        Deniz Oncu ha provato cosa voglia dire guidare una Moto2, nella fattispecie allestita dal team KTM Ajo, che usa telai Kalex e si affida ai propulsori Triumph forniti a ogni compagine iscritta al mondiale. Il turco, dopo stagioni di Moto3 per cui contare 13 podi e 3 vittorie, entra in una categoria che vide in azione il connazionale Kenan Sofuoglu. Immaginiamo che l'allievo desideri fare meglio del maestro. Da Ducati a Honda: Zarco si guarder&agrave; indietro o penser&agrave; solo alla RC213 V? Sofuoglu in Moto2, pi&ugrave; "no" che "s&igrave;: meglio la Supersport Assoluto asso in Supersport, cos&igrave; cos&igrave; in Moto2. Kenan prov&ograve; entrambe le cateorie di mezzo iridate, rispettivamente Supersport derivata di serie e Moto2 "prototipale". S&igrave;, tra virgolette, perch&eacute; il motore Honda non era altro che un surrogato del CBR 600, anzi, forse dotato di qualche cavallo in meno. Mentre nell'ambito a lui congeniale Sofuoglu ha vinto 43 gare valevoli di 5 corone, nel paddock cugino &egrave; salito sul solo podio di Assen, 2011, l'Universit&agrave; delle due ruote. Le top ten furono tre, diciassettesima posizone finale di classifica. C'&egrave; chi ha fatto molto peggio, eppure continua a figurare in Moto2. Lui no, voleva tornare subito al vertice. Parentesi SBK poco soddisfacente - episodio da raccontare: in Portogallo "fece cambio" con il parimarcaa box Johnny Rea, lasciandogli la 1000, riprendendosi la 600. Il team Ten Kate non fu pi&ugrave; lo stesso - a lui piacevano modelli poco condizionati da elettroniche sofisticate e gomme complicate. Il resto &egrave; storia.  Deniz Oncu meglio del gemello Can in Moto3 Chi pu&ograve; dimenticare Can Oncu e l'imposizione improvvisa&nbsp; compiuta nella Moto3 di Valencia 2018, unico Gran Premio sinora firmato dal gemello, oggi in Supersport?! Qualcuno ha imputato il fantastico risultato frutto delle bizzarre condizioni meteo, per&ograve; &egrave; giusto dire che tali condizioni erano uguali per tutti, avversari pi&ugrave; esperti e titolari di classe inclusi. Nel 2019, invece, Can and&ograve; oggettivamente malino. Trentunesimo nella tabella riepilogativa, punti presi in tre occasioni, infortuni a condizionare e caricare aspettative al di sopra delle garanzie. Il cambio di ambiente fu da lui voluto e, forse, pure necessario. Con la Kawasaki Ninja Puccetti &egrave; riuscito a farsi valere, sperando che abbia risolto i postumi dell'infortunio costatogli una bella somma di intervento chirurgico. Il contrario, per il momento, di quanto fatto da Deniz, nato esattamente il giorno 26 luglio 2003 ad Alanya, Turchia. La entry class lo ha visto protagonista, tanto da promuoverlo in Moto2. Le gomme Pirelli sono piaciute all'Oncu "prototipale", chiss&agrave; se far&agrave; meglio di Kenan Sofuoglu, precisando quanto segue: Deniz &egrave; legato a KTM, una Casa che corre in tutte le classi mondiali. All'epoca, Kenan partecip&ograve; con Technomag CIP, che disponeva di telaio Suter. Oncu ha dalla sua diversi vantaggi, per un percorso delineato. Anche perch&eacute;, appena dopo, si parlerebbe di MotoGP...        

L'allievo Deniz affronta la classe intermedia, che vide maestro Kenan una sola volta sul podio. Riuscir&agrave; il gemello di Can a sventolare la bandiera nazionale?

Laddove Sofuoglu fallì: Oncu, turco che sfida la Moto2

        Man mano che il motociclismo &egrave; diventato uno sport sempre pi&ugrave; sicuro, con vie di fuga pi&ugrave; ampie nei circuiti, caschi e tute volte ad una protezione ancora pi&ugrave; totalizzante, le carriere dei piloti hanno cominciato ad allungarsi. Fino ad arrivare a superare addrittura i 40 anni, una soglia anagrafica decisamente importante e non raggiungibile da tutti. Anche per un discorso legato alla motivazione. &nbsp; Il primo pilota che viene in mente parlando di longevit&agrave; &egrave;, ovviamente, Valentino Rossi. Il Dottore &egrave; arrivato appena ragazzino nel Mondiale, nel 1996, e ha optato per il ritiro nel 2021, al termine della sua ventesima stagione di MotoGP. All&rsquo;et&agrave; di 42 anni, con nove titoli vinti, il pesarese ha deciso di porre fine alla sua carriera sulle due ruote, per poi raddoppiarle. Perch&eacute; come aveva detto lui stesso durante la conferenza in cui annunciava il ritiro: &ldquo;Sar&ograve; per sempre un pilota&rdquo;. Detto, fatto. &nbsp; Se guardiamo all&rsquo;et&agrave; anagrafica, il secondo pilota pi&ugrave; vecchio ad aver corso in MotoGP &egrave; l&rsquo;americano Colin Edwards. Il suo ritiro risale al 2014, quando aveva 40 anni ed era alla sua stagione numero 12 di MotoGP. Ha guidato molte moto in questo lasso di tempo: Aprilia, Honda, Yamaha, Suter (nel regolamento CRT) e FTR Kawasaki. Il suo miglior risultato &egrave; stato il quarto posto iridato, nel 2005, con Yamaha e il suo ultimo podio risale al 2011, a Silverstone, sempre con la moto della Casa di Iwata. &nbsp; Ha lasciato la MotoGP nel 2005, a 34 anni, dopo otto anni di top class, Max Biaggi, ma ha certamente lasciato il segno. Il romano &egrave; stato grande protagonista sia nei quattro anni in 500 sia nel successivo periodo in MotoGP dove &egrave; stato il primo rivale di Valentino Rossi. Due anni dopo ha ritrovato la giusta dose di motivazione in Superbike, dove ha vinto altri due titoli (2010-2012), ritirandosi poi all&rsquo;et&agrave; di 41 anni. Ancora oggi l&rsquo;ultimo titolo iridato vinto da un italiano in SBK &egrave; il suo. &nbsp; Aveva 38 anni, invece, Loris Capirossi quando si &egrave; ritirato dalla MotoGP. &Egrave; ancora oggi il pilota pi&ugrave; giovane ad aver vinto il titolo della classe cadetta, all&rsquo;epoca 125, nel 1990 e dopo essersi ripetuto l&rsquo;anno successivo, e aver lasciato il segno anche in 250, il romagnolo &egrave; approdato nella top class nel 2002. Qui &ldquo;Capirex&rdquo; ha passato dieci anni, facendo la storia di Ducati con la vittoria della prima gara l&rsquo;anno successivo, e calcando il gradino pi&ugrave; alto del podio altre sei volte. Ha successivamente passato tre anni in Suzuki ed &egrave; tornato alla guida di una Ducati, del team Pramac, per appendere il casco al chiodo. Non prima di onorare Marco Simoncelli, a Valencia, correndo con il suo numero, il 58. &nbsp;  Nel corso del suo 15esimo anno di MotoGP, nel suo Gran Premio di &ldquo;casa&rdquo; Andrea Dovizioso ha deciso di chiudere a Misano la sua carriera. Il forlivese ha avuto un ruolo importante nello sviluppo della Ducati Desmosedici GP, con cui ha corso otto stagioni significative, vincendo 14 gare e lottando contro Marc Marquez. Prima e dopo ha guidato anche moto giapponesi, rispettivamente Honda e Yamaha, e a 36 anni ha deciso di lasciare i panni del pilota professionista. Qualche mese dopo &egrave; stato nominato MotoGP Legend e oggi si diverte, sempre con le due ruote, ma questa volta le gomme sono tassellate. &nbsp; E oggi chi &egrave; il pilota pi&ugrave; anziano in pista?La griglia di partenza della MotoGP attuale &egrave; decisamente giovane, grazie al cambio generazionale che c&rsquo;&egrave; stato negli ultimi anni. Il pi&ugrave; giovane nel 2024 sar&agrave; Pedro Acosta, che approda nella top class ancora diciannovenne, ma con gi&agrave; due titoli iridati conquistati. Il pi&ugrave; &ldquo;anziano&rdquo;, invece, sar&agrave; Aleix Espargar&ograve;, il pilota ufficiale Aprilia. Classe 1989, il prossimo 30 luglio compir&agrave; 35 anni e recentemente ha dichiarato di voler correre ancora per qualche anno. E con i suoi 15 anni gi&agrave; trascorsi in MotoGP &egrave; gi&agrave; uno dei pi&ugrave; longevi della classe. Calendario MotoGP 2024       

Con il passare degli anni il motociclismo &egrave; cambiato e anche le carriere si sono via via pi&ugrave; allungate, fino a oltrepassare anche i 40 anni&hellip;

Statistiche sulla longevità: i piloti con la carriera più lunga in MotoGP

        Andrea Iannone &egrave; tornato! Sebbene la squalifica scadr&agrave; il prossimo 17 dicembre, il pilota di Vasto ha potuto prendere parte alla due giorni di test di Jerez con il team GoEleven grazie alla deroga sui test privati nei due mesi precedenti alla scadenza della squalifica. I tempi fatti registrare da Andrea Iannone sono stati subito molto interessanti, tanto da chiudere la due giorni di test con un ottimo 1&rsquo;39&rdquo;335 che gli sarebbe valso la dodicesima posizione in Superpole scattando tra Michael Ruben Rinaldi e Danilo Petrucci. TEST JEREZ, BAUTISTA TRA ZAVORRA E MOTOGP: "7 CHILI SI SENTONO, A SEPANG SENZA OBIETTIVI" La velocit&agrave; non manca Andrea Iannone &egrave; uno di piloti italiani pi&ugrave; talentuosi degli ultimi dieci anni, a dirlo sono i risultati che ha raccolto prima in Moto2 dove ha spesso duellato con Marc Marquez, riuscendo a vincere gare sia con la Suter che con la SpeedUp prima di passare in MotoGP, dove ha interrotto il digiuno di vittorie di Ducati nella top class. La squalifica arrivata nel 2019 ha interrotto la carriera del pilota di Vasto che oggi a 34 anni riparte dalla SBK in cerca di riscatto. In questo periodo di stop Iannone aveva girato da prima con una Aprilia RSV4 1100 e poi, scaduto il contratto che lo legava ad Aprilia, con una Panigale V4 S. Iannone si &egrave; sempre sentito un pilota ed ha continuato a curare il proprio corpo con l&rsquo;obiettivo di arrivare pronto alla fine della squalifica. Durante la prima presa di contatto con la Panigale V4 R SBK del team GoEleven, Andrea &egrave; stato subito veloce, non solo sul giro veloce ma anche come ritmo mostrato nei run fatti con la gomma &ldquo;da gara&rdquo;. Nessun vero e proprio long run ma tanti giri (69, come Michael Ruben Rinaldi e Valentine Debise) e scendendo nel pomeriggio in diversi passaggi consecutivi in 1"40, un passo non lontano da quello dei primi nelle gare dello scorso weekend. Non male per un pilota fermo da 4 stagioni ed alla prima assoluta su una vera e propria SBK. Quando Danilo Petrucci lo scorso gennaio, proprio qui a Jerez, prov&ograve; per la prima volta la Panigale V4 R WorldSBK dopo aver gi&agrave; corso una stagione con quella, molto simile, del MotoAmerica si ferm&ograve; ad un buon 1&rsquo;39&rdquo;790 a quasi 1&rdquo;2 da Toprak Razgatlioglu. In questi test Iannone &egrave; gi&agrave; riuscito ad avvicinarsi ai tempi dei top rider tanto che dista solo 8 decimi dal tempo di Remy Gardner, capace addirittura sotto il tempo della pole di Bautista. Per Iannone sar&agrave; un lungo inverno di preparazione al debutto a Phillip Island dove storicamente &egrave; sempre andato forte e sognare per lui, dopo questi quattro difficili anni, &egrave; possibile.  SBK, IANNONE: "QUANTO OTTENUTO NON &Egrave; SCONTATO, MAI PERSA LA MENTALIT&Agrave; DA PILOTA"       

