        The 2024 championship will pose more of a challenge than ever before, with a total of 22 rounds to run between March and November! A record number that amounts to 44 races in all, including the Sprints. Countless other records could potentially be broken during the 2024 season, while others will remain unbeatable for years to come, thanks to some legendary past performances that have gone down in history. Certain statistics look to be pretty set in stone, particularly those relating to age, set in what was a very different era. From Bagnaia to Acosta: attainable records and goals If he were able to secure a third consecutive title, Pecco Bagnaia would become part of a very small group of riders to have won in three consecutive years, across 500 and MotoGP, equalling Geoff Duke, world champion between 1953 and 1955, John Surtees, who succeeded between 1958 and 1960, but also Mike Hailwood from 1962 to 1965, Giacomo Agostini from 1966 to 1972, Kenny Roberts from 1978 to 1980, Wayne Rainey from 1990 to 1992, Mick Doohan from 1994 to 1998, Valentino Rossi from 2001 to 2005 and, most recently, Marc Marquez, the winner from 2016 to 2019. The current world champion could also move ahead of a number of illustrious predecessors in terms of race wins. If he were to win ten races, for example, he would catch John Surtees, on 38, or Carlo Ubbiali, on 39. The same goes for Marc Marquez, albeit at a higher level. With five race wins, the Spaniard would reach Angel Nieto in third place overall, behind only Giacomo Agostini and Valentino Rossi. And if Pedro Acosta were to win a race before July, he would become the youngest ever rider to win a race in the reigning class, beating Marquez&rsquo;s record. If the eight-time champion were to snatch the world title he would become the oldest MotoGP world champion, at 31, beating a record held by Valentino Rossi, who won at the age of 30 in 2009. The "unattainable" goals: Fergus Anderson and Giacomo Agostini As for those records that appear impossible to beat, or almost, the oldest rider to ever win in the top class is a record that is set to stand for long to come, perhaps forever. In 1949 - an entirely different motorsport era - Leslie Graham won the first world championship ever staged at the age of 37. The same goes for the oldest rider to win a race, a record held by Fergus Anderson, who triumphed in the 1953 Spaniard GP at the age of 44. Other records that are impossible to break right now include the outright number of podiums and race wins, a classification headed up by Valentino Rossi, with 235, and Giacomo Agostini, with 122.       

During the 2024 season Marquez could become the fourth most successful rider of all time, while Bagnaia could become the tenth to win three consecutive titles

MotoGP records: the unattainable and the attainable

        Il campionato 2024 conter&agrave; il numero pi&ugrave; alto mai fatto registrare per ci&ograve; che riguarda gli appuntamenti stagionali snocciolati nell'arco dei mesi che vanno da marzo a novembre, ben 22! Un primato importante che sancisce 44 round totali se considerate anche le gare Sprint. Nella stagione che verr&agrave; sono innumerevoli gli altri record potenzialmente superabili, mentre per altri bisogner&agrave; aspettare ancora molti anni in virt&ugrave; di performance leggendarie e apparentemente infrangibili, appartenenti ormai alla storia passata del motomondiale. Alcune statistiche sono destinate a rimanere inamovibili ancora per molto tempo, ci riferiamo ad esempio ai record anagrafici, specialmente quelli relativit&agrave; all'anzianit&agrave; e pertanto figli di un'intoccabilit&agrave; oggettiva. MotoGP: Marc Marquez in Honda? Suppo non esclude il clamoroso ritorno Da Bagnaia ad Acosta: record e obiettivi alla portata Qualora riuscisse a vincere il terzo titolo mondiale consecutivo, Pecco Bagnaia entrerebbe nel ristretto novero di piloti in grado di trionfare in tre annate consecutive tra 500 e MotoGP, eguagliando Geoff Duke, campione del mondo tra il 1953 ed il 1955, John Surtees, abile a riuscirci dal 1958 al 1960 e poi Mike Hailwood dal 1962 al 1965, Giacomo Agostini dal 1966 al 1972, Kenny Roberts dal 1978 al 1980, Wayne Rainey dal 1990 al 1992, Mick Doohan dal 1994 al 1998, Valentino Rossi dal 2001 al 2005 ed infine Marc Marquez, vincitore dal 2016 al 2019. Il campione del mondo in carica potrebbe inoltre, verosimilmente sorpassare una serie di illustri colleghi e predecessori nel computo dei vincitori dei GP, avendo la possibilit&agrave;, qualora dovesse vincere (ad esempio) dieci GP, di raggiungere John Surtees a quota 38 o Carlo Ubbiali a 39. Discorso simile, seppur a livelli pi&ugrave; elevati, per Marc Marquez, che con cinque vittorie nei GP raggiungerebbe Angel Nieto al terzo posto assoluto, alle spalle solamente di Giacomo Agostini e Valentino Rossi. Nel caso in cui entro luglio riuscisse a vincere un GP, Pedro Acosta diventerebbe il pilota pi&ugrave; giovane di sempre a vincere una gara in classe regina, soffiando il primato a Marquez. Proprio l'otto volte campione spagnolo qualora conquistasse il titolo mondiale diventerebbe a 31 anni il vincitore iridato pi&ugrave; anziano della MotoGP, togliendo il record a Valentino Rossi, che nel 2009 trionf&ograve; all'et&agrave; di 30 anni. I record "inarrivabili": Fergus Anderson e Giacomo Agostini Tornando ai record impossibili da battere, o quasi, il pilota pi&ugrave; anziano a diventare campione del mondo della top class rester&agrave; ancora per molto tempo (e chiss&agrave;, forse per sempre) Leslie Graham, che nel 1949 (dunque altri tempi per la concezione e la totalit&agrave; del motorsport) vinse il primo campionato del mondo mai disputatosi, all'et&agrave; di 37 anni. Stesso discorso per il record d'anzianit&agrave; relativo ai piloti in grado di vincere un singolo GP in classe regina, dal momento che il primato di Fergus Anderson, capace di vincere all'et&agrave; di 44 anni in occasione del GP di Spagna del 1953, non potr&agrave; essere battuto per molto tempo. Al momento inarrivabili sono invece i primati che riguardano la leadership nei podi e nelle vittorie, dall'alto rispettivamente dei 235 piazzamenti di Valentino Rossi e delle 122 affermazioni di Giacomo Agostini.  Gomme &amp; Pressioni: arriver&agrave; il display intelligente in MotoGP?        

Nella stagione che verr&agrave; Marquez pu&ograve; diventare il quarto pilota pi&ugrave; vincente di sempre mentre Bagnaia il decimo a vincere tre titoli consecutivi

Record MotoGP: quelli inarrivabili e quelli battibili nel 2024

        Con la stagione 2024 sempre pi&ugrave; vicina &egrave; tempo di sviscerare un po' di numeri per quella che sar&agrave; la 75esima edizione del motomondiale. Un traguardo importante, raggiunto in un momento particolarmente salutare per l'intero prodotto (al netto delle difficolt&agrave; storiche ed economiche in cui versa la societ&agrave;). Il primo respiro del massimo campionato internazionale su due ruote &egrave; avvenuto nell'immediato dopoguerra, nel 1949, con la gara della classe 350 andata in scena il 13 giugno sull&rsquo;Isola di Man. La stagione cont&ograve; solamente sei GP ed in classe regina trionf&ograve; il britannico Leslie Graham, il primo campione del mondo della storia, nella pi&ugrave; piccola tra le cilindrate vinse invece Nello Pagani, in 250 ebbe la meglio Bruno Ruffo mentre in 350 Freddie Frith. Nel 2023 in occasione del GP di Le Mans &egrave; stato celebrato il GP numero 1000, mentre in 75 anni di storia sono state disputate 3371 gare, se considerate tutte le classi. La MXGP torna in Cina, ma la MotoGP?! Vincitori, campioni del mondo e case costruttrici Nella lunga, fortunata e vincente storia del motomondiale, sono stati 126 i piloti in grado di laurearsi campioni del mondo per almeno una volta dal 1949 ad oggi. Il recordman &egrave; Giacomo Agostini, 15 volte iridato, seguito da Angelo Nieto con 12, Mike Hailwood, Valentino Rossi e Carlo Ubbiali con 9, Marc Marquez con 8, John Surtees e Phil Read a quota sette e poi Geoff Duke e Jim Redman con 6. 399 sono invece i piloti che hanno vinto almeno un Gran Premio, l&rsquo;ultimo in ordine di tempo a vincere una gara per la prima volta &egrave; stato&nbsp;Collin Veijer, che nella scorsa stagione in Moto3 ha battuto tutti a Sepang. In testa nella classifica dei piloti pi&ugrave; vincenti di sempre nei GP c'&egrave; sempre Giacomo Agostini con 122 successi, seguito da Valentino Rossi con 115, Angel Nieto con 90, Marc Marquez con 85, Mike Hailwood con 76, Jorge Lorenzo con 68, Mick Doohan e Daniel Pedrosa con 54 e Phil Read con 52. Per ci&ograve; che riguarda le case costruttrici, Honda &egrave; la casa con il maggior numero di successi nel campionato del mondo, con&nbsp;821. Alle sue spalle ci sono Yamaha a quota 520, Aprilia a 297, MV Agusta a 275 e Kalex con 176. Sono 30 le nazionalit&agrave; ad aver festeggiato almeno un titolo mondiale nella storia. L&rsquo;Italia vanta 888 vittorie, seguita dalla Spagna con 722. 30 sono&nbsp;anche i paesi ad aver ospitato almeno una tappa nel mondiale, in ordine di tempo l&rsquo;ultima &egrave; stata l&rsquo;India, con il Buddh International Circuit che ha esordito nel calendario della MotoGP per la prima volta nel 2023. Nel 2024 con l&rsquo;ingresso del Kazakistan saranno 31!  MotoGP e SBK: le date delle presentazioni in vista del 2024        

Il motomondiale si appresta a spegnere le candeline con la sua 75esima edizione. La prima stagione si corse nel 1949

Nel 2024 la MotoGP celebra i 75 anni di Storia

        Un capitolo della rassegna dei grandi piloti australiani degli anni Cinquanta. Oltrepassando questo limite temporale altri nomi, altrettanto e anche pi&ugrave; grandi non mancherebbero &ndash; in ordine sparso Jack Findlay, John Dodds, Wayne Gardner, Mick Doohan, Casey Stoner, Chris Vermeulen, Troy Bayliss, Kevin Magee, Garry McCoy, Daryl Beattie, Troy Corser &ndash; ma &ldquo;Polvere di Stelle&rdquo; ha il compito inderogabile di occuparsi della storia del motociclismo, quindi non pu&ograve; soffermarsi troppo a lungo su un solo tema. La dinastia Parrilla | Polvere di Stelle Jack Ahearn  Jack Ahearn (in foto di copertina) oggi &egrave; un nome sconosciuto ai pi&ugrave;, eppure &egrave; stato un protagonista, uno dei pi&ugrave; forti e determinati piloti del Continental Circus nel suo periodo d&rsquo;oro. Nato l&rsquo;8 ottobre 1924 a Bondi, cittadina costiera alla periferia est di Sydney, da bambino si spost&ograve; con la famiglia nell&rsquo;entroterra a Lithgow, fin&igrave; presto gli studi e inizi&ograve; a lavorare come apprendista falegname. Sognando per&ograve; di correre in moto. Non impieg&ograve; molto a fare il passo decisivo: acquistata una vecchia Triumph 350, si iscrisse al locale Moto Club e cominci&ograve; a gareggiare nelle manifestazioni su strada e off-road. Mentre studiava se valesse la pena insistere in una carriera difficile e legata alla disponibilit&agrave; di mezzi economici e meccanici, scoppi&ograve; la guerra e Jack si arruol&ograve; in aeronautica. A guerra finita non dovette attendere molto per ritornare in sella e gi&agrave; nel 1947 arrivarono le prime affermazioni. Corse dapprima con la Triumph 350, poi con una Ariel Red Hunter 500 e una Velocette KSS 350. Nel 1951 fu vittima di una caduta che gli cost&ograve; la frattura di entrambi i polsi e lo costrinse a una lunga sosta, che impieg&ograve; per guadagnare la somma necessaria per l&rsquo;acquisto di una Norton Manx. Con questa moto torn&ograve; a correre e a vincere, mettendosi in mostra al punto che la Federazione australiana nel 1954 lo inser&igrave; nella rappresentativa nazionale da inviare al Tourist Trophy. Jack Ahearn fece il suo primo approdo in Europa iniziando dalla corsa pi&ugrave; famosa del Mondo, il leggendario Senior TT, nel quale, piazzandosi nono, ottenne il miglior risultato fra i piloti australiani. La conferma del suo valore arriv&ograve; al GP Ulster, dove si piazz&ograve; sesto. Torn&ograve; nel 1955, anno in cui il suo miglior risultato nel Motomondiale fu il sesto posto nel GP Germania, primo sia tra i privati che tra i piloti in sella a una monocilindrica. Divent&ograve; dunque un pilota professionista, ma pur sempre un privato, che per&ograve; si fece presto conoscere dagli organizzatori di corse non soltanto per la bravura in pista, ma anche per la fermezza con cui contrattava gli ingaggi, riuscendo quasi sempre a spuntare premi soddisfacenti. Fu proprio questa fermezza a costargli la licenza internazionale quando, al GP Olanda del 1955, ader&igrave; alla protesta assieme a molti colleghi, tra cui diversi &ldquo;ufficiali&rdquo;, per ottenere diarie pi&ugrave; alte. Fu squalificato per i primi sei mesi del 1956, ragion per cui se ne torn&ograve; in Australia, dove avvi&ograve; l&rsquo;attivit&agrave; di tassista senza smettere quella di pilota professionista. Con le sue Norton, curate personalmente, vinse un numero impressionante di corse nel suo Paese, ma nel 1958 il fascino irresistibile del Continental Circus lo richiam&ograve; in Europa. Fu una stagione priva di soddisfazioni, pure se il suo valore venne riconosciuto dalla Matchless che al TT gli mise a disposizione la prima versione della G50 monocilindrica ufficiale, ancora purtroppo non competitiva e fragile di meccanica. A questo punto, Jack, che nel frattempo aveva sposato Betty, decise di lasciar perdere. Per tre anni rimase in patria correndo soltanto saltuariamente, ma nel 1962, inserito nuovamente nella rappresentativa australiana al TT, si imbarc&ograve; per il Vecchio Continente. Per due stagioni navig&ograve; con la sua Norton fra i migliori privati, poi, nel 1964, all&rsquo;et&agrave; di quarant&rsquo;anni, port&ograve; a termine il capolavoro della sua carriera piazzandosi secondo nella classifica finale del Mondiale della classe regina, preceduto soltanto da Mike Hailwood su MV quattro cilindri e vincendo il GP Finlandia. Nel corso della stagione ebbe anche la sua seconda occasione da pilota ufficiale quando la Suzuki gli offr&igrave; un contratto e la 250 quattro cilindri in quadrato, potentissima, ma inguidabile e inaffidabile. La prov&ograve; e, rimediata una terribile caduta con ricovero in ospedale, decise di rimanere privato e continu&ograve; nel 1965 e 1966 a ottenere eccellenti piazzamenti nella 500 con la sua ormai decrepita, ma generosa Norton Manx. Nei primi anni Settanta Jack Ahearn, da tempo lontano dal Continental Circus, torn&ograve; in sella gareggiando nelle corse nazionali per le derivate di serie di grossa cilindrata. Nel 1974 appese il casco al chiodo, apr&igrave; una rivendita di moto e si godette la vecchiaia con Betty fino a 92 anni. Si spense a Lismore il 10 aprile 2017. Bob Brown  Bob Brown, nato a Inverell, 400 km a sud di Brisbane, il 9 maggio 1930, dopo le prime esperienze lavorative come meccanico, svolse l&rsquo;attivit&agrave; di tassista e cominci&ograve; a correre in moto. Messosi in luce nel suo Paese, anch&rsquo;egli, come Quincey, Hinton, Kavanagh e Ahearn, venne in Europa a misurarsi nelle corse internazionali e nei GP del Mondiale. Le sue prime affermazioni arrivarono nel 1955, anno in cui il miglior risultato fu il quinto posto nel GP Olanda in sella a una Matchless 500 privatissima, preceduta soltanto da quattro pluricilindriche italiane. L&rsquo;anno dopo concluse una sola corsa iridata, il GP Ulster, ma al secondo posto nella 500 e al sesto nella 350 con una AJS 7R. Nel 1957 un grave incidente a Imola imped&igrave; a Geoffrey Duke di correre al TT e la Gilera affid&ograve; la sua 500 a Bob Brown, il quale all&rsquo;esordio sulla quattro cilindri conquist&ograve; il terzo posto, ripetendosi nella 350. Confermato come ufficiale per il GP Belgio, fu obbligato, al via della corsa, a cedere la sua moto a Libero Liberati, la cui 500 non si era messa in moto sulla linea di partenza. Liberati vinse, ma poi fu squalificato e Brown non corse pi&ugrave; con la Gilera. Nel 1958 lasci&ograve; la Matchless e nella 500 gareggi&ograve; con Norton e BMW; il miglior risultato fu un altro terzo posto al TT, dove ottenne anche il quarto nella 250 guidando una NSU. Il 1959 fu l&rsquo;anno in cui il suo grande talento ebbe finalmente un adeguato riconoscimento: nella 500 si piazz&ograve; terzo assoluto, primo dei privati e primo in sella a una monocilindrica, precedendo nell&rsquo;ordine assi come Duke, Hocking e McIntyre, che dopo l&rsquo;addio alle corse della Gilera erano tornati alle Norton Manx. Chiuse terzo anche la 350, dietro alle MV di Surtees e Hartle, e ancora davanti a Duke e Hocking. Il 1960 cominci&ograve;, per Bob Brown e la sua Norton, con tre podi su quattro GP nella 500, ma nel frattempo si era fatta avanti la Honda, che lo aveva ingaggiato per pilotare la sua 250 quattro cilindri al TT. Bob aveva accettato e su questa nuovissima moto aveva regalato alla Casa giapponese uno storico quarto posto. Confermato pilota ufficiale con Redman e Phillis, Brown fu vittima di un gravissimo incidente nelle prove del GP Germania classe 250 e pochi giorni dopo, il 23 luglio, mor&igrave; all&rsquo;ospedale di Stoccarda.  Passa alla prossima pagina per la storia di Tom Phillis Tom Phillis  La carriera di Tom Phillis, australiano di Sydney (9 aprile 1934) fu molto simile a quella di Bob Brown. Figlio di un portaordini militare motociclista, a 16 anni lasci&ograve; gli studi per diventare apprendista meccanico. Inizi&ograve; a correre in bicicletta, ebbe un grave incidente in gara e nel 1953 pass&ograve; al motociclismo. Fino al 1957 corse con varie moto non competitive finch&eacute; non riusc&igrave; a entrare in possesso di una Norton Manx usata con cui ottenne le prime importanti vittorie nazionali. Sposatosi nel 1954 con Betty, quattro anni dopo la coppia vendette tutto ci&ograve; che aveva in Australia e si imbarc&ograve; per l&rsquo;Europa. Con due nuove Norton 350 e 500, Tom si impose subito come un vincente nelle corse internazionali non titolate, partecip&ograve; anche ad alcune gare del Mondiale piazzandosi in Top 10 nella 500 in Olanda e in Svezia. Nel 1959, il miglior risultato fu il quinto posto con la 350 nel GP Ulster. Nel 1960 fu ingaggiato dalla Honda per correre con le sue 125 e 250: con la ottavo di litro non combin&ograve; nulla per guasti al motore e una brutta caduta, al TT si consol&ograve; con la sua Norton 500 piazzandosi quarto, poi la prima vittoria iridata gli sfugg&igrave; per un soffio all&rsquo;Ulster con la Honda 250, battuto soltanto da Carlo Ubbiali con la MV ufficiale. La Honda lo conferm&ograve; per il 1961 e la scelta fu ripagata da Tom Phillis con una stagione trionfale: campione del Mondo della 125 con quattro vittorie e vice campione della 250 con due vittorie. Nella 500 concluse una sola gara, il Senior TT, ma con il miglior risultato della carriera, terzo. Al culmine del suo percorso, inizi&ograve; il 1962 correndo nella Mototemporada Romagnola, vinse a Imola, fu secondo a Cesenatico e terzo nella 250 nei GP Spagna e Francia, poi si trasfer&igrave; all&rsquo;Isola di Man per il TT. Dopo due terzi posti nelle 125 e 250, scatt&ograve; al via della 350 con una Honda ufficiale maggiorata a 285 cm&sup3;. Al secondo giro cadde rovinosamente vicino al paese di Peel e non si rialz&ograve; pi&ugrave;. Le sue ceneri furono sparse sulla linea di partenza del Mountain Circuit.  La storia di Libanori | Polvere di Stelle       

