Nel 1921,&nbsp;il terreno di gara pi&ugrave; famoso per i veicoli a motore era il circuito semi-permanente di Montichiari, nei pressi di Brescia. In quel momento, in Europa esisteva, dal 1907, un solo autodromo, quello di Brooklands, a sud-ovest di Londra, ma nel nostro Paese operavano industrie motociclistiche e automobilistiche che nutrivano grandi ambizioni. E si stava facendo largo un&rsquo;ideologia nazionalista ampiamente favorevole a un&rsquo;affermazione dell&rsquo;Italia nel contesto europeo. Cos&igrave; nacque l&rsquo;idea dell&rsquo;Autodromo Nazionale di Monza. La costruzione inizi&ograve; in maggio e si concluse nel tempo-record di 110 giorni. L&rsquo;inaugurazione avvenne il 3 settembre; cinque giorni dopo vi si disput&ograve; il Gran Premio motociclistico delle Nazioni.  La nascita dell&rsquo;autodromo di Monza fu quindi un&rsquo;iniziativa della fortissima imprenditorialit&agrave; lombarda appoggiata dal governo centrale. Ma poco pi&ugrave; di un mese dopo l&rsquo;inaugurazione dell&rsquo;autodromo, il 28 ottobre 1922, la marcia su Roma di 25.000 fascisti provoc&ograve; l&rsquo;insediamento al potere, il 31 ottobre, del suo Duce, Benito Mussolini, e l&rsquo;inizio di un periodo storico dominato, nel nostro Paese, da una dottrina sciovinista il cui filo conduttore era il richiamo alla potenza e alla grandezza dell&rsquo;antica Roma.  Se questa&nbsp;ideologia, incentrata sulla riproposizione di &ldquo;Roma caput mundi&rdquo; si fosse imposta in modo cos&igrave; massiccio gi&agrave; nell&rsquo;immediato dopoguerra, molto probabilmente l&rsquo;autodromo nazionale non sarebbe stato costruito a Monza, bens&igrave; nella Capitale. Mussolini infatti promosse la riscoperta e la ricostruzione di Roma imperiale dando impulso a grandi opere urbanistiche e architettoniche nel tipico stile razionalista impostosi negli anni fra le due guerre mondiali. Fra queste opere, molte delle quali dedicate all&rsquo;esaltazione dello sport, come il Foro Mussolini (oggi Foro Italico), lo Stadio dei Cipressi (oggi Stadio Olimpico) e lo Stadio dei Marmi, non poteva quindi mancare un impianto dedicato al mito pi&ugrave; celebrato dalla dottrina artistica futurista, che al fascismo era legata a doppio filo: la velocit&agrave;.  Promotore dell&rsquo;iniziativa fu un influente nobile di origine padovana, il conte Giovanni Bonmartini, fascista della prima ora e imprenditore di rango nel settore aeronautico quale titolare della CNA (Compagnia Nazionale Aeronautica), azienda produttrice di aeroplani da addestramento e di parti di ricambio e distintasi anche nell&rsquo;istruzione dei piloti e nel rilascio delle licenze di volo.  Per&nbsp;questo aveva attrezzato un&rsquo;area a nord di Roma tra la via Salaria e la sponda sinistra del Tevere, ma ben presto la mente vulcanica di Bonmartini aveva partorito un progetto assai pi&ugrave; ambizioso: un vero e proprio aeroporto per collegamenti regolari ad ampio raggio, dotato di una pista di lunghezza idonea al decollo e all&rsquo;atterraggio di qualsiasi aereo e anche di uno &ldquo;scalo anfibio&rdquo; per idrovolanti sul Tevere. Lo aveva battezzato &ldquo;Aeroporto del Littorio&rdquo; ed era stato lo stesso Mussolini a inaugurarlo il 21 aprile 1928, nell&rsquo;ambito del &ldquo;Natale di Roma&rdquo;.  Una volta ultimato l&rsquo;aeroporto, Bonmartini pens&ograve; che in quell&rsquo;area ci fosse spazio per ulteriori iniziative. Fu cos&igrave; che, ragionando sempre in grande, concep&igrave; un autodromo che potesse rivaleggiare con quello di Monza e che desse lustro e modernit&agrave; a Roma.    I lavori iniziarono alla fine del 1930, diretti dall&rsquo;ingegner Piero Puricelli, lo stesso che aveva realizzato l&rsquo;autodromo di Monza e l&rsquo;autostrada dei Laghi, e anche in questo caso i tempi di costruzione furono sbalorditivi. Il 31 maggio 1931 sulla nuovissima pista si corse il Gran Premio Reale Roma di motociclismo e a inaugurare l&rsquo;albo d&rsquo;oro di quello che venne chiamato &ldquo;Autodromo del Littorio&rdquo; furono Terzo Bandini, su Rudge 500, a 134 km/h di media, Omobono Tenni su Velocette 350, Alfredo Panella su Guzzi 250 e Tonino Benelli su Benelli 175.  