L&rsquo;ex MotoGP &egrave; finalmente tornato in pista dopo lo stop di 4 anni per doping segnando tempi non lontani dai riferimenti dei top rider della Superbike

SBK: Iannone subito veloce ma la strada è ancora lunga

        Dopo sette stagioni in MotoGP e diciannove podi conquistati, Johann Zarco in Australia &egrave; finalmente riuscito a salire sul gradino pi&ugrave; alto del podio. Dopo svariati tentativi e ben undici piazzamenti in seconda posizione, il francese ha cos&igrave; colto la sua pi&ugrave; che meritata prima affermazione in top class, a coronamento di un percorso che per la verit&agrave; l'ha sempre visto protagonista, aspettando tuttavia una crescita esponenziale ed un salto di qualit&agrave; che non sono mai arrivati, sebbene le alte aspettative derivanti dopo i due titoli mondiali conquistati in modo prepotente, sportivamente parlando, in Moto2, lo lasciassero presagire. Pilota classe 1990, Zarco &egrave; stato uno degli ultimi vincitori di un GP della "125", nel 2011, annata che concluse da vice-campione del mondo alle spalle di Nicolas Terol.&nbsp; MotoGP: nuova operazione per Alex Rins, niente Thailandia per lui Il dominio in Moto2 Nel 2012 Zarco fece il suo debutto in Moto2 cogliendo il primo podio nella stagione seguente in occasione del GP d'Italia. Due annate dopo, nel 2015, il francese comp&igrave; quel decisivo salto di qualit&agrave; che gli consent&igrave; di lottare per la vittoria nelle gare e per il titolo. In sella alla Suter, Zarco domin&ograve; il campionato salendo per ben quattordici volte sul podio (di cui dodici consecutive), e trionfando in otto occasioni, a conferma di un dominio assoluto in cui batt&egrave; la concorrenza di Alex Rins ed Esteve Rabat. L'anno seguente il francese rest&ograve; nella middle class, confermando il suo status di riferimento indiscusso della categoria e imprimendo nuovamente la sua legge affermandosi in sette GP e avendo la meglio a fine anno su Thomas Luthi, Alex Rins e Franco Morbidelli. Grazie al secondo titolo della sua carriera Zarco divenne l'unico pilota della storia della Moto2 a ripetersi per due anni consecutivi, mentre l'ultimo a bissare il successo iridato nella middle class del motomondiale era stato Jorge Lorenzo nel biennio 2006-2007, nella classe "250". Le aspettative mancate in MotoGP Il biglietto da visita di Zarco in MotoGP fu perci&ograve; caratterizzato da un'allettante palmar&egrave;s che di concerto ad un cristallino talento emerso sin dalla Moto3, faceva immaginare ad un futuro da protagonista anche tra i grandi. Nella stagione da rookie con il team Yamaha Tech3, Zarco fece subito vedere tutto il suo talento, applicando in maniera efficace la sua guida pulita e scorrevole anche nella top class, riuscendo a cogliere il podio gi&agrave; alla quinta gara, terminando il GP di casa di Le Mans alle spalle di Maverick Vinales e davanti a Daniel Pedrosa. Per molti aspetti legati alle caratteristiche di guida e al momento storico nel quale &egrave; avvenuto, il binomio con la Yamaha &egrave; stato il pi&ugrave; calzante della carriera del pilota di Cannes; il feeling con la M1 fu subito produttivo ed efficace anche se la presenza dei fantastici quattro 4 (Lorenzo, Pedrosa, Rossi e Marquez) chiuse pi&ugrave; volte le porte al definitivo exploit del francese.&nbsp; Dopo una breve e complicata parentesi dal punto di vista di prestazioni e risultati alla corte della KTM, nel 2020 il francese pass&ograve; alla Ducati, cogliendo, l'anno successivo, la sua miglior stagione in top class tra le file del team Pramac. Zarco termin&ograve; l'annata con quattro podi e la quinta posizione in campionato, dimostrando una buona regolarit&agrave; di rendimento e soprattutto una spiccata abilit&agrave; da collaudatore di cui Ducati &egrave; riuscita a far tesoro, riconoscendogli da sempre queste capacit&agrave;. Come detto, per anni Zarco &egrave; riuscito a mantenersi al vertice della MotoGP, dimostrandosi per&ograve; non all'altezza dell'abbattimento di quella barriera che l'ha sempre separato dall'essere un top rider e di conseguenza un contendente al titolo. La vittoria di Phillip Island ha restituito in piccola parte quella mole di gloria per certi versi dovutagli in virt&ugrave; di una carriera portata avanti grazie ad uno tra i talenti pi&ugrave; evidenti dell'ultimo decennio, ma mai concretizzatasi fino in fondo.  Possibile che Honda ancora non sappia chi far&agrave; coppia con Mir?        

Alla sua settima stagione in top class, il pilota francese in Australia ha conquistato la prima vittoria di categoria

MotoGP: Johann Zarco, da grande promessa ad eterno incompiuto?

        Non ci sono pi&ugrave; dubbi, tra Honda e l&rsquo;azienda giapponese &egrave; nata una collaborazione che punter&agrave; a produrre un telaio performante per riportare la HRC alla vittoria. Fondamentale &egrave; stata la scelta di integrare nel proprio organico Ken Kawauchi, mentore della Suzuki, che sta cercando di dare quel qualcosa in pi&ugrave; alla squadra del Sol Levante e che probabilmente ha spinto il team verso la decisione di puntare su Kalex.  Kalex, cos&rsquo;&egrave;? La Kalex &egrave; una azienda tedesca con sede a Bobingen che fonda le sue radici nel 2008, anno in cui Klaus Hirsekorn e Alex Baumg&auml;rtel (Klaus Alex, l&rsquo;origine del nome) decidono di intraprendere questa avventura. Entrano nel motomondiale prima con qualche apparizione sporadica in Moto3, poi a pieno regime in Moto2 nel periodo in cui l'organizzatore del motomondiale scelse di attuare un cambio radicale alla Moto2 introducendo un regime di monogomma e motore unico. Grazie alla vittoria del primo titolo mondiale nel 2011 con Stefan Bradl e il team Viessmann Kiefer Racing, battendo la maggiore concorrente Suter, il telaio Kalex diventa sempre pi&ugrave; un eccellenza venendo conseguentemente scelto da diversi team della Moto2 fino ad arrivare ad oggi che occupa la maggiore parte della griglia. L&rsquo;azienda tedesca fino ad ora ha conquistato ben 114 vittorie nel Campionato del mondo Moto2 e vincendo 14 titoli, cos&igrave; affermandosi come leader in questo settore.  Nell'immagine il telaio usato in Moto2 Perch&eacute; Honda ha scelto Kalex: le caratteristiche del famoso telaio Il successo del prodotto della Kalex deriva dal fatto che quest&rsquo;ultimo si adatta molto ad ogni situazione di gara, come spiega anche Luthi (ex pilota di Moto2) a PaddockGP paragonandolo a quello Suter: &ldquo;Se trovi una messa a punto del telaio perfetta o quasi perfetta sulla Suter, allora la moto &egrave; davvero fantastica. Se per&ograve; hai una brutta giornata con i settaggi della Kalex puoi sempre salire sul podio, ma se hai una brutta giornata con le impostazioni della Suter allora dovresti lottare anche solo per essere tra i primi 10. Trovare questa configurazione &egrave; dannatamente difficile.&ldquo;  Insomma: versatilit&agrave;. Questo il motivo principale per cui oggi maggior parte del paddock della classe intermedia &egrave; marchiata Kalex, e anche per questa ragione Honda si affida all&rsquo;azienda. &Egrave; molto raro che il team giapponese produca o faccia produrre componenti fuori dal Giappone, ma essendo gi&agrave; entrati in contatto, le due realt&agrave;, la scorsa stagione, come dimostra l'impiego di forcelloni Kalex sulla moto Honda utilizzata nei test di Misano a settembre, la casa dell'ala ha voluto riporre di nuovo le speranze nell&rsquo;azienda tedesca per cercare di tornare competitivi. MotoGP, Marquez salta Austin. Quando lo rivedremo in pista? Cosa spera di migliorare Honda? I problemi del prototipo derivano per lo pi&ugrave; da mancanza di trazione e difficolt&agrave; nell'adattarsi alle gomme Michelin: questi sono i sintomi pi&ugrave; evidenti della crisi in cui versa la Honda in MotoGP. Quindi l'obiettivo di questa partnership &egrave; - ovviamente - quello di tornare a vincere, ma facendolo grazie ad una ciclistica pi&ugrave; versatile, ampliando cos&igrave; il range prestazionale.&nbsp;Ad oggi &egrave; molto ristretto per le 4 cilindri RCV.        

La casa giapponese ha un bisogno disperato di tornare competitiva questo l'ha spinta a rivolgersi ad un azienda esterna per la costruzione del telaio