La puntata della rubrica &egrave; dedicata ad alcuni dei grandi pionieri del motociclismo australiano: vicende cos&igrave; forti da segnare un&rsquo;epoca

Le vicende di Ahearn, Brown e Phillis | Polvere di Stelle

        Puoi anche aver vinto nove Mondiali, ma se i tuoi successi sono datati e non sei ritenuto un affabulatore nessuno ti invita in TV o ti intervista. Carlo Ubbiali &egrave; rimasto a lungo vittima di questo ostracismo, ma il CONI ci mise una pezza, assegnandogli il Collare d&rsquo;Oro al Merito Sportivo nel 2019, massima onorificenza dello sport italiano. La ragione la spieg&ograve; il presidente Giovanni Malag&ograve; durante la cerimonia presso la Palestra Monumentale del Foro Italico: &ldquo;Abbiamo voluto colmare una lacuna, premiando anche i campioni che hanno vinto un Mondiale prima del 1995, anno d&rsquo;istituzione dei Collari d&rsquo;Oro&rdquo;. SBK Misano: gli orari tv Nel 2019, il riconoscimento a Carlo Ubbiali  Intorno a met&agrave; ottobre, a casa Ubbiali era giunta la lettera che annunciava l&rsquo;assegnazione del premio. Mi telefon&ograve; lui stesso per dirmelo, tutto orgoglioso. Eccitato dalla prospettiva di recarsi a ritirarlo, vinse i timori della signora Mariella, con cui a settembre aveva festeggiato i 55 anni di matrimonio, e dei quattro figli. Il viaggio a Roma, infatti, non fu certo una passeggiata per un novantenne che fatica a deambulare: &ldquo;Colpa di una caduta in casa il 13 febbraio. Forse il pavimento troppo lucido o forse le ciabatte han slittato, sono volato, picchiando la testa che ha iniziato a sanguinare. Ero solo ma mi &egrave; rimasto in mano il telefonino e cos&igrave; in cinque minuti l&rsquo;ambulanza &egrave; arrivata. Per&ograve; la prestazione &egrave; calata minimo il 40 percento&rdquo;. A distanza di 59 anni dall&rsquo;ultima gara, Ubbiali ragionava ancora in termini di rendimento. Il nostro viaggio con Ubbiali   E cos&igrave; il 16 dicembre, lasciando casa alle 5 meno un quarto, inizi&ograve; il nostro viaggio, in direzione dello scalo di Orio al Serio. Quando l&rsquo;aereo inizi&ograve; il rullaggio, con la mano destra mim&ograve; il gesto della strizza. In realt&agrave; era tranquillo, tanto da interrogare lo steward: &ldquo;A che altitudine stiamo viaggiando e a che velocit&agrave;?&rdquo;. Dopo essersi consultato con il Comandante, l&rsquo;assistente di volo torn&ograve; con le risposte: 8800 metri e circa 830 km/h. Presa la palla al balzo, gli chiesi come ci si spostava ai suoi tempi: &ldquo;In treno. I viaggi in aereo erano rari, ne ricordo uno nel 1950 per Belfast, Irlanda del Nord, con un DC3 Dakota, un aereo militare privo di aria condizionata&rdquo;. Raggiunta Fiumicino alle 8, dopo un po&rsquo; di attesa io, Carlo e suo figlio Daniele salimmo sull&rsquo;auto di Carlo Florenzano (a lungo uomo Honda in pista e alla Dakar) che si era offerto di portarci al Foro Italico. E gli aneddoti non potevano che scorrere copiosi: &ldquo;Nel 1950 corsi la MilanoTaranto. Tutti gli altri avevano moto due tempi, io la quattro tempi, una Mondial 125. A Roma, alla sosta per il rifornimento mi misero arance e banane in tasca, senza dirmelo. A Terracina sentii tutte le cosce bagnate, la frutta si era ridotta in poltiglia. A Napoli ruppi la catena, poi caddi tre volte per l&rsquo;asfalto viscido. In vista del traguardo il motore si ammutol&igrave;, supplicavo il pubblico di non spingermi ma non ci fu niente da fare. Vinsi la gara, ma il giorno dopo mi squalificarono...&rdquo;. Inevitabile la domanda sull&rsquo;avversario pi&ugrave; forte con cui si &egrave; confrontato: "Gary Hocking, ricordo ancora le nostre sfide in 250, specie quella a Solitude nel 1960. In prova avevamo frantumato il record pi&ugrave; volte, ma alla partenza per un istante non riuscii a respirare. Mio fratello Maurizio era molto malato e quel pensiero mi angosciava. Cos&igrave; al via persi 20 metri e nel tentativo di rimontare caddi subito. Ripartii deciso a fare un giro per vedere come andava la mia MV, poi quandodissi &lsquo;facciamone un altro&rsquo;, e poi un altro ancora. Superai tutti tranne Hocking, per&ograve; lui aveva 22 anni e io otto in pi&ugrave;&rdquo;. Scesi dall&rsquo;auto, Ubbiali non fece in tempo a varcare il cancello del Foro Italico che un tifoso gli si avvicin&ograve; chiedendogli di autografare alcune foto. Dopo altri 30 metri si palesarono dei quarantenni e uno di questi usc&igrave; una sua figurina, implorandolo di firmargliela. Accomodatosi in quarta fila, si godette la cerimonia finch&eacute; sali&igrave; sul palco assieme a Pier Paolo Bianchi, Mario Lega, Eugenio Lazzarini, Marco Lucchinelli, Franco Uncini, Fausto Gresini, Luca Cadalora e Alessandro Gramigni, tutti premiati con il Collare d&rsquo;Oro assieme al campione del 2019, Lorenzo Dalla Porta. Passa alla prossima pagina &nbsp; Carlo Ubbiali tra aneddoti, ricordi e tanta emozione   Ubbiali fatic&ograve; a raggiungerli, ma subito dopo si precipit&ograve; da Lucky per fargli le condoglianze per il figlio Cristiano. Da anni non si vedevano n&eacute; sentivano e questo gesto commosse Lucchinelli che gli diede un bacio. Il presentatore ricord&ograve; quando Ubbiali trasport&ograve; i feriti durante la guerra, ma anche l&rsquo;esordio nel 1947, avvenuto falsificando i documenti. Pronta la risposta di Carlo: &ldquo;Una comica, ho rubato un anno, anzich&eacute; 18, ne avevo 17, per&ograve; mi hanno squalificato&rdquo;. A cerimonia chiusa, salimmo al piano superiore dove Ubbiali assapor&ograve; una porzione di pasta al forno, delle melanzane e un tramezzino, usandolo al posto del pane: &ldquo;In passato sono arrivato a 62 kg ma ora ne peso 55, lo stesso di quando correvo, anche se in inverno arrivavo a 56&rdquo;. Il volo di ritorno per&ograve; incombeva, cos&igrave; risalimmo in auto e soltanto grazie all&rsquo;abilit&agrave; di Florenzano non lo perdemmo. Ubbiali inizialmente sembr&ograve; preoccupato dai virtuosismi dell&rsquo;amico ma poi se ne usc&igrave; con un &ldquo;Sei un mezzo Nuvolari&rdquo; che stemper&ograve; la tensione. Prima di depositarci al terminal, Florenzano si concesse un&rsquo;ultima domanda, inevitabile. Perch&eacute; Ubbiali ha smesso a soli 31 anni? &ldquo;Ero stufo di viaggiare, sui treni ti controllavano tutto, i soldi, persino i bottoni. E poi era morto mio fratello Maurizio a cui ero molto legato. Rinunciai anche a guidare per la Ferrari e a correre con la Honda: nel 1959 all&rsquo;Isola di Man avevo incontrato Soichiro Honda che tramite un interprete mi disse che mi voleva nella sua squadra&rdquo;. In aereo, complice la stanchezza, nessuno apr&igrave; bocca. Ma una volta recuperata l&rsquo;auto al parcheggio di Orio, Carlo fece il bilancio della giornata: &ldquo;Faticoso ma ne &egrave; valsa la pena, &egrave; andata bene. Sono contento di essere andato a Roma e di aver incontrato tanti sportivi&rdquo;. Dopo decenni di oblio, Ubbiali si sent&igrave; di nuovo ammirato al di fuori della sua cerchia di familiari e amici. Lo meritava, meglio tardi che mai. Calendario MotoGP 2023       

Nel 2019, a 90 anni, il nove volte iridato ricevette il Collare d'Oro dal CONI. Motosprint ebbe l'onore di accompagnarlo a Roma: il nostro racconto

Carlo Ubbiali: il nostro viaggio con il mito

        Nelle puntate di Polvere di Stelle si &egrave; evidenziata spesso, fra motociclismo e aeronautica, un&rsquo;affinit&agrave; tecnica, industriale e anche umana, visto che molti campioni delle due ruote motorizzate, a cominciare da Giovanni Ravelli, cofondatore della Moto Guzzi, o da Leslie Graham, primo campione del Mondo in moto, erano anche aviatori di grande talento ed esperienza. La storia di Fortunato Libanori  Ebbene, questa volta racconter&ograve; la storia di un motociclista che fu meccanico, poi pilota di calibro internazionale, quindi pass&ograve; alla motonautica e divenne pi&ugrave; volte campione italiano, europeo e mondiale correndo sull&rsquo;acqua. Il suo nome: Fortunato Libanori. La sua moto: MV, sempre e soltanto MV. Nacque a Milano il 14 giugno 1934, i genitori erano originari della provincia di Rovigo, ma il padre era stato costretto a trasferirsi nel capoluogo lombardo avendo trovato lavoro come operaio alla Pirelli.&nbsp; La famiglia Libanori prese casa a Gorla, vasto quartiere alla periferia nord-est di Milano, famoso presso gli studiosi del motociclismo per aver dato i natali anche ad Alessandro Anzani, che nel 1904, dopo aver vinto molte corse in Francia, divenne &ldquo;campione del Mondo&rdquo; in sella a una AlcyonBuchet battendo a Ostenda l&rsquo;asso belga Jan Olieslagers su Minerva. Nell&rsquo;estate 1944, Fortunato torn&ograve; con i quattro fratelli e la madre nel paese d&rsquo;origine dei genitori in Veneto ma, un paio di mesi dopo, l&rsquo;avanzata delle truppe alleate lungo la Penisola convinse la famiglia Libanori a riunirsi nuovamente a Gorla, ritenuta pi&ugrave; sicura. Libanori: la tragedia, poi la svolta  Questa convinzione fu smentita tragicamente il 20 ottobre 1944, quando un massiccio bombardamento alleato colp&igrave; la citt&agrave; e distrusse anche la scuola elementare &ldquo;Francesco Crispi&rdquo;, uccidendo 184 bambini e diciannove adulti. In quell&rsquo;occasione Fortunato e i suoi compagni di classe si salvarono perch&eacute; condotti fuori dell&rsquo;edificio scolastico appena suonato l&rsquo;allarme, ma per moltissimi altri non ci fu scampo e fra questi il fratello minore di Fortunato, Giancarlo, e suo cugino Gianfranco. Da questa orribile tragedia, che a Gorla hanno voluto ricordare con il monumento ai &ldquo;piccoli martiri&rdquo;, Fortunato rimase segnato indelebilmente; sua sorella Elsa in una sua memoria di quella giornata scrisse: "Ricorder&ograve; sempre i suoi occhi sbarrati e il fatto che non riuscisse a dire una parola". La guerra finalmente fin&igrave; e inizi&ograve; la ricostruzione. C&rsquo;era lavoro per tutti e in Lombardia le fabbriche riaperte cercavano personale volenteroso e capace di dare un contributo alla ripresa. Fortunato Libanori, che gi&agrave; da tempo aveva mostrato una particolare propensione verso la meccanica e la guida di veicoli, fu cos&igrave; assunto all&rsquo;inizio degli anni Cinquanta alla MV Agusta come collaudatore di moto, un mestiere che lo appagava e poneva in risalto le sue attitudini. Fu notato. Qualcuno nell&rsquo;industria del conte Domenico Agusta, grande appassionato di gare e titolare di un reparto corse che nel 1952 aveva gi&agrave; vinto il suo primo Mondiale, ritenne che quel giovane collaudatore meritasse l&rsquo;opportunit&agrave; di salire su una moto da corsa e il Conte fu d&rsquo;accordo, anche perch&eacute; gi&agrave; nutriva grande stima nei confronti di Fortunato. Infatti nel 1952, quando Domenico Agusta firm&ograve; con Lawrence Bell l&rsquo;accordo che diede il via alla costruzione su licenza degli elicotteri americani Bell 47, la Cadillac celebr&ograve; il suo cinquantenario producendo la vettura speciale &ldquo;Golden Anniversary&rdquo;, una magnifica Cabriolet con motore V8 da 190 CV e cambio automatico. Il conte Agusta ne ricevette una nei colori ufficiali MV: bianco, azzurro e oro, e per curare la manutenzione di questa auto, che lui elesse subito a simbolo di quell&rsquo;importantissimo accordo industriale, si affid&ograve; proprio a Fortunato Libanori. Passa alla prossima pagina &nbsp; Libanori: l'esperienza in pista  Due anni dopo, questi cominci&ograve; a correre con le MV 125 e 175 monoalbero nelle gare di Velocit&agrave; di seconda categoria e le vittorie non tardarono ad arrivare, cos&igrave; frequenti da convincere il Conte che Fortunato avrebbe fatto la sua bella figura in prima categoria, nel campionato italiano e nel Mondiale. Nel 1956 si piazz&ograve; terzo nel torneo nazionale classe 125 alle spalle di Carlo Ubbiali e Romolo Ferri, ma davanti a Tarquinio Provini e Remo Venturi; al suo esordio internazionale, nel GP Belgio sul velocissimo circuito di Francorchamps, conquist&ograve; il secondo posto dietro al caposquadra Ubbiali, e nella gara successiva, il GP Germania alla Solitude, ottenne il quarto posto. Con soltanto queste due corse si classific&ograve; in quinta posizione finale nella classifica iridata. L&rsquo;anno dopo gareggi&ograve; ancora soltanto saltuariamente nel Mondiale: ad Assen fu quinto in 125 e quarto al debutto (e primo dei piloti MV) in 250; un altro quarto posto lo colse a Monza in 125 e fu la sua ultima corsa iridata. Avrebbe potuto senz&rsquo;altro fare di pi&ugrave;, ma fu proprio la grande fiducia riposta in lui dal conte Domenico Agusta a ostacolargli la carriera: il &ldquo;boss&rdquo; preferiva affidargli incarichi delicati in azienda e il compito di collaudare i modelli di maggiore prestigio nel catalogo delle moto MV. Fra queste, cur&ograve; lo sviluppo della 600, la prima &ldquo;maxi&rdquo; italiana a 4 cilindri, rivolta a un pubblico d&rsquo;&eacute;lite che la sognava per la sua stretta derivazione dalla moto da corsa imbattibile nel Mondiale della classe regina. Una delle prime 600-4 fu acquistata da Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell&rsquo;ex Re d&rsquo;Italia, Umberto II. Viveva a Ginevra e fu Libanori a portargli la moto nella sua residenza svizzera, ma una volta arrivato fu cacciato dalla madre, l&rsquo;ex regina Maria Jos&eacute;, che non voleva che Vittorio Emanuele guidasse la moto. Per risolvere la questione, Libanori port&ograve; la 600-4 in un garage della citt&agrave;, dove l&rsquo;erede al trono dei Savoia si recava quando aveva voglia di fare un giretto di nascosto dalla madre. Passa alla prossima pagina &nbsp; Libanori, collaudatore e consulente  All&rsquo;attivit&agrave; di collaudatore MV, Fortunato affianc&ograve; quella di consulente per lo sviluppo di motori da competizione di varie tipologie, fra cui propulsori per la motonautica, che aveva un denso programma di manifestazioni sul Lago di Varese e all&rsquo;Idroscalo di Milano. Come era successo con le moto, la sola meccanica non lo appag&ograve; a lungo: amava mettersi alla prova e confrontarsi, cos&igrave; impar&ograve; in poco tempo a guidare i motoscafi da corsa e dimostr&ograve; di possedere notevole talento. Nel 1957 disput&ograve; le prime gare e in una sola stagione sal&igrave; al livello dei pi&ugrave; forti in campo nazionale. Il bilancio delle sue affermazioni &egrave; impressionante: dal 1962 al 1970 vinse tre titoli italiani, cinque europei e due mondiali, nelle categorie Racers 2500, LZ 2500 e Runabout 2000. Le massime soddisfazioni sportive gli vennero dalla motonautica, ma Fortunato Libanori non lasci&ograve; mai la Agusta. Continu&ograve; l&rsquo;attivit&agrave; di collaudatore dei veicoli stradali e da corsa fino alla chiusura dello stabilimento motociclistico, poi chiuse la carriera professionale con un ruolo tecnico di responsabilit&agrave; nella fabbrica degli elicotteri. &Egrave; venuto a mancare l&rsquo;11 luglio 2006. La "paura" di Stanley Woods | Polvere di Stelle       

