        Magny Cours 2006 rappresenta la fine della sua carriera sportiva, prima di intraprendere quella di commentatore tecnico per il Mondiale Superbike. Pierfrancesco Chili &egrave; una vera e propria Leggenda del Mondiale delle derivate, pur non essendo mai riuscito a centrare un titolo. Chili &egrave; stato un pilota velocissimo, di grande talento e con un cuore immenso. Gli inizi  Nato a Castenaso alle porte di Bologna il 20 giugno 1964, inizia a correre grazie al sostegno dello zio Pierluigi Aldrovandi nel 1982 e due anni dopo diventa pilota professionista. Nel 1985 vince il Campionato Europeo Velocit&agrave; con una MBA 125 che gli spalanca le porte al Motomondiale. Il Motomondiale: 125 - 500 - 250  Nel biennio 1984-1985 disputa da wild card le gare finali a Misano in sella alla MBA 125 ma senza raccogliere punti. L&rsquo;anno successivo, il 1986, opta per il passaggio diretto in 500 senza transitare da 125 e 250. La stagione in sella alla Suzuki si conclude con 11 punti e la decima posizione finale. Nel 1987 passa in Honda e coglie il suo primo podio nel Motomondiale con il secondo posto in Francia. Chiude sesto con 47 punti Resta in Honda anche l&rsquo;anno successivo e chiude al nono posto con 110 punti, al netto di un ritiro e di una non partenza. Nel 1989 coglie la sua prima vittoria nel Motomondiale al Gran Premio delle Nazioni sulla pista di Misano. Chiude al sesto posto con 122 punti e tre ritiri Travagliata l&rsquo;annata 1990 nella quale disputa solo 9 dei 15 Gran Premi in programma. Coglie comunque un terzo posto a Laguna Seca e chiude con 63 punti in undicesima posizione. Nel 1991 scende di categoria e passa in 250 con l&rsquo;Aprilia. Centra il terzo posto a Misano nel Gran Premio d&rsquo;Italia e la vittoria ad Assen chiudendo l&rsquo;anno settimo con 107 punti. Il 92 &egrave; l&rsquo;anno migliore di Chili in 250 ma non solo. La stagione &egrave; dominata dai colori italiani con protagonisti anche Cadalora, Reggiani e Biaggi. Frankie coglie tre vittorie e tre podi rendendosi per&ograve; protagonista del festeggiamento anticipato a Jerez quando era secondo dietro a Cadalora. Chiude terzo in campionato con 119 punti. Loris Reggiani e la 250: "Il 1992 fu un dominio tricolore" Nel 1993 passa in Yamaha con il team Telkor-Valesi. Chiude decimo con 106 punti, prendendosi a fine anno un anno sabbatico. Nel 1995 si ripresenta in 500 con la Cagiva per disputare il Gran Premio d&rsquo;Italia al Mugello che chiude al decimo posto Nel Motomondiale ha collezionato 5 vittorie, 11 podi, 5 pole, 4 giri veloci in 104 gare dal 1984 al 1995 La Superbike  Nel 1995 si apre la seconda vita sportiva di Frankie con il passaggio in Superbike e la Ducati, moto con la quale rester&agrave; fino al 1998 prima del ritorno nel 2002. Coglie la sua prima vittoria a Monza pi&ugrave; altri tre podi chiudendo ottavo con 160 punti La stagione 1996 lo vede vittorioso ancora a Monza recuperando dopo un errore alla Roggia e battendo in volata le Honda. Sesto in campionato con 223 punti Nel 1997 sono tre le vittorie in stagione (Misano, Monza e Brands Hatch) pi&ugrave; altri tre podi per una settima posizione finale con 209 punti Il 1998 &egrave; l&rsquo;anno nel quale Chili pu&ograve; giocarsi il Mondiale contro un Fogarty voglioso di riscatto dopo un biennio amaro in Honda. Le speranze di mondiale di Frankie naufragano in gara-2 ad Assen con la scivolata all&rsquo;ultimo giro e la famosa intervista con Di Pillo in accappatoio dopo gara. Chiude quarto con 293,5 punti Nel 1999 passa alla Suzuki. Coglie due vittorie e 4 podi chiudendo sesto con 251 punti. Resta in Suzuki anche nel 2000, anno nel quale per&ograve; non riesce a giocarsi il titolo contro Edwards ed Haga. Batte per&ograve; lo stesso Edwards in gara-1 a Monza, colleziona altri 9 podi e conclude quarto con 258 punti. Nel 2001 vince solo a Donington in gara-2 e chiude settimo con 232 punti. Torna in Ducati nel 2002 con la 998RS. Coglie il podio solamente ad Assen in gara-2 e chiude ottavo con 167 punti. Nel 2003 usufruisce della 998F02 dell&rsquo;anno precedente. Vince a Laguna Seca e coglie altri sei podi per la settima posizione finale con 197 punti Il 2004 lo vede correre con due modelli diversi di Ducati, la 998RS e la 999RS. Inizia la stagione con la 999RS cogliendo il podio a Valencia e Phillip Island, ritorna sulla 998 a Misano dove coglie l&rsquo;ultima vittoria della carriera (curiosamente proprio come Falappa nel 1994) e chiude la stagione con la 998 al quinto posto con 243 punti Sbk: quanti ricordi indelebili a Misano! Nel biennio 2005-2006 &egrave; gi&agrave; nella fase calante della carriera. Corre prima per il team Klaffi Honda e poi con DFX Honda raccogliendo poco. Al termine della seconda gara a Magny Cours chiude definitivamente la sua carriera. Ha corso in Superbike per 12 stagioni dal 1995 al 2006 cogliendo 17 vittorie (una in pi&ugrave; del grande Falappa), 61 podi, 10 pole position, 29 giri veloci e 2381,5 punti in 276 gare Gli ultimi anni  Nel biennio 2007-2008 ha fatto da spalla tecnica su La7 a Luigi Vignando per le gare del Mondiale. Nello stesso 2008 &egrave; stato chiamato dal team Guandalini per ricoprire il ruolo di direttore sportivo, ruolo ricoperto fino alla fine del 2009.  Buon Compleanno Frankie, una &ldquo;Tigre&rdquo; mai doma!       