Kalex e Honda unite da un telaio: il perché di una scelta

        Dalle gare al cliente. &Egrave; questo il concetto dietro la sigla GYTR (Genuine Yamaha Technology Racing). Un progetto che si sviluppa in diverse direzioni: da una parte ci sono gli accessori dedicati a chi va in pista, pensati e progettati esclusivamente per migliorare le prestazioni delle loro Yamaha (R3, R7, R6 e R1). The Test: la prova della BMW S 1000 RR I kit GYTR   Dall&rsquo;altra ci sono i Pro Shop, una rete di punti vendita racing, che oltre a fornire l&rsquo;intera gamma dei prodotti GYTR, si occuper&agrave; del montaggio (attualmente sono quattro in tutta Italia, presto diventeranno sei). Il vantaggio proposto dalla Yamaha, in effetti, &egrave; interessante: offrire ai clienti la possibilit&agrave; di preparare la propria moto da pista con componenti sviluppati direttamente dall&rsquo;azienda, non dovendo cos&igrave; rivolgersi altrove. Compri la moto gi&agrave; preparata da pista, con un kit sviluppato direttamente dalla Yamaha, con l&rsquo;aiuto dei suoi piloti (Niccol&ograve; Canepa e colleghi). Niente male, anche considerata l&rsquo;attitudine sempre pi&ugrave; sportiva delle carenate con i semimanubri. E a proposito di kit: si possono acquistare i singoli componenti racing (che comprendono davvero di tutto, dallo scarico alle sospensioni, passando per freni, motore, elettronica, eccetera) oppure dei kit preconfezionati, offerti direttamente dalla Yamaha. Sono tre per ciascuna sportiva, in ordine di prezzo: Trackday, Evo e Pro. Sul sito web Yamaha ci sono in dettaglio i prezzi di ciascun kit per ciascuna moto e i dettagli delle componenti montate. Sull&rsquo;incredibile circuito del Paul Ricard, a Le Castellet, nel sud della Francia, abbiamo provato, in ordine di cavalleria, R7, R6 e R1, sia in versione standard che con kit GYTR, per capire fin dove &egrave; possibile arrivare montando i componenti GYTR. Nel caso della 600 si tratta della R6 Race, una R6 standard non omologata per l&rsquo;utilizzo su strada. La Yamaha R7  Partiamo guidando la R7, la meno potente del gruppo e anche l&rsquo;ultima arrivata (&egrave; stata presentata l&rsquo;anno scorso); in questo caso, &egrave; equipaggiata con una serie di componenti per un valore di circa 7000 Euro. Un kit che non stravolge la guida ma la migliora nei punti deboli. La R7 di serie &egrave; gi&agrave; un&rsquo;ottima compagna di cordoli, se parliamo di velocit&agrave; di percorrenza e bont&agrave; della ciclistica, per&ograve; la GYTR &egrave; una vera moto da corsa. La ciclistica &egrave; ancora migliore: l&rsquo;avantreno non &ldquo;ciondola&rdquo; se si frena fino a centro curva e il retrotreno &egrave; imperturbabile. Anche i freni sono decisamente migliori in ogni ambito (feeling, potenza, resistenza alla fatica), mentre il motore &egrave; giusto un po&rsquo; pi&ugrave; &ldquo;sveglio&rdquo;. &Egrave; un bicilindrico che diverte ma non emoziona: spinge sempre allo stesso modo, a partire dalla zona bassa del contagiri. Si tratta di un modello sportivo che, a fronte di pochissimo impegno fisico, pu&ograve; regalare badilate di divertimento, anche a piloti esperti. Questo, grazie alla sua incredibile velocit&agrave; di percorrenza (si frena poco e per poco tempo, favorendo la scorrevolezza a centro curva). C&rsquo;&egrave; cos&igrave; il tempo per concentrarsi su traiettorie, posizione in sella, punti di staccata, cosa che invece non avviene con le moderne sportive di 1000 cm3. Con questo kit, la R7 pu&ograve; seriamente trasformarsi da moto per imparare a moto con cui guardare il cronometro. Passa alla prossima pagina &nbsp; Il turno della R6  Dopo un paio di turni &egrave; gi&agrave; il momento di entrare con la R6, sportiva di un altro livello, se parliamo di prestazioni motoristiche. La potenza &egrave; decisamente superiore e le velocit&agrave; in gioco cominciano a richiedere un utilizzo pi&ugrave; intensivo dei freni. Che tuttavia, nel caso della GYTR, sono ben felici di rispondere ai comandi: come per la R7, anche sulla R6 l&rsquo;impianto GYTR consente di togliere vagonate di km/h in pochi metri, e per molti giri. L&rsquo;impianto di serie, invece, alza bandiera bianca dopo pochi giri e risulta sempre un po&rsquo; spugnoso. Il propulsore non &egrave; particolarmente pi&ugrave; potente dell&rsquo;originale ma con lo scarico aperto del kit (Akrapovic) &egrave; decisamente pi&ugrave; libero di respirare e di spingere gi&agrave; dai regimi intermedi (la R6 di serie spinge esclusivamente agli alti regimi). Rimane comunque una moto non facile da portare al limite tra i cordoli: occorrono polso e cuore per sfruttare tutta la sua incredibile stabilit&agrave; in frenata e in ingresso curva, oltre alla naturale propensione del motore a girare alto. Una moto stabile, rigida, leggera e che ama urlare a squarciagola tutta la sua cavalleria; nella versione GYTR &egrave; estremamente efficace e, paradossalmente, pi&ugrave; facile da far andare forte (grazie soprattutto al motore pi&ugrave; in forma nella zona intermedia). Ci sarebbe piaciuto avere un quickshifter bidirezionale (quello montato &egrave; attivo soltanto a salire), considerato che, equipaggiata con questo kit, la R6 arriva a costare all&rsquo;incirca 25.000 Euro. Passa alla prossima pagina &nbsp; Infine, tocca alla R1  La R1 &egrave; gi&agrave; di serie una sportiva di altissimo livello. Guidando la versione standard, sono davvero poche le cose che un amatore, anche veloce, potrebbe chiedere di migliorare. L&rsquo;impianto frenante, probabilmente, che nel caso della moto di serie non &egrave; molto incisivo e dopo pochi giri tende ad alzare bandiera bianca. Un vero peccato, che per&ograve; si pu&ograve; facilmente risolvere con (guarda un po&rsquo;?) il kit GYTR. In questo modo, il fading &egrave; scongiurato. Anche i semimanubri, di serie un po&rsquo; troppo chiusi e orientati verso il basso, qui si possono regolare con facilit&agrave; e aprire quanto serve per avere il miglior controllo. In generale, mantiene le eccellenti doti della R1 standard, portandole per&ograve; a un livello decisamente pi&ugrave; alto. Per esempio, la sua grande trazione in uscita di curva, sulla GYTR &egrave; ulteriormente accentuata. Stesso discorso per la ciclistica, che rimane intuitiva, nonostante sia decisamente pi&ugrave; rigida (soprattutto al posteriore). Dopo aver guidato diverse moto da corsa, confermiamo che non &egrave; facile aumentare le prestazioni senza perdere equilibrio. Il motore in questo caso &egrave; quello originale (nel catalogo GYTR ci sono anche i pistoni da corsa alleggeriti e la frizione antisaltellamento Suter), che per&ograve; &egrave; &ldquo;libero&rdquo; di respirare come si deve grazie allo scarico e al kit centralina, e migliora la spinta ai medi regimi, avvicinandosi alle migliori sportive 1100 (Ducati e Aprilia). Forse ci saremmo aspettati qualcosa di pi&ugrave; in allungo ma siamo sicuri che scorrendo la lista degli accessori-motore GYTR si possa porre rimedio&hellip;Decisamente migliore anche la protezione offerta dal cupolino, mentre sulla standard &egrave; un po&rsquo; scarsa, soprattutto se superate il metro e ottanta. The Test: Kawasaki Versys 650, che salto di qualit&agrave;       

Il programma GYTR consente di elaborare la propria Yamaha come quella di Razgatlioglu, budget permettendo. Ecco la nostra prova al Paul Ricard

The Test: Yamaha GYTR, dalle corse ai clienti

        Nel 2023, Honda torner&agrave; a tempo pieno nel Mondiale Supersport grazie al team MIE Racing, squadra che in Superbike schierer&agrave; i gi&agrave; annunciati Eric Granado e Hafizh Syahrin. La compagine di Midori Morowaki si unir&agrave; invece al team MS Racing per la classe intermedia, dove a salire in sella alle due Honda CBR600RR saranno due piloti gi&agrave; noti a livello internazionale: Tarran Mackenzie e Adam Norrodin. Una grande sfida per &ldquo;Taz&rdquo;  Tra i nomi dei due piloti (resi noti dalla stessa Honda in occasione della presentazione dei piani sportivi globali del 2023) spicca sicuramente quello di Tarran Mackenzie, campione 2021 del British Superbike di cui &egrave; diventato un vero e proprio specialista negli ultimi anni con la Yamaha McAMS e pi&ugrave; volte vicino all'approdo in SBK. Per lui si tratter&agrave; di una sfida stimolante, con una moto ben diversa dalla R1 senza aiuti elettronici che era abituato a guidare nel BSB. Il figlio dell'ex pilota Niall Mackenzie torner&agrave;&nbsp;su una 600 per la prima volta dal 2017, anno in cui corse nel Mondiale Moto2 con la Suter del team Kiefer Racing prima di passare alle 1000 e trovare la propria dimensione. Tuttavia, a &ldquo;Taz&rdquo; non manca sicuramente il talento e, se la CBR dovesse rivelarsi competitiva come accade gi&agrave; su strada e nei campionati asiatici, potrebbe diventare un avversario pericoloso per tutti. Il peggio &egrave; passato: Laverty &egrave; tornato a casa dopo l'infortunio Ritorno nel panorama mondiale per Norrodin  Al fianco del pilota scozzese ci sar&agrave; Adam Norrodin, centauro malese dai trascorsi nel Motomondiale in cui ha corso in Moto3 dal 2016 al 2018 e in Moto2 nella seconda parte del 2019. Nelle ultime stagioni &egrave; tornato in Asia correndo nell'ARRC (Asia Road Racing Championship) tra Supersport e ASB1000, ma nel 2023 potr&agrave; ricalcare il palcoscenico mondiale provando cos&igrave; a rilanciare la propria carriera. CIVS, calendario 2023: info, date e novit&agrave; della prossima stagione       

Lo scozzese, campione 2021 del British Superbike, correr&agrave; con la CBR600RR del team di Midori Moriwaki. Al suo fianco ci sar&agrave; il malese Adam Norrodin

Tarran Mackenzie punta di diamante del team MIE Honda in Supersport

        Proprio come le moto da Cross, anche le Supermotard sono in continua evoluzione. Si tratta di prodotti dedicati all&rsquo;uso in circuito, dove l&rsquo;unico parametro che conta &egrave; quello prestazionale. Cose di Case: ecco la "piccola" Honda Hornet Le novit&agrave;  Le novit&agrave; introdotte sul nuovo modello KTM 450 SMR sono molte, a partire dal telaio. Il punto di fissaggio dell&rsquo;ammortizzatore migliora la stabilit&agrave; sul dritto tramite un sistema &ldquo;anti squat&rdquo;, che assicura una migliore accelerazione. Le pedane sono state montate in posizione pi&ugrave; interna e il telaietto posteriore, realizzato in alluminio e rinforzato in poliammide &egrave; molto pi&ugrave; resistente. Le piastre della forcella in alluminio sono fresate CNC; questa soluzione aumenta la superficie di contatto con i foderi della forcella. Il nuovo forcellone in alluminio pressofuso, l&rsquo;inedito perno ruota posteriore da 22 mm &Oslash; e l&rsquo;ammortizzatore WP XACT di ultima generazione promettono un migliore feeling nell&rsquo;uso al limite dell&rsquo;aderenza. La forcella AER con steli da 48 mm &Oslash; &egrave; dotata di funzioni di smorzamento divise e di ghiere per la regolazione che non richiedono utensili. Anche l&rsquo;ammortizzatore WP XACT si distingue per la stessa praticit&agrave;: pi&ugrave; corto e pi&ugrave; leggero, ma con la stessa escursione di prima, offre caratteristiche di smorzamento professionali. Di serie ci sono la frizione antisaltellamento Suter con pompa idraulica firmata Brembo. L&rsquo;impianto frenante &egrave; composto da un disco anteriore da 310 mm &Oslash;, abbinato a una pinza Brembo a quattro pistoncini; il freno posteriore da 220 mm &Oslash; &egrave; abbinato a una pinza a pistoncino singolo. La KTM 450 SMR 2023 viene equipaggiata con pneumatici Metzeler Racetec SM K1. Motore e cambio  Il nuovo motore SOHC eroga 63 CV a fronte di un peso di poco inferiore ai 27 kg, quasi mezzo chilo in meno rispetto alla versione precedente. Il propulsore &egrave; stato inclinato all&rsquo;indietro e il pignone abbassato di 3 mm. Pankl Racing Systems ha fornito una scatola del cambio a cinque marce con un nuovo rapporto di trasmissione. Un&rsquo;altra caratteristica della nuova 450 SMR &egrave; l&rsquo;inedito quickshifter, per salire di marcia senza frizione. Questa funzione pu&ograve; essere disabilitata tramite l&rsquo;interruttore combinato posto sul manubrio ed &egrave; integrata nel sistema di gestione del motore Keihin, che tra le varie opzioni consente di intervenire sul controllo della trazione e sul launch control, oltre alla possibilit&agrave; di scegliere tra due mappature del motore personalizzabili. La 450 SMR 2023 &egrave; disponibile presso tutti i concessionari KTM, al prezzo di 11.690 Euro (IVA inclusa). Cose di Case: Yamaha Niken e Wonder Italy       

