        Quarantasei, un numero importante nel mondo a due ruote. Marco Borciani ha toccato tale quota lo scorso 7 dicembre, festeggiando il compleanno nell&rsquo;Hotel Ristorante La Grotta, attivit&agrave; familiare che ti accoglie con il sorriso e le foto di una carriera spesa tra le vesti di pilota e il ruolo di team manager. Il nativo di Desenzano &egrave; simpatico e divertente oggi esattamente come quando correva: &ldquo;Prima di parlare di gare - il suo invito - condividiamo un bel brindisi, alla nostra salute. Rilassati si parla meglio&rdquo;. Fabio Di Giannantonio. "La MotoGP? Ho realizzato il mio sogno" Gli esordi e la Superbike   Hai mantenuto uno spirito giovanile. &ldquo;Il mio atteggiamento &egrave; pragmatico da una parte, istintivo dall&rsquo;altra. Ricordo sessioni di prove, magari poco soddisfacenti: era inutile incaponirsi e tergiversare su errori da evitare, assetti da modificare e traiettorie da rivedere. Sapevo che, dopo una bella cena tutti in compagnia, il reset decisivo sarebbe arrivato. Infatti, il giorno dopo, senza toccare regolazioni o scervellarmi nella scelta delle gomme, riuscivo a far calare i miei tempi sul giro in maniera considerevole&rdquo;. Iniziasti a 18 anni ma ti bast&ograve; poco tempo per arrivare al Mondiale. &ldquo;Mi viene in mente quanto fu complicato il passaggio dalle piccole cilindrate a due tempi alle grosse quattro tempi. Il mio stile di guida si rivel&ograve; perfetto per le 125: nel 1997, per&ograve;, mi sfugg&igrave; il titolo europeo, andato a Marco Melandri. Un infortunio pes&ograve; sul risultato finale, ma l&rsquo;ambiente cominci&ograve; a parlare del sottoscritto. Nel 1999 affrontai una durissima Supersport, figurando in classica con un punto, ottenuto su una Honda CBR. Bella la 600, ma a me attirava la 1000&rdquo;. Ed eccoci alla Superbike, categoria nella quale hai completato sette stagioni. &ldquo;Spesso partivamo in 32, a volte in 36, per un livello serrato e selettivo. Credetemi, conquistare anche un singolo punto equivaleva a vincere, considerando i tanti avversari competitivi, dotati di materiale completamente ufficiale. A partire dalle coperture, buone ma introvabili per me fino a quando non cominciai a ricoprire il ruolo di collaudatore Pirelli. Quello si rivel&ograve; uno step importante, per me e per la serie, finalmente calibrata su valori attendibili. I migliori piazzamenti arrivarono di conseguenza, peccato soltanto che il tanto agognato podio non sia mai arrivato. Quando ci ripenso, mi mordo le labbra&rdquo;. In mezzo a gente come Troy Corser, Troy Bayliss, Ben Bostrom, James Toseland, Noriyuki Haga e Colin Edwards, quanto era difficile farsi largo? &ldquo;Moltissimo, per&ograve; parliamo di signori piloti, corretti, autentici, con i quali adoravo misurarmi. A Kyalami seguivo la scia di Colin, lui sulla Honda VTR bicilindrica, io con la Ducati 996; l&rsquo;americano mi sembrava lento a centro curva, forse lo era, poi capii una cosa: frenava forte, piegava per un breve istante, infine riapriva tutto e prestissimo. Il mio esatto contrario, rinomatamente ero super rapido in percorrenza, ma un po&rsquo; sofferente nella fase di uscita. Provai a fare come lui, e incrementai parecchio le mie prestazioni. Questo inciso spiega come si potesse imparare da rivali di quel calibro, ma illustra anche la mia volont&agrave; di mettermi sempre in discussione&rdquo;. La