Libanori scamp&ograve; alla strage di Gorla prima di diventare pilota-collaudatore apprezzatissimo dal conte Agusta e campione di motonautica

La storia di Libanori, dall'asfalto all'acqua | Polvere di Stelle

        L&rsquo;Italia &egrave; sempre stata terra di motori e di grandi piloti, non &egrave; un caso che molti dei record pi&ugrave; importanti siano di marchio tricolore, come ad esempio il maggior numero di titoli iridati o di GP vinti, entrambi nelle mani di Giacomo Agostini. L&rsquo;Italia detiene inoltre anche un altro record particolarmente attraente, quello che la vede in cima a tutte le altre nazioni per ci&ograve; che riguarda i GP vinti dal 1949 ad oggi, se considerate tutte le classi. A dimostrazione di una scuola di piloti che da sempre ha prodotto grandi risultati, in tutte le categorie. Nella top five dei piloti azzurri pi&ugrave; vincenti di sempre in termini di Gran Premi vinti (contando tutte le classi della storia del motomondiale) troviamo i due piloti pi&ugrave; rappresentativi della nostra storia, ma non mancano anche alcune sorprese provenienti dalle classi minori.  5) Luca Cadalora &ndash; 34 vittorie tra 125, 250 e 500 Nella top five dei piloti italiani pi&ugrave; vincenti tra tutte le classi troviamo Luca Cadalora, pilota del motomondiale dal 1984 al 2000 e vincitore di tre campionati del mondo, nel 1986 in 125 in sella alla Garelli e nel 1991 e 1992 in 250 con Honda. Il pilota modenese, famoso per la sua guida pulita e scorrevole ebbe un&rsquo;ottima carriera anche in 500, concludendo da vice-campione del mondo nel 1994 alle spalle di Mick Doohan, ed in terza posizione nel biennio successivo, sempre dietro al campione australiano. Le vittorie totali di Cadalora sono 34, di cui 4 ottenute nell&rsquo;anno del primo titolo in 125, vinto precedendo Fausto Gresini. Il modenese trionf&ograve; in 22 occasioni in 250, categoria nella quale, come detto, conquist&ograve; due titoli mondiali battendo Helmut Bradl (padre di Stefan Bradl) e Loris Reggiani. In 500 invece l&rsquo;italiano vinse 8 volte, il primo successo arriv&ograve; a Donington Park nel 1993 su Wayne Rainey, mentre l&rsquo;ultimo durante il GP di Germania nel 1996 quando ebbe la meglio su Mick Doohan e Alex Criville.  Nella prossima pagina trovi il podio degli italiani pi&ugrave; vincenti &nbsp; 4) Carlo Ubbiali&nbsp; - 39 successi e 9 titoli mondiali Dobbiamo andare indietro nel tempo di qualche decennio per trovare il quarto classificato di questa speciale classifica, Carlo Ubbiali. Il nove volte iridato (6 volte in 125 e 3 in 250) vanta 39 successi nelle piccole cilindrate, 26 in 125 e 13 in 250. La prima vittoria della carriera del pilota italiano avvenne nella seconda edizione del motomondiale, nel 1950, quando trionf&ograve; nel GP dell&rsquo;Ulster davanti al connazionale Bruno Ruffo. Gli ultimi due successi di Ubbiali risalgono invece al GP delle Nazioni corsosi a Monza nel 1960, quando vinse dapprima la gara della 125 e poi quella della 250, rispettivamente su Bruno Spaggiari e Jim Redman.  3) Max Biaggi &ndash; 42 vittorie, 29 in 250 Il gradino pi&ugrave; basso del podio dei piloti italiani pi&ugrave; vincenti &egrave; occupato da Max Biaggi, probabilmente il volto pi&ugrave; rappresentativo dell&rsquo;Italia delle due ruote negli anni 90&rsquo;, dall&rsquo;alto dei suoi 4 titoli mondiali in 250. Il pilota romano pu&ograve; vantare 42 vittorie totali in carriera nel motomondiale, arrivate tra la 250 (29), la 500 (8) e la MotoGP (5). Dal 1994 al 1997 Biaggi domin&ograve; in maniera incontrastata la classe intermedia e nel suo anno da rookie in 500 nel 1998 termin&ograve; da vice-campione del mondo alle spalle di Mick Doohan. In top class il pilota romano concluse in seconda posizione in altre due occasioni, nel 2001 e nel 2002, entrambe le volte dietro al rivale di sempre, Valentino Rossi. La prima vittoria della lunga carriera del pilota italiano arriv&ograve; nel 1992 in 250, quando vinse davanti a Loris Reggiani. L&rsquo;ultimo successo &egrave; datato 2004, quando ebbe la meglio su Alex Barros.  Passa alla prossima pagina per scoprire chi &egrave; l'italiano pi&ugrave; vincente &nbsp; 2) Valentino Rossi &ndash; 115 successi, 89 in top class Il campione di Tavullia &egrave; il pilota pi&ugrave; vincente di sempre in termini di GP per ci&ograve; che riguarda la top class, ma per quanto concerne la classifica relativa alle vittorie tra tutte le classi occupa la piazza d&rsquo;onore. Le vittorie di Valentino Rossi sono 115, frutto di 12 successi in 125, 14 successi in 250, 13 in 500 e 76 in MotoGP. Il nove volte iridato &egrave; uno dei (soli) due piloti capaci di superare quota 100 vittorie nella storia del motomondiale, non arrivando alla vetta per sole sette lunghezze.  1) Giacomo Agostini &ndash; 122 trionfi tra 350 e 500 A primeggiare nella classifica relativa ai piloti italiani (e in questo caso non solo) pi&ugrave; vincenti di sempre &egrave; sempre lui, parliamo del 15 volte campione del mondo Giacomo Agostini. Con 122 successi &ldquo;Ago&rdquo; &egrave; il pilota che domina la classifica, frutto di 54 vittorie in 350 e di 68 in 500. "Ago" ottenne il suo primo successo di una lunga e leggendaria serie di vittorie nel 1965 nel GP della Finlandia, battendo Paddy Driver e Fred Stevens mentre l'ultimo successo risale al 1977, quando in occasione del GP di Germania corso al Nurburgring ebbe la meglio su Marco Lucchinelli e Pat Hennen. MotoGP, i circuiti pi&ugrave; pericolosi: dove si rischia la vita         

Nella top five dei piloti di stampo tricolore pi&ugrave; vittoriosi in termini di GP troviamo tre specialisti delle classi minori

MotoGP: ecco la top-5 dei piloti italiani più vincenti tra tutte le classi

        Meritare un accostamento con nomi da leggenda come quelli di Carlo Ubbiali, John Surtees, Mike Hailwood, Phil Read, Giacomo Agostini, Angel Nieto e Freddie Spencer (soltanto per citarne alcuni), non &egrave; per tutti. Certo, sono necessarie le debite proporzioni, poich&eacute; Supersport e MotoE non sono le categorie regine del motociclismo (e la MotoE 2022 non aveva ancora la titolazione di &ldquo;Mondiale&rdquo;), ma Dominique Aegerter ha un grande merito: ha trionfato sia su una moto a carburante che su una elettrica, una primizia vera e propria. SBK Test Jerez, Petrucci: "Un test cool: freddo e fantastico" La rinascita di Aegerter&nbsp;   E pensare che la carriera dello svizzero sembrava ai titoli di coda durante le sue ultime stagioni in Moto2, ma come spesso accade (e lo pu&ograve; testimoniare anche Alvaro Bautista) il cambio di paddock ha riacceso speranze e fuoco agonistico. Il passaggio in Supersport, nel 2021, &egrave; stato un trampolino per il classe 1990 che ora, come il coetaneo Danilo Petrucci, diventa un rookie sui generis nella Superbike 2023. Da affrontare con la Yamaha R1 del Team GRT e con le certezze garantite dai tre titoli (due in SSP e uno in MotoE) vinti nell&rsquo;ultimo biennio. &ldquo;Gli ultimi due anni sono stati i migliori della mia carriera &ndash; conferma Aegerter &ndash; vincere due titoli contemporaneamente in due campionati e due paddock diversi, come nel caso di Supersport e MotoE, &egrave; stato speciale: spero che il buon momento prosegua il pi&ugrave; possibile&rdquo;. Ti saresti aspettato questa rinascita dopo l&rsquo;addio alla Moto2? &ldquo;Onestamente no, in primis perch&eacute; non sapevo esattamente cosa aspettarmi dal mondo Superbike. Arrivato in Supersport sapevo di poter lottare per le prime cinque posizioni, ma gi&agrave; nel 2021 sono riuscito a fare qualcosa che reputavo incredibile, nonch&eacute; molto difficile da replicare. Il 2022, se possibile, &egrave; stato anche meglio&rdquo;. Se potessi tornare indietro, effettueresti prima il cambio di paddock e campionato? &ldquo;Probabilmente s&igrave;, ripensando alle difficili stagioni 2018 e 2019 in Moto2: la prima l&rsquo;ho disputata con il Team Kiefer, che oltre a montare il telaio KTM aveva difficolt&agrave; economiche, tanto che era servito il mio supporto economico, la seconda con la MV e il Team Forward, e in quel caso mi aspettavo risultati migliori. Sarebbe stato meglio cambiare paddock gi&agrave; in quelle stagioni, ma affrontare un campionato nuovo non &egrave; mai un passo da compiere con leggerezza&rdquo;. Tre titoli in due anni  Analizzando la tua intera carriera, hai altri rimpianti? &ldquo;Se avessi avuto in passato l&rsquo;esperienza di oggi, avrei fatto diverse cose differenti, questo &egrave; certo. Correrei alcune gare in modo diverso, e in generale avrei tenuto un comportamento diverso in alcune situazioni, ma penso al contempo di aver sempre dato tutto per ottenere il massimo da ogni moto, quindi mi sento a posto con me stesso. Una scelta come quella di restare pi&ugrave; del dovuto in Moto2 non &egrave; stata corretta, ma quando ti trovi a gennaio senza una moto, non puoi nemmeno essere particolarmente selettivo&rdquo;. Hai vinto tre titoli in due anni: quale ti &egrave; rimasto pi&ugrave; nel cuore? &ldquo;Direi quello dell&rsquo;anno scorso in Supersport. Io e il Team Ten Kate abbiamo vissuto un 2022 quasi perfetto, con tante emozioni. Dopo aver vinto alcune gare (&egrave; arrivato a nove successi consecutivi di manche, nde) ho realizzato che non era normale quello che stavamo ottenendo, quindi mi sono imposto di godermi il momento, perch&eacute; non &egrave; semplice che accada nuovamente&rdquo;. Hai dichiarato che la Supersport non riceve l&rsquo;attenzione che merita: cosa dovrebbe fare la Dorna per invertire il trend? &ldquo;Credo che la Dorna si stia gi&agrave; impegnando in questo senso, sia dal punto di vista tecnico che da quello commerciale, dato che in Superbike tanti tifosi possono entrare nel paddock e vedere da vicino il podio e non soltanto. Nel mio caso &egrave; stato triste ottenere cos&igrave; poco riscontro nel mio Paese natale, in primis a causa della mancata messa in onda delle gare: avere maggiore esposizione sarebbe utile per me ma non soltanto, dato che potrebbe aiutare il movimento motociclistico svizzero a crescere. Se un bambino vede un connazionale vincere potrebbe iniziare a desiderare di emularlo&rdquo;. L'intervista continua nella prossima pagina &nbsp; Il presente &egrave; la SBK  Il tuo presente &egrave; la Superbike: quali sensazioni ti ha lasciato il primo test sulla Yamaha R1? &ldquo;Sono felice, in primis per il fatto di esserci finalmente arrivato, in Superbike, e poi perch&eacute; sono con un ottimo team come GRT. Purtroppo il primo test &egrave; stato caratterizzato dalla pioggia, quindi ho potuto compiere soltanto alcuni giri con il bagnato. Ovviamente &egrave; stato bello iniziare a lavorare, sia sulla moto che con la squadra, ma ora non vedo l&rsquo;ora di tornare in pista nuovamente&rdquo;. Cosa sei riuscito a comprendere della moto? &ldquo;Ha due ruote, questo mi aiuta a guidarla (ride). Scherzi a parte, la R1 ha tanta potenza, che va gestita principalmente con un&rsquo;elettronica che puoi modificare curva per curva. Sia in SSP che in Moto2 non avevo la possibilit&agrave; di fare tutto questo, quindi sar&agrave; una bella sfida avere il massimo della potenza senza far scivolare troppo la moto. Dovr&ograve; essere bravo a trasmettere le giuste indicazioni e sensazioni al mio elettronico&rdquo;. Trovi un compagno scomodo come Remy Gardner, che arriva dalla MotoGP: &egrave; un problema o un&rsquo;opportunit&agrave;? &ldquo;Penso rappresenti un&rsquo;opportunit&agrave;. In MotoE non avevo un compagno, in Supersport s&igrave; ma con una velocit&agrave; troppo diversa dalla mia per fare paragoni. Avere un compagno con una velocit&agrave; simile alla mia sar&agrave; utile per capire prima alcune cose: mi auguro sia rapido, anche se un pochino meno di me (ride)&rdquo;. Gardner pu&ograve; anche rappresentare una motivazione extra? &ldquo;Non credo mi serva, se non quando fuori piove e devo andare comunque a fare jogging! Battere il proprio compagno &egrave; sempre un obiettivo primario&rdquo;. Siete al debutto in SBK: per chi, tra voi, sar&agrave; pi&ugrave; difficile adattarsi a una nuova moto? &ldquo;Nel primo test, sul bagnato, Remy &egrave; stato leggermente pi&ugrave; veloce, ma io necessito di pi&ugrave; tempo su pista asciutta per capire il comportamento della moto. Lui potrebbe essere avvantaggiato per la sua maggiore conoscenza dell&rsquo;elettronica, maturata in MotoGP, ma non sono preoccupato&rdquo;. Anche tu hai guidato una MotoGP l&rsquo;anno scorso, seppure per una sola mattinata: cosa ti &egrave; rimasto di quel test con la Suzuki? &ldquo;Se ci penso, ho ancora i brividi. Ho compiuto soltanto una trentina di giri ma &egrave; stata comunque la realizzazione di un sogno: anni fa, quando dicevo ai media che il mio desiderio era ancora quello di guidare una MotoGP, qualcuno rideva, cos&igrave; quando ho avuto questa possibilit&agrave; me la sono goduta fino in fondo. Ogni componente di una MotoGP &egrave; incredibile, e penso di aver dimostrato &ndash; girando attorno ai due secondi dalla vetta &ndash; di essere capace di guidarla&rdquo;. L&rsquo;anno scorso la Yamaha ha faticato a occupare le prime posizioni, fatta eccezione per Toprak Razgatlioglu, sei preoccupato? &ldquo;Quest&rsquo;anno avr&ograve; una moto uguale, o almeno molto simile, a quella di Toprak, quindi la prima missione &egrave; quella di studiarlo. Vi sono poi alcune moto nuove, come Ducati e BMW, quindi &egrave; difficile fare previsioni. Io devo soltanto migliorare round dopo round: sarebbe fantastico essere, in qualche occasione, il miglior pilota Yamaha&rdquo;. Se potessi, a quale dei tuoi rivali SBK ruberesti una dote, e quale? &ldquo;Parlando di moto, ruberei la velocit&agrave; a una moto in particolare, dato che certamente aiuterebbe&hellip;&rdquo;. &nbsp;Ducati a parte, quale virt&ugrave; strapperesti a un tuo rivale? &ldquo;Per quanto riguarda i piloti, indico Jonathan Rea e la sua capacit&agrave; di capire velocemente il limite ed essere davanti in qualunque condizione, cadendo davvero poco&rdquo;. Hai 32 anni: per quanto tempo ti immagini ancora in sella e cosa ti piacerebbe fare dopo? &ldquo;In questo momento vorrei continuare il pi&ugrave; possibile, almeno per quattro-cinque anni: prima, forse, avrei risposto diversamente. Una volta appeso il casco al chiodo vorrei restare nel paddock, magari aiutando un team o un pilota con la mia esperienza: sarebbe bello anche assistere i giovani piloti svizzeri, dato che al momento il movimento fatica a essere produttivo&rdquo;. MotoGP: wild card per Pedrosa a Jerez       

