Prova Novità - Ducati Hypermotard 1100 Evo/SP

Più leggera più potente più divertente. La Evo segna un bel passo avanti

Redazione

10.03.2010 ( Aggiornata il 10.03.2010 16:32 )

La Prova
Pelo e contropelo

E' facile prendere una cantonata con la nuova Hypermotard. E' facile perchè al primo sguardo non sembra essere cambiata ripsetto alla moto presentata due anni fa, invece Ducati ha lavorato in profondità riuscendo a spostare più in alto l'asticella. Si era già visto con la "piccola", la 796 presentata un mesetto fa, ma sulle nuove Hypermotard 1100 Evo e 1100 Evo SP le maggiori prestazioni rendono la cosa ancor più evidente. Il peso è stato ridotto e la potenza aumentata, le due Hypermotard "grosse" sono diventate ancor più divertenti: agili, potenti e con una stabilità in curva impressionante, che ben si sposa con un motore caratterizzato dalla coppia gestibile e progressiva caratteristica dei bicolindrici Ducati. La posizione di guida delle versioni precedenti era molto particolare saprattutto per via del manubrio basso e largo, ora però sulla SP è stato alzato di 20 mm e questo ha portato ad un assetto che resta personale - una via di mezzo tra una moto da fuoristrada ed una naked - ma è più naturale. La sella lunga permette di spostare il corpo con naturalezza, il peso rimane molto avanzato e caricato sull'avantreno e questo si traduce in un ottimo feeling dekk'anteriore. Grazie al largo manubrio il controllo è ottimo, particolarmente in ingresso di curva. Il piano d'appoggio è alto, la sella della Evo è rimasta a 845 mm - 20 più di quella della 796 - e quella della Evo SP è addirittura più su di altri 30 mm, siamo a quota 875: ne beneficia la rapidità nei cambi di direzione ma le manovre da fermo non sono certo facilitate, se si ha un’altezza intorno ai 170 cm si fatica a toccare già con la “base” e in sella alla SP il terreno si allontana ancora.

Il traffico cittadino non è il terreno preferito della Hypermotard che non si districa agevolmente in mezzo alle auto, un po’ per la ridotta capacità di sterzata che si avverte nelle manovre più lente e un po’ perché gli specchietti retrovisori che sporgono dalle estremità del manubrio, come per i precedenti modelli, sono unici nel design ed offrono un’ottima visibilità ma nel traffico impacciano a causa dell’ingombro laterale; è comunque a catalogo un kit di specchietti alti, tradizionali. I comandi sono ottimamente dislocati, le leve al manubrio sono regolabili ed è possibile adattare anche la posizione delle leve del cambio e del freno posteriore. Praticamente assente la protezione aerodinamica, intorno ai 120 km/h si sente l’esigenza di schiacciarsi verso il serbatoio e stringere bene il manubrio.

La Hypermotard è una Ducati e non lo nasconde, non appena la si mette in moto comincia il bellissimo rombo cupo e irregolare tipico dei desmodromici di Borgo Panigale; più si sale di giri, più si percepisce la splendida risonanza della cassa filtro. Appena ci si muove si rimane affascinati dall’incredibile agilità della Hypermotard: i cambi di direzione sono fulminei. L’accelerazione è vigorosa fin dai bassi regimi, già sotto i 3.000 giri il bicilindrico 1100 spinge senza incertezze, ma quando si arriva a circa 4.500 giri il tiro diventa vigoroso e proietta fuori dalle curve a una velocità incredibile, con una progressione muscolare che arriva fino ad oltre 8.000 giri ed all’intervento del limitatore. Da buona Ducati questa Hypermotard permette di utilizzare marce alte senza che il motore strappi e in allungo può spingersi fino ad oltre 200 km/h di tachimetro. La Hypermotard tende ancora leggermente a fare resistenza nel chiudere le curve più strette, come avveniva già nella precedente versione, ma qui il fenomeno è stato ridotto fino ad essere quasi impercettibile e basta insistere un po’ sul manubrio: la riduzione del peso di 7 chili ha giovato. In inserimento la Ducati col manubrio alto in versione “base” è precisa e stabile, anche arrivando ancora frenati mantiene la traiettoria, e se si guida un po’ “cattivi” asseconda a meraviglia: del suo anteriore ci si può fidare ciecamente. A centro curva è assolutamente fantastica, sembra di essere in un binario.