La moto austriaca continua l&rsquo;evoluzione dedicata all&rsquo;uso sull&rsquo;asfalto delle piste

Cose di Case: KTM 450 SMR, sempre più super

        Ricordate questo articolo? B&egrave;, se non lo avevate ancora "sfogliato", siete sempre in tempo, perch&eacute; &egrave; legato alle parole che state leggendo. Pedro Acosta ha risposto alle critiche di coloro lo avessero sottovalutato, conquistando il Gran Premio di Italia del Mugello. La Moto2 ha ora, davvero, un nuovo e reale protagonista. Che stile, Pedrito!   Al di l&agrave; della indiscutibile affermazione - pole position sfiorata, successo in gara con quattro secondi di vantaggio su Joe Roberts - Pedrito ha impressionato per stile in sella. Lo avevamo gi&agrave; notato e scritto, sin dai primi test prestagionali. La Moto2 &egrave; nelle sue mani, forse anche pi&ugrave; della Moto3. Il pilota di Mazarron interpreta al meglio le ostiche gomme Dunlop, gira bene il gas, sfruttando coppia e potenza del propulsore Triumph tre cilindri da 765 centimetri cubi. La KTM - con telaio Kale, ricordiamolo - &egrave; cucita addosso ad Acosta, che lavora sodo con il team Ajo: lo avete mai visto con&nbsp; penna a taccuino degli appunti annotare marce, punti di frenata, sensazioni e velocit&agrave; in ogni singolo tratto del circuito in questione? Marc Marquez scansati!  Taglando il traguardo in testa, Acosta ha realizzato una cosa meravigliosa, capace di riscrivere le statistiche della Moto2: se prima il record di precocit&agrave; apparteneva a Marc Marquez, da ieri &egrave; firmato da Pedro. L'otto volte iridato vinse a Le Mans nel 2011 con la Suter equippaggiata da Honda CBR 600,&nbsp; quando aveva 18 anni e 57 giorni di vita. Il campione in carica della Moto3, invece, essendo nato il 25 maggio 2004, nella domenica del Mugello aveva 18 anni e quattro giorni. Questo &egrave; un dato relativo all'et&agrave;, perch&eacute; il numero 93 si impose in Francia nel suo quarto Gran Premio, mentre il numero 51 era all'ottavo personale. Titolo Moto2 gi&agrave; al debutto per Pedro? Ce la potrebbe fare   Qui non esageriamo, a dimostrazione di come noi, dapprima per&ograve; moderatamente, abbiamo tessuto le lodi di Acosta. Ora che si &egrave; "sbloccato", il diciottenne vincitore del Mugello ha conferito sicurezza e consapevolezza nei propri mezzi, armi che contanto ancor pi&ugrave; dei cavalli vapore. E poi, la classifica malaccio per lui non &egrave;: decimo con 45 punti. D'accordo, Celestino Vietti &egrave; leader a quota 108, ma il piemontese sembra in affanno - non glielo aguriamo, ci basiamo sui recenti risultati - invece Pedro migliora progressivamente. Oltretutto, restano dodici tappe da completare, perci&ograve; i giochi sono apertissimi. La matematica e il talento sono dalla parte della punta KTM. Eccovi le pagelle della Moto2 disputata al Mugello       

Al Mugello, lo spagnolo ha battuto il record di precocit&agrave; della middle class: Marc Marquez ha ora un vero erede

Acosta, il più giovane a trionfare in Moto2: la rivincita di Pedro

        Pur non essendo stato ufficialmente ritirato dalla Dorna, difficilmente rivedremo il numero 46 nel Motomondiale. Al momento sono otto i numeri accantonati: il primo della serie fu, nel 1995, l&rsquo;iconico 34 di Kevin Schwantz, a cui si aggiunsero negli anni Dieci del Terzo Millennio il 74 di Daijiro Kato, il 48 di Shoya Tomizawa, il 58 di Marco Simoncelli e il 65 di Loris Capirossi. Nell&rsquo;ultimo lustro analogo tributo &egrave; stato riservato al 39 di Luis Salom, al 69 di Nicky Hayden e, lo scorso giugno, al 50 di Jason Dupasquier. Quella (s)volta che: Adam Raga, l'altra stella del Trial Il 46 di Goddard  Prima di Valentino l&rsquo;ultimo a impiegare il numero 46 era stato Peter Goddard al GP Australia 1993 della 500, disputato da wild card in sella Suzuki RGV 500 del Team Lucky Strike. Nono in qualifica, l&rsquo;australiano non raccolse nemmeno un punto: l&rsquo;anno precedente, con il 21 sul cupolino, ne aveva totalizzati 18 con la Roc-Yamaha, conquistando un memorabile quinto posto a Donington, anche se a un minuto e quattro secondi dal vincitore, il connazionale Wayne Gardner. Goddard si serv&igrave; del 46 pure nel 1991 con la Yamaha 500 del Team Hayashi, ma anche in quell&rsquo;occasione corse una sola volta, in Giappone, conquistando un punto: giunse infatti 15&deg; a 1&rsquo;23&rdquo; da Schwantz ma precedendo sette colleghi. Ai tempi non tutti i privati avevano una numerazione fissa: per esempio Simon Buckmaster si barcamen&ograve; tra il 36, 37 e 39 e Hans Becker tra 35, 36, 38 e 40. Cos&igrave; in occasione della terza gara stagionale, il GP Usa, il 46 pass&ograve; a Robbie Petersen, schierato dal Team Roberts assieme all&rsquo;altra wild card Rich Oliver che si prese il 97, e agli ufficiali Wayne Rainey e John Kocinski. Dei tre compagni di squadra al traguardo (Kocinski pat&igrave; un high side al settimo giro) Petersen fu il peggiore ma nonostante il doppiaggio subito dal campione in carica giunse 12&deg; e quindi conquist&ograve; quattro punti, i suoi soli nel Mondiale. Da Molenaar a Biaggi  Chi invece nel 1991 esib&igrave; il 46 per l&rsquo;intera stagione fu Arie Molenaar in 125: con la Honda del Team Sharp Samson l&rsquo;olandese disput&ograve; 12 dei 15 GP ma prese punti soltanto nel GP Gran Bretagna, chiuso all&rsquo;11&deg; posto, e al GP Malesia, terminato al 14&deg; posto, entrambi con oltre 45 secondi di distacco da Capirossi. Con i sette punti guadagnati chiuse la stagione al 30&deg; posto e cos&igrave; l&rsquo;anno seguente pass&ograve; al numero 30. Pur guidando un&rsquo;Aprilia, nel Mondiale 1992 non riusc&igrave; per&ograve; mai ad andare in zona punti perch&eacute; proprio quell&rsquo;anno fu deciso di attribuirli soltanto ai primi dieci classificati. Sempre nel 1991, nella quarto di litro il 46 pass&ograve; pi&ugrave; volte di mano. A Le Mans e Donington fu attribuito al britannico Kevin Mitchell (Yamaha) che per&ograve; non incass&ograve; alcun punto. Al GP San Marino, insolitamente disputato al Mugello, il 46 fu invece assegnato a un pilota che, sportivamente parlando, l&rsquo;avrebbe odiato per almeno un decennio. Gi&agrave;, proprio lui, Max Biaggi, che quell&rsquo;anno riusc&igrave; a correre soltanto quattro gare essendo impegnato nel campionato continentale della 250, sempre con l&rsquo;Aprilia: il romano si aggiudic&ograve; il titolo europeo con nove lunghezze di vantaggio sullo svizzero Eskil Suter. Nel Mondiale debutt&ograve; con il 60, poi scese al 58 e infine prese il 46, sempre con le insegne del Team Italia. E proprio con il 46 si piazz&ograve; al 12&deg; posto nel GP sulle colline toscane, a 43 secondi da Luca Cadalora. Serve invece tornare al 1986 per trovare un pilota sul podio nel Mondiale con il 46 prima che Rossi lo facesse diventare un feticcio: teatro il GP Francia della 250, dove tra le wild card c&rsquo;era anche Etienne Quartararo, pap&agrave; di Fabio. A Le Castellet, Dominique Sarron giunse terzo con la Honda NSR 250 a cinque secondi da Carlos Lavado. Due settimane dopo, quando trionf&ograve; a Silvestone, il transalpino era passato al 31. Sempre nel GP Francia della 250, ma del 1982 a Nogaro, Jeffrey Sayle chiuse terzo con il 46 a soli 76 centesimi dal vincitore, Jean-Louis Tournadre. Incredibilmente l&rsquo;ultimo a conquistare un GP con il 46 prima di Valentino era stato il padre Graziano al GP Jugoslavia 1979 della 250 a Rijeka. Quell&rsquo;anno Rossi senior trionf&ograve; anche ad Assen con il 44 e in Svezia con il 47. Quella (s)volta che: &egrave; nato il Parco Ubbiali       

Il numero di Valentino Rossi accompagn&ograve; diversi piloti prima del pesarese, compresi pap&agrave; Graziano e persino... Biaggi

Quella (s)volta che: quando il 46 non era un simbolo

        The 2022 Dakar is now in its final stages and, despite the difficulties week two has brought, Danilo Petrucci has attracted a lot of attention, especially from former Rally Raid names who raced back when it was still known as the Paris-Dakar. We spoke with one of these greats, a motorcycle rider who has won four editions of the world&rsquo;s most famous Rally Raid, Edi Orioli. Edi, what do you think about Danilo Petrucci&rsquo;s performance? &ldquo;I can only congratulate him because I could never have imagined he&rsquo;d be able to run with the leaders right from the first stage. It&rsquo;s all a new experience for him of course and, from what I know, he&rsquo;s not done a lot of race prep in the desert and so he was in for a challenge. I have to say that, for his first race, he&rsquo;s already stood out, up there with the best, and so I can only hope he returns to the Dakar so that we can support an Italian fighting at the front.&rdquo; That&rsquo;s what&rsquo;s so surprising, with Danilo catapulted into the Dakar and doing so well, despite being out of the general classification... &ldquo;He was penalised on day two or three and extracted before rejoining. But in the stages where he&rsquo;s had no issues, he&rsquo;s been up at the sharp end, demonstrating real riding ability. It&rsquo;s very different from what I used to do, just look at the standings, with 2 seconds between first and second. This means that the person starting up front is at a disadvantage, while those starting behind have a better chance of making up time compared to the rider who leads the way. This doesn&rsquo;t mean Petrucci hasn&rsquo;t done well, we&rsquo;ll have to see when there&rsquo;s a navigation stage. He&rsquo;s clearly fast; I didn&rsquo;t know he&rsquo;d previously done MX and enduro and that&rsquo;s obviously helped.&rdquo; Strangely, he&rsquo;s had more problems in week two than during the first. &ldquo;The Dakar is very long and there are many unknowns, things happen and they&rsquo;re not all good. The leaders are up there fighting, you need a lot of experience. I think he should already be pleased with his result. If I have to draw a comparison, the race is very different to what we used to do. This year it&rsquo;s been made even shorter because the specials are all short, while we ran 800 km stages and it was perhaps a little more real. There&rsquo;s GPS, which has messed with the entire navigation system, though the riders still get lost with GPS. It&rsquo;s not got the same appeal as the Dakar of days gone by.&rdquo; But Petrucci now holds the enviable record of being the first rider to win both a MotoGP race and a Dakar stage. &ldquo;No one can take that away from him and I hope he wins future Dakar stages, I&rsquo;ll be very happy if he does.&rdquo; Translated by Heather Watson It&rsquo;s "Petrucci mania": what price is his Suter going for?       