Il pilota svizzero si prepara alla nuova sfida in Superbike: "Sono nella fase pi&ugrave; favorevole della mia carriera, ora voglio vincere nuove sfide"

Esclusiva SBK, Aegerter: "Sono rinato dopo aver lasciato la Moto2"

        L'Italia &egrave; da sempre stata terra di motori e grandi piloti, lo dimostra in modo eclatante la statistica pi&ugrave; significativa, ovvero quella relativa ai piloti pi&ugrave; vincenti in termini di titoli mondiali, tra tutte le classi. Sono ben tre i piloti appaiati in terza posizione a quota 9 mondiali, mentre in quinta posizione, con 7 iridi due piloti si dividono la quinta piazza. Nella esclusiva top-five solo un pilota &egrave; ancora in attivit&agrave;, si tratta di Marc Marquez, che nella prossima stagione (e negli anni avvenire) avr&agrave; la possibilit&agrave; di aggiornare il libro dei record.  5) Phil Read - 7 titoli mondiali Appaiati in quinta posizione troviamo la coppia britannica formata da Phil Read e John Surtees, con sette titoli mondiali. Read vanta un titolo in 125, quattro in 250 e 2 in 500. Il successo nella piccola cilindrata arriv&ograve; nel 1968 davanti a Bill Ivy, nello stesso anno conquist&ograve; anche la 250, precedendo nuovamente Ivy in classifica. In 250 vinse anche nel 1964 e 1965, battendo rispettivamente Jim Redman e Mike Duff. Nel 1971 conquist&ograve; l'ultimo successo nella classe intermedia ai danni di Rodney Gould. I titoli pi&ugrave; prestigiosi sono per&ograve; probabilmente quelli ottenuti in top class, nel 1973 e 1974, quando batt&egrave; Gianfranco Bonera e Kim Newcombe. Passa alla prossima pagina per scoprire la classifica&nbsp; &nbsp;  5) John Surtees&nbsp; - 7 titoli mondiali Sette mondiali anche per John Surtees, l'unico pilota della storia in grado di vincere un titolo sia nel motomondiale che nella Formula1. La leggenda inglese vinse tre titoli in 350 e quattro in 500; in classe regina trionf&ograve; nel 1956 in sella alla MV Agusta e poi ininterrottamente dal 1958 al 1960, avendo la meglio su piloti come John Hartle, Geoff Duke e l'italiano Remo Venturi. Nei tre anni di dominio della classe regina, Surtees riusc&igrave; nell'impresa di trionfare contestualmente in 350.  4) Marc Marquez - 8 titoli mondiali&nbsp; Lo spagnolo di Cervera occupa in solitaria la quarta posizione, dall'alto dei suoi otto titoli mondiali conquistati tra la 125 (1), la Moto2 (1) e la MotoGP (6). Marquez conquist&ograve; il primo iride nel 2010 nella piccola cilindrata, seguito dal successo nella classe di mezzo nel 2012 e poi dagli anni di dominio in top class. Nel 2013 trionf&ograve; nonostante fosse un rookie e l'anno successivo si ripet&egrave; raccogliendo ben 14 vittorie in una sola stagione. I restanti quattro titoli arrivarono dal 2016 al 2019. Nel 2023 lo spagnolo avr&agrave; l'occasione di conquistare il nono titolo, raggiungendo cos&igrave; uno dei suoi pi&ugrave; acerrimi rivali. Nella prossima pagina il podio dei piloti pi&ugrave; titolati&nbsp; &nbsp;  3) Carlo Ubbiali&nbsp; - 9 titoli mondiali Soprannominato "La Volpe", in virt&ugrave; dell'attitudine di stare pi&ugrave; attento alla classifica del campionato che alla singola vittoria, Carlo Ubbiali occupa la terza posizione con 9 mondiali, conquistati tra la 125 e la 250. Nella piccola cilindrata Ubbiali vinse nel 1951, nel 1955, 1956 e poi dal 1958 al 1960. Nel 1956 vinse contestualmente anche in 250 precedendo Luigi Taveri, per poi ripetersi nel 1959 su Tarquinio Provini e nel 1960 su Gary Hocking. 3) Mike Hailwood - 9 titoli mondiali "Mike The Bike", leggendario soprannome affibiato a Mike Hailwood in virt&ugrave; della sua propensione a guidare ogni tipo di mezzo, si trova a quota 9 mondiali appaiato a Carlo Ubbiali. L'inglese vanta tre titoli in 250 conquistati nel 1961 su Tom Phillis, nel 1966 (anno in cui vinse tutte le gare della stagione) su Phil Read e nel 1967 ai danni nuovamente di Phil Read. In 500 Hailwood conquist&ograve; altri quattro iridi, dal 1962 al 1965, l'ultimo dei quali vinto davanti a Giacomo Agostini, dando vita ad una leggendaria rivalit&agrave;. Passa alla prossima pagina, la top 3 ti stupir&agrave;! &nbsp; 3) Valentino Rossi - 9 titoli mondiali Il "dottore", con i suoi 9 titoli, divide la terza posizione assieme a Ubbiali e Hailwood. Il primo titolo di Rossi arriv&ograve; nel 1997 in 125, quando batt&egrave; in classifica Noburo Ueda, successo replicato in 250 nel 1999 su Toru Ukawa. Dal 2001 al 2005 Rossi domin&ograve; la scena in classe regina, avendo la meglio rispettivamente su Max Biaggi (2001-2002), Sete Gibernau (2003-2004) e Marco Melandri (2005). Gli due titoli del campione di Tavullia arrivarono nel 2008 su Casey Stoner e nel 2009 vittorioso su Jorge Lorenzo. 2) Angel Nieto - 13 titoli mondiali Angel Nieto, leggenda spagnola delle piccole cilindrate, occupa la piazza d'onore di questa speciale classifica, con 13 titoli conquistati tra la classe 50 (6) e la 125 (7). Nieto vinse il primo dei suoi innumerevoli titoli nel 1969 nella classe 50, successi replicati nel 1970, 1972, 1975, 1976 e 1977. In 125 lo spagnolo trionf&ograve; in ben sette occasioni, nel biennio 1971\1972, nel 1979 e poi dal 1981 al 1984. Numeri incredibili che denotano la velocit&agrave; e la longevit&agrave; competitiva del pilota pi&ugrave; vincente di sempre nelle piccole cilindrate. Nella prossima pagina scopri il pilota pi&ugrave; titolato della Storia &nbsp;  1) Giacomo Agostini - 15 titoli mondiali Il re indiscusso della classifica dei piloti con pi&ugrave; titoli mondiali tra tutte le classi del motomondiale &egrave; Giacomo Agostini. "Ago" &egrave; il leader con 15 mondiali, numeri che lo rendono il pi&ugrave; vincente di sempre nonch&eacute; inavvicinabile per tutti, chiss&agrave; ancora per quanti anni. La leggenda della MV Agusta &egrave; anche il pi&ugrave; vittorioso nella storia della top class, con 8 titoli, conquistati consecutivamente dal 1966 al 1972 e poi nel 1975. Agostini conquist&ograve; gli altri sette iridi in 350, dal 1968 al 1974. Manzi ma non solo: il mercato SSP alle ultime battute        

Un italiano svetta su tutti nella classifica dei piloti con pi&ugrave; titoli mondiali della storia, se considerate tutte le classi. Nel 2023 Marquez avr&agrave; una ghiotta occasione

MotoGP: Marquez insegue Rossi, un italiano è il più titolato della storia

        Due titoli mondiali sono pochi per dare la misura di Tarquinio Provini: avrebbe potuto vincerne anche di pi&ugrave; e non &egrave; stato fortunato ma resta un vincente, nelle gare e nella vita. Una specie di Valentino Rossi a cavallo tra gli anni &lsquo;50 e &lsquo;60, fortissimo in pista e simpatico ai box. Tranne che a Carlo Ubbiali, suo compagno di squadra e nemico giurato nei due anni passati alla MV Agusta. La loro rivalit&agrave; rimase sufficientemente sotto traccia e mai ci furono episodi clamorosi ma caratterizz&ograve; fortemente quel periodo. Al punto che i giornali buttavano benzina sul fuoco e i tifosi qualche volta venivano persino alle mani. Carlo Ubbiali e la storia d'amore con MV Agusta &nbsp; Il Toro di Bologna   Alla Meccanica Verghera, Provini era arrivato nel 1958 da campione del Mondo, in virt&ugrave; del titolo della 125 vinto l&rsquo;anno prima con la FB Mondial. A fine stagione la Casa del conte Boselli aveva aderito assieme a Moto Guzzi, Gilera e MV Agusta al famoso patto di astensione, cio&egrave; il ritiro congiunto dalle corse ritenute troppo costose; poi il conte Agusta ci aveva ripensato e, anzi, a fianco di Ubbiali aveva ingaggiato anche Tarquinio. Due galli in un pollaio. Anzi la &rdquo;Volpe&rdquo; di Bergamo contro il &ldquo;Toro di Bologna&rdquo;, come veniva chiamato Provini per la sua determinazione e per il fatto che, pur essendo nato a Cadeo nel piacentino, si era trasferito nel capoluogo felsineo. Due personaggi diversissimi. Remo Venturi, che correva in squadra con loro, ne traccia un bel quadretto anche se da un punto di vista&hellip; sbilanciato. &ldquo;Provini &egrave; stato il pi&ugrave; sincero amico che ho avuto in tuttala mia carriera. Se diceva una cosa a un collega, sicuramente non era a rovescio. Non avrebbe mai detto 'Quella curva si fa in terza' se invece lui la percorreva in quarta. Era l&rsquo;amico di tutti. Penso non andasse d&rsquo;accordo soltanto con Ubbiali. Perch&eacute; Carlo era distaccato, riservato, mentre Tarquinio era amico di tutti, non soltanto mio. Parlavo con entrambi ma Ubbiali aveva sempre dei segreti mentre Provini era trasparente. Non c&rsquo;era un altro come lui&rdquo;. Nemmeno in pista. &ldquo;Aveva introdotto novit&agrave; nella guida che un po&rsquo; tutti abbiamo copiato. Il modo di stare fermi sulla moto senza tirare fuori le gambe o altro. Lui si metteva in carenatura e stava cos&igrave;, non si vedeva nemmeno il casco, stava piegato sotto il cupolino, non so come ci riuscisse&rdquo;. &nbsp; Provini, uno stile unico   Lo stile di Provini era proverbiale, sempre schiacciato dentro la carenatura anche in curva, dalla partenza all&rsquo;arrivo. Era considerato elegantissimo. I criteri di allora erano molto diversi da quelli attuali. Era diverso anche il valore che veniva attribuito ai campionati: l&rsquo;importanza del Mondiale stava crescendo ma il campionato italiano serviva per vendere le moto in patria e la lotta era accanita. Provini ne vinse 11. Il primo anno alla MV Agusta, il 1958, port&ograve; parecchie soddisfazioni e probabilmente il Conte impose ordini di scuderia nel tentativo di contenere la rivalit&agrave; fra la &ldquo;Volpe&rdquo; e il &ldquo;Toro&rdquo;: nel Mondiale della 250 Provini vinse quattro gare su sei (nelle altre un ritiro e un 9&deg; posto con una fermata ai box per un problema al cambio) e il titolo, oltre a quello italiano, mentre nella 125 fu quarto; al suo compagno di squadra Ubbiali andarono il titolo iridato 125 e il terzo posto in 250. L&rsquo;anno dopo Ubbiali fu campione di entrambe le classi. In 250 gli bastarono due vittorie e tre secondi posti contro le due vittorie e ben tre ritiri di Provini, e anche in 125 ci fu un andamento analogo. &ldquo;Il primo anno fu bello, il secondo meno &ndash; racconta uno dei due figli Provini, Marzio (l&rsquo;altro &egrave; Tullio), che allora aveva tre anni &ndash; perch&eacute; doveva sottostare a ordini di scuderia che non gli piacevano. Con il suo carattere&hellip; Quando era davanti, si sentiva di vincere e gli segnalavano di rallentare. Il primo anno lo avevano lasciato pi&ugrave; libero. Non so cosa sia successo&rdquo;. &nbsp; Il ricordo del figlio Marzio  Alla MV Agusta, Provini lasci&ograve; un bellissimo ricordo. &ldquo;I rapporti con il Conte e nel team erano ottimi &ndash; &egrave; ancora Marzio &ndash;. Io ero l&rsquo;unico bambino che girava per il reparto corseve ai box, e il primo anno il Conte mi fece fare una tutina di raso blu con lo stemma MV. Si era creata un&rsquo;amicizia pi&ugrave; stretta con Surtees, Venturi e Masetti. Proprio Surtees gli aveva detto: &lsquo;Tu sei quello che mi dovr&agrave; sostituire!&rsquo;. Pi&ugrave; di una volta venne chiesto a mio padre di correre nelle grosse cilindrate ma mia madre Gelmina assolutamente non voleva, cos&igrave; lui a malincuore ha sempre rifiutato 350 e 500. Poi quando &egrave; passato alla Benelli &egrave; riuscito a fare la 350&rdquo;. Bel tipo, Provini: riusciva a tenere insieme simpatia e una determinazione pazzesca. Per vincere non trascurava nulla. Lavorava con i meccanici fino a tardi alla ricerca della perfezione. Forava i tacchi degli stivaletti per alleggerirli. &ldquo;Anche carenature e cupolini se li faceva rifinire su misura. La galleria del vento allora non c&rsquo;era, ma faceva cadere sul codino delle gocce d&rsquo;olio che venivano spostate dal vento della corsa. Quando l&rsquo;olio scendeva dritto voleva dire che aria non ne arrivava&rdquo;. E non risparmiava qualche astuzia. &ldquo;Mio padre aveva visto che, dopo le prove, qualcuno andava a spiare i rapporti che lui utilizzava, cos&igrave; prima trovava pignone e corona giusti, e poi li cambiava adeguando quelli interni per ottenere lo stesso rapporto finale, in modo che gli avversari si confondessero&rdquo;. Era un mondo tutto diverso, le moto ufficiali viaggiavano in furgone, il paddock era in un prato, e con gli altri piloti... &ldquo;Con gli altri piloti si trovavano anche la sera, facevano gli scherzi ai meccanici. Ce n&rsquo;era uno golosissimo di cioccolata. Aquei tempi in farmacia si trovavano i cioccolatini purgativi, ne riempirono un sacchetto e finsero di mangiarne alcuni. Poi lasciarono il sacchetto l&igrave; in giro. Quando tornarono era vuoto&hellip;&rdquo;. MV Agusta, alle radici della nascita del mito       

Elegante ma determinato, con la MV il pilota emiliano conquist&ograve; un titolo, accendendo a fine anni &lsquo;50 la rivalit&agrave; con Ubbiali