Aggredendo il gas in uscita, soprattutto nelle marce basse, può avvenire che il posteriore cominci a scivolare, ma in maniera molto controllabile: è una scarica di adrenalina... a buon mercato. In accelerazione se si spalanca forte il gas ci si trova spesso con l’avantreno che ondeggia e diventa difficile mantenere la traiettoria ideale; con la versione più spinta le cose peggiorano, la SP ha tantissimo vigore e l’escursione delle sospensioni più ampia porta a maggiori trasferimenti di carico per cui tenere la ruota anteriore a terra è praticamente impossibile. Per contrastare questa tendenza bisogna guidare di forza, sia con questa versione che con la Evo “normale”. Del resto è proprio guidando in maniera decisa, come si può fare in pista, che questa Ducati regala emozioni forti. Spostandosi con il corpo, scende in curva decisa e con estrema linearità. Piegando molto si sfrega con le pedane ma se non si esagera la stabilità non viene intaccata. La frenata è a dir poco incredibile per cui gli spazi di arresto sono molto ridotti, questa fase però non è assistita dal cambio, che tende a “puntare”, mentre invece è ottimo in accelerazione. La frizione ha un comando morbido ed è instancabile, sarebbe però utile un sistema antisaltellamento.

Salendo sulla versione SP sembra di guidare un’altra moto. La posizione di guida è diversa, il manubrio è più alto e c’è più luce a terra perché sono più lunghe le sospensioni: è un assetto che dà maggior carico sull’avantreno, a beneficio della stabilità. C’è qualche particolare in carbonio e sulla moto del test era montato il kit Performance - scarico Termignoni, centralina e coperchio cassa filtro -, proposto tra gli optional. La guida è molto simile a quella della “base” ma la stabilità in curva è ancora maggiore, con il conforto di un paio di gomme più sportive e di componentistica più raffinata, come l’ammortizzatore Öhlins e i cerchi Marchesini super leggeri. L’adozione di questi ultimi ha permesso di ridurre sia il momento d’inerzia, sia le masse non sospese, e questo si traduce in un aumento della maneggevolezza e una migliore risposta delle sospensioni che qui hanno anche più escursione. Con la Hypermotard SP si riesce a staccare una decina di metri dopo rispetto alla “normale” e ci si può spingere ad arrivare pinzati fino alla corda; in uscita però bisogna dosare maggiormente il gas perché col kit la potenza è tanta e la maggiore escursione delle sospensioni rende più avvertibili i trasferimenti di carico.La SP in accelerazione richiede attenzione perché è difficile tenere la ruota attaccata al terreno, per cui è facile perdere la traiettoria soprattutto nei cambi di direzione. Su entrambe le versioni la frenata è ben modulabile per tutta la sua corsa ma sulla SP l’attacco è un po’ sgarbato. In pista non ci sono problemi, sulle strade di tutti i giorni un po’ di attenzione non guasta, soprattutto se l’asfalto è viscido. Nonostante la maggiore luce a terra, anche con la SP a centro curva è possibile sfregare con le pedane, però avviene solamente in pista, dove l’ottimo grip offerto dall’asfalto permette angoli di piega considerevoli.


La tecnica
Diverse nella ciclistica

Magari le differenze non saltano subito all’occhio ma c’è un lavoro profondo dietro le Hypermotard Evo, ci sono 7 chili in meno e 5 cavalli in più rispetto alla precedente versione, e sulla SP un altro chilo è stato risparmiato con le ruote. Le due Evo sono realizzata sulla stessa base ma differiscono nella componentistica: entrambe hanno un telaio in cui è stata mantenuta la struttura a traliccio ma sono stati eliminati quasi tutti gli elementi forgiati, come già sulla versione 796; diverse invece sono le sospensioni. La 1100 monta una forcella Marzocchi a steli rovesciati di 50 mm Ø con regolazione del precarico molla, del freno in estensione e in compressione. Al posteriore, il forcellone monobraccio con leveraggi che - contrariamente al solito - spingono dall’alto, è controllato da un ammortizzatore Sachs, esso pure interamente regolabile. È Marzocchi con steli di 50 mm Ø anche la forcella della SP ma qui le canne sono più lunghe, hanno un trattamento antiattrito DLC di colore nero e l’escursione è maggiore di 30 mm, mentre l’ammortizzatore è Öhlins con serbatoio separato, pluriregolabile e con interasse regolabile.

Il motore è il bicilindrico a L due valvole Desmodue 1100 Evoluzione. In questa versione i carter sono pressofusi sotto vuoto con la stessa tecnologia Vacural utilizzata in Superbike e questo ha permesso di aumentarne la resistenza e ridurne il peso. Sono stati risparmiati ben 5,2 kg, mentre le modifiche alle testate hanno fatto guadagnare 5 CV: nuovi condotti di aspirazione, nuove camere di combustione e nuove camme con una maggiore alzata. Grazie al miglioramento della combustione, unito all’aumento della compressione, è stato possibile passare all’accensione con una sola candela per cilindro. Riprogettato anche il circuito di lubrificazione, ed è stato adottato un radiatore dell’olio con una superficie maggiore dell’85%. Sempre nell’ottica di riduzione del peso, la Hypermotard monta volani e un gruppo alternatore alleggeriti. Disponibile come optional anche il kit di potenziamento Performance montato sulla SP del nostro test: centralina, scarico e coperchio cassa filtro per un aumento di quasi 5 CV. A differenza della 796 la Hypermotard 1100 monta una frizione a secco, priva di sistema antisaltellamento. Il sistema di scarico 2-1-2 è dotato di due sonde lambda. Per quel che riguarda i freni, all’anteriore sono montati due dischi di 305 mm Ø, con pinze Brembo a 4 pistoncini, quelle della SP sono monoblocco. Al posteriore c’è un disco di 245 mm Ø. Sulla SP ci sono pure cerchi Marchesini in lega forgiati, più leggeri, e pneumatici Pirelli Diablo Supercorsa SP, mentre la “base” monta Pirelli Diablo Rosso. Rispetto al precedente modello sono cambiati anche i blocchetti elettrici, ora dotati di una sicura che protegge il pulsante di avviamento. Nuova anche la strumentazione, uguale a quella introdotta per la prima volta sulla Streetfighter. Il display LCD è ben leggibile e fornisce un mucchio di dati ma per il carburante c’è solo la spia della riserva. Ci si può consolare col cronometro, o col sistema di acquisizione dati, optional.


Identikit
  • Motore
  • Due cilindri a L, quattro tempi, raffreddato ad aria. Cilindrata 1078,6 cm3. Alesaggio e corsa 98 x 71,5 mm. Rapporto di compressione 11,3:1. Distribuzione desmodromica monoalbero a camme in testa comandata da cinghie dentate, due valvole per cilindro. Alimentazione a iniezione elettronica Siemens con corpi farfallati di 45 mm Ø. Lubrificazione forzata a carter umido. Avviamento
  • Trasmissione
  • Primaria a ingranaggi, finale a catena. Frizione multidisco a secco con comando idraulico. Cambio a sei rapporti.
  • Ciclistica
  • Telaio a traliccio in tubi d’acciaio. Sospensioni: anteriore forcella pluriregolabile Marzocchi a steli rovesciati di 50 mm Ø ( con trattamento DLC), corsa ruota 165 (195) mm; posteriore forcellone monobraccio con leveraggi progressivi e un ammortizzatore Sachs ( Öhlins) pluriregolabile, corsa ruota 141 (156) mm. Freni: anteriore due dischi semi flottanti di 305 mm Ø con pinze ( monoblocco) ad attacco radiale a quattro pistoncini; posteriore un disco di 245 mm Ø con pinza a due pistoncini. Pneumatici: anteriore 120/ 70- ZR17”; posteriore
  • Dimensioni
  • Interasse 1.455 ( 1.465) mm, lunghezza 2.120 ( 2.130) mm, altezza 1.155 ( 1.185) mm, altezza sella 845 (875) mm. Inclinazione cannotto 24-. Serbatoio 12,4 litri.

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