The four-time Dakar winner talks about the Italian&rsquo;s first Rally Road and hopes he&rsquo;s a main player during next year&rsquo;s edition

Exclusive, Orioli on Petrucci: “He’ll be a frontrunner in 2023”

        While Danilo Petrucci takes on the Dakar, and very successfully so far, somebody has decided to sell one of his old bikes. Specifically, the Suter BMW CRT with which he competed several years ago. The Italian&rsquo;s feats in the desert during the 2022 Dakar have amazed us all, the KTM rider proving to be the first ever to win both a MotoGP race and a Dakar stage. And one private collector has decided to take advantage of this &ldquo;Petrucci passion&rdquo; that has broken out among fans and sell his old Ioda Racing Suter BMW CRT. Aboard this black and metallic grey bike, Petrux scored a best result of eleventh at the Catalunya GP. The sale price? The vendor, who is in The Netherlands, is asking for a sum of 60,000 euro, but explains a few details. The collector&rsquo;s ad  In the sales advertisement, we read that the bike has undergone modifications in order to be easier to ride. The engine is not that used by Petrucci, but instead a BMW Superbike Factory complete with Race Kit2 electronic kit. The bike is from 2013 and weighs 147 kg. Interested in buying it? Here&rsquo;s the ad. Translated by Heather Watson MotoGP, a possible substitution? Lecuona in place of Marc Marquez       

On the back of Petrux&rsquo;s recent success in the Dakar, a vendor from The Netherlands has decided to sell the Suter BMW CRT with which the Italian raced in the world championship in 2013

It’s "Petrucci Mania": what price is his Suter going for?

        Mentre Danilo Petrucci &egrave; impegnato alla Dakar (qui i risultati della tappa di oggi) dove sta riscuotendo grande successo, dall'estero c'&egrave; chi ha deciso di mettere in vendita una sua vecchia moto. Nello specifico, si tratta della Suter BMW CRT con la quale correva diversi anni fa. Una moto da 60 mila euro  In questi giorni, le imprese del ternano, impegnato alla Dakar 2022, hanno fatto scalpore, in quanto il pilota KTM &egrave; risultato il primo a vincere sia una gara in MotoGP che una alla Dakar. E c'&egrave; qualcuno, un collezionista privato, che ha deciso di cogliere la &ldquo;passione Petrucci&rdquo; sbocciata nei tifosi e di mettere in vendita la sua vecchia Suter BMW CRT della Ioda Racing. Con questa moto, dai colori nero e grigio metallizzato, Petrux ha ottenuto come miglior risultato un undicesimo posto nel GP di Catalogna, nel Motomondiale ovviamente. Il prezzo di vendita? Il venditore dei Paesi Bassi ha richiesto la cifra di 60 mila euro, spiegando per&ograve; anche alcuni dettagli. L'annuncio del collezionista  Nell'annuncio della vendita, infatti, si legge che la moto ha sub&igrave;to delle modifiche per avere una migliore guidabilit&agrave;: il motore che monta non &egrave; quello che veniva utilizzato da Petrucci, ma al suo posto &egrave; stato messo quello di una BMW Superbike Factory al quale &egrave; stato aggiunto un kit elettronico Race Kit2. La moto &egrave; del 2013 e pesa 147 kg. Interessati all'acquisto? Ecco qui l'annuncio. Dakar, Petrucci in lacrime: "Piango ripensando al video di mio padre"       

Un venditore dei Paesi Bassi, seguendo l'onda del successo di Petrux, impegnato in questi giorni alla Dakar, ha deciso di mettere in vendita la Suter BMW CRT con la quale ha corso nel Motomondiale nel 2013

Scoppia la "Petrucci Mania": ecco a che prezzo è venduta la sua Suter

        Ducati parte all'attacco (pure) della Supersport USA, assistendo direttamente - tramite il team Warhorse HSBK Racing - la Panigale di Josh Herrin, bicilindrica tanto attesa anche nel Mondiale, in preparazione alla stagione a stelle e strisce 2022. Il MotoAmerica di Wayne Rainey vedr&agrave; il ritorno nella classe intermedia di una Rossa, tanto amata Oltreoceano. Il "placet" di Paolo Ciabatti: MotoAmerica nel mirino Ducati  Se Paolo si &egrave; recato sino in Florida, significa che la Casa bolognese tanto &egrave; interessata al progetto nato da poco e dalle grosse promesse di risultato. Ciabatti &egrave; il Direttore Sportivo di Ducati e sta attento ad ogni competizione in cui una moto rappresentante l'azienda partecipi, che sia MotoGP o Campionato Italiano Velocit&agrave;. La stagione partir&agrave; a Daytona in Marzo, in occasione della 200 Miglia. La Superbike, invece, scatter&agrave; in Texas ad aprile: laggi&ugrave; vedremo in azione per&ograve; solo la Superbike, categoria massima offerta dal MotoAmerica. Sar&agrave; un bel weekend, nel quale debutter&agrave; Danilo Petrucci, eroe della Dakar e pronto alla sfida riguardante la V4 R. Gli ex colleghi del Motomondiale condivederanno il paddock del COTA. Josh Herrin, l'esperienza da pilota: una 200 Miglia gi&agrave; vinta   Josh centr&ograve; nel 2010 una storica vittoria della 200 Miglia di Daytona, classica locale in cui, a soli 19 anni, il californiano nativo di Glendale mise tutti in riga impavidamente, mangiando a grande velocit&agrave; i curvoni sopraelevati dell'anello costruito in Florida. Pi&ugrave; avanti, il titolo Superbike edizione 2013. Entrambe le imprese furono condivise con Yamaha, Marchio presente con impegno negli Stati Uniti. Herrin sbarc&ograve; anche nella Moto2 iridata, traendo poche soddisfazioni dal 2014. Con la Caterham Suter raccolse davvero poco e torn&ograve; in patria anzitempo. Poco male, perch&eacute; nel 2016 riusc&igrave; nuovamente a brillare, facendo sua la Superstock, a dimostrazione di quanto egli avesse ancora fame di successo. A 32 anni da compiera nel prossimo maggio, il simpatico e veloce pilota scelto da Warhorse HSBK e Ducati parteciper&agrave; alla Supersport con un chiaro obiettivo: trasformare il suo 2 nel tanto ambito 1, sebbene egli dichiari: "Di sicuro sar&agrave; un success e non importa quale sar&agrave; il risultato, perch&eacute; so gi&agrave; che mi divertiremo tantissimo" le sue parole dopo aver saggiato la moto, proprio a Daytona. CIV Superbike: Michele Pirro e Barni in difesa del titolo 2021       

Il Direttore Sportivo della Casa bolognese ha seguito a Daytona l'esordio di Josh Herrin nel team Warhorse HSBK, pilota ottimista dopo la prima uscita: "Il 2022 sar&agrave; di sicuro un successo"

Paolo Ciabatti "battezza" Ducati nel MotoAmerica Supersport

&Egrave; finita anzitempo la stagione di Marc Marquez, che non potr&agrave; prendere parte alla gara di Valencia e ai successivi test a Jerez. Dopo aver battuto la testa mentre si allenava in vista del GP dell&#39;Algarve, infatti, lo spagnolo&nbsp;&egrave; tornato ad accusare la diplopia, un disturbo che aveva&nbsp;gi&agrave; avuto in passato.  MotoGP, diplopia: cos&rsquo;&egrave; il disturbo che ha fermato ancora Marc Marquez?  La prima stagione in Moto2     Correva l&#39;anno 2011 e l&#39;allora 18enne Marc Marquez gareggiava in Moto2 con il Team CatalunyaCaixa Repsol in sella ad una Suter MMXI. Marc arriv&ograve; in Moto2 con il titolo in tasca della 125cc vinto l&#39;anno precedente e, gi&agrave; da promessa del motociclismo quale si era rivelata, riusc&igrave; a vincere la prima gara nella classe di mezzo nel GP di Le Mans, quarta corsa della stagione.  Inutile dire che fu la prima di tante: in quel 2011, conquist&ograve; sette vittorie e tre secondi posti. Al suo esordio in Moto2, quindi, rischi&ograve; di vincere il campionato. Arrivati alla penultima gara dell&#39;anno, in Malesia, successe per&ograve; il fattaccio.  L&#39;incidente in Malesia   Era il venerd&igrave; mattina di prove libere e a Sepang inizi&ograve; a piovere cogliendo di sorpresa i piloti che gi&agrave; si trovavano in pista: tra questi Marc. Cadder&ograve; in quattro. Bradley Smith si ruppe il polso sinistro, mentre Marquez, dopo la caduta, perse lucidit&agrave;. Fu costretto a tornare in albergo e la diagnosi che i medici gli dettero inizialmente, fu un po&#39; frastagliata: nessun osso rotto, ma un forte colpo alla cervicale con una successiva infiammazione del nervo. In poche parole Marquez ci vedeva male, quindi, gareggiare in quelle condizioni era impossibile. Fu costretto a saltare anche l&#39;ultima gara a Valencia dove Bradl vinse il titolo. Lui arriv&ograve; secondo. Ma i problemi all&#39;occhio destro non si risolsero: continu&ograve; a vedere doppio e i medici iniziarono a parlare di diplopia verticale, dopo che nella caduta si era procurato un edema periorbitale.  Quello che inizialmente sembrava un qualcosa di banale, divent&ograve; molto pi&ugrave; serio. Senza che la vista funzionasse per bene, Marquez non poteva di certo andare in moto. Sebbene l&#39;incidente a Sepang avvenne nel mese di ottobre, infatti, lo spagnolo a dicembre continuava a vedere doppio. Alla fine, il 16 gennaio 2012, il pilota di Cervera fu operato per una paralisi del muscolo obliquo superiore causato da un trauma (la caduta di Sepang) al nervo cranico.  Dalle lacrime al trionfo   Questo fu il primo vero colpo di sfortuna che butt&ograve; Marquez a terra: &ldquo;E&#39; stato l&#39;infortunio pi&ugrave; difficile che abbia mai affrontato - ricorda Marc - perch&egrave; non sapevo se sarei riuscito a guidare ancora&rdquo;. A distanza di qualche anno, in una conferenza stampa che si svolse a Barcellona in occasione della &ldquo;Superprestigio&rdquo;, gara di Dirt Track alla quale il campione spagnolo prese parte, si commosse ripensando a quell&#39;incidente e a quel periodo in cui, come sottoline&ograve;, a soli 18 anni e con un futuro di pilota davanti, sembrava che tutto sarebbe potuto finire l&igrave;.  Marquez, seppur giovanissimo, trov&ograve; dentro di s&eacute; la forza di risollevarsi dalla sfortuna che lo aveva colpito: contro ogni pronostico, e aiutato ovviamente dall&#39;intervento che gli permise piano piano di tornare a vedere per bene, si present&ograve; nei test Moto2 che si svolsero a Jerez, e successivamente in Qatar, per la prima gara della stagione. Era nato il guerriero che, negli anni, abbiamo imparato a conoscere.  Torner&agrave; e sar&agrave; ancora pi&ugrave; forte   Nel 2012 vinse il titolo Moto2 portando a casa nove vittorie. L&#39;anno successivo, nel 2013, fece il suo esordio nella classe regina vincendo il titolo nel suo anno da rookie con lo stupore di tutti i suoi nuovi colleghi della MotoGP e iniziando a mietere record su record. Continu&ograve; a laurearsi campione del mondo anche nel 2014, 2016, 2017, 2018 e 2019, arrivando poi al 19 luglio del 2020 in cui ha riportato la frattura dell&#39;omero destro che gli ha impedito di correre l&#39;intera stagione.  Ora, dopo una caduta in allenamento alla vigilia della penultima gara 2021, Marc &egrave; di nuovo alle prese con un problema di diplopia, che gli impedir&agrave; di prendere parte al GP di Valencia e ai successivi test a Jerez. Un intoppo che non ci voleva, ma siamo sicuri che il guerriero Marc riuscir&agrave; comunque a tornare in pista e, visti i precedenti, sar&agrave; ancora pi&ugrave; forte. I rivali sono avvertiti. Quando si tratta di combattere, Marquez&nbsp;non &egrave; uno che si tira indietro. Il passato insegna.  Pagelle MotoGP Algarve: Bagnaia e Ducati sugli scudi a Portimao 