MV Agusta Story: Tarquinio Provini, un talento oltre i numeri

        Ci sono amori che nascono e durano una vita, come quello tra Carlo Ubbiali e la signora Mariella, che &egrave; stata sua moglie per 55 anni. Decisamente pi&ugrave; singolare l&rsquo;inizio del rapporto tra il bergamasco e la MV Agusta, Casa della quale &egrave; il secondo pilota pi&ugrave; vincente di tutti i tempi. MV Agusta, alle radici della nascita del mito &nbsp; Un amore nato in fiera  Nel marzo 1947, nella sua citt&agrave; natale, Ubbiali si aggiudic&ograve; la gara al Circuito delle Mura, in sella a una DKW 125, precedendo tre MV Agusta i cui dirigenti, insospettiti dallo sbarbato, fecero reclamo, come ricordava lui stesso: &ldquo;Una comica, ho indicato 18 anni nel documento di iscrizione, ma ne avevo 17 e mi hanno squalificato&rdquo;. Tre mesi dopo suo padre divenne rivenditore ufficiale della MV a Bergamo e con quelle 125 gareggi&ograve; da privato. In quella veste, Carlo era presente al GP Fiera Campionaria di Milano del 1948 quando fu avvicinato dal conte Domenico Agusta che gli propose di guidare una delle sue moto. La migliore ciclistica, il cambio pi&ugrave; preciso e 14 cavalli, oltre la met&agrave; in pi&ugrave; rispetto a quelli di cui disponeva, gli fruttarono il quinto posto e il conseguente ingaggio da ufficiale. Ai tempi le gare locali, sui circuiti cittadini, erano diffuse. &ldquo;Ad Arona &ndash; rammentava Ubbiali &ndash; ottenni il primo premio in denaro. Arrivai ottavo e presi tredicimila Lire. Li contai pi&ugrave; volte, non ci credevo&rdquo;. Con la MV disput&ograve; anche le tre gare della prima edizione del Mondiale 125, nel 1949: in Svizzera chiuse quarto e ad Assen terzo, sempre davanti ai compagni di squadra, e quarto fu anche in classifica. Subito dopo part&igrave; per il Galles, per la Sei Giorni di Enduro. Dei quattro con la MV Agusta fu l&rsquo;unico a conquistare la medaglia d&rsquo;oro, un&rsquo;impresa che quell&rsquo;anno riusc&igrave; soltanto ad altri otto piloti 125, tutti stranieri. Un risultato straordinario per una Casa italiana e non a caso la famiglia Agusta and&ograve; ad accogliere Ubbiali alla stazione di Gallarate con la banda. Questi risultati attirarono l&rsquo;attenzione della concorrenza e cos&igrave; il padre e il fratello Maurizio si accordarono per correre dal 1950 con la Mondial, mettendolo al corrente soltanto a giochi fatti. In tre stagioni con il costruttore milanese, sempre nella ottavo di litro, fu prima vice campione del Mondo, poi iridato, quindi ancora primo dei battuti. &nbsp; Il ritorno a casa   La svolta arriv&ograve; ancora una volta alla Fiera di Milano, dove Corrado, Domenico e Mario Agusta proposero a Ubbiali di tornare. Pur riconoscendo la superiorit&agrave; tecnica delle MV, Ubbiali era riluttante, anche per il legame con Peppino Boselli. La sua resistenza fu vinta con un&rsquo;offerta da tre milioni e mezzo di Lire annue, una cifra che a Carletto sembrava esagerata. In realt&agrave; la paga di un operaio si aggirava sulle 40mila Lire mensili e pertanto in un anno Ubbiali incassava sette volte tanto, non certo i milioni di Euro che oggi prendono i migliori. Oltretutto, complici l&rsquo;assenza di vie di fuga, i caschi a scodella e le tute degli albori, ogni volta che scendevano in pista i piloti degli anni Cinquanta rischiavano la vita. Il primo biennio dopo il ritorno all&rsquo;ovile fu contraddistinto da alcune cadute, sette podi e una sola vittoria, a Schotten (Germania), favorita dall&rsquo;utilizzo del nuovo cambio a cinque rapporti e dall&rsquo;accensione a spinterogeno. Quel successo, con soltanto un secondo e sette decimi su Werner Haas (NSU) fu significativo perch&eacute; fu il primo di diciannove nel Mondiale con un vantaggio inferiore ai due secondi sul rivale pi&ugrave; vicino. Numeri che dimostravano la sua abilit&agrave; nell&rsquo;ultimo giro e che gli valsero il soprannome &ldquo;la Volpe&rdquo;. Per prevenire le frequenti rotture, che il pi&ugrave; delle volte spedivano a terra i piloti, Ubbiali preservava il mezzo meccanico fin quasi all&rsquo;arrivo per poi piazzare la zampata decisiva. Nel 1953 fu terzo nel Mondiale e nell&rsquo;edizione seguente fu secondo. Sal&igrave; un ulteriore gradino nel 1955, vincendo tutte le gare in calendario tranne che al Montjuic, dove fu terzo. Quelle gesta indussero i conti Agusta a chiedergli di guidare nel GP Nazioni pure nella 250. La NSU aveva 24 punti, uno in pi&ugrave; del team varesino, che per conquistare il titolo doveva assolutamente vincere, e che invece dopo il venerd&igrave; sembrava condannato alla disfatta. Era uno degli aneddoti preferiti di Ubbiali e pertanto riesumiamo le sue parole: &ldquo;Le NSU giravano in 2&rsquo;03, un paio di secondi in meno delle MV, cos&igrave; l&rsquo;ingegner Cella mi propose la 250. In prova mi misi dietro le NSU di due decimi e le altre MV di un secondo e mezzo. Dopo aver vinto la 125, cercai di fuggire anche in 250 ma M&uuml;ller, Miller e Baltisberger non mollavano. Alternavo una buona andatura a tirate improvvise. Prima si stacc&ograve; M&uuml;ller, poi Miller. Restava l&rsquo;ultimo, che ho battuto di tre decimi&rdquo;. &nbsp; Le vittorie, il ritiro precoce    Una simile dimostrazione di forza spinse Ubbiali a dedicarsi dal 1956 alle due categorie. Un impegno che onor&ograve; appieno vincendo cinque gare per classe, prendendosi entrambi i titoli iridati. Prima di allora, essendo i calendari scarni, non era mai accaduto che un pilota vincesse dieci GP in un anno Solare, tenne fermo parecchie settimane ma al rientro, al Nazioni, torn&ograve; a guardare tutti dall&rsquo;alto in basso. Quello stop fu il pi&ugrave; lungo della carriera di Ubbiali, a dimostrazione di una capacit&agrave; di minimizzare gli errori pur andando forte: &ldquo;Correre in modo scientifico &ndash; spiegava &ndash; vuol dire anche saper leggere la caduta. Quando capisci che stai per cadere hai due decimi per rallentare e altri tre o quattro centesimi per prepararti all&rsquo;urto&rdquo;. Nel 1958 fece valere la sua legge, vincendo i primi due round della 125, al TT e in Olanda, e non moll&ograve; pi&ugrave; lo scettro, grazie anche ai successi in Germania e all&rsquo;Ulster. Decisamente iellata invece la quarto di litro, con &ldquo;appena&rdquo; tre podi ma nessuna vittoria e il terzo posto finale con un terzo dei punti del compagno Tarquinio Provini. Spronata dai piloti, la Casa rivoluzion&ograve; le moto, adottando per il 1959 nuovi monocilindrici, preferiti al desmodromico, scartato dopo alcuni esperimenti. Provini part&igrave; forte, trionfando nelle due categorie al TT, mentre Ubbiali fu soltanto quinto in 125 e secondo in 250. In quei giorni nel mare d&rsquo;Irlanda fu avvicinato da Soichiro Honda, che tramite un interprete gli disse di volerlo nella propria squadra. Dalla Germania per&ograve; Ubbiali cambi&ograve; marcia, forte anche del bicilindrico 250 messo a punto da Andrea Magni, con due vittorie. In 125 vinse pure ad Assen e Spa e poi fu secondo a Kristianstad (Svezia) e in Brianza, con due rare volate perse, ma agguant&ograve; comunque il Mondiale. In 250 ottenne due trionfi e tre terzi posti che furono sufficienti per festeggiare la doppietta. Con sette titoli iridati, cancell&ograve; il record di Geoff Duke, fermo a sei. Nel 1960, malgrado l&rsquo;arrivo al suo fianco di Gary Hocking, si riconferm&ograve; campione in entrambe le classi: nella 125 vinse la gara inaugurale &ndash; il suo quinto hurr&agrave; al TT &ndash; e non moll&ograve; pi&ugrave; la vetta, grazie a quattro vittorie e un terzo posto in cinque gare. Il rhodesiano invece lo mise a dura prova nella 250: dopo i primi quattro GP si erano spartiti egualmente primi e secondi posti. Proprio quel quarto GP, a Solitude, rappresentava per Ubbiali la sconfitta pi&ugrave; bella di sempre: &ldquo;in prova avevamo frantumato il record pi&ugrave; volte, ma al via persi 20 metri e nel tentativo di rimontare caddi. Ripartii con la moto danneggiata e superai tutti tranne Hocking&rdquo;. Negli ultimi due GP, all&rsquo;Ulster e al Nazioni, Ubbiali vinse quattro volte, portando il suo bilancio con la MV a otto titoli, con 37 GP vinti, 59 podi e 30 giri veloci. Gareggi&ograve; pure a Siracusa dove raccolse i punti utili per vincere gli ultimi due titoli tricolori ma quando a gennaio mor&igrave; il fratello Maurizio, appese il casco al chiodo, a soltanto 31 anni. Qualche anno dopo present&ograve; Giacomo Agostini al conte Agusta, l&rsquo;ultimo regalo all&rsquo;amata MV. Esclusiva Agostini: "Io, che in MV iniziai con le gimcane"       

La MV ingaggi&ograve; Ubbiali per due volte: il secondo accordo frutt&ograve; ben otto titolo mondiali. E come regalo d'addio il bergamasco present&agrave; al conte Agusta un certo Agostini...

Carlo Ubbiali e la MV Agusta, una vera storia d'amore

        La MV nacque per la riconversione civile di un&rsquo;industria aeronautica, impossibilitata nel 1945 a proseguire l&rsquo;attivit&agrave; a causa della sconfitta militare nella Seconda Guerra mondiale. Ma la scelta di costruire moto fu anche influenzata dalla grande passione che il titolare, il conte Domenico Agusta, nutriva per questo veicolo, e in particolare per le corse motociclistiche. Yamaha Mondiale: Nori Haga, l'uomo che lasci&ograve; il segno senza vincere &nbsp; La nascita del reparto corse   Da questa passione deriv&ograve; fin dall&rsquo;esordio industriale la nascita di un reparto corse che inizialmente fu incaricato di realizzare una versione &ldquo;gara&rdquo; della 98 di serie, con la quale piloti privati e ufficiali gi&agrave; nel 1946 ottennero diverse vittorie. Nel 1948, con il rilancio della classe 125 sia sul mercato che nei circuiti di tutt&rsquo;Europa, la 98 fu sostituita da una ottavo di litro di analoghe caratteristiche da 9 CV a 6800 giri. La pi&ugrave; importante affermazione della MV 125 due tempi fu la vittoria di Franco Bertoni nel GP Nazioni del settembre del 1948 sul velocissimo circuito di Faenza, ma proprio in quell&rsquo;occasione esord&igrave; la Mondial 125 bialbero che, guidata da Francesco Lama, un pilota inattivo da quasi nove anni, dovette rinunciare alla vittoria soltanto per un guasto al serbatoio. &nbsp;Il segnale venne recepito: la MV insistette ancora per un anno con il due tempi, divenuto il pi&ugrave; veloce del Mondo nel suo genere, ma in occasione del GP Olanda del 1950 fece debuttare la sua bialbero che nel 1952, raggiunta un&rsquo;invidiabile competitivit&agrave;, si impose con l&rsquo;inglese Cecil Sandford in tre GP su sei e conquist&ograve; i suoi primi due titoli iridati, essendosi aggiudicata anche il Mondiale marche. Nel 1953 e 1954 la classe 125 vide il predominio della NSU e per contrastarlo non bast&ograve; il grande talento di Sandford e Leslie Graham (che nel 1953 perse la vita al Tourist Trophy nella 500 dopo aver vinto la 125) ai quali si era unito l&rsquo;italiano Carlo Ubbiali (gi&agrave; campione del Mondo nel 1951 con la Mondial). Ritiratasi la NSU alla fine del 1954, la MV bialbero torn&ograve; a essere la moto da battere nella classe 125 e la sua superiorit&agrave; &ndash; espressa da 20 CV a 12.000 giri e circa 200 km/h di velocit&agrave; massima con la carenatura integrale &ndash; le valse fino al 1960 una sequenza di cinque titoli mondiali, tutti per mano di Carlo Ubbiali, interrotta soltanto nel 1957 da Tarquinio Provini su Mondial. Dal debutto ai successi   Complessivamente nella 125 la MV vinse sei titoli piloti e sette costruttori. Dalla 125, il reparto corse MV nel 1955 ricav&ograve; una versione maggiorata a 203 cm&sup3; che erogava 27 CV a 11.000 giri e che si rivel&ograve; subito capace di battersi con le pi&ugrave; forti concorrenti della classe 250, tanto da aggiudicarsi il titolo marche. Dopo un simile debutto, la Casa di Cascina Costa non ebbe dubbi sulla sua permanenza nella 250, e per confermarsi al vertice port&ograve; il motore al limite della cilindrata, guadagnando altri cinque cavalli, sufficienti a far vincere al prodigioso Ubbiali il titolo mondiale 1956. &nbsp;Fu Sandford, il pilota che le aveva procurato il primo successo iridato nella 125, passato alla Mondial, a infrangere nel 1957 la supremazia della MV 250, ma fu soltanto una parentesi: nella stagione successiva la quarto di litro di Cascina Costa, questa volta per mano dell&rsquo;asso piacentino Tarquinio Provini, torn&ograve; in possesso del titolo. Nel 1959, per contrastare l&rsquo;aggressivit&agrave; della MZ a due tempi, la MV mise in campo un&rsquo;inedita 250 bicilindrica bialbero da 37 CV a 12.500 giri con cui Ubbiali si riafferm&ograve; campione del Mondo in quella stagione e in quella successiva. Nella classe 250, a quel punto, la MV aveva totalizzato quattro Mondiali piloti e cinque marche. Alla fine del 1960 il conte Domenico Agusta entr&ograve; in conflitto con la FIM a causa dell&rsquo;aumento &ndash; da lui giudicato eccessivo per i costi connessi &ndash; dei GP in calendario. Il risultato della disputa fu l&rsquo;annuncio del ritiro della MV dalle competizioni nazionali e internazionali di Velocit&agrave;. Ma se il proposito fu mantenuto per le classi 125 e 250, non altrettanto fu per la 350 e la 500, dove il reparto corse continu&ograve; ad assistere i piloti e a sviluppare le moto mascherando l&rsquo;attivit&agrave; con la scritta &ldquo;Privat&rdquo; sui serbatoi accanto al marchio. La quattro cilindri bialbero con cui la MV correva nelle due classi maggiori era nata fra le polemiche nel 1950, quando l&rsquo;ingegner Pietro Remor aveva lasciato la Gilera per progettare a Cascina Costa una nuova mezzo litro. Remor nell&rsquo;anteguerra aveva progettato la prima quattro cilindri da corsa costruita in Italia, la Rondine, divenuta Gilera a partire dal 1936. Da allora era sempre rimasto con la Casa di Arcore fino al clamoroso passaggio alla MV. Si grid&ograve; allora al &ldquo;tradimento&rdquo;, perch&eacute; il nuovo motore si rivel&ograve; praticamente una copia della 500 di Arcore: una differenza consistente era soltanto nelle misure di alesaggio e corsa, 52x58 mm la Gilera, 54x54 la MV. &nbsp; I trionfi nella 500  La 500 esord&igrave; nel GP Belgio, a Francorchamps, nel luglio del 1950. La guidava il bolognese Arciso Artesiani, che la port&ograve; al quarto posto; a Monza, nella corsa successiva, sal&igrave; sul podio al terzo posto, si dimostr&ograve; velocissima, ma evidenzi&ograve; gravi carenze sui circuiti misti. Ridisegnata nella ciclistica e modificata nel motore, nel 1952 la MV 500, grazie anche all&rsquo;ingaggio come prima guida dell&rsquo;asso inglese della AJS, Leslie Graham, stravinse gli ultimi due GP della stagione e si present&ograve; al via del Mondiale 1953 con motivate ambizioni, che furono letteralmente demolite dalla morte di Graham nella corsa d&rsquo;esordio, il Tourist Trophy. Quell&rsquo;anno la squadra di Cascina Costa non si riprese, piuttosto si dedic&ograve; a un ulteriore miglioramento della 500 e all&rsquo;allestimento di una versione di 350 cm&sup3;. Nel 1954 il miglior risultato della mezzo litro fu la vittoria nel GP Spagna con Dickie Dale, e anche l&rsquo;anno dopo riusc&igrave; a imporsi una sola volta, a Monza con Umberto Masetti. Il grande cambiamento avvenne nel 1956 con l&rsquo;ingaggio di John Surtees il quale, appena salito sulla quattro cilindri del conte Agusta, vinse i primi tre Gran Premi e, con la complicit&agrave; di un&rsquo;annata da dimenticare per la Gilera, firm&ograve; sull&rsquo;albo d&rsquo;oro del Motomondiale i primi due titoli della MV (piloti e marche) nella classe regina. In quella stessa stagione Surtees conquist&ograve; un altro primato con la vittoria a Spa sulla MV 350. Nel 1957 si assistette al grande ritorno al vertice della Gilera, ma a fine anno la Casa di Arcore, assieme a Mondial eMoto Guzzi, annunci&ograve; la rinuncia alle corse di Velocit&agrave;. Da quel momento nella 500, per diciassette anni consecutivi, la MV vinse il Mondiale piloti, con Surtees, Gary Hocking, Mike Hailwood, Giacomo Agostini e Phil Read, e per quindici anni si aggiudic&ograve; il titolo marche. A questi aggiunse dieci allori piloti e nove costruttori nella 350, con gli stessi protagonisti escluso Read. Nella storia tecnica del Motomondiale il marchio della MV Agusta, che complessivamente ha totalizzato 75 allori iridati, resta indelebile. Si tratta infatti della Casa in grado di portare al massimo livello il motore a quattro tempi prima della dilagante avanzata del due tempi, arrestata soltanto dall&rsquo;imposizione della MotoGP. Esclusiva, Giacomo Agostini: "La Yamaha &egrave; stata come una famiglia per me"       

Seguendo la passione di Domenico Agusta, la riconversione civile dell'ex industria aeronautica si rivel&ograve; un successo. Andiamo a ripercorrerne le tappe