vita da team manager, la malattia   Ti sei messo in discussione diventando team manager. &nbsp;&ldquo;Dopo buone soddisfazioni da pilota, con due titoli tricolori Superbike nel 2006 e 2007, capii di volere altro restando comunque su palcoscenici internazionali. La mia squadra ha mantenuto legami con Borgo Panigale per anni, culminati nel fatidico 2008: le punte erano Ruben Xaus e Max Biaggi, rendiamoci conto&rdquo;. Riesci a sintetizzare l&rsquo;esperienza? &ldquo;Posso, ma si potrebbero scrivere libri su libri. Dico soltanto che andammo fortissimo, specialmente a Misano. Lo spagnolo con la vittoria, il Corsaro appena dietro. Battere la spietata concorrenza fu, per noi privati, una vera e propria impresa. Mi accorsi anche di una cosa: &egrave; pi&ugrave; facile fare il pilota che il manager. Una volta tolta la tuta, tutto finisce l&igrave;. Se si indossa la camicia, il lavoro va avanti fino a notte&rdquo;. Di sonni complicati nei hai vissuti diversi. Ne parliamo? &ldquo;Volentieri, dato che ne sono uscito ulteriormente tenace. Tra il 2016 e il 2017 mi venne riscontrato un tumore all&rsquo;intestino. Averlo combattuto e ritenermi vincente rimane la pagina pi&ugrave; dolorosa della mia vita, da un lato. La pi&ugrave; bella, dall&rsquo;altro. Dipende da come la si legge. Di certo, ho imparato che i dottori sono spietati, se paragonati ai telemetristi. Il tecnico ti coccola, gira attorno alle cose, &egrave; paziente. Il medico, soprattutto se chirurgo, ti sbatte i problemi in faccia. Ovviamente, lo fa per il tuo bene. Questo &egrave; quanto ho imparato&rdquo;. Impari e insegni, allo stesso tempo. &ldquo;Lo faccio con tutto il mio cuore. Sono un Tecnico Federale e insieme a Gianluca Nannelli mi prendo cura dei giovanissimi piloti impegnati con le piccole Ohvale. Lavoro anche per la Perot 43 Camp, a fianco di Fabrizio Perotti. Mi piace seguire motociclisti di ogni fascia e bravura, specialmente i ragazzi pi&ugrave; dotati e veloci. Con loro posso fare ci&ograve; che preferisco: dare del gran gas, &egrave; il momento in cui mi sento davvero molto giovane. Cos&igrave; desidero continuare a vivere&rdquo;. MotoGP, Marc Marquez &egrave; tornato in sella: il video del primo allenamento       

<p>"Sono stato pilota e team manager, con tante soddisfazioni in Superbike. Poi &egrave; arrivata la malattia, ho scoperto che i dottori sono pi&ugrave; spietati dei telemetristi. Ora sono tornato in pista, dove mi diverto a insegnare ai pi&ugrave; giovani"</p>

Storie Italiane, Marco Borciani: “Vi racconto le mie mille vite”

Tanti gli anni vissuti con il corpo dentro la tuta in pelle e la testa dentro al casco. Troppi e troppo belli da potervi rinunciare. Marco Borciani &egrave; un vero centauro e fa della moto un vero e proprio credo. Ex pilota di livello Mondiale - con 347 punti conquistati in mezzo a rivali che hanno scritto la storia della SBK - e Nazionale - due i titoli vinti sulla Ducati 999 - il bresciano &egrave; oggi uno istruttore di guida, che mette a disposizione l&#39;esperienza maturata in sella.  E non solo in sella. Il &quot;Borcia&quot; &egrave; stato anche un bravo team manager, di una squadra in cui regnavano passione e divertimento. Divertimento, appunto. Il bresciano si emoziona ancora davanti alla TV? S&igrave; e no, ed il motivo &egrave; spiegato direttamente da lui: &quot;Parliamo dello schieramento 2002 - attacca deciso, proponendo la stagione &#39;Monstre&#39; delle derivate-&nbsp; per esempio. Eravamo in almeno 30 piloti fissi, poi arrivavano spesso anche le wild card. Le griglie di partenza si riempivano facilmente. Prendere punti significava vincere. Dimmi un po&#39;, cosa noti nella foto in questa foto di gruppo?&quot;    Noto te, giovane.  &quot;(Ride). Bei tempi. A parte me, guarda i volti dei presenti: Bayliss, Edwards, Bostrom, Haga, Corser, Hodgson, Xaus... ne devo citare altri? Penso che lo schieramento di allora e quello di oggi siano imparagonabili. Non dico ci&ograve; perch&eacute; correvo pure io in mezzo a quel gruppo. Sostengo la cosa perch&eacute;, onestamente, il livello di prima era altissimo, decisamente pi&ugrave; alto di quanto lo sia oggi&rdquo;.  Quali altre differenze ci sono tra oggi e ieri?  &quot;Partecipare alla Superpole, rappresentava un biglietto da visita per gli sponsor e una vetrina garantita. poich&eacute; tecnica, spettacolare. Era favolosa per almeno un giro completo, ogni singolo pilota aveva garantite immagini esclusive a s&eacute; e alla propria moto. Chi guardava la Superpole, poteva ammirare i diversi stili di guida, concentrandosi su numerosi dettagli. I Marchi erano contenti, il protagonista del passaggio veloce anche. Per non parlare dei tifosi: sia quelli in circuito che quelli davanti alla TV, si divertivano un casino&rdquo;.  Non &egrave; pi&ugrave; cos&igrave;?  &quot;La Superpole di oggi &egrave;... b&eacute;, lo direbbe bene Fantozzi (ride). Diciamo che a me non piace. Nella Superpole originale, gli sponsor premiavano anche la singola partecipazione. La vera Superpole era come lo sci: dalla partenza dell&rsquo;atleta alla fine del suo gesto, le immagini gli venivano interamente dedicate. Non &egrave; pi&ugrave; come una volta. La regia salta da una moto all&rsquo;altra, a volte inquadra i box, le fidanzate o altro, perdendosi i momenti salienti del giro secco. Non si vedono pi&ugrave; i protagonisti effettivi di quello dovrebbe essere un gesto tecnico-atletico di prim&rsquo;ordine. Che senso ha mostrare le immagini del pilota che rientra lentamente al box, perdendosi, invece, le azioni di chi sta per siglare la pole position?&rdquo;  In SBK, nessuna come Rea. Per ora     I corridori dell&#39;attuale SBK non sono forti? Eccome se lo sono, nonostante Marco tiri una linea di confine tra il vincitore e gli inseguitori: &quot;Ma certo, i piloti di oggi sono forti - ammette - per&ograve;, arliamo di Johnny Rea. Lui &egrave; un fenomeno, ma non sostengo ci&ograve; dopo averlo visto vincere sei titoli con la Kawasaki. Pure quando correva con la Honda, il nordirlandese viaggiava come un matto, guidando sopra i problemi della sua CBR. Solo che Johnny &egrave; uno dei pochi veri talenti. A lui aggiungo Razgatlioglu: Toprak &egrave; giovane, emergente, in crescita. Il turco esegue manovre da paura e, lo ammetto, seguo le gare di oggi per vedere i suoi numeri in sella. Gli altri ragazzi sono validi, ma non all&rsquo;altezza di Rea e Razga&rdquo;.  Cosa manca agli altri?  &ldquo;Innanzitutto, la costanza di risultati. Chaz Davies &egrave; molto bravo ma, per provare a vincere un titolo, dovrebbe stare davanti sempre. Proprio come fa Rea. Ricordiamo Johnny nel 2019: aveva praticamente perso la sfida con Bautista. Il campionato era nelle mani di Alvaro e Ducati, ma... come un vero mastino, tirando fuori le palle, il nordirlandese ha spremuto come un limone la sua Ninja, ribaltando una situazione che appariva gi&agrave; compromessa. Ecco, quello &egrave; l&rsquo;esempio di vero campione. Non so se esista una alternativa a Rea. Forse, lo sar&agrave; Razgatlioglu. Vedremo&quot;.  Evviva il mongomma Pirelli in SBK!     Quando Borciani si affacci&ograve; nel Mondiale, cap&igrave; immediatamente che le grane da risolvere fossere parecchie. A partire dalle &quot;calzature&quot; che, come egli stesso ricorda, tra ufficiali e private offrivano prestazioni assolutamente differenti: &quot;Durante la &lsquo;Tyre war&rsquo;, pochi piloti avevano pneumatici veramente buoni - svela - infatti, il divario tra una copertura evoluta ed una meno buona poteva anche determinare due secondi di tempo per ogni passaggio completato. I distacchi tra le varie moto erano considerevoli&rdquo;.  Poi, arriv&ograve; una ottima soluzione.  &quot;Esatto. Quando Pirelli, nel 2004, inizi&ograve; ad equipaggiare tutte le moto, le cose migliorarano. Il monogomma - chiamiamolo cos&igrave; - ha agevolato piloti e tecnici, perci&ograve; dico: gomme uguali per tutti e per tutta la vita! Non esisteva proprio che un bravo pilota si beccasse anche due secondi da un rivale dotato di pneumatici pi&ugrave; prestanti. Credimi, ricordo bene quanto fosse impossibile competere per le migliori posizioni. Con l&rsquo;avvento di Pirelli, abbiamo visto tanti nomi alternarsi nelle zone alte della classifica&rdquo;.  Il fatto che i team Indipendenti possano fruire del materiale ufficiale, &egrave; interssante?  &ldquo;Da pilota lo &egrave;. Guardando l&rsquo;aspetto con gli occhi del team manager... meno. Perch&eacute; i soldi da spendere sono comunque tanti. Quando gestivo le Ducati, posso assicurare che fossero uguali a quella di Bayliss. Il mio si trattava di un team privato, per&ograve; dotato di materiale di assoluto livello. Per garantirsi quel livello prestazionale, occorreva un bel budget e bravi piloti. Per esempio, io avevo Biaggi e Xaus, non so se mi spiego. Anche oggi serve quanto elencato soldi e top rider&rdquo;.  Adesso i ragazzi che percorso devono fare per diventare piloti?  &ldquo;Io iniziai a guidare le moto nelle strade di tutti i giorni, poi andai tra i cordoli. Ma avevo gi&agrave; una et&agrave; considerabile oggi &lsquo;adulta&rsquo;. Diciassette o diciotto anni. Adesso sarebbe tardi per cominciare con le gare. Quando vado alla Scuola Federale con Gianluca Nannelli, trovo bambini di sei o o sette anni gi&agrave; in sella. A undici anni, alcuni di loro fanno paura: sono velocissimi, agili, mangiano le curve. Io iniziai a guidare la Vespa, poi arriv&ograve; una 125. Solo a diciotto anni debuttai nelle competizioni. Non &egrave; pi&ugrave; epoca per rischiare la vita in strada. Adesso si deve partire sin da piccoli, in strutture adeguate e sicure. Dobbiamo toglire i giovani dalle strade, le corse si fanno in pista. Lo sport aiuta a vivere meglio ed il motociclismo deve rimanere un bello sport&rdquo;.  Sandro Cortese: &quot;Ho rischiato la sedia a rotelle&quot; 

<p>Marco ricorda l&#39;affascinante giro secco: &quot;Solo entrarvi, rappresentava un successo&quot;, vede poche alternative a Rea: &quot; Razgatlioglu, forse&quot; e promuove la monofornitura Pirelli: &quot;Gomme uguali per tutti, tutta la vita!&quot;</p> 

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