Il tracciato&nbsp;si percorreva in senso orario e aveva una lunghezza di 4400 metri, di cui 2045 in rettilineo; la larghezza minima della carreggiata era di 12 metri, quella massima 100 metri all&rsquo;altezza dei box in muratura. Il rettilineo principale sfiorava il chilometro (932 metri) e qui si trovavano, oltre ai box, la grande tribuna coperta e le tabelle di segnalazione delle posizioni dei corridori e dei distacchi.  La prima curva era a destra, con un raggio di 330 metri e immetteva in un altro rettilineo di 627 metri parallelo al Tevere. Al termine di questo secondo rettilineo c&rsquo;era la grande curva sopraelevata in cemento, con 48&deg; di pendenza; aveva un raggio di 150 metri ed era calcolata per velocit&agrave; fino a 250 km/h. Si apriva poi un altro rettilineo di 485 metri, quindi una curva a sinistra di 500 metri di raggio che immetteva su un corto rettilineo parallelo a quello di partenza, raggiunto subito dopo con una curva a &ldquo;U&rdquo;, detta &ldquo;curva di ripresa&rdquo;.&nbsp;  Affidato alla gestione dell&rsquo;Automobile Club d&rsquo;Italia, l&rsquo;Autodromo del Littorio integrava il suo ruolo con quello dell&rsquo;aeroporto. Venivano organizzate manifestazioni aeree che si alternavano a quelle motoristiche sul circuito; in un paio di occasioni furono anche proposte sfide fra auto e moto da corsa e aeroplani. Seguitissima, l&rsquo;8 dicembre 1931, fu quella fra Piero Taruffi, in sella alla sua Norton 500 e l&rsquo;aviatore Furio Niclot Doglio su monoplano Fiat AS-1: vinse Taruffi a 162,6 km/h di media. Nonostante l&rsquo;esaltazione di Roma da parte del regime, l&rsquo;Autodromo del Littorio ebbe vita breve. Per quattro anni riusc&igrave; a ospitare corse motociclistiche di portata internazionale, ma poi la gestione economica si rivel&ograve; fallimentare e le principali gare tornarono a Monza.  L&rsquo;evento di maggior rilievo disputato su questo prestigioso impianto fu senz&rsquo;altro il GP Europa 1932, che fra gli spettatori ebbe anche il Re Vittorio Emanuele III. La pista era stata accorciata eliminando l&rsquo;ultimo corto rettilineo e la relativa curva di ritorno, cos&igrave; che la lunghezza totale si era ridotta a 3277,5 metri. Carlo Baschieri vinse la 175 su Benelli, Riccardo Brusi la 250 su Guzzi, il francese Luis Jeannin si impose nella 350 guidando una Jonghi progettata dall&rsquo;ingegnere italiano Giuseppe Remondini, infine Piero Taruffi ancora su Norton riusc&igrave; ad aver ragione di Terzo Bandini che portava al debutto la Guzzi bicilindrica, sfiancatasi al 37&deg; dei 60 giri della gara quando era al comando.  Alla&nbsp;fine del 1934 l&rsquo;Autodromo del Littorio si avvi&ograve; verso una triste e ingiusta decadenza. Scoppi&ograve; poi la guerra e il 19 luglio 1943 le &ldquo;fortezze volanti&rdquo; bombardarono Roma infliggendo danni notevoli alle strutture aeroportuali e dell&rsquo;autodromo. Ma se l&rsquo;aeroporto fu rimesso in condizione operativa dapprima dai tedeschi, poi dagli alleati, il circuito fu lasciato in totale abbandono e non risorse pi&ugrave;.    Oggi l&rsquo;area &egrave; ancora occupata dall&rsquo;aeroporto, che si chiama &ldquo;dell&rsquo;Urbe&rdquo; e ospita aerei privati, aerotaxi, elicotteri, scuola di volo ed &egrave; base della sezione aerea antincendi della Forestale. Il conte Bonmartini, che aveva voluto l&rsquo;Autodromo del Littorio, durante la breve vita del suo circuito si dedic&ograve; a un&rsquo;altra pi&ugrave; fortunata impresa: finanzi&ograve; la costruzione della motocicletta da corsa Rondine (il nome dell&rsquo;aeroplano con cui aveva seguito dall&rsquo;alto la marcia su Roma) a quattro cilindri di 500 cm&sup3; che nel 1936 fu ceduta alla Gilera. Alla quale frutt&ograve; il campionato d&rsquo;Europa in prove multiple del 1939 e 12 titoli mondiali nel dopoguerra. 

<p>La breve e intensa storia dell&rsquo;Autodromo del Littorio, la pista ricavata dall&rsquo;aeroporto</p> 

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Polvere di Stelle: la risposta romana al circuito di Monza