MV Agusta, alle radici della nascita del mito

        Giacomo Agostini, 110 e lode con bacio accademico. Se esistesse una laurea in motociclismo, lo studente modello sarebbe indubbiamente lui, ancor di pi&ugrave; in un&rsquo;ipotetica specializzazione &ldquo;MV Agusta&rdquo;. Con le moto varesine Ago ha raggiunto cifre stellari, inavvicinabili per il resto dei colleghi, anche per chi come Valentino Rossi ha vinto 115 GP ma &ldquo;soltanto&rdquo; 56 di questi con la Yamaha. In sella alle MV invece Agostini ha conquistato sette titoli iridati e 62 GP nella classe regina, pi&ugrave; sei Mondiali e 48 GP nella 350. Il totale fa per l&rsquo;appunto 110, un numero che simboleggia l&rsquo;eccellenza. Ducati Story: Troy Bayliss, una carriera nel segno del Rosso &nbsp; Ago-MV, binomio vincente  &nbsp; Agostini come &egrave; nato il connubio con la MV Agusta? &ldquo;Correvo con la Morini, prima con la 175 poi con la 250, con buoni risultati, volevo andare avanti e gareggiare nel Mondiale a tempo pieno (aveva corso tre GP in un biennio, ndr) ma la Morini non era interessata. Saputo che la MV cercava un pilota italiano per sviluppare la 350, decisi di propormi&rdquo;. Cosa ricorda del primo incontro con il conte Domenico Agusta? &ldquo;Dovevo presentarmi da loro alle quattro e mezzo del pomeriggio, arrivai alle quattro ma mi ricevette soltanto alle 10. Entrai in ufficio e mi disse: &lsquo;Chi sei?&rsquo;. &lsquo;Sono Agostini&rsquo; risposi. &lsquo;E cosa vuoi?&rsquo; replic&ograve;. Ero costernato, pensavo forse di aver sbagliato porta: &lsquo;Vorrei correre con le sue moto&rsquo;. Al che mi disse: &lsquo;Ma sei capace di correre?&rsquo; e cos&igrave; gli risposi: &lsquo;Mi provi&rsquo;&rdquo;. &nbsp;Quando ci fu il test?&ldquo; Il giorno dopo a Monza, aveva fatto prenotare la pista da Arturo Magni. Arrivato in circuito, trovai i birilli sul rettilineo. Avevo gi&agrave; vinto tre titoli italiani, in salita e in pista, e mi ritrovavo a fare le gimcane come 15 anni prima. Lo dissi ad Arturo che mi invit&ograve; ad assecondare i voleri del Conte. Cos&igrave; feci quello che mi veniva detto e poi andai in ufficio a firmare. Fu soltanto un gioco, voleva capire il mio carattere&rdquo;. Cosa ricorda della prima gara del Mondiale con la MV nel 1965? &ldquo;Fu al N&uuml;rburgring in 350, mi presentai in mezzo a tutti i grandi di quell&rsquo;epoca, Mike Hailwood, Phil Read, Jim Redman, Bill Ivy, ne leggevo le gesta ma non li conoscevo di persona. Battagliai con Redman, ma poi inizi&ograve; a piovigginare e riuscii a vincere, precedendo Hailwood, non mi sembrava nemmeno vero&rdquo;. Eppure il mese prima a Riccione, aveva gi&agrave; battuto il suo nuovo compagno di squadra. &ldquo;Esatto, avevo di fronte un grande campione ma alla fine riuscivo a precederlo. Mi dissi &lsquo;Boh&hellip;&rsquo;&rdquo;. Hailwood fu il suo rivale per il titolo della classe regina sia nel 1966 che nel 1967 anche se lei riusc&igrave; a prevalere entrambe le volte. Quale fu la sfida pi&ugrave; tosta?&ldquo; Furono tutte dure perch&eacute; con lui non c&rsquo;era tanto da scherzare. Ai tempi la Honda era superiore di motore, la MV era in vantaggio a livello di telaio&rdquo;. &nbsp; Vittorie e insuccessi   Tra tante vittorie, lei sembra molto legato a un insuccesso: quello del 1967 al Tourist Trophy. &ldquo;Una grande battaglia, sul filo dei secondi, diedi tutto. Battere Hailwood all&rsquo;Isola di Man non era da tutti, vinceva in tutte le classi, dalla 125 alla Senior. Aveva gi&agrave; conquistato 11 volte il TT, nessuno all&rsquo;epoca ne aveva vinti cos&igrave; tanti. Sembravo vicino a farcela, avevo fatto il nuovo record sul giro pur partendo da fermo e avevo un vantaggio di alcuni secondi ma poi si ruppe la catena a Cregny-Baa. Rientrai ai box piangendo, ma quella sera Hailwood venne a prendermi e mi port&ograve; a una festa, ci divertimmo&rdquo;. Si &egrave; mai chiesto la ragione di quel guasto?" I produttori della catena dicevano che il mio meccanico aveva sbagliato a prendere il pacchetto, che avevano realizzato appositamente un esemplare a mano, ma io questa catena non l&rsquo;ho mai vista. Magni invece negava, sosteneva come la catena non fosse stata prodotta con tutti i crismi, insomma si rimpallavano le colpe&rdquo;. Il suo rendimento al Tourist Trophy &egrave; stato incredibile: su 16 partenze ottenne 10 vittorie, due secondi e un terzo posto, pi&ugrave; tre ritiri. &ldquo;Uno soltanto per caduta nel 1965 nella Senior, in salita a Glen Helen. L&rsquo;asfalto era bagnato e in quel punto cadde pure Hailwood, ma lui riusc&igrave; a ripartire e vincere, mentre la mia MV non era pi&ugrave; in grado di proseguire. Gli altri due ritiri furono per guasti&rdquo;. &nbsp; I rapporti con il Conte   Com&rsquo;era il suo rapporto con i meccanici? &ldquo;Eravamo un team affiatato e ci volevamo bene, condividevo con loro piaceri e oneri. Io rispettavo loro e loro facevano altrettanto, anche se ero un 'rompicoglioni', volevo sapere tutto. Al mio arrivo rompevo le palle, chiedevo se veniva fatta ogni cosa e mi guardavano un po&rsquo; cos&igrave;, io ero giovane e loro una grande azienda. Per&ograve; un giorno a Modena si ruppe la catena perch&eacute; si erano dimenticati di chiuderla, allora andai da loro e dissi: &lsquo;Non voglio farvi un&rsquo;osservazione, ma soltanto dirvi che quattro occhi sono meglio di due&rsquo;. Da l&igrave; &egrave; stato amore incondizionato&rdquo;. E invece come definirebbe il rapporto con il conte Domenico Agusta? &ldquo;Lui era il padrone, io come tutti gli altri il dipendente, non c&rsquo;era un rapporto di amicizia, metteva tutti in soggezione. Ricordo che una volta ero partito da Lovere, nella bergamasca, e andai al Reparto Corse per vedere i lavori sulle moto. Lui arriv&ograve; con l&rsquo;autista e mi apostrof&ograve;: &lsquo;Cosa fai tu qui? Esci da qui&rsquo;. Andai all&rsquo;uscita con le lacrime agli occhi e mi incamminai verso la mia auto. Sentii l&rsquo;arrivo di un&rsquo;auto alle spalle, tir&ograve; gi&ugrave; il finestrino, era il Conte con la copertina sulle gambe: &lsquo;Dove stai andando? Dai, dai, torna gi&ugrave; dalle moto&rsquo;. Si vede che si era pentito&rdquo;. &nbsp;I contratti che scadenza avevano? &nbsp;&ldquo;Annuale&rdquo;. &nbsp;Il suo potere contrattuale? &ldquo;Quasi nullo, il conte Mario mi diceva: &lsquo;Quando vai da Micuzzo &ndash; lo chiamavano cos&igrave; in famiglia &ndash; tu firma, non discutere. Poi passa da me che ti do la differenza&rsquo;. Ma io chiedevo qualcosa anche al conte Domenico e cos&igrave; avevo due aumenti, uno a testa!&rdquo;. Come doveva essere la sua moto? &ldquo;Io volevo la perfezione, adattandola alle condizioni meteo. Avendo i freni a tamburo mettevo del nastro davanti alla presa d&rsquo;aria per evitare che entrasse acqua. Lo imparai sulla mia pelle, nei rettilinei l&rsquo;acqua entrava e cos&igrave; appena toccavi la leva del freno si bloccava. Cos&igrave; confrontandomi con i meccanici pensai a questa soluzione&rdquo;. E anche le moto non l&rsquo;hanno mai tradita, salvo rarissimi casi, tanto che da inizio 1968 fino al giugno 1971 vinse i 58 GP che disput&ograve; in quell&rsquo;arco di tempo. Come ha fatto? &ldquo;Non dovrei dirlo io, ma si vede che ero troppo bravo. Per&ograve; quando si vince, a trionfare non &egrave; soltanto il pilota ma anche la moto&rdquo;. &nbsp; L'amore, poi l'addio   Qual &egrave; la MV che ha pi&ugrave; amato e quella invece meno gradita? &ldquo;Sicuramente la pi&ugrave; amata &egrave; la tre cilindri 350, perch&eacute; la collaudai io stesso e la feci su mia misura. La meno amata &egrave; la quattro cilindri del 1972 e 1973 perch&eacute; aveva un sacco di guai. Difetti di pesantezza a livello di telaio e problemi al motore. Non nascondevo nulla, ma se io dicevo bianco, Phil Read diceva rosso. Decisi di non provarla a Monza, ritenendo inutile la cosa, allora arriv&ograve; Read ma dopo un&rsquo;ora e mezza ruppe il motore e ripart&igrave;&rdquo;. Lei ha guidato soltanto le MV 350 e 500 o anche altri modelli? &ldquo;Feci pure una gara, vincendola, con la 250 bicilindrica, nel febbraio 1966, al mio esordio in Spagna perch&eacute; l&rsquo;anno prima il GP Spagna era riservato alle piccole cilindrate. Mi invitarono sul circuito cittadino Vistahermosa di Alicante, cos&igrave; presi in prestito una delle MV che negli anni precedenti erano state guidate da Carlo Ubbiali e Gary Hocking&rdquo;. Mai pensato di correre tre gare per Gran Premio? &ldquo;Mi bastavano le due classi, gi&agrave; finivo la giornata con i calli alle mani&rdquo;. Perch&eacute; scelse di andarsene, a fine 1973? &ldquo;&Egrave; stata dura, lasciavo il mio grande amore, ma se volevo vincere dovevo cambiare, passare ai due tempi che ogni anno miglioravano. Avevo rifiutato in precedenza perch&eacute; erano ancora troppo fragili, ma poi risolsero quel problema. Avevo capito che con i quattro tempi c&rsquo;erano poche possibilit&agrave; per lottare al top, e la MV non aveva progetti di motori a due tempi&rdquo;. Come comunic&ograve; il suo addio? &ldquo;Scrissi una lettera al conte Corrado, subentrato al fratello Domenico morto nel 1971, una lettera di ringraziamento in cui spiegavo il dispiacere che provavo, il sacrificio che stavo facendo&rdquo;. Poi, per&ograve;, nel 1976 torn&ograve; a correre e anche a vincere con la MV, la moto del suo ultimo successo nella 500. &ldquo;Vinsi a fine agosto il mio ultimo GP in 500 con una MV che gestivo con un mio team, alternandola alla Suzuki, battendo Marco Lucchinelli proprio al N&uuml;rburgring, dove avevo conquistato il mio primo GP iridato, pensa te il destino. Anche se le due piste erano differenti: nel 1965 corremmo su quella da 7,7 km mentre nel 1976 c&rsquo;era la versione da 22,8 km&rdquo;. Come era cambiato il motociclismo in quegli undici anni? &ldquo;Tanto, era diventato pi&ugrave; professionale, le tute pi&ugrave; colorate e si era lavorato tantissimo per la sicurezza, passando dai caschi a scodella agli integrali, e finalmente c&rsquo;erano le vie di fuga. Avevamo detto addio per esempio al Tourist Trophy nel 1972 dopo l&rsquo;incidente mortale del mio amico Gilberto Parlotti in 125&rdquo;. &nbsp;La prima cosa che le viene in mente pensando alla MV Agusta? &ldquo;&Egrave; un marchio unico che ha lasciato un segno indelebile nelle competizioni. Ci hanno corso grandi campioni, Surtees, Hailwood, Ubbiali, Agostini, vincendo tantissimi Gran Premi e Mondiali. Ovunque vai, nel Mondo, tutti si esaltano quando parlano della MV&rdquo;.    Ducati Story, Giancarlo Falappa: talento, cuore e follia           

Il 15 volte campione del mondo racconta la sua avventura con la Casa varesina: "Fui io a propormi, senza immaginare che avremmo vinto cos&igrave; tanto"

Esclusiva Agostini: “Io, che in MV Agusta iniziai con le gimcane”

        L'attesa &egrave; finita e, questo fine settimana, inizier&agrave; ufficialmente la stagione 2022 del Campionato Italiano Velocit&agrave; al Misano World Circuit Marco Simoncelli. Grande interesse sar&agrave; rivolto verso la classe Superbike, che vedr&agrave; al via del round inaugurale sedici piloti di alto livello, molti dei quali dai trascorsi mondiali. I favori del pronostico saranno ancora una volta dalla parte di Michele Pirro, otto volte campione italiano (di cui cinque in Superbike), che in sella alla Ducati Panigale V4-R del team Barni punter&agrave; ancora una volta al titolo per superare Walter Villa e Carlo Ubbiali nella classifica dei pi&ugrave; vincenti di sempre. Saranno per&ograve; tanti i possibili rivali del numero 51, come il vicecampione dello scorso anno Alessandro Delbianco, Lo svizzero Randy Krummenacher e le special guest Morais e Webb, senza dimenticare i &ldquo;soliti&rdquo; Luca Vitali e Lorenzo Zanetti. L'incognita meteo  Un fattore da tenere in considerazione in questo fine settimana romagnolo sar&agrave; il meteo, visto che al momento sembra quasi certo l'arrivo della pioggia fin dalle prime sessioni di prove. Una condizione che, se da un lato permetter&agrave; ai piloti di prendere confidenza con le nuove gomme Dunlop da bagnato, dall'altro potrebbe rimescolare i valori in campo regalandoci due gare incerte fino alla bandiera a scacchi. Come di consueto, le due gare si svolgeranno in due giornate distinte: Gara 1 aprir&agrave; il programma del sabato pomeriggio alle 14:10, mentre Gara 2 scatter&agrave; domenica alle 14:45. Entrambe saranno visibili in diretta su FedermotoTV. CIV: tutte le info sui biglietti del round di Misano L'entry list del CIV SBK   GP Argentina: ecco gli orari del weekend di Sky e TV8       

Al circuito Marco Simoncelli scatter&agrave; la stagione 2022 della serie tricolore, con i piloti della classe regina pronti a lottare con il pluricampione. Occhio anche al meteo, grande incognita del weekend