Non &egrave; mai riuscito a centrare un titolo mondiale in Superbike ma &egrave; riconosciuto come una delle grandi leggende del Campionato, con un passato (ed una topica) nel Motomondiale

La “Tigre di Bologna” Chili spegne 58 candeline: velocità e cuore

        Frankie Chili rimane uno dei piloti pi&ugrave; amati e ricordati dal pubblico degli appassionati per le sue gare generosissime e le decine di episodi che hanno caratterizzato la sua lunga carriera. Una carriera che lo ha portato in sella a praticamente tutte le moto di ogni categoria e cilindrata della Velocit&agrave;. Se le bellissime sfide che lo hanno reso famoso in Superbike sono abbastanza recenti, non tutti ricordano che Chili ha corso in 500 e 250 nella magica epoca delle due tempi, contro avversari leggendari come Wayne Rainey, Kevin Schwantz ed Eddie Lawson nella classe regina, e Max Biaggi, Loris Capirossi, Loris Reggiani, Luca Cadalora e tanti altri nella 250. Dopo una stagione altalenante in 500 nel 1990, Frankie decise di passare in 250 con l&rsquo;Aprilia del Team Iberna di Alessandro Valesi. Era iniziata in Aprilia l&rsquo;era-Witteveen che avrebbe ben presto monopolizza to questa competitiva categoria con le sue geniali soluzioni, vincendo per almeno 15 anni. Gi&agrave; nella sua prima stagione in 250 Frankie regal&ograve; a Witteveen il primo trionfo ad Assen, chiudendo 7&deg; un campionato vinto da Cadalora. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring La convivenza col Corsaro prima e con Tetsuya poi   Nel 1992 nel Team Iberna arrivarono un nuovo sponsor, Telkor, e un nuovo compagno, il giovane Max Biaggi. La stagione vide Chili viaggiare sempre tra i protagonisti, con quattro pole position, sei podi e tre vittorie. Purtroppo non mancarono le difficolt&agrave;, dai problemi tecnici alla convivenza con Biaggi che venne compromessa da un brutto episodio proprio nel GP di casa al Mugello, dove Chili fin&igrave; a terra dopo un contatto con Max alla Luco nel corso dell&rsquo;ultimo giro. E come se non bastasse in Spagna, mentre era in una bagarre infernale per il secondo posto con altri tre piloti, alla fine del penultimo giro tagli&ograve; il traguardo e inizi&ograve; a esultare convinto di aver battuto tutti nel gruppetto. I rivali lo sfilarono e Chili, convinto che la gara fosse gi&agrave; finita, scivol&ograve; al sesto posto sotto la bandiera a scacchi. Al termine della stagione il Team Iberna pass&ograve; alla Yamaha 250 e mand&ograve; Chili in Giappone a valutare la nuova moto ed eventuali modifiche. Al suo ritorno Frankie disse che la moto era tutto sommato competitiva ma che in pista aveva trovato un collaudatore veloce e talentuoso. Tale Tetsuya Harada, che su suggerimento di Chili venne preso dal team. Frankie aveva davvero ragione perch&eacute; nella prima stagione completa nel Mondiale, su piste mai viste e contro avversari molto agguerriti, Harada firm&ograve; una stagione memorabile conquistando il titolo. Mentre Frankie termin&ograve; soltanto 10&deg;. Al termine del &lsquo;93 il Team Valesi Iberna chiuse i battenti e Chili termin&ograve; la sua parentesi con la 250 per passare nel &lsquo;95 nella SBK con il Team Gattolone di Andrea Merloni e iniziare un altro bellissimo capitolo della sua storia. Chili: "La classe di mezzo era un gruppo selvaggio"   A questo punto &egrave; giusto sentire dalla sua voce il racconto di questo bellissimo triennio in 250. Frankie, cosa ricordi del tuo passaggio dalla 500 alla 250? &ldquo;La 250 era una classe di grandissima competitivit&agrave; con moto fantastiche di cento chili per cento cavalli e con tanti italiani protagonisti. Da Cadalora a Reggiani, da Capirossi a Biaggi e Romboni. Le gare erano tutte battaglie in gruppo selvaggio fino alla bandiera a scacchi. Witteveen aveva appena iniziato a sviluppare il suo motore a valvola rotante e io gli regalai la primissima vittoria ad Assen al termine di una gara combattutissima&rdquo;. Con tanti italiani a giocarsi la vittoria, com&rsquo;erano i rapporti tra voi connazionali? &ldquo;Nel &lsquo;92 avevo Biaggi in squadra e proprio nel GP di casa al Mugello mi butt&ograve; fuori alla prima esse rovinandomi una gara importantissima. Decisamente ognuno pensava per s&eacute;. Firmai tre vittorie e chiusi terzo in campionato, e ora lo posso dire&rdquo;. Cosa? &ldquo;Corremmo met&agrave; stagione con tutti i parametri sbagliati perch&eacute; uno dei miei strumenti di rilevazione era rotto e dava valori completamente sballati&rdquo;. Nel 1993 ci fu il trasferimento alla Yamaha: come and&ograve; il passaggio dall&rsquo;Aprilia alla moto giapponese? &ldquo;Lo sponsor Telkor convinse Valesi a passare alla Yamaha e mi mandarono a fare un test in Giappone prima di decidere. Io mi presentai sulla pista della Yamaha e con me c&rsquo;era il loro collaudatore. Iniziai a prendere confidenza con questa moto, che mi piacque subito e quindi nel pomeriggio iniziai a tirare ma c&rsquo;era un problemino. Il loro collaudatore girava sempre pi&ugrave; forte 31 di me e mi passava a destra e a sinistra. Allora mi fermai ai box e feci le ultime regolazioni di fino per tornare in pista e togliermi di mezzo questo fastidioso pilota di casa. Incredibilmente fu lui a starmi ancora davanti per pochissimi decimi e l&igrave; commisi un altro errore&rdquo;. Parlasti bene di quel pilota... &ldquo;Appena tornato a casa dissi che la moto era OK e che c&rsquo;era un pilota giapponese, tale Harada, che andava fortissimo e che l&rsquo;avrei preso subito. Infatti lo presero e Tetsuya continu&ograve; ad andare fortissimo tanto da vincere il Mondiale!&rdquo;. Dopo quel 1993 fin&igrave; anche la tua esperienza nella 250. &ldquo;Purtroppo nel &lsquo;94 il Team Iberna si ritir&ograve; e io mi ritrovai a piedi. Feci qualche gara in SuperMono e soprattutto un bellissimo GP in 500 al Mugello dove rischiai di partire in pole con una Cagiva ormai ferma da un anno e presa dal salotto di Castiglioni. Poi conobbi un fantastico appassionato ex pilota che aveva allestito un team privato in SBK: era il Team Gattolone e lui era Andrea Merloni che purtroppo &egrave; scomparso giovanissimo tempo fa. E questa notizia mi ha davvero tramortito. Andrea &egrave; stato un amico e un grandissimo appassionato, lucido, coraggioso e visionario. Infatti dopo il Gattolone decise di costruire una bellissima tre cilindri per riportare in luce il leggendario marchio Benelli. Con lui abbiamo perso davvero un grande personaggio&rdquo;. Misano 1984: Fausto Ricci, buona la prima       