Per lo spagnolo c&#39;&egrave; stato un incidente che pi&ugrave; di tutti ha condizionato la sua carriera. Nel 2011 a Sepang cadde e accus&ograve; una diplopia verticale. Una situazione difficile che non gli ha impedito di tornare pi&ugrave; forte di prima

Sepang 2011, quando Marquez perse quasi la vista ma torn&ograve; vincente

        What does an expert rider like Carl Fogarty do upon leaving Superbike, his career interrupted by injury? Remain in that world of course, particularly if you still have the passion but are unable to race. And if you&rsquo;re Carl Fogarty, you accept an offer to take on a revolutionary Superbike project, whereby one of the world&rsquo;s biggest lubricant firms was instantly transformed into being a motorcycle manufacturer. Crazy Malaysian idea  And so it was, in 2003, that Petronas arrived. And the Malaysian firm had no intention of constructing small 400cc bikes before moving up, no, they preferred to start immediately with a one-of-a-kind Superbike, for track and road, and associate it with Fogarty&rsquo;s name and experience. The Petronas FP1 would receive special homologation, for the total production of 150 bikes, 75 units at first, followed by another 75 in order to reach the minimum quota required for World Superbike entry, in accordance with the regulation. Rules that the small manufacturers knew well but, as the critics pointed out, the small manufacturers were already there, and were not just starting out. Other details came under discussion too. The original project, for example, was a three-cylinder model designed for MotoGP, but the Malaysian giant then changed its mind and focused in on Superbike and its former champion. The timing was very likely wrong, as was the engine &ndash; in terms of both its design and build &ndash; as would soon become clear on track. But Fogarty really liked the idea. &ldquo;To be honest, the timing wasn&rsquo;t right&rdquo; he later admitted. &ldquo;I hadn&rsquo;t yet digested my retirement from racing, I hadn&rsquo;t accepted the idea, and I was trying to take no further part in the championship. But this opportunity was too tempting and I decided to get involved. It also started because of some of my old sponsors. It was through them that I got to know Petronas and won some races for them in Malaysia. David Wong, who died a few years back, arranged it all and it was him who convinced Petronas to make more than just two or three bikes to race in MotoGP in 2003, and instead produce 150 examples, becoming a real manufacturer competing in World Superbike. I don&rsquo;t know how, but he managed it&rdquo;. From dream to nightmare  Despite the engine reliability issues, the other components appeared to reflect a project that was reported to be costing almost 50 million Euro. A three-cylinder turquoise dream that would soon become a nightmare, despite a high of two pole positions and a podium with Troy Corser and another podium with Chris Walker. &ldquo;If I think back to that experience, I can be proud for many reasons&rdquo;, adds Fogarty. &ldquo;I&rsquo;m proud of what we built and did in such a short time. We hired great riders, our structures were top notch, as was our presence in WorldSBK. But then our track debut was terrible. But those issues had to do with things that didn't fall under my responsibility. The only thing that me and my team had nothing to do with was the engine. Which was built by Petronas, originally with Sauber, but the agreement fell through. We sought help, I turned to engine builders that I trusted, like Cosworth, but the company bosses put a stop to that. Because they planned to go with Eskil Suter. We were a little confused, as we thought he specialised more in two-strokes and 250 bikes. You know how it ended anyway. In a way I&rsquo;d call frustrating&rdquo;. Once the initial projects were completed and the individual components made, it was time for the engines. &ldquo;Which integrated perfectly with the frame. Everything had been done to perfection, but as soon as we turned the bike on, the problems started. The bike sounded great but it would quickly overheat and lose oil, and then water. It did this on its debut appearance in Superbike and I think it did the same during its last outing, at Magny-Cours in 2006. But what could we do? Once the project had been completed and the 150 models built, we couldn&rsquo;t exactly suddenly change everything. I guess they were saying &lsquo;what have we got ourselves into?&rsquo; at Petronas but they wanted to honour the contracts until the end, and we did what we could with what we had available&rdquo;. Good frame, slow engine  A nightmare for a rider as successful as Fogarty of course, so used to being the man to beat. &ldquo;For someone used to winning, fighting to score a few points or finish the race is frustrating. And it was for Petronas too, as they&rsquo;d invested a great deal. I wanted to achieve results for them mainly, but the engine wasn&rsquo;t even close to being competitive. Then the rules changed after we brought the 900 three-cylinder and they increased the engine size for everyone. We ended up with the slowest bike on the grid, with the smallest engine. But today, so many years later, I still feel it was an interesting experience&rdquo;. Foggy Petronas Racing was divided between the frame builders and race department in the UK and the engine department in Switzerland. Everything new, especially the UK headquarters, though there were some well-known names in the shape of team manager Nigel Bosworth, a former rider, and crew chief Steve Thompson. There was no shortage of resources but, with engines with such a short lifespan, the project failed to take off. Steve Martin, the rider chosen by Fogarty for a team that, in many ways, was first-rate, said that he&rsquo;d never ridden a bike with a frame like that of the Petronas. &ldquo;Yes, I agree. But when you have a slow bike, the handling is normally good in my experience&rdquo; adds Fogarty with a bitter smile. &ldquo;But Martin was right, we had basically copied the bike, because the geometries and chassis came from the then Yamaha 500&rdquo;. The subsequent changes in regulation and the fact that Petronas never saw many bikes on the road considering the Superbike project&rsquo;s engine problems soon brought things to an end. An end that was not without its regrets. Or interesting facts. Such as the riders that had been called in to race it, starting with Corser and James Haydon in 2003, then Corser and Walker in the podium year, then Martin, Garry McCoy and wildcard Andi Notman in 2005, before the late Craig Jones joined Martin in 2006. The tale of former champion turned successful manager (with Yamaha) turned less than successful constructor (Modenas) had also been attempted by Kenny Roberts, but in GP. We wonder what might have happened if Fogarty had become a manager for Ducati, Yamaha or Honda in SBK. And one interesting fact remains, as some of the Petronas road bikes are still hidden away in dealer warehouses. How much might they fetch at a British auction in 50 years&rsquo; time do you think? Translated by Heather Watson WorldSBK, 2021 calendar: Most is in, Phillip Island is out       

Having been the rider to beat, Foggy accepted a proposal from the Malaysians, who planned to become manufacturers by entrusting in the four-time champion&rsquo;s experience. But the project, that cost close to 50 million Euro, generated only two podiums and two pole positions

Carl Fogarty: “The Petronas experience was frustrating”

Cosa fa il pi&ugrave; grande pilota di una specialit&agrave;, come era Carl Fogarty al momento dell&rsquo;addio alla Superbike, quando la sua carriera viene interrotta da un infortunio? Rimane in quel mondo, visto che il fuoco non si &egrave; spento anche se non &egrave; pi&ugrave; possibile sfogare la passione in corsa.   E se sei Carl Fogarty, accetti l&rsquo;offerta di realizzare un progetto rivoluzionario per la Superbike, con il quale una delle pi&ugrave; grande compagnie di lubrificanti del Mondo si trasforma istantaneamente in un costruttore di moto.    SBK, Carl Fogarty: &ldquo;Ducati mi faceva sentire il numero uno&rdquo;  Pazza idea malese   E cos&igrave;, nel 2003, ecco la Petronas, dalla Malesia, che non inizi&ograve; l&rsquo;attivit&agrave; costruendo piccole utilitarie sotto i 400 di cilindrata per poi salire: la scelta fu quella partire direttamente da una Superbike unica nel suo genere, per la strada e per la pista, associandola all&rsquo;esperienza e al nome di Fogarty. La Petronas FP1 avrebbe ricevuto un&rsquo;omologazione speciale, con una produzione complessiva di 150 moto: 75 per cominciare e altrettante per raggiungere la quota minima richiesta per l&rsquo;ammissione al mondiale Superbike, secondo le regole. Regole e prassi che i piccoli costruttori hanno conosciuto bene, negli anni, ma i critici puntualizzarono: i piccoli costruttori erano tali e gi&agrave; esistenti, non erano debuttanti. Fecero discutere anche altri particolari. Il progetto originale, per esempio, era un modello tre cilindri fatto per la MotoGP, ma poi il colosso malese cambi&ograve; idea per dirigersi verso la Superbike e il suo ex campione. Il timing era con ogni probabilit&agrave; sbagliato cos&igrave; il motore - per progetto o per realizzazione - come sarebbe stato dimostrato dal severo confronto in pista.  Ma a Fogarty, l&rsquo;idea era decisamente piaciuta. &ldquo;A essere onesti, il momento non era quello giusto&rdquo; ha riconosciuto successivamente. &ldquo;Non avevo ancora digerito il ritiro dalle corse, non avevo accettato l&rsquo;idea, stavo cercando di non interessarmi pi&ugrave; al campionato. Ma questa era un&rsquo;opportunit&agrave; troppo allettante e decisi di farmi coinvolgere. Il contatto nacque da alcuni miei vecchi sponsor, grazie a loro conobbi la Petronas e vinsi alcune gare per loro in Malesia. David Wong, che qualche anno fa &egrave; scomparso, fece in modo di arrivare alla firma: fu lui a convincere la Petronas a non limitarsi a realizzare due-tre moto per andare a correre in MotoGP nel 2003, bens&igrave; a produrre 150 esemplari, diventando un vero e proprio costruttore e correre nel mondiale Superbike. Non so come, ma ci riusc&igrave;&rdquo;.    Carl Fogarty, il Campione allergico alla sconfitta  Da sogno a incubo   Nonostante i problemi di affidabilit&agrave; legati al progetto del motore, con i corpi farfallati davanti e gli scarichi a uscire dal posteriore del blocco cilindri inclinato, le altre componenti sembravano valere un progetto che aveva reputazione di essere da quasi 50 milioni di Euro. Un sogno turchese a tre cilindri che per&ograve; sarebbe diventato un incubo nonostante all&rsquo;apice dell&rsquo;avventura arrivarono due pole position e un podio con Troy Corser e un altro podio con Chris Walker. &ldquo;Se ripenso a quella esperienza, posso andarne orgoglioso per tante ragioni&rdquo; ha aggiunto Fogarty. &ldquo;Sono orgoglioso per ci&ograve; che &egrave; stato costruito e realizzato in un periodo breve. Ingaggiammo ottimi piloti, le nostre strutture non avevano nulla da invidiare a nessuno, cos&igrave; come la nostra presenza nel mondiale Superbike. Al debutto in pista, per&ograve;, eravamo stati orribili. Ma non erano problemi legati a ci&ograve; che era sotto la mia responsabilit&agrave;. L&rsquo;unica cosa del progetto in cui non avevamo parola n&eacute; io n&eacute; le persone del mio team, era il motore. Che era realizzato dalla Petronas originariamente con la Sauber, ma l&rsquo;accordo salt&ograve;. Cercammo aiuto, mi rivolsi a motoristi di mia fiducia, come Cosworth, ma dai vertici dell&rsquo;azienda ci venne intimato uno stop. Perch&eacute; la loro idea fu di andare con lo svizzero Eskil Suter. Noi ci guardammo un po&rsquo; straniti, in fondo pensavamo che la sua competenza fosse sui motori due tempi e le 250 di cilindrata... Sapete com&rsquo;&egrave; finita la storia. In un modo che definirei frustrante&rdquo;.  Dopo che i progetti iniziali vennero completati, e dopo che i singoli componenti vennero realizzati, arrivarono i motori. &ldquo;Che si integravano perfettamente con il telaio. Tutto era stato fatto alla perfezione, ma non appena accendemmo la moto arrivarono i problemi. La moto faceva un bel rumore, ma si surriscald&ograve; subito e perse olio e poi acqua. Lo fece al debutto nel mondiale Superbike e credo lo fece anche nell&rsquo;ultima gara disputata, a Magny-Cours nel 2006. Ma cosa si poteva fare? Una volta che il progetto era stato realizzato, con 150 modelli costruiti, non c&rsquo;era modo di cambiare tutto all&rsquo;improvviso. Pi&ugrave; volte in Petronas si saranno chiesti &lsquo;in cosa diavolo ci siamo cacciati?&rsquo;, ma hanno voluto onorare i contratti fino alla fine, noi facemmo il possibile con ci&ograve; che avevamo a disposizione&rdquo;.    Telaio ok, motore lento   Certo, fu una tortura o qualcosa di simile per un vincente come Fogarty, che era abituato al ruolo di uomo da battere. &ldquo;Per chi &egrave; abituato a vincere, lottare per prendere punti e finire le gare, &egrave; frustrante. E lo era anche per Petronas, che aveva investito parecchi soldi. Avrei voluto ottenere risultati soprattutto per loro, ma il motore non era nemmeno vicino all&rsquo;essere competitivo. Poi le regole cambiarono dopo che portammo il 900 tre cilindri, visto che aument&ograve; la cubatura per tutti: finimmo per avere la moto pi&ugrave; lenta in gara, con la minore cilindrata. Ma oggi, dopo tanti anni, resta l&rsquo;idea di un&rsquo;esperienza molto interessante&rdquo;.  Il Foggy Petronas Racing era diviso tra telaisti e reparto corse in Gran Bretagna e il reparto motori in Svizzera. Tutto nuovo, soprattutto il quartier generale inglese, anche se c&rsquo;erano altri nomi noti: l&rsquo;ex pilota Nigel Bosworth team manager, e Steve Thompson capotecnico. Le risorse non mancavano ma con motori dalla vita cos&igrave; breve, l&rsquo;intero progetto non &egrave; decollato. Steve Martin, pilota scelto da Fogarty per un team che per mille ragioni era di prima classe, disse che non aveva mai guidato una moto con un telaio come quello della Petronas. &ldquo;S&igrave;, sono d&rsquo;accordo. Ma quando hai una moto lenta, di solito la maneggevolezza &egrave; molto buona, secondo la mia esperienza&rdquo; ha aggiunto Fogarty sorridendo amaro. &ldquo;Ma Martin aveva ragione: avevamo fondamentalmente copiato la moto, perch&eacute; le geometrie e la ciclistica venivano dall&rsquo;allora Yamaha 500&rdquo;.  I gi&agrave; citati cambiamenti regolamenti e il fatto che la Petronas non potesse avere troppe moto per le strade visti i problemi del progetto Superbike sul motore, portarono all&rsquo;epilogo. Con una lunga serie di rimpianti. E con parecchi dati interessanti. Come ricordare chi guid&ograve; la moto malese: la prima coppia, nel 2003, fu formata da Corser e James Haydon, poi Corser e Walker nell&rsquo;annata dei podi e delle pole, poi Martin, Garry McCoy e la wild card Andi Notman nel 2005, poi fu il povero Craig Jones ad affiancare Martin nel 2006.  La storia dell&rsquo;ex campione diventato manager con successo (con la Yamaha) prima di vivere un buco nell&rsquo;acqua da costruttore (Modenas) &egrave; stata sperimentata anche da Kenny Roberts, ma nei GP. Viene da chiedersi come sarebbe finita se Fogarty fosse diventato manager di Ducati, Yamaha o Honda in SBK. Ma resta una curiosit&agrave;: alcune Petronas da strada sono giacenti nei magazzini di concessionari. Quanto varranno fra 50 anni nelle aste britanniche?  L&#39;omaggio di Carl Fogarty a Murray Walker 

Dopo essere stato il pilota da battere, Foggy accett&ograve; la proposta dei malesi, intenzionati a diventare costruttori affidandosi all&rsquo;esperienza del quattro volte campione. Ma il progetto da quasi 50 milioni di euro gener&ograve; soltanto due podi e due pole

Carl Fogarty: &ldquo;La Petronas fu un&#39;esperienza frustrante&rdquo;

        As the MotoGP season gets underway, we now know that Marc Marquez will sit out the first two championship rounds taking place in Qatar. The Honda rider, who injured his arm on 19 July 2020 in the Jerez GP, still needs time to recover. Having now missed an entire championship, people are wondering whether or not Marquez will be the same on his return. But the Spaniard has already overcome problems during his career, like the time he risked losing not only his racing career, but also his sight. His first season in Moto2  It was 2011 and a then 18-year old Marc Marquez was competing in Moto2 with Team CatalunyaCaixa Repsol, riding a Suter MMXI. Marc arrived in Moto2 with the previous year&rsquo;s 125 title under his belt and was soon able to win his first race in the middle class, at the fourth round of Le Mans. And this was the first of many of course, the Spaniard amassing seven wins and three second-place finishes that season. He was very close to winning the title in his debut Moto2 season. But then he had an accident. The Sepang incident  During Friday morning&rsquo;s free practice in Malaysia, it started to rain and caught several riders by surprise, Marc included. Four of them crashed and while Bradley Smith broke his left wrist, Marquez was less than lucid. He returned to the hotel and was told by doctors that he hadn&rsquo;t broken any bones but had suffered a blow to the neck which had caused some nerve inflammation. He was having trouble with his eyes and so could not race. He also had to miss the final Valencia race, where Bradl won the title and Marc secured the runner up spot. The problems with his right eye did not improve and he continued to see double. The doctors mentioned vertical diplopia, the result of a periorbital edema caused by the crash. What had initially seemed a minor injury then became much more serious. Unable to see properly, Marquez clearly couldn&rsquo;t race. And although the accident occurred in October, the Spaniard continued to see double come December. In the end, on 16 January 2012, the Spaniard underwent surgery for a paralysis of the superior oblique muscle caused by trauma (the Sepang crash) to the cranial nerves. From tears to triumph  This was Marquez&rsquo;s first real setback: &ldquo;It was the hardest injury I&rsquo;d ever dealt with, because I didn&rsquo;t know if I&rsquo;d be able to ride again&rdquo;, recalled Marc. A few years later , when recalling the incident during a press conference at the &ldquo;Superprestigio&rdquo; dirt track race, the Spaniard got upset, thinking back to the fact he was just 18 and that his career could have ended there. Yet Marquez, though very young, found the strength to fight back and, against the odds and helped by the surgery, he attended the Moto2 tests in Jerez, and then lined up for the first race of the season in Qatar. And this marked the birth of the warrior that we now know so well. He&rsquo;ll come back stronger  In 2012 he won the Moto2 title having amassed nine race wins. The following year saw him debut in the reigning class, where he won the title in his rookie year, to the amazement of his new MotoGP colleagues. From there he clocked up record after record. He was champion again in 2014, 2016, 2017, 2018 and 2019, before an accident on 19 July 2020 ruled him out of the entire season. Marquez is still not 100% fit. His recovery continues but the doctors have suggested he sit out the first two races of the season. So we won&rsquo;t see him on track at Losail this week or next. But we&rsquo;re certain that Marc will be back and, seeing what he&rsquo;s done in the past, he&rsquo;ll be stronger than ever. His rivals are warned. When it comes to fighting, Marc is not one to hold back. Translated by Heather Watson MotoGP Qatar, Puig: &ldquo;Marc Marquez? He's already gone fast!&rdquo;       

One incident compromised the Spaniard's career more than any other. In 2011, Marc crashed and suffered vertical diplopia. A difficult situation but one that didn&rsquo;t stop him coming back even stronger

Sepang 2011, when Marquez almost lost his sight but came back a winner

Quella di ieri, 27 febbraio, &egrave; una data importante. Ha spento infatti le candeline una icona della Superbike a cavallo tra la met&agrave; degli anni 90 ed i primi 2000, con un passato in MotoGP tra Aprilia, Gresini Honda, Yamaha, Forward Racing. Stiamo parlando ovviamente di Texas Tornado, al secolo Colin Edwards, che spegne oggi 47 candeline.  Quarto pilota americano ad essere incoronato campione del mondo nelle derivate di serie (dopo Merkel, Polen e Russell), ha vinto anche tre volte la prestigiosissima 8 ore di Suzuka, sentitissima dalle case giapponesi che chiamano ogni anno i migliori piloti per disputarla.  Gli inizi: dal motocross all&rsquo;AMA Superbike   Nato a Houston da padre australiano, anch&rsquo;egli ex motociclista, inizia a correre da piccolissimo. A 4 anni &egrave; gi&agrave; su una piccola moto da cross e disputa le prime gare amatoriali di cross vincendo alcuni trofei. Prosegue la sua carriera nel motocross e nel 1987 vince il titolo MX 80 cc.  A 16 anni passa dallo sterrato alla velocit&agrave; su pista. Nel suo primo anno da pilota amatoriale, disputa delle gare dapprima su una Honda 600, poi su una RC30 ed infine su una Yamaha TZ250. E&rsquo; proprio con la TZ250 che ottiene i maggiori successi nella sua carriera amatoriale, vince 5 titoli nazionali AMA/CCS Race of Champions a Daytona ed 8 titoli nazionali nella WERA/GNF a Road Atlanta.  Dopo essere diventato professionista, vince 5 delle 9 gare dell&rsquo;AMA 250cc National Series battendo in volata un altro figlio d&rsquo;arte, Kenny Roberts Junior.  Nel 93, a 19 anni, passa all&rsquo;AMA Superbike con Yamaha ed il team Vance &amp; Hines, risultando quell&rsquo;anno il miglior pilota americano della Superbike. A fine stagione chiude sesto, mentre nel 94 chiude quinto con anche tre vittorie consecutive.  La Superbike   Grazie ai risultati ottenuti nell&rsquo;AMA, nel 95 Yamaha lo porta nel Mondiale Superbike. A fine stagione &egrave; solo 11&deg; ma ottiene i primi podi della carriera, 3&deg; in gara-1 a Misano e 2&deg; in gara-2 a Brands Hatch.  Nel 96 migliora la posizione ottenuta l&rsquo;anno prima chiudendo al quinto posto con 248 punti e 7 podi totali.  La stagione 97 invece &egrave; da dimenticare per Colin. Disputa solamente 4 round, al quinto, Monza, si rompe braccio e costole in un brutto incidente. L&rsquo;infortunio gli fa saltare il resto della stagione che chiude al 12&deg; posto con 79 punti ed un solo podio.  Per il 98 cambia team e firma con Castrol Honda in coppia con il neozelandese Aaron Slight. A fine stagione &egrave; quinto con 279.5 punti, 3 vittorie e 6 podi complessivi.  Il 99 &egrave; l&rsquo;ultimo anno della RC45, Colin &egrave; confermato nel team insieme a Slight. Il texano &egrave; vice campione dietro a Fogarty con 361 punti, 5 vittorie e 10 podi totali.  Per il 2000 Honda decide di fare all in e sfidare Ducati sul suo terreno, il bicilindrico. La casa di Tokio sforna la VTR1000SP, una moto velocissima ed in grado di reggere il confronto con la 996.  Ritorno al Futuro, 2000: Edwards al posto giusto  Colin approfitta dei &ldquo;guai&rdquo; Ducati (Fogarty out, Cadalora bocciato e Bayliss rookie) e di Haga (doping) per prendersi il primo mondiale con 400 punti, 8 vittorie e 12 podi complessivi.    Nel 2001 si presenta con il numero 1 sul cupolino della sua Honda VTR1000SP1. Chiude alle spalle di Bayliss con 333 punti e 4 vittorie.  La stagione 2002, ultima in Superbike, &egrave; quella del riscatto. Nella prima parte della stagione non riesce ad arginare lo strapotere di Bayliss e della 998F02 Testastretta. Da Laguna Seca in poi non sbaglia un colpo e, grazie alla caduta sanguinosa di Bayliss ad Assen, si prende la testa del Mondiale. Imola 2002, ultima gara stagionale &egrave; uno spettacolo per tutti i presenti. Si riprende il titolo alla fine di gara-2 con 552 punti (record rimasto in piedi fino al 2017), 11 vittorie (9 consecutive), 25 podi.    SBK: Bayliss-Edwards 2000-2002, rivalit&agrave; e rispetto  Chiude la carriera in Superbike con 2 titoli mondiali (come Corser), 176 gare disputate, 31 vittorie, 75 podi, 15 pole e 2393,5 punti conquistati  EWC - 8 ore di Suzuka   Nel corso della sua carriera, Edwards ha preso parte a tre 8 ore di Suzuka vincendole tutte e tre. La prima nel 1996, vinta da &ldquo;prima punta&rdquo; in coppia con il giapponese Nori Haga e la Yamaha YZF750, la seconda nel 2001 con Valentino Rossi e la VTR1000SPW del team Cabin Honda, la terza nel 2002 (la svolta della stagione) con Daijiro Kato e la VTR1000SPW di Cabin Honda.  Il Motomondiale - la MotoGP   Colin Edwards sarebbe dovuto passare al Motomondiale gi&agrave; nel 1998 con il team RedBull Yamaha WCM ma le trattative non sono andate in porto.  Passa ufficialmente in MotoGP nel 2003 con la Aprilia RS Cube insieme a Nori Haga. Chiude 13&deg; con 62 punti ed un sesto posto all&rsquo;esordio a Suzuka come miglior risultato.  Nel 2004 passa al team Gresini Honda al fianco di Sete Gibernau. Termina la stagione al quinto posto con 157 punti e due secondi posti.  Valentino Rossi lo vuole con s&eacute; in Yamaha e nel 2005 Texas Tornado ritorna ad Iwata. 3 podi (Francia, Assen, Laguna Seca) gli permettono di chiudere al quarto posto con 179 punti.  Nel 2006 ottiene solamente il podio in Cina. Ha l&rsquo;occasione di vincere la prima gara in MotoGP ad Assen e togliere punti ad Hayden ma sciupa tutto con una caduta in mezzo alla variante finale. Termina comunque 13&deg;. A fine stagione &egrave; 7&deg; con 124 punti.  Per il 2007 &egrave; ancora in Yamaha Factory con la prima versione della M1 800. Nonostante il poco potenziale espresso dalla moto, riesce comunque a centrare 2 podi chiudendo al 9&deg; posto con 124 punti.  Con Jorge Lorenzo approdato nel team ufficiale nel 2008, Colin viene &ldquo;spostato&rdquo; in Tech3 per far da chioccia al rookie James Toseland. 7&deg; posto finale e 144 punti con due podi all&rsquo;attivo.  Nel 2009 porta a termine tutte le gare tranne quella di Misano, ottiene il secondo posto in Inghilterra e chiude 5&deg; con 161 punti.  La stagione 2010 non &egrave; al livello della precedente e Colin termina solo 11&deg; con 103 punti ed un quinto posto in Giappone come miglior risultato  Nel 2011 &egrave; ancora in Tech3. Migliora leggermente rispetto all&rsquo;anno precedente e chiude 9&deg; con 109 punti ed il podio in Inghilterra.  Il Motomondiale - la CRT   Per riempire la griglia, Dorna crea le CRT, moto con motore derivato dalla produzione di serie. Nel 2012 Colin scende in pista con una Suter MMX1 spinta dal motore BMW del team Forward. Chiude 20&deg; con 27 punti e l&rsquo;11&deg; posto a Misano come miglior risultato  Per il 2013 il team Forward cambia moto passando dalla Suter alla FTR Kawasaki. Colin chiude il campionato al 14&deg; posto con 41 punti e l&rsquo;11&deg; posto a Brno come miglior risultato.  Inizia la stagione 2014 in sella alla Forward Yamaha in coppia con Aleix Espargar&ograve;. Va a punti solamente in tre circostanze, Qatar, Mugello ed Indianapolis raccogliendo 11 punti. Il 10 aprile durante la conferenza stampa della gara in Texas annuncia il ritiro dalle competizioni.  La sua stagione si chiude di fatto ad Indianapolis venendo sostituito da Brno da Alex De Angelis.  Chiude la sua carriera nel Motomondiale con 195 gare, 12 podi, 3 pole e 1242 punti complessivi senza mai riuscire a vincere una gara e con il grande incubo di Sepang 2011. Innocentemente ed inevitabilmente coinvolto, insieme a Valentino Rossi, nell&rsquo;incidente costato la vita a Marco Simoncelli.  Scatti d&rsquo;autore per l&rsquo;omaggio a Colin Edwards 

Ha spento le candeline Texas Tornado, al secolo Colin Edwards, vincitore di due titoli in Superbike con la VTR1000SP bicilindrica contro la Regina della Sbk, Ducati

I 47 anni di Colin Edwards: l&rsquo;emblema dei successi Honda in SBK

Oggi ha aperto, come tanti suoi colleghi, una scuola di pilotaggio, ma in passato &egrave; stato anche un pilota di discreto successo nel Motomondiale, soprattutto nelle classi minori, una fugace comparsata nel Mondiale Supersport ed un titolo nella Alpe Adria Road Racing categoria Superbike nel 2016 con una BMW S1000RR.  Figlio di quella Repubblica Ceca che tanti piloti ha regalato al Motociclismo, come per esempio Kuba Smrz, Karel Hanika, Karel Abraham e lo stesso Lukas Pesek giusto per citarne alcuni.  Gli inizi   Nato nella capitale, Praga, il 22 novembre 1985, Lukas ha mosso i primi passi nel motociclismo sulle moto di piccolissima cilindrata. Dal 94 al 2000 ha corso sulle minibike 40 vincendo 6 campionati cechi ed un europeo.  Nel 2002 passa al Campionato Europeo Velocit&agrave; classe 125 con una Honda chiudendo al terzo posto e nel contempo debuttando nel Mondiale nella sua gara di casa a Brno senza raccogliere punti.&nbsp;  Il Motomondiale - 125, 250, Moto2   Dopo l&rsquo;infelice esperienza del 2002 in 125 nella sua gara di casa, ritenta l&rsquo;anno seguente in 250 con una Yamaha. Debutta a Barcellona sostituendo il connazionale Jakub Hules e dal Gran Premio di Germania &egrave; pilota titolare del team Kurz insieme al giapponese Matsudo. Termina la stagione con 4 punti all&rsquo;attivo e la 30^ posizione.  Per il 2004 sceglie nuovamente la 125. Debutta con il team Ajo Motorsport in sella ad una Honda, miglior risultato un 8&deg; posto all&rsquo;Estoril. Stagione che si chiude al 21&deg; posto con 20 punti.  Nel 2005 passa alla Derbi. I risultati iniziano a migliorare e Lukas migliora anche la posizione in classifica finale, 19&deg; con 25 punti ed il 6&deg; posto in Germania come miglior risultato, pur completando solamente 5 gare delle 17 in calendario.  La stagione 2006 si apre con il podio, primo in carriera a Jerez al quale ne seguono altri due, Mugello e Germania. Chiude il campionato al sesto posto con 154 punti. Fino a questo momento il rapporto con la sua pista di casa, Brno, &egrave; pessimo: 5 partecipazioni, 4 ritiri ed un 17&deg; posto  Nel 2007 &egrave; ancora con il team Derbi in 125. Inizia con un doppio podio in Qatar e Spagna, vince la prima gara in carriera in Cina e va ancora a podio in Francia. Centra finalmente un podio nella sua gara di casa di Brno e coglie la seconda ed ultima vittoria in Australia chiudendo al 4&deg; posto con 182 punti.  Nel 2008 torna in 250 con l&rsquo;Aprilia. 9&deg; posto a Misano come miglior risultato e chiude 15&deg; con 43 punti. Nel 2009 invece &egrave; 14&deg; con 74 punti, frutto di 3 settimi posti.  La stagione 2010 segna il debutto della nuova classe Moto2 al posto della 250. Corre con una Moriwaki del team Matteoni i primi 11 GP prima di di essere sostituito da Santiago Hernandez. Conclude la sua prima parte nel Motomondiale con 5 punti e la 34^ posizione  Le derivate di serie: Campionato tedesco e Mondiale Supersport   Conclusa l&rsquo;avventura nel Motomondiale, nel 2011 disputa il campionato europeo classe Moto2 e il campionato tedesco Supersport. Nel 2012 passa al Mondiale Supersport con la Honda CBR600 del team Prorace. Disputa le prime due gare, Australia ed Imola, conquistando 6 punti ma dopo Imola viene sostituito da Lorenzo Lanzi. Lasciato il Mondiale, continua a disputare il Campionato tedesco Supersport con alterne fortune.  Ritorno in MotoGP con Ioda   Con la MotoGP che l&rsquo;anno precedente aveva aperto all&rsquo;ingresso delle CRT, nel 2013 Lukas rientra nella Top Class del Motomondiale con la Ioda-Suter del team Came IodaRacing al fianco di Danilo Petrucci. Delle 18 gare in calendario ne completa 7 senza peraltro portare a casa punti.  Pesek in pista... sulla fiducia  Gli ultimi anni   Negli ultimi anni il pilota ceco si &egrave; dedicato al campionato nazionale Superbike, al Mondiale Endurance ed all&rsquo;Alpe Adria Road Racing, campionato europeo di corse su strada. Nel 2015 &egrave; campione ceco Superbike e secondo nell&rsquo;Alpe Adria in sella ad una BMW S1000RR. L&rsquo;anno seguente vince l&rsquo;Alpe Adria ed &egrave; terzo nel Mondiale Endurance. 

Dopo Karel Abraham, un altro figlio della Repubblica Ceca nella nostra rubrica del &ldquo;Che fine ha fatto&rdquo;. Si tratta di Lukas Pesek, ex pilota del Motomondiale transitato nel Mondiale Supersport e dalle Road Races

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