una risposta un po’ secca sulle buche. Il terreno preferito da questa endurona sono le curve ad ampio raggio perché per mantenere la traiettoria impostata nelle curve strette occorre lavorare molto con il manubrio. Faticosa la gestione del veicolo anche nei cambi di direzione, dove il peso si fa sentire. La situazione migliora notevolmente sfrenando leggermente i freni idraulici della forcella e dell’ammortizzatore, modifica che però rende la Stelvio meno precisa nei tratti veloci.
Ottima la frenata. L’impianto anteriore è modulabile e potente: non serve tirare con forza la leva al manubrio per ottenere decelerazioni degne di nota, fatto che aumenta molto il feeling con la moto in staccata. L’impianto posteriore è invece meno intuitivo da usare perché meno modulabile; in frenata la leva va “accarezzata” per evitare l’innescarsi di saltellamenti poco controllabili della ruota posteriore. Pur non essendo il mezzo più adatto da usare nei centri storici, in città l’endurona di Mandello del Lario si è destreggiata alla grande. Il traffico non è un problema e con un po’ di mestiere si riesce a svicolare tra le auto con facilità. La capacità di sterzata è buona e durante le soste ai semafori il calore proveniente dal motore non crea fastidi alle gambe. Buono il comportamento della Stelvio anche quando si viaggia in coppia: il passeggero ha a disposizione una porzione di sella larga e ben imbottita e dei validi appigli ai quali reggersi. Purtroppo il terminale di scarico tende a “cuocere” la gamba sinistra ma fin quando si è in movimento non ci si accorge del problema.
Il telaio della Stelvio è simile a quello della Breva, rispetto alla quale sono stati incrementati il diametro dei tubi in acciaio, i punti di attacco con il motore ( passati da quattro a sei) e le quote ciclistiche. Il motore è portante e il forcellone monobraccio, all’interno del quale si trova la trasmissione cardanica, è parte integrante del basamento. Questa soluzione è chiamata CARC (Cardano Reattivo Compatto), un brevetto Moto Guzzi pensato e progettato per rendere il più neutro possibile il comportamento del retrotreno della moto in accelerazione. Il monobraccio è inoltre collegato all’ammortizzatore tramite dei biellismi progressivi. Il propulsore della Stelvio è lo stesso già utilizzato sulla Griso 8V. Le due moto differiscono però per l’impianto di scarico: sulla maxi enduro di Mandello del Lario, infatti, i collettori hanno un diverso layout.
C’è un’unica sonda lambda e un catalizzatore a tre vie montato nella parte iniziale del silenziatore. La forcella è completamente regolabile (precarico molla, freno idraulico in compressione e in estensione); sull’ammortizzatore è invece possibile variare solo il precarico della molla tramite la manopola posta sul lato sinistro del veicolo e il freno idraulico in estensione. Le leve al manubrio sono regolabili nella distanza dalla manopola. L’attacco delle pinze freno a quattro pistoncini è di tipo radiale e i dischi hanno dimensioni davvero generose (320 millimetri di diametro), considerando che stiamo parlando di una maxi enduro. Sulle ruote a raggi STS di Alpina sono montati pneumatici tubeless. Il cerchio anteriore ha un canale di 2,5”, quello posteriore di 5,5”.
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