"La 250 &egrave; un capitolo indimenticabile: a Witteveen regalai la prima vittoria, proprio nella sua Olanda. And&ograve; meno bene con i compagni: prima la collisione con Biaggi, poi consigliai l&rsquo;ingaggio di Harada"

Frankie Chili: “In 250 consigliai all'Aprilia di prendere Harada, poi...”

        Come si &egrave; sentita la Spagna, quando, nel 2013, ha visto i suoi piloti vincere tutte le gare della Moto3 e monopolizzare le prime quattro posizioni della categoria? Se qualcuno poteva fornire una risposta, quello era il motociclismo italiano, che nel 1992 aveva compiuto un&rsquo;impresa molto simile nella 250. Merito dei nostri quattro moschettieri, capaci di vincere tutte e tredici le gare di quella stagione della classe intermedia: Luca Cadalora si conferm&ograve; campione con sette successi, davanti a Loris Reggiani (due vittorie) e Pierfrancesco Chili (tre), mentre Max Biaggi (un successo, il primo nel Mondiale) fin&igrave; quinto nel Mondiale alle spalle di Helmut Bradl, unico pilota capace di impedire il nostro poker in classifica. Ma non di fermare una sequenza di vittorie storica. A quasi 30 anni di distanza da quella fantastica stagione &egrave; Loris Reggiani a raccontare i retroscena: dalla topica di Chili a Jerez (dove esult&ograve; per il secondo posto con un giro d&rsquo;anticipo, chiudendo poi sesto sotto la bandiera a scacchi) al vantaggio acqui sito da Cadalora nelle tre gare iniziali, fino ai rapporti tesi tra i piloti italiani. Proprio lui che, con le sue 11 stagioni intere nella 250, &egrave; stato il decano per l&rsquo;Italia nella classe di mezzo, non riuscendo per&ograve; ad andare oltre il secondo posto di quell&rsquo;incredibile 1992 vissuto con l&rsquo;Aprilia. Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250 Reggiani: "Aprilia super competitiva, ma il mio campionato fu pregiudicato da un infortunio"   Loris, cosa ricordi di quella stagione? &ldquo;Fu bellissima anche perch&eacute; l&rsquo;Aprilia era molto competitiva. Il primo ricordo per&ograve; &egrave; triste perch&eacute; partii per quel campionato con un infortunio non grave nei test invernali e le prime tre gare le feci da convalescente, per cui presi pochissimi punti. Tre corse vinte da Luca Cadalora con la Honda, che and&ograve; subito a +52 su di me. Dalla quarta gara, che vinsi a Jerez, qualcosina riuscii a recuperare ma ormai il Mondiale era andato (il modenese prevalse per 44 lunghezze, ndr)&rdquo;. Tra i moschettieri azzurri, era Cadalora il rivale principale? &ldquo;S&igrave;, per&ograve; &egrave; vero che siamo stati spesso a lottare insieme, Chili mi batt&eacute; pi&ugrave; volte, anche Biaggi mi tolse punti, che comunque non sarebbero stati sufficienti per recuperare su Luca&rdquo;. L&rsquo;unico a inserirsi tra gli italiani, pur non vincendo, fu Bradl. &ldquo;S&igrave;, durante le gare poi c&rsquo;era anche Carlos Cardus. Ma in effetti eravamo noi quattro italiani i pi&ugrave; accreditati&rdquo;. Hai ricordato Jerez, dove la tua vittoria fin&igrave; quasi in secondo piano per l&rsquo;incredibile gaffe di Chili. &ldquo;A vederla dopo &egrave; stata esilarante (ride), probabilmente lo sar&agrave; anche per lui dopo tanti anni, ma quel momento ovviamente fu drammatico per Chili, che era convinto di essere arrivato secondo battendo i piloti con cui era in bagarre, tra i quali Cadalora. Li aveva regolati tutti in quello che pensava fosse l&rsquo;ultimo giro, per cui il risultato ci sarebbe stato in ogni caso. Invece poi scopr&igrave; che non era l&rsquo;ultimo giro: &egrave; una cosa che non auguro a nessuno di vivere, anche se capisco che pu&ograve; succedere&rdquo;. Qual &egrave; stata la gara pi&ugrave; bella di quella stagione? &ldquo;Indubbiamente Jerez, per me. Fu una grande vittoria dopo tre gare mostruosamente incolori, dopo le quali sembrava che la stagione potesse rivelarsi disastrosa. Quella vittoria per distacco fu una specie di riscatto, una liberazione. E da l&igrave; la ripartenza&rdquo;. Dopo, per&ograve;, Cadalora ha continuato a vincere. &ldquo;Lui vinse sette gare contro le sei di noi tre piloti Aprilia, quindi credo che la sua supremazia fosse indiscussa e indiscutibile. Tre di quelle sette corse le conquist&ograve; proprio in avvio, quando io ero fuori gioco, ma credo che avrebbe vinto lo stesso perch&eacute; Suzuka, Eastern Creek e Shah Alam erano circuiti sui quali non ero mai fortissimo. Lui aveva trovato un equilibrio con quella moto e quelle gomme che usava soltanto lui&rdquo;. Quali? &ldquo;Luca aveva ancora le Michelin, fornitore che di l&igrave; a poco sarebbe uscito di scena, contro le Dunlop di tutto il resto della griglia e se non ricordo male andava a cercare delle gomme anteriori vecchie di qualche anno perch&eacute; erano le uniche con le quali si trovava bene. Nei circuiti dove c&rsquo;erano le buche e su piste particolari riusciva a fare la differenza. Io persi il Mondiale nel corso della stagione ma soprattutto nelle prime tre gare, e ogni tanto saltava fuori un circuito dove ci massacrava&rdquo;. Noale al centro del mondo   Il 1992 coincise con il primo titolo dell&rsquo;Aprilia nella Velocit&agrave; con Alessandro Gramigni in 125, ma anche in 250 le moto di Noale fecero furore. &ldquo;La nostra era una grande Aprilia, soprattutto a livello di motore. Come sempre rispetto alle moto giapponesi in quegli anni. Con quel motore molto potente, sui circuiti veloci potevamo fare la differenza: a Hockenheim riempimmo il podio. La moto dell&rsquo;anno prima era gi&agrave; molto veloce ma la versione 1992 aveva anche risolto un problema di ciclistica: la moto dell&rsquo;anno prima non chiudeva le curve e faticavamo ad arrivare alla corda, invece quell&rsquo;Aprilia l&igrave; era fantastica. L&rsquo;aveva sistemata molto bene Marcellino Lucchi durante l&rsquo;inverno e quando ce la diedero a inizio stagione non ci furono dubbi&rdquo;. L&rsquo;Aprilia monopolizz&ograve; il podio due volte, in Germania e nella chiusura in Sud Africa. &ldquo;S&igrave;, ma non ero molto contento perch&eacute; in quelle due occasioni non c&rsquo;ero io sul gradino pi&ugrave; alto del podio. In Germania vinse Chili, a Kyalami fu la prima volta di Biaggi. Tre Aprilia sul podio ma io non ero felicissimo (ride)&rdquo;. E tre piloti italiani ai primi tre posti alla fine del Mondiale. &ldquo;Anche in quel caso non ero felice perch&eacute; c&rsquo;era un altro davanti a me (ride). Se devo essere sincero avrei preferiito ci fosse uno straniero davanti a me, credo che un po&rsquo; tutti siamo cos&igrave;. Essere ipocriti vale fino a un certo punto, specialmente dopo oltre vent&rsquo;anni&rdquo;. Non correva buon sangue tra voi italiani. &ldquo;Non correva. Quando abbiamo smesso di correre ci siamo ritrovati e ci siamo conosciuti meglio. Quando sei avversario, oltretutto della stessa Nazione e nella stessa categoria, &egrave; impossibile che corra buon sangue, anche se i caratteri potrebbero essere compatibili. Quando poi non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave; quella rivalit&agrave; si capisce che si arriva tutti dalla stessa storia. Io e Cadalora poi siamo molto simili: fin da piccoli ci truccavamo i motorini da soli in garage. Ancora prima che piloti, siamo nati meccanici, amanti della tecnica e del motore, allora &egrave; facile andare d&rsquo;accordo. Io e Luca ora siamo amici anche se ci vediamo poco perch&eacute; non viviamo nella stessa citt&agrave;. La stessa cosa non la posso dire di Biaggi. Con lui non c&rsquo;&egrave; quell&rsquo;affinit&agrave; di carattere che c&rsquo;&egrave; con Cadalora, siamo molto diversi anche nel concepire le sfide, le corse e il modo di battere l&rsquo;avversario&rdquo;. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring       