CIV SBK: si parte da Misano, con Pirro pronto a scrivere la storia

        Le polemiche nello sport sono sempre d&rsquo;attualit&agrave; e anche nella Velocit&agrave; in moto non sono mai mancate. Se in questi giorni si &egrave; discusso della regolarit&agrave; dell&rsquo;ultima evoluzione del sistema &ldquo;holeshot&rdquo; inventato dal reparto corse Ducati, alla fine del 1949 - primo anno del Motomondiale - gli italiani contestavano a Leslie Graham e alla AJS la conquista del titolo della 500 ai danni di Nello Pagani e della Gilera, vittime di un cavillo del regolamento che la Federazione Motociclistica Italiana aveva tradotto malamente. Polvere di Stelle: ascesa e declino della Caproni &nbsp; L'arrivo della NSU  Poi le polemiche fra italiani e britannici terminarono per il ritiro delle Case suddite della Regina, sconfitte in parte dalla superiorit&agrave; tecnologica (alla quale non vollero adeguarsi in tempo) delle nostre moto e in parte dalla furba politica di acquisto dei migliori piloti (quasi tutti britannici, appunto) messa in atto dalle marche italiane. Ma nel 1953, quando sembrava che pi&ugrave; nulla si potesse opporre al monopolio delle nostre industrie motociclistiche in tutte le cilindrate del Motomondiale, arrivarono i tedeschi con la NSU. Ho scritto &ldquo;i tedeschi&rdquo; perch&eacute; la sfida non fu portata soltanto dalla Casa di Neckarsulm, ma anche dai suoi piloti ufficiali, tutti di lingua tedesca. La NSU si limit&ograve; a partecipare alle classi 125 e 250, ma in queste due semplicemente sbaragli&ograve; il campo: nella ottavo di litro Werner Haas vinse il Mondiale del 1953 detronizzando Cecil Sandford che lo deteneva con la MV Agusta, e Rupert Hollaus lo conquist&ograve; nel 1954 battendo Carlo Ubbiali e la MV; quell&rsquo;anno, tra i primi sei della classifica finale della 125, quattro piloti guidavano NSU. Nella 250 la superiorit&agrave; della Casa germanica fu ancora pi&ugrave; massiccia: nel 1953 Werner Haas e Reginald Armstrong (unico pilota ufficiale non tedesco) si piazzarono ai primi due posti e l&rsquo;anno dopo la NSU occup&ograve; i primi tre con Werner Haas che precedette Rupert Hollaus e Hermann Paul M&uuml;ller. Se Fergus Anderson nella 350 con la Guzzi e Geoffrey Duke con la Gilera nella 500 non si fossero laureati campioni del Mondo in quel biennio, per gli appassionati cultori italiani del Motomondiale sarebbe stata una debacle assoluta. &nbsp; I malumori italiani   La supremazia tecnica della NSU nel 1954 cre&ograve; comunque malumori e forti delusioni in Italia, e la stampa specializzata non manc&ograve; di farsene portavoce. In occasione del GP Nazioni, in programma l&rsquo;11 e il 12 settembre, l&rsquo;attesa di una rivincita di MV e Moto Guzzi era vivissima, pur nella consapevolezza che la NSU non avrebbe fatto regali a nessuno. Ma nel corso delle prove Rupert Hollaus &ndash; gi&agrave; matematicamente campione del Mondo della 125 &ndash; rimase vittima di una caduta che gli cost&ograve; la vita e la NSU decise di ritirarsi dal GP, imitata in questo dalla Guzzi, che alla vigilia della corsa aveva annunciato che avrebbe partecipato con una sola moto ufficiale affidata a Ken Kavanagh. La classe 250 del GP Nazioni vide dunque una dura battaglia fra soli piloti privati: molti in sella alle Guzzi Albatros, contrastati da alcuni avversari di lingua tedesca alla guida di NSU monocilindriche derivate dalle &ldquo;Sport Max&rdquo; di serie. Vinse l&rsquo;inglese Arthur Wheeler su Guzzi, davanti al compagno di marca Romolo Ferri e al tedesco Kurt Knopf su NSU. Qualche giorno dopo, dagli ambienti della Casa di Neckarsulm cominciarono a circolare voci sull&rsquo;effettiva cilindrata delle Guzzi, voci che ormai non potevano pi&ugrave; essere verificate, ma che furono pi&ugrave; che sufficienti a generare aspre polemiche. A queste si aggiunse il comunicato con cui la marca tedesca annunciava il ritiro ufficiale dal Motomondiale a partire dal 1955, quando avrebbero partecipato, con il suo marchio sul serbatoio, soltanto moto private derivate dalle Sport Max. Due le motivazioni del ritiro: la necessit&agrave; di concentrarsi sugli sforzi industriali (soprattutto nello sviluppo del motore Wankel) e la constatata mancanza di avversari in grado di battere le loro moto. Sulla rivista &ldquo;La Moto&rdquo;, il direttore, Giovanni Luraschi, pubblic&ograve; un editoriale di fuoco contro le supposizioni della NSU sulla cilindrata delle Moto Guzzi a Monza e anche contro le ragioni del ritiro addotte nel comunicato. &ldquo;La prima ragione &egrave; senza dubbio logica &ndash; scrisse &ndash; almeno fino a un certo punto, ma la seconda dimostra ancora una volta che la tanto vantata seriet&agrave; tedesca &egrave; una leggenda che non sempre ha solide basi nella realt&agrave;&rdquo;. Quanto alle voci malevole sulla regolarit&agrave; della vittoria di Wheeler, Luraschi fu altrettanto pesante: &ldquo;Quando la NSU fu battuta a Monza dalle Guzzi, espresse il dubbio che le Guzzi fossero maggiorate, ma lo espresse parecchi giorni dopo la gara, quando sapeva che nessun controllo era pi&ugrave; possibile e quando sapeva che qualunque smentita avrebbe lasciato nel pubblico tedesco qualche dubbio. Scrivemmo allora che la NSU doveva imparare a perdere e ora dobbiamo scrivere che la NSU deve pure imparare come si comporta una Casa che vince&rdquo;. Da Neckarsulm arriv&ograve; puntualmente una risposta: &ldquo;Abbiamo letto il n. 28 della vostra rivista e siamo veramente sbalorditi per la veemenza con cui vi scagliate contro la NSU e ci attribuite tutte le peggiori qualit&agrave;&hellip;&rdquo;. &nbsp; La fine delle "ostilit&agrave;"  Dopo aver ribadito che la ragione principale del ritiro era la necessit&agrave; di utilizzare al massimo le risorse dell&rsquo;azienda per la produzione, la Casa tedesca si arrampic&ograve; un po&rsquo; sugli specchi affermando come la mancanza di avversari si riferisse alle corse nazionali e non certo a quelle internazionali, e non intendeva sottovalutare la concorrenza straniera e soprattutto quella italiana. &ldquo;Inoltre vi possiamo dire che i dirigenti della NSU intrattengono rapporti molto amichevoli con quelli della Moto Guzzi, quindi non &egrave; pensabile che non sappiamo valutare e riconoscere le prestazioni della Moto Guzzi. Non si creda che la NSU abbia sparso la voce che la Moto Guzzi abbia partecipato al Gran Premio delle Nazioni a Monza con macchine truccate&rdquo;. La polemica si chiuse, ma negli anni successivi il comunicato del ritiro della NSU ebbe modo di tornare indirettamente alla ribalta. Nel 1955 M&uuml;ller, in sella a una Sport Max privata (per quanto con l&rsquo;assistenza della Casa), vinse il titolo della 250 (e fu la prima volta per una &ldquo;derivata di serie&rdquo;) mettendo in fila Bill Lomas con la MV, Sandford con la Guzzi, Luigi Taveri e Umberto Masetti con le MV, tutti gi&agrave; in passato, o in futuro, campioni del Mondo. Superiorit&agrave; tecnica soltanto nelle gare nazionali? Quanto poi alla scarsa credibilit&agrave; attribuita da Luraschi alle esigenze di maggior impegno industriale della NSU, furono proprio le Case italiane, alla fine del 1957, a confermarne la validit&agrave;, quando Gilera, Guzzi e Mondial annunciarono congiuntamente il ritiro adducendo due ragioni: la necessit&agrave; di dedicare anche gli uomini e l&rsquo;esperienza tecnica dei reparti corse al miglioramento della produzione e la mancanza di avversari nel Motomondiale. A Neckarsulm qualcuno senz&rsquo;altro fece un sorriso&hellip; Polvere di Stelle: Alessandro Anzani, il primo campione del mondo       

La polemica in MotoGP sull&rsquo;abbassatore Ducati rinnova la tradizione delle schermaglie nel Motomondiale: ricordate il confronto NSU-Moto Guzzi a met&agrave; anni &lsquo;50?

Polvere di Stelle: l'antesignano dell'holeshot

        Pur non essendo stato ufficialmente ritirato dalla Dorna, difficilmente rivedremo il numero 46 nel Motomondiale. Al momento sono otto i numeri accantonati: il primo della serie fu, nel 1995, l&rsquo;iconico 34 di Kevin Schwantz, a cui si aggiunsero negli anni Dieci del Terzo Millennio il 74 di Daijiro Kato, il 48 di Shoya Tomizawa, il 58 di Marco Simoncelli e il 65 di Loris Capirossi. Nell&rsquo;ultimo lustro analogo tributo &egrave; stato riservato al 39 di Luis Salom, al 69 di Nicky Hayden e, lo scorso giugno, al 50 di Jason Dupasquier. Quella (s)volta che: Adam Raga, l'altra stella del Trial Il 46 di Goddard  Prima di Valentino l&rsquo;ultimo a impiegare il numero 46 era stato Peter Goddard al GP Australia 1993 della 500, disputato da wild card in sella Suzuki RGV 500 del Team Lucky Strike. Nono in qualifica, l&rsquo;australiano non raccolse nemmeno un punto: l&rsquo;anno precedente, con il 21 sul cupolino, ne aveva totalizzati 18 con la Roc-Yamaha, conquistando un memorabile quinto posto a Donington, anche se a un minuto e quattro secondi dal vincitore, il connazionale Wayne Gardner. Goddard si serv&igrave; del 46 pure nel 1991 con la Yamaha 500 del Team Hayashi, ma anche in quell&rsquo;occasione corse una sola volta, in Giappone, conquistando un punto: giunse infatti 15&deg; a 1&rsquo;23&rdquo; da Schwantz ma precedendo sette colleghi. Ai tempi non tutti i privati avevano una numerazione fissa: per esempio Simon Buckmaster si barcamen&ograve; tra il 36, 37 e 39 e Hans Becker tra 35, 36, 38 e 40. Cos&igrave; in occasione della terza gara stagionale, il GP Usa, il 46 pass&ograve; a Robbie Petersen, schierato dal Team Roberts assieme all&rsquo;altra wild card Rich Oliver che si prese il 97, e agli ufficiali Wayne Rainey e John Kocinski. Dei tre compagni di squadra al traguardo (Kocinski pat&igrave; un high side al settimo giro) Petersen fu il peggiore ma nonostante il doppiaggio subito dal campione in carica giunse 12&deg; e quindi conquist&ograve; quattro punti, i suoi soli nel Mondiale. Da Molenaar a Biaggi  Chi invece nel 1991 esib&igrave; il 46 per l&rsquo;intera stagione fu Arie Molenaar in 125: con la Honda del Team Sharp Samson l&rsquo;olandese disput&ograve; 12 dei 15 GP ma prese punti soltanto nel GP Gran Bretagna, chiuso all&rsquo;11&deg; posto, e al GP Malesia, terminato al 14&deg; posto, entrambi con oltre 45 secondi di distacco da Capirossi. Con i sette punti guadagnati chiuse la stagione al 30&deg; posto e cos&igrave; l&rsquo;anno seguente pass&ograve; al numero 30. Pur guidando un&rsquo;Aprilia, nel Mondiale 1992 non riusc&igrave; per&ograve; mai ad andare in zona punti perch&eacute; proprio quell&rsquo;anno fu deciso di attribuirli soltanto ai primi dieci classificati. Sempre nel 1991, nella quarto di litro il 46 pass&ograve; pi&ugrave; volte di mano. A Le Mans e Donington fu attribuito al britannico Kevin Mitchell (Yamaha) che per&ograve; non incass&ograve; alcun punto. Al GP San Marino, insolitamente disputato al Mugello, il 46 fu invece assegnato a un pilota che, sportivamente parlando, l&rsquo;avrebbe odiato per almeno un decennio. Gi&agrave;, proprio lui, Max Biaggi, che quell&rsquo;anno riusc&igrave; a correre soltanto quattro gare essendo impegnato nel campionato continentale della 250, sempre con l&rsquo;Aprilia: il romano si aggiudic&ograve; il titolo europeo con nove lunghezze di vantaggio sullo svizzero Eskil Suter. Nel Mondiale debutt&ograve; con il 60, poi scese al 58 e infine prese il 46, sempre con le insegne del Team Italia. E proprio con il 46 si piazz&ograve; al 12&deg; posto nel GP sulle colline toscane, a 43 secondi da Luca Cadalora. Serve invece tornare al 1986 per trovare un pilota sul podio nel Mondiale con il 46 prima che Rossi lo facesse diventare un feticcio: teatro il GP Francia della 250, dove tra le wild card c&rsquo;era anche Etienne Quartararo, pap&agrave; di Fabio. A Le Castellet, Dominique Sarron giunse terzo con la Honda NSR 250 a cinque secondi da Carlos Lavado. Due settimane dopo, quando trionf&ograve; a Silvestone, il transalpino era passato al 31. Sempre nel GP Francia della 250, ma del 1982 a Nogaro, Jeffrey Sayle chiuse terzo con il 46 a soli 76 centesimi dal vincitore, Jean-Louis Tournadre. Incredibilmente l&rsquo;ultimo a conquistare un GP con il 46 prima di Valentino era stato il padre Graziano al GP Jugoslavia 1979 della 250 a Rijeka. Quell&rsquo;anno Rossi senior trionf&ograve; anche ad Assen con il 44 e in Svezia con il 47. Quella (s)volta che: &egrave; nato il Parco Ubbiali       

Il numero di Valentino Rossi accompagn&ograve; diversi piloti prima del pesarese, compresi pap&agrave; Graziano e persino... Biaggi

Quella (s)volta che: quando il 46 non era un simbolo

        Classe 250, casa nostra. Nelle 61 edizioni della cilindrata di mezzo, il tricolore &egrave; stato padrone in 22 casi, a cui si aggiunge un titolo del sammarinese Manuel Poggiali. Nessuno, inglesi, tedeschi e in tempi recenti spagnoli, &egrave; riuscito ad avvicinare tale predominio, se &egrave; vero che la seconda scuola pi&ugrave; titolata - quella britannica - non raggiunge la doppia cifra di titoli. Un dominio che porta impressi i nomi di Bruno Ruffo, Dario Ambrosini, Enrico Lorenzetti, Carlo Ubbiali, Tarquinio Provini, Walter Villa, Mario Lega, nel passato pi&ugrave; lontano. E poi Luca Cadalora, Max Biaggi, Loris Capirossi, Valentino Rossi, Marco Melandri e Marco Simoncelli. &ldquo;Macio&rdquo; e il SIC, assieme a Poggiali, hanno consentito alla 250 di parlare italiano anche nel Terzo Millennio, negli ultimi anni della categoria a due tempi, prima del passaggio alla Moto2 del 2010. Il 2002 di Marco Melandri   &ldquo;La 250 era una moto bellissima e difficile da guidare &ndash; dice un nostalgico Marco Melandri, campione con l&rsquo;Aprilia nel 2002 &ndash; 100 cavalli per 100 kg erano tanta roba, era molto delicata e dovevi essere molto preciso&rdquo;. &ldquo;Era il giusto compromesso tra agilit&agrave; e potenza &ndash; spiega Manuel Poggiali, successore di Melandri sull&rsquo;Aprilia e al vertice della categoria &ndash; ai tempi il regolamento prevedeva la possibilit&agrave; di sviluppare liberamente. Rispetto alle tante limitazioni di adesso era tutto aperto&rdquo;. Non sempre, per&ograve;, nell&rsquo;ultimo decennio di storia della 250 la situazione per gli italiani era stata rosea. Dopo il titolo di Rossi nel 1999, il sesto consecutivo per l&rsquo;Italia in una serie iniziata da Biaggi e proseguita da Capirossi, sono arrivati due anni di stallo: nel 2000 a svettare fu il francese Olivier Jacque davanti a uno stuolo di giapponesi, cio&egrave; il compagno di team Shinya Nakano, il compianto Daijiro Kato e Toro Ukawa, con il rookie Melandri quinto. Nel 2001, invece, a vincere il titolo iridato fu lo straordinario Kato in sella alla Honda del Team Gresini, seguito dai due compagni di squadra in Aprilia, Tetsuya Harada e Melandri, con Roberto Locatelli quarto. In quello stesso anno, il giovane e rampante Melandri, alla seconda stagione nella quarto di litro, ottenne la prima vittoria di categoria nel GP Germania, conquistando anche quattro secondi posti e quattro terzi posti. Un bel modo per preparare l&rsquo;assalto al titolo nel 2002. Quando, ancora in sella all&rsquo;Aprilia del Team MS Racing, Melandri lasci&ograve; poco spazio ai rivali, andando a conquistare nove vittorie (sei consecutive) e tre secondi posti. Un totale di 298 punti, 57 pi&ugrave; di Fonsi Nieto, secondo. La gara decisiva della stagione fu quella di Phillip Island, la penultima in calendario, con lo scontro diretto tra Melandri e Nieto: tra i due, al traguardo, ci fu uno scarto di sette millesimi, sufficienti al pilota italiano per conquistare il titolo a soltanto 20 anni e due mesi. Meglio anche di Rossi, ma quel record sarebbe stato infranto due stagioni pi&ugrave; tardi dal diciannovenne Dani Pedrosa. &ldquo;Fu il coronamento di un sogno &ndash; ricorda Melandri &ndash; mettere al sicuro un titolo vincendo la gara e lottando fino all&rsquo;ultimo giro con il proprio rivale... non poteva esserci finale migliore&rdquo;. Loris Reggiani e la 250: "Il 1992 fu un dominio tricolore" Il passaggio del testimone a Manuel Poggiali   L&rsquo;enfant prodige, soprannome che Melandri si merit&ograve; grazie al primo successo in un GP iridato a meno di 16 anni, pass&ograve; la moto e il testimone di campione del Mondo a Poggiali. Il quale non attese per conquistare il titolo della classe di mezzo, due anni dopo aver prevalso in 125. Melandri e Poggiali non si sono mai confrontati nella quarto di litro, ma entrambi concordano sul ruolo di questa categoria: un trampolino di lancio per la classe regina, seppure il sammarinese non comp&igrave; mai il salto: &ldquo;Era una categoria molto istruttiva &ndash; spiega Manuel &ndash; c&rsquo;erano mille soluzioni ed era possibile lavorare in modo maniacale per poter rendere tutto veramente estremo&rdquo;. Poggiali, ripensando al titolo ottenuto nel 2003, ricorda il supporto del grande team che ebbe alle spalle, ovvero l&rsquo;MS Aprilia: &ldquo;Quello che ha fatto la differenza &egrave; stato avere un&rsquo;azienda che credeva in me. Questo mi ha dato una spinta in pi&ugrave;, sono aspetti emotivi che fanno un&rsquo;enorme differenza&rdquo;. Dopo un inverno di test che lo vide adattarsi benissimo alla nuova moto e alla nuova cilindrata, Poggiali piazz&ograve; subito una vittoria nella prima gara in Giappone, anche se a Suzuka non erano mancati gli inconvenienti: nelle qualifiche, che furono bagnate, sbagli&ograve; gomme e riusc&igrave; a piazzarsi soltanto 23&deg; in griglia. Domenica mattina la gara fu per&ograve; asciutta e pur scattando dalle retrovie, Manuel riusc&igrave; a salire sul gradino pi&ugrave; alto del podio. Gli avversari erano avvertiti. Quell&rsquo;anno Poggiali ottenne quattro successi, tre secondi e altrettanti terzi posti: il suo rivale principale fu Roberto Rolfo in sella alla Honda (unico pilota sulla moto di Tokyo a chiudere tra i primi sette classificati, in mezzo al contingente Aprilia). Il torinese, grazie alla costanza, riusc&igrave; a tenere aperta la corsa al titolo fino al GP conclusivo Rolfo, in 250 dal 1998, nel 2002 era riuscito a chiudere con il terzo posto in classifica generale mentre nel 2003 sfid&ograve; Poggiali ottenendo due vittorie, tre secondi posti e un terzo posto. Il sammarinese chiuse la partita a Valencia, l&rsquo;ultimo GP. A dividerli furono 14 punti (249 per Manuel e 235 per Roberto). Come Harada nel 1993, anche Poggiali conquist&ograve; il Mondiale 250 al primo tentativo. Un risultato poi eguagliato da Pedrosa nel 2004. L&rsquo;invasione spagnola, prima di Marco Simoncelli   Un titolo, quello del catalano, che fu l&rsquo;apertura di una nuova era, con cui la 250 anticip&ograve; quanto si sarebbe visto nel Motomondiale: l&rsquo;invasione spagnola. Tra 2004 e 2007, il Paese iberico vinse sempre la 250 con i due rivali storici Pedrosa e Jorge Lorenzo a dividersi equamente la posta. Il maiorchino si ritrov&ograve; a duellare con Andrea Dovizioso, uno debig che non riuscirono a vincere il titolo: come lui, per esempio, Casey Stoner vice campione nel 2005, davanti a Dovi. Il forlivese ci riprov&ograve; nei due anni successivi, ma dovette arrendersi all&rsquo;egemonia di Lorenzo e dell&rsquo;Aprilia. In entrambi i casi, Andrea chiuse secondo davanti al sammarinese Alex De Angelis. Dove non riusc&igrave; Dovizioso, a compiere l&rsquo;impresa fu l&rsquo;allora alter ego &ndash; suo rivale sin dalle Minimoto e caratterialmente agli antipodi &ndash; Marco Simoncelli. Il ventunenne di Coriano, in sella alla Gilera RSA 250 non ufficiale cominci&ograve; la sua stagione d&rsquo;oro, il 2008, con due &ldquo;zero&rdquo; causati da due cadute. Poi, per&ograve;, le porte verso il gradino pi&ugrave; alto del podio si spalancarono al Mugello, dove il rivale Hector Barbera fin&igrave; a terra in modo spaventoso sul rettilineo, mentre era in scia al SIC. Marco seppe ripetersi a Barcellona, al Sachsenring e a Phillip Island, anche perch&eacute; nel frattempo l&rsquo;Aprilia, proprietaria del marchio Gilera, aveva deciso di fornire al romagnolo la versione factory della RSA. E 51 anni dopo Libero Liberati, Simoncelli fu il pilota italiano che riport&ograve; la Gilera all&rsquo;iride (nel mezzo ci riusc&igrave; in 125 Poggiali, sammarinese). Il SIC si fece spazio andando a vincere il titolo su Alvaro Bautista e Mika Kallio con una gara d&rsquo;anticipo, in Malesia, dove tre anni dopo sarebbe scomparso. Indimenticabile resta l&rsquo;immagine del giro d&rsquo;onore senza casco, con la maglietta bianca celebrativa e il gesto delle braccia aperte. "Come un angelo" disse Paolo Simoncelli. Quell&rsquo;immagine simbolica rappresenta idealmente l&rsquo;ultimo capitolo della storia d&rsquo;amore tra l&rsquo;Italia e la 250. Il SIC l&rsquo;anno successivo non riusc&igrave; a ripetersi, pur essendo il pilota pi&ugrave; veloce della categoria, e il titolo and&ograve; a Hiroshi Aoyama. Ma a Phillip Island, Marco firm&ograve; non soltanto la sua ultima vittoria, ma anche l&rsquo;ultimo successo italiano nella categoria. &Egrave; stata l&rsquo;ultima medaglia per un Paese che si &egrave; dimostrato padrone della categoria, come e pi&ugrave; degli Stati Uniti nell&rsquo;era delle 500 due tempi. "I numeri parlano chiaro, non c&rsquo;&egrave; altro da aggiungere" sentenzia Melandri. &ldquo;Abbiamo avuto degli anni pazzeschi &ndash; conclude Poggiali, 'straniero' di passaporto ma non di lingua e soprattutto di estrazione sportiva &ndash; in 250 la nostra scuola ha fatto veramente la differenza creando tanti talenti competitivi e vincenti in ambito mondiale. Bisogna essere fieri del lavoro che &egrave; stato compiuto&rdquo;. Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250       

Dopo il dominio degli anni Novanta, la scuola italiana non si &egrave; fermata, trionfando in 250 con Melandri, il sanmarinese Poggiali e l'indimenticato SIC

Melandri-Poggiali-Simoncelli, trionfatori nella 250 degli anni Duemila

        Toni Bou ha fatto trenta. Trenta titoli Mondiali vinti, il doppio di Giacomo Agostini e il triplo di Stefan Everts, giusto per citare altre due leggende. Quella (s)volta che: &egrave; nato il Parco Ubbiali Bou, la leggenda  Il 21 novembre lo spagnolo si &egrave; aggiudicato la gara Indoor di Barcellona battendo in finale Gabriel Marcelli e ci&ograve;, unito al successo di Andorra (tre delle cinque gare in calendario sono state cancellate per il Covid-19), gli ha garantito la conquista del 15&deg; titolo iridato Indoor. Eppure i primi salti in Catalogna non erano stati all&rsquo;altezza della sua fama: sei penalit&agrave; nel primo giro contro le due di Jaime Busto, ma nei giri restanti Bou si &egrave; ripreso la palma di migliore. I trenta Mondiali equamente ripartiti tra gare al coperto e all&rsquo;aperto, Bou li ha tutti ottenuti a partire dal 2007, stagione dalla quale &egrave; imbattuto. L&rsquo;ultimo avversario a vincere un Mondiale fu nel 2006 Adam Raga, campione grazie al terzo posto di Andorra. Quell&rsquo;anno Bou, che correva ancora con la Beta, fu soltanto quinto, battuto anche da Takahisa Fujinami, Albert Cabestany e Dougie Lampkin. Anche nella versione Indoor, sei mesi prima, era stato campione Raga, grazie a sette successi, con Bou relegato in terza posizione. Lo stesso Raga vinse entrambi i titoli pure nel 2005 con Bou quinto nell&rsquo;Outdoor e settimo nell&rsquo;Indoor. Nel 2003 e 2004 invece Toni gareggi&ograve; soltanto all&rsquo;aperto, ottenendo rispettivamente il tredicesimo e il nono posto: nel primo caso fu iridato Lampkin, l&rsquo;anno dopo Fujinami. Pertanto al momento soltanto un terzetto ha conquistato almeno un Mondiale contro Bou: quattro titoli Raga, uno a testa il giapponese e il britannico.  Raga, eterno secondo  In apparenza, quindi, Raga avrebbe di che essere soddisfatto, invece rischia di passare alla storia come &ldquo;l&rsquo;eterno secondo&rdquo;, un appellativo che fu affibbiato a Felice Gimondi. A torto, perch&eacute; il bergamasco vinse tre volte il Giro d&rsquo;Italia, un Tour de France, un Mondiale e quattro Classiche monumento, anche se spesso fu battuto da un fenomenale belga noto, non a caso, come Il Cannibale. Al suo dramma, Elio e le Storie Tese dedicarono una canzone contenente questa strofa: &ldquo;Come sono Felice Gimondi. Lo so che non &egrave; facile nella vita scoprire che c&rsquo;&egrave; anche Eddy Merckx&rdquo;. La band immagin&ograve; un&rsquo;ipotetica vendetta del lombardo: &ldquo;La notte bucherei i suoi palmer (tubolari) per non farlo partire, mentre gli smonto il cambio e gli sego i pedali&rdquo;. Chiss&agrave; se Raga ha mai sognato di sabotare il connazionale, in compagnia del quale ha conquistato 16 Trial delle Nazioni. Raga vinse anche le edizioni del 2001 a La Bresse (Francia) e del 2004 a Cordoba (Spagna), insieme a Cabestany e Marc Freixa, affiancati in un caso da Marc Colomer e nell&rsquo;altro da Jeroni Fajardo, ma salt&ograve; quella del 2018, a Sokolov (Repubblica Ceca), vinta da Bou e compagni. Ne avrebbe ben donde: Raga, infatti, &egrave; stato vice campione del Mondo all&rsquo;aperto non una, non due, ma addirittura 15 volte consecutive. Dal 2007 al 2021 infatti soltanto Bou &egrave; riuscito a precederlo nella generale, anche se i distacchi finali non sono mai stati a una cifra: il gap minimo tra i due furono le dieci lunghezze del 2013. Inferiore ai 20 punti, il valore di una vittoria, anche i distacchi del 2007 (13), 2008 (17), 2009 (12), 2011 (13) e 2014 (15). Ma ci&ograve; che fa impressione &egrave; il distacco rifilato in questi tre lustri da Raga al terzo in classifica: 65 punti nel 2015, 62 la stagione seguente, 57 nel 2013 e oltre 35 punti in altre quattro annate. Soltanto nel 2012 Fajardo arriv&ograve; a un punto da Raga e nel 2018 Busto si ferm&ograve; a -3. Tutto ci&ograve; ci induce a credere che oltre a Bou, sia un fenomeno anche Raga (sotto, sul secondo gradino del podio accanto ovviamente a Bou), la cui unica sfortuna &egrave; stata quella di nascere nella stessa epoca del portacolori Repsol Honda. Una sensazione confermata da un ulteriore dato: in diciannove stagioni nel mondiale Outdoor, Raga ha vinto 55 gare ed &egrave; giunto secondo 98 volte, e soltanto in 16 occasioni &egrave; stato battuto da un pilota diverso da Bou. Quelle altre 82 gare, Raga le avrebbe potute vincere, se il destino non l&rsquo;avesse messo contro il miglior Trialista di sempre. Quella (s)volta che: la rivoluzione "bagnata" della North West 200       

Se non ci fosse Bou, il fenomeno del Trial sarebbe un altro spagnolo, Raga, appunto, 15 volte vice campione

Quella (s)volta che: Adam Raga, l'altra stella del Trial

        I termini Kawasaki e Frontale nella stessa frase non fanno presagire nulla di buono. Il pensiero di un incidente stradale, con conseguenze pi&ugrave; o meno nefaste a seconda della velocit&agrave; e della stazza del veicolo coinvolto, stuzzica il voyeurismo. Da qui al tifo per&ograve; il passo &egrave; tutt&rsquo;altro che immediato. Quella (s)volta che: &egrave; nato il Parco Ubbiali Kawasaki  Eppure su Facebook la pagina Kawasaki Frontale vanta 178mila followers, ma non si tratta di amanti dello splatter. Kawasaki Frontale &egrave; infatti il nome di una societ&agrave; calcistica giapponese con sede, per l&rsquo;appunto, nella citt&agrave; di Kawasaki. O meglio della pi&ugrave; forte societ&agrave; degli ultimi anni, come dimostrano le quattro J1 League (la loro serie A) vinte nel 2017, 2018, 2020 e 2021, le ultime tre volte con grandi distacchi. Fondato nel 1955 come Fujitsu Soccer Club, ha cambiato il suo nome nel 1997. Ai tempi il campionato italiano era il pi&ugrave; bello del Mondo e ci&ograve; indusse i dirigenti a prendere a prestito la parola italiana Frontale. Credevano che valesse come &ldquo;fronteggiare, affrontare&rdquo;, e la inserirono nel logo. I suoi colori sono sempre stati il nero e l&rsquo;azzurro mentre l&rsquo;altra societ&agrave; cittadina, i Verdy, impiegano maglia, pantaloncini e calzettoni verdi. Vent&rsquo;anni fa per&ograve; il Verdy Kawasaki si &egrave; trasferito nella capitale prendendo il nome di Tokyo Verdy 1969 ma i risultati, che negli anni Settanta e Ottanta erano stati brillanti (sette campionati vinti), sono andati peggiorando e da 12 stagioni traccheggia in serie B. Nessuna delle due entit&agrave; vanta alcun legame con la Kawasaki Heavy Industries, la conglomerata che opera nel campo aerospaziale, produce materiale rotabile, costruisce navi e, ci&ograve; che a noi interessa, realizza moto. Deve il suo nome al fondatore, Shozo Kawasaki, mentre con l&rsquo;omonima citt&agrave; non ha nulla a che fare. I suoi quartieri generali si trovano infatti a Chuo, Kobe e Minato. Come molte aziende del Paese, cre&ograve; una societ&agrave; calcistica nel 1966 chiamandola Kawasaki Steel (acciaio) Soccer Club. Trasferita nel 1995 a Kobe prese il nome di Vissel Kobe, anche se la Kawasaki &egrave; rimasta come sponsor sul retro della maglia impiegata da Andres Iniesta e compagni. Yamaha  Anche la Yamaha costitu&igrave; una societ&agrave; di calcio nel 1972: Yamaha Motor Soccer Club, con sede a Iwata, in occasione del trasferimento del quartier generale. Nel 1992 cambi&ograve; il nome in Jubilo Iwata e, due anni dopo, conquist&ograve; la promozione nel massimo campionato, rafforzandosi nientemeno che con Tot&ograve; Schillaci. Il Jubilo Iwata ha in bacheca tre scudetti e una Champions League asiatica ma nell&rsquo;ultimo biennio ha giocato nel campionato cadetto, da cui &egrave; appena riemerso. Yamaha Motor &egrave; tra i suoi finanziatori, oltre a essere il principale sponsor di maglia nonch&eacute; il proprietario dell&rsquo;impianto Yamaha Stadium, impiegato per le gare casalinghe e condiviso con lo Shizuoka Blue Revs, nato come Yamaha Motor Rugby Club nel 1994. Honda  Del 1971 &egrave; invece l&rsquo;Honda FC, nato come Honda Motor e ancora oggi di propriet&agrave; di Honda Motor Company, dal 1959 il pi&ugrave; grande produttore al Mondo di moto. Ottenne i suoi migliori risultati a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta ma quando nacque la prima lega professionistica non colse la palla al balzo. Il progetto di operare una fusione con l&rsquo;Honda Motor Club di Saitama, ribattezzando il nuovo nato Urawa Honda Winds, con la migrazione a Urawa venne abortito. In primis perch&eacute; si voleva conservare la squadra ad Hamamatsu, ma anche perch&eacute; a fine 1992 la Honda lasci&ograve; la Formula 1 a seguito del peggioramento dell&rsquo;economia nazionale. La strategia di focalizzazione sul business principale mal si combinava con un investimento nel calcio. Molti tesserati se ne andarono e inizi&ograve; il declino, tanto che dal 2014 il club milita in quarta serie malgrado da allora abbia vinto cinque campionati. Ma non avendo intenzione di passare tra i professionisti, non pu&ograve; salire oltre. Gioca all&rsquo;Honda Miyakoda Soccer Stadium, un campetto da 4mila posti, di sua propriet&agrave;. Non risultano invece tracce di club calcistici della Suzuki che d&rsquo;altro canto investe alcuni milioni l&rsquo;anno per essere il main sponsor del Torino.       

Honda e Yamaha fondarono una propria squadra di calcio, a differenza della Kawasaki

Quella (s)volta che: il Sol Levante e l'intreccio tra calcio e moto

Uno speciale storico, che ripercorre le pi&ugrave; grandi imprese sportive della MV Agusta nel Motomondiale, nel campionato Superbike per derivate di serie e nelle pi&ugrave; famose competizioni internazionali. Un &ldquo;Gold&rdquo; firmato Motosprint, da 132 pagine, con i profili dei piloti, delle moto e dei personaggi che in oltre 70 anni di presenza sulle piste di tutto il mondo hanno reso leggendaria la Casa Italiana.  Insieme a Mondial, Moto Guzzi, Benelli e Gilera, la MV Agusta &egrave; stato uno dei primi costruttori del nostro Paese a conquistare vari titoli iridati nei primi anni della storia del Motomondiale. Con una differenza sostanziale rispetto alle &ldquo;cugine&rdquo; di casa nostra: essere riuscita a confermarsi vincente per un periodo pi&ugrave; lungo, in tante categorie diverse e con tanti campioni differenti. Al nome MV Agusta, inoltre, sono legate le vicende di due tra i piloti pi&ugrave; amati della storia del motociclismo sportivo, ovvero Giacomo Agostini e Mike Hailwood. Ma anche di alcuni altri tra i pi&ugrave; apprezzati, come Carlo Ubbiali, Phil Read, John Surtees e Tarquinio Provini.  Questo speciale racconta i percorsi sportivi di tutti questi campioni, ma anche di altri grandi apprezzati piloti iridati come Gary Hocking e Cecil Sandford, le vittorie all&rsquo;Isola di Man e quelle nel campionato italiano. E l&rsquo;avventura imprenditoriale iniziata dalla famiglia Agusta e proseguita da quella dei Castiglioni e da Sardarov.  Per questi motivi, e per il fatto di aver avuto un approccio pionieristico nel mondo delle corse e avveniristico nello sviluppare i suoi eleganti e lussuosi modelli sia per la pista che per la strada, il marchio MV Agusta &egrave; riconosciuto e amato in tutto il Mondo.  Nonostante nel corso degli ultimi tempi il suo impegno sportivo si sia ridotto sensibilmente rispetto ai fasti degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, la MV continua ancora oggi a vincere in ambito italiano e internazionale nelle derivate di serie (l&rsquo;ultimo titolo tricolore di Davide Stirpe nella 600 e le prestazioni di Niki Tuuli nel mondiale Supersport sono sotto gli occhi di tutti) e ad accettare sfide ambiziose, come il ritorno nel Motomondiale nella categoria Moto2. La speranza &egrave; che nelle prossime stagioni, le moto e i progetti di questa gloriosa Casa italiana possano essere presenti in modo sempre pi&ugrave; numeroso sulle griglie di partenza delle piste di tutto il Mondo. Per continuare una tradizione vincente. Intanto, con questo Speciale, noi di Motosprint vi raccontiamo le vittorie pi&ugrave; belle ottenute fino al 2021.&nbsp;  MotoGP, 6 settimane&nbsp;di riposo assoluto per Marc Marquez 

Vi aspetta in edicola uno speciale firmato Motosprint sulla storia sportiva della MV Agusta: Giacomo Agostini, Mike Hailwood, Carlo Ubbiali e tanti altri

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