Cadalora, Reggiani, Biaggi e Chili vinsero tutti i GP di quella stagione irripetibile. Loris ci racconta: "Eravamo fortissimi, ma c'era tanta rivalit&agrave;"

Loris Reggiani e la 250: “Il 1992 fu un dominio tricolore”

Il 1998 aveva rappresentato la stagione magica di Pierfranceso &ldquo;Frankie&rdquo; Chili che finalmente sulla Ducatona ufficiale gestita da Virginio Ferrari appariva imbattibile nonostante la nutrita schiera di agguerriti avversari davvero tosti. Da Foggy e Corser con le 996 a Slight ed Edwards con le Honda senza dimenticare Haga e Russell con la Yamaha o Yanagawa con la Kawasaki. La consueta pattuglia infernale in perfetto stile Superbike pronta a darsi battaglia a colpi di carena a ogni staccata per una stagione davvero fantastica. Con Virginio che aveva creato nei paddock un&rsquo;avveniristica stazione spaziale che depositava davanti ai box con dentro tutti i ricambi perfettamente stipati e ordinatamente riposti a scomparsa, la squadra ufficiale Ducati vantava due piloti velocissimi e sempre vincenti. Inserito in questa struttura, Chili svettava su tutti e con la Rossa di Borgo Panigale strapazzava gli agguerritissimi avversari. L&rsquo;unico vero avversario di Frankie era... Chili stesso, e la sua emotivit&agrave;.  Quella passione viscerale che lo portava a vivere ogni gara con un pathos totale, che purtroppo lo port&ograve; alla scivolata di Assen, penultimo atto del Mondiale. La famosa scivolata nel duello contro Fogarty all&rsquo;ultima &ldquo;esse&rdquo; dell&rsquo;ultimo giro precluse la scalata al Mondiale di Chili, ma anche la sua permanenza in Ducati. Gi&agrave;, perch&eacute; dopo la rissa con l&rsquo;inglese in Ducati non potevano certo licenziare il campione del Mondo. Quindi il bolognese, dopo una lunga militanza in Ducati, fu obbligato a cercare una nuova cavalcatura.    SBK, Max Biaggi: &quot;Nel 2007 in Suzuki inizi&ograve; la mia nuova vita&quot;  L&#39;intuizione di Batta   Qui entra in scena un altro grande personaggio della SBK storica. Francis Batta, team manager belga passato dalla classe 500 alle neonate SBK e in quel momento capo delle Suzuki ufficiali. Sfavorite per&ograve; dal regolamento tecnico, che relegava le quattro cilindri nipponiche a soltanto 750 cm&sup3;, che risultavano penalizzati rispetto ai mille delle Ducati. Per questo, in anni di partecipazione la Suzuki aveva davvero raccolto poco con vittorie sporadiche di wild card a Sugo e poco altro. Puntare su un talento cristallino come Frankie Chili fu una mossa vincente di Batta e della Suzuki. Spinto dal senso di rivalsa e da una classe invidiabile, Chili nel 1999 riusc&igrave; in brevissimo tempo a trasformare il brutto anatroccolo in un cigno in grado di puntare per la prima volta alle parti alte delle classifiche della difficilissima SBK. Sei podi con finalmente due vittorie in Austria e Germania &ndash; seguite dal successo della wild card Akira Ryo a Sugo &ndash; per la Suzuki con la sua GSX-R 750 con i bellissimi colori della birra Corona. Una stagione per uscire dall&rsquo;anonimato diventando costante protagonista del mondiale SBK. Nel 2000 la Honda decise di schierare a sua volta un bel bicilindrico mille per correre ad armi pari contro la 998. Carl Fogarty si infortun&ograve; in Australia e Colin Edwards balz&ograve; al comando con la sua VTR mille contro un fantastico Noriyuki Haga con una Yamaha R7 nettamente inferiore alle avversarie. Ma quello era un periodo magico dove la classe e la grinta dei piloti riuscivano a colmare problemi e lacune tecniche, e Chili con la Suzuki e Haga con la Yamaha infiammavano il pubblico di tutto il Mondo.    Dieci podi e una vittoria pazzesca a Monza furono il bilancio finale di un&rsquo;altra stagione memorabile per Chili e la Suzuki. Purtroppo questa differenza di cubatura, e quindi di cavalli, creava non pochi problemi alle quattro cilindri e nella snervante attesa di equiparare tutte le SBK a mille cm&sup3; i rapporti tra il velocissimo Chili e la Suzuki iniziarono a raffreddarsi spingendo il bolognese di nuovo verso la Ducati. Un ritorno che si concretizz&ograve; a fine 2001, dopo una stagione in cui il bolognese and&ograve; sul podio soltanto a Donington, ma in grande stile: secondo in Gara 1 e vincitore in Gara 2. Nel triennio di Chili in Suzuki, la Casa nipponica vinse pi&ugrave; che in tutta la sua storia in SBK fino ad allora, uscendo dall&rsquo;anonimato tanto da convincere i suoi vertici a proseguire l&rsquo;avventura tra le derivate dalla serie. Dove all&rsquo;arrivo delle mille con la GSX-R, &egrave; diventata una delle regine della categoria.  Frankie-Francis, che coppia   Il merito &egrave; davvero dell&rsquo;accoppiata Chili-Batta, due uomini che portarono la Suzuki a livelli di visibilit&agrave; e competitivit&agrave; mai visti con una moto decisamente inferiore alle avversarie e soprattutto contro avversari terribili e agguerriti. Peraltro furono memorabili anche i confronti tra i due, iniziati da una serie di minacce da parte di Batta di andare in Argentina per ingaggiare un pilota del Motomondiale nonostante avesse gi&agrave; stipulato un preaccordo con Frankie. Batta sventolava spesso un biglietto aereo dicendo che era per l&rsquo;Argentina, ultima prova del Motomondiale. Alla fine, per&ograve;, i due firmarono il contratto e Batta confess&ograve; che in realt&agrave; si portava sempre dietro un vecchio biglietto per il Belgio, e che non aveva mai avuto intenzione di ingaggiare nessun altro, bens&igrave; soltanto mercanteggiare un po&rsquo; il compenso, alla fine stabilito molto in base ai risultati con grossi premi in caso di vittoria. Infatti si arriv&ograve; all&rsquo;A1 Ring e Chili sulla pista umida vol&ograve; al comando ma cadde, e quando rientr&ograve; ai box Batta gli chiese con un sorriso: &ldquo;Bagnino quanti soldi hai perso oggi?&rdquo;. Ma Frankie fece un capolavoro in Gara 2 portando la Suzuki alla prima vera vittoria nel mondiale SBK e sul podio url&ograve; a Batta: &ldquo;Prepara il portafoglio perch&eacute; non ci credevi nemmeno te che avremmo vinto subito!&rdquo;. Nel team l&rsquo;atmosfera era davvero amichevole e familiare soprattutto per la bravura del &ldquo;Moro&rdquo; (Alberto Colombo) ma il compagno di team Katsuaki Fujiwara sembrava remare contro e con il suo meccanico giapponese seminava zizzania perch&eacute; non credeva che la sua moto fosse identica a quella di Chili, visto il divario di risultati.  A Misano, nel 2000, Chili cadde e si ruppe una clavicola, cos&igrave; decise di fugare ogni dubbio al giapponese cedendogli la propria moto per Gara 2 ma con la raccomandazione di non toccare nulla nel set up. Con la moto preparata da Chili, Fujiwara arriva addirittura sul podio e cacci&ograve; via il suo meccanico ringraziando Frankie e dicendo a tutti i vertici della Suzuki che Chili era davvero un grandissimo tecnico. Frankie ha sicuramente segnato la storia della Suzuki ma anche del Team Batta, tanto che in tutta la sua lunghissima carriera questi tre anni rimangono un periodo che lui stesso ricorda con grande affetto e gratitudine.  Kevin Schwantz, l&#39;uomo simbolo della Suzuki 

Grazie al bolognese, la Casa giapponese entr&ograve; stabilmente nell&rsquo;elite della Superbike: vittorie, podi, scivolate e duetti irripetibili con il team manager Batta

SBK: Pierfrancesco Chili-Suzuki, la strana coppia

Domenica 14 maggio 1989, a Misano, la classe 500 del Motomondiale anneg&ograve; in un mare di polemiche. La pioggia si abbatt&eacute; sulla pista che all&rsquo;epoca - 31 anni fa - era ben diversa da quello odierna: non soltanto per il senso di marcia, antiorario, ma soprattutto per l&rsquo;asfalto inadeguato in caso di pioggia. Tanti dettagli, come sala stampa e servizi, rendevano il circuito di allora molto diverso dal presente dell&rsquo;autodromo-gioiello intitolato a Marco Simoncelli. La pioggia rese quel giorno l&rsquo;asfalto viscido e troppo insidioso, a detta della maggior parte dei piloti, che si rifiutarono di ripartire. Gi&agrave;, perch&eacute; la gara era cominciata sull&rsquo;asciutto, e prometteva grande spettacolo, con i big USA e australiani (pi&ugrave; il francese Christian Sarron) a dare subito fuoco alle polveri con i sorpassi nei primi giri.  Ma di fronte alla pioggia, cambi&ograve; tutto, e i 70.000 spettatori paganti furono costretti ad assistere a un pomeriggio che non avrebbero dimenticato.  Misano 1982: Franco Uncini, in volo verso l&#39;iride  Asfalto insicuro per tutti. O quasi   Gli stessi specialisti del bagnato &ldquo;condannarono&rdquo; Misano e il suo asfalto: Randy Mamola, Sarron, Kevin Schwantz, furono tutti concordi nel sottolineare la pericolosit&agrave; del circuito sul bagnato: i troppi tipi diversi di asfalto rendevano insicuro il tracciato. Uno scroscio di pioggia aveva preceduto il via della 500. La cui griglia si schier&ograve; sperando di correre una gara sull&rsquo;asciutto. Mike Trimby, rappresentante dell&rsquo;IRTA, l&rsquo;associazione del team del Mondiale, si fece portavoce dei piloti e chiese al direttore di gara Alberto Fantini di prevedere un turno di 10 minuti di prove libere prima della gara. Il benestare arriv&ograve; velocemente, ma i tempi si allungarono, piloti e squadre temporeggiarono, ignorando i tentativi del direttore di gara di procedere all&rsquo;allineamento. Il secondo giro di ricognizione arriv&ograve; dopo un&rsquo;ora, a pista finalmente asciutta, tranne che sotto il ponte della Brutapela. Ulteriore attesa. Roberto Gallina &ndash; team manager di Pierfrancesco Chili &ndash; sollecit&ograve; la partenza. Quando si arriv&ograve; finalmente al sospirato via, dopo quattro giri ricominci&ograve; a piovere. Schwantz, al comando, alz&ograve; il braccio indicando a tutti che era il momento di rientrare. Gara sospesa.  Alberto Fantini diede a tutti il tempo di preparare la moto per una seconda manche, ma soltanto 12 piloti decisero di scendere in pista. E tra loro soltanto un ufficiale: Pierfrancesco Chili. Un po&rsquo; perch&eacute; il bolognese non voleva rinunciare a correre sulla pista di casa, un po&rsquo; per l&rsquo;insistenza di Gallina. Per Chili, la posizione divenne difficile, da separatista: tutti i big, infatti, boicottarono la seconda fase di gara. Anche i piloti Cagiva, che andarono contro il volere di Gianfranco Castiglioni, intenzionato a schierare Mamola. La Honda lasci&ograve; libert&agrave; di scelta a Lawson, e il campione in carica fu il pi&ugrave; illustre tra i 16 piloti che si rifiutarono di ripartire.  Lo scenario divenne surreale: gli americani dai box ad applaudire e incitare in segno di scherno chi era sceso in pista, sotto il diluvio. Alla prima curva, Vittorio Scatola si present&ograve; davanti a tutti ma scivol&ograve; in una maniera che parve persino goffa. Inevitabile, dato che con la sua Suzuki privatissima disponeva soltanto delle gomme da asciutto, ma volle provare il brivido di qualche metro in testa alla gara della 500...  &nbsp;  Chili e il segnale mandato ai piloti americani   Chili prese subito il comando e lo mantenne per tutta la manche, concludendo con 15&rsquo;&rsquo;1 di vantaggio su Michael Rudroff e 20&rsquo;&rsquo;2 su Simon Buckmaster. Al termine venne fatta la somma delle due frazioni di gara, e Chili vinse con un vantaggio di 32&rsquo;&rsquo;27 su Buckmaster e 32&rsquo;&rsquo;5 su Rudroff. I tempi sul bagnato confermarono le difficolt&agrave; anche soltanto a rimanere in pista: 1&rsquo;48&rsquo;&rsquo;218 fu il giro veloce di Chili, ovvero quasi mezzo minuto pi&ugrave; alto dell&rsquo;1&rsquo;19&rsquo;&rsquo;169 firmato da Eddie Lawson nella prima frazione. Ma come disse lo stesso Chili, la sua non fu una gara, bens&igrave; una contestazione. &ldquo;Cos&igrave; facendo, magari mi sono dato la zappa sui piedi, perch&eacute; gli altri piloti potrebbero negarmi la possibilit&agrave; di parlare con loro in futuro&rdquo;, fu il dubbio che espresse a Motosprint subito dopo la bandiera a scacchi. &ldquo;Per&ograve; potrei anche aver dato uno scossone a una situazione da tempo poco chiara. Gli americani fanno gruppo e ci impongono le loro decisioni. Mamola non deve parlare di sicurezza e poi, una volta fermata la gara alle prime gocce di pioggia, mettersi a fare le impennate. Se non ci sono le condizioni per correre &egrave; pericoloso anche guidare su una ruota. &Egrave; stato anche questo suo comportamento a convincermi a fermarmi sulla linea di partenza e a dire a Roberto Gallina di montare le gomme rain per continuare la gara&rdquo;.  &ldquo;So bene che sportivamente questa vittoria non vale niente, che le vittorie vere sono quelle sudate, mentre io non ho certo guidato al limite. La mia &egrave; stata una contestazione a una presa di posizione che non condivido&rdquo;, aggiunse Chili.  Una gara difficile per il bolognese, che continu&ograve; a pensare per tutto il tempo alle conseguenze del suo gesto. &ldquo;Mi tormentava la possibilit&agrave; di cadere&quot;, spieg&ograve; Chili. &quot;Tutti gli altri avrebbero riso di me. Non pensavo certo alla vittoria o alla classifica. Non mi importa niente di questi punti, pensavo piuttosto alle ritorsioni degli altri piloti. E il pensiero che qualcuno possa danneggiarmi nel paddock o in pista mi disturbava e mi disturba&rdquo;.  La giuria Internazionale commin&ograve; una sanzione a chi si rifiut&ograve; di scendere in pista. Il Codice Sportivo della FIM recita infatti che &ldquo;Un pilota iscritto a una manifestazione, se non pu&ograve; prendervi parte, deve informare gli organizzatori non appena gli &egrave; possibile fornendo una valida e accettabile giustificazione&rdquo;. Vennero multati 15 dei 16 dissidenti: Lawson, Rainey, Christian e Dominique Sarron, Mackenzie, Haslam, McElnea, Valesi, Spencer, Kneub&uuml;hler, Fujiwara, Doohan, Broccoli, Roche e Schwantz. Nessuna contravvenzione a Mamola, l&rsquo;unico a sbrigare le formalit&agrave; burocratiche. Ulteriormente differente fu la posizione di Fred Merkel, schierato per l&rsquo;occasione da Gallina: l&rsquo;americano, campione del mondo Superbike, cedette alle pressioni dei connazionali e rientr&ograve; ai box dopo il giro di ricognizione sul bagnato.  Mamola disse: &ldquo;La FIM deve garantire la sicurezza a ogni pilota perch&eacute; la mia vita vale quanto quella di Chili o Buckmaster. Non ha senso metterla a repentaglio per la pericolosit&agrave; di un tracciato. Prendere il via della gara non avrebbe certo salvato lo spettacolo, perch&eacute; non pu&ograve; esserci spettacolo girando 30&rdquo; pi&ugrave; piano del tempo record&rdquo;. Lawson, che nel 1989 vinse il quarto e ultimo Mondiale della carriera, sottoline&ograve; che fermarsi fu l&rsquo;unica opzione. &ldquo;Chi ha preso il via sotto la pioggia &egrave; andato a passeggio perch&eacute; sul bagnato il tempo sul giro deve salire di 10 secondi, non di una quarantina. Non c&rsquo;erano le condizioni per correre in sicurezza e ci siamo fermati; su altri circuiti puoi montare le gomme rain dopo aver provato sull&rsquo;asciutto e scendere in pista. A Misano non puoi farlo&rdquo;.  E sul concetto del ritmo da &ldquo;passeggio&rdquo; torn&ograve; anche Sarron: &ldquo;Ho sempre tratto vantaggio dalla pioggia, ma qui a Misano guidare sul bagnato &egrave; impossibile perch&eacute; le caratteristiche dell&rsquo;asfalto cambiano continuamente. Un pilota privato pu&ograve; disputare una gara sicura, ma un ufficiale se prende il via lo fa per correre, non per andare a spasso&rdquo;.  Fabrizio Pirovano, l&#39;uomo che regal&ograve; il titolo Supersport alla Suzuki 

Il bolognese ottenne l&rsquo;unico successo nella top class in un GP passato alla storia. Dopo l&rsquo;arrivo della pioggia, Chili fu il solo pilota ufficiale a ripartire: &quot;Per tutta la gara pensai alle possibili ritorsioni dei colleghi&quot;

Misano 1989: il boicottaggio e la vittoria di Chili

Pierfrancesco Chili     &ldquo;La gente ricorda il nostro feroce duello di Assen, concluso con un litigio, ma poi io e Carl abbiamo fatto pace. Tutt&rsquo;ora ci sentiamo e ricordiamo le grandi sfide condivise in pista. Quel paddock era diverso dall&rsquo;attuale, ognuno di noi era pi&ugrave; puro e spontaneo, Fogarty non faceva eccezione. Con il tempo ho imparato ad apprezzarlo e la cosa &egrave; stata reciproca, infatti quando mi reco in Inghilterra lui mi ospita a casa sua&rdquo;.  Carl Fogarty: &ldquo;La Petronas fu un&#39;esperienza frustrante&rdquo;  Jonathan Rea     &ldquo;Carl &egrave; stato un eroe nel Regno Unito, in un periodo in cui la Superbike era su tutte le TV nazionali. Era amato da tanti, ma odiato da parecchi, perch&eacute; aveva grande carattere. Io provo un grande senso di rispetto per lui: mio padre ha corso contro Foggy al Tourist Trophy sull&rsquo;Isola di Man. Li ho visti parlare e mi sono sentito elettrizzato. Tutt&rsquo;ora mi sento con Carl, &egrave; una persona divertente. Grazie a lui la SBK ha acquisito popolarit&agrave;, specialmente nel nord Europa&rdquo;.  Chaz Davies     &ldquo;Sono cresciuto ammirando Carl in TV, le sue imprese erano incredibili. Nel Regno Unito Foggy era un idolo, ritenuto forte e &lsquo;cattivo&rsquo; nella guida. Ripensando alle sue numerose vittorie, mi sembra evidente come la caratteristica principale del campione fosse la determinazione. Nessuno era caparbio quanto lui, un esempio da seguire e imitare&rdquo;.  Simon Crafar     &ldquo;Con Carl ci si divertiva, perch&eacute; sapevi che in pista lui non recitava n&eacute; faceva calcoli. Ne ho affrontati tanti di rivali, lui era quello in grado di ottenere risultati apparentemente inarrivabili. Fogarty era dannatamente veloce, soprattutto cocciuto. Per lui contava soltanto il primo posto e, per conquistarlo, ci metteva del suo. La Ducati era super competitiva ma, se guardiamo le classifiche, la sua era quella che finiva pi&ugrave; spesso in alto negli ordini d&rsquo;arrivo&rdquo;.  Virginio Ferrari     &ldquo;Carl era tutto: il pi&ugrave; pauroso e il pi&ugrave; coraggioso, il pi&ugrave; divo e antidivo, allo stesso tempo. In sella era una bestia, ma va precisato come in quegli anni la Ducati fosse una grande moto. Assieme abbiamo lavorato bene, centellinando ogni modifica. La 916 era sensibile alle regolazioni, ci vollero tante prove per trovare il giusto assetto, e due titoli vinti di fila nel 1994 e 1995 dimostrarono la bont&agrave; del nostro pacchetto&rdquo;.  Scott Russell     &ldquo;Ho odiato e al tempo stesso amato Carl. Odiato perch&eacute; era veloce e aggressivo. Amato, per la sua voglia di spingersi oltre. Perch&eacute; quel suo pregio ha aiutato pure me, Fogarty mi ha reso sempre pronto a dare di pi&ugrave;. Ci siamo &lsquo;beccati&rsquo; pi&ugrave; volte in pista, poi abbiamo condiviso bei momenti nel paddock. L&rsquo;unica sua pecca? Aveva una Ducati super veloce. Con la Honda fatic&ograve; di pi&ugrave;, ma con la Rossa era davvero tutt&rsquo;uno&rdquo;.  Aaron Slight     &ldquo;Quando Carl arriv&ograve; al mio fianco alla Honda, sapevo che avrei avuto una gatta in pi&ugrave; da pelare. E cos&igrave; fu. Per&ograve;, con Foggy in squadra, mi resi conto di quanto fosse cresciuto in competitivit&agrave; il nostro Team Castrol. Fogarty era veloce, lo abbiamo visto tutti, ma era anche dotato di grande carisma. Ricordo una Brands Hatch completamente colorata dalle bandiere inglesi. Ancora non so come io e gli altri suoi rivali ne uscimmo indenni&rdquo;.  James Whitham     &ldquo;Carl e io eravamo avversari ma amici. Ricordo le tante occasioni in cui, prima di una partenza, lui veniva da me a confrontarsi. Addirittura, Foggy mi chiedeva consigli. Lui era molto forte e competitivo, le sue marce in pi&ugrave; erano la Ducati, con cui ha vinto tantissimo, e sua moglie Michaela. Quando nessuno riusciva a calmarlo, ci pensava lei. E i risultati arrivavano puntuali&rdquo;.  Carl Fogarty, il Campione allergico alla sconfitta  James Toseland     &ldquo;Foggy proveniva dal nord dell&rsquo;Inghilterra, un posto di grande tradizione motociclistica. Sappiamo quanto Carl abbia vinto in pista e i complimenti ricevuti sono pi&ugrave; che meritati. Io, invece, ho una visione differente: le sue vere imprese sono state sull&rsquo;Isola di Man. Al Tourist Trophy lui faceva paura e non aveva paura. Quelle gare, accessibili a tutti, non sono in realt&agrave; per tutti. Lui ha vinto in strada e tra i cordoli, trovate un altro pilota cos&igrave;!&rdquo;.  SBK, Carl Fogarty: &ldquo;Ducati mi faceva sentire il numero uno&rdquo; 

L&#39;icona della Superbike raccontata da alcuni suoi avversari dell&#39;epoca e dai piloti di oggi che rivedono in Carl una figura a cui ispirarsi

SBK, Carl Fogarty: cosa dicono di lui gli altri piloti

        That particular Spanish GP is a hard one to forget, especially for those who played a starring role. It was Sunday 10 May, and at Jerez de la Frontera, 37 riders from four different two-stroke manufacturers lined up for the 250 race. Good times. Not so good for Pierfrancesco Chili though, who was competing for team Valesi. With the unmistakeable number 7 Aprilia, the Italian got away well from the front row, having qualified fourth. It promised to be a great race. And it almost was. The then 28-year old battled against rival Loris Reggiani, flaunting an inimitable riding style that was making the difference, particularly through the fast turns. But things then took a turn for the worse. Second place thrown away   The race ran over 24 laps. Pierfrancesco had managed to break away from the chasing group, which included Reggiani. Convinced that the win was his, Chili slowed as he approached the finish line. The theoretical finish line that is. Unfortunately for the Italian, there was a still 4218 metres, or rather one full lap, to go. Pleased with what he believed to be a second-place finish, Chili started to celebrate, only to see other bikes passing his Aprilia at full speed. "What&rsquo;s going on?" Realising that the battle wasn&rsquo;t yet over, Frankie got back on the gas and made a final lap of the Jerez track. He did well to finish sixth, but he could have done so much more. The win ultimately went to Reggiani, followed by Bradl and Shimuzu, then Cadalora and Cardus. Frankie burst into tears once off the bike. Piefrancesco, a firm favourite   And so it was that Pierfrancesco stopped, celebrated (in vain), realised his error and then finished the race. His final result was solid, but not a podium finish, every rider&rsquo;s goal. He cried over what happened. But then smiled too, he himself joking about the episode at a later date. This, combined with his talent and particular ability to communicate joy and pain, is what attracted the public. In both the world championship and SBK, Frankie would bring a significant crowd and would ensure they had fun, with his track antics, his look, his relationship with his rivals. Yes, Piefrancesco Chili was one of the sincerest figures in the paddock. And his Jerez tears would soon give way to smiles thanks to wins at Hockenheim, Assen and Donington. Translated by Heather Watson Hockenheim 1994, Biaggi to Romboni: &ldquo;It's racing, not classical music&rdquo;       

In the 1992 250 GP, the number 7 rider was convinced he&rsquo;d finished in second place, but he actually still had a lap to go. Having realised his mistake, Chili crossed the line sixth

Frankie Chili’s (futile) celebrations and his tears after the race

Quel Gran Premio di Spagna &egrave; difficile da dimenticare, specialmente per chi lo ha vissuto da protagonista. Era domenica 10 maggio. A Jerez de la Frontera, la classe 250 presentava ben 37 piloti in griglia, distribuiti in quattro Marche per motorizzazioni a due tempi. Bei tempi.  Episodio triste, invece, per Pierfrancesco Chili, schierato dal team Valesi. Con l&#39;inconfondibile Aprilia numero 7, il bolognese scattava dalla prima fila grazie ad un quarto crono ottenuto in qualifica. La premessa per una gara di livello, infatti, and&ograve; proprio cos&igrave;.  O meglio, non del tutto cos&igrave;. Tra un sorpasso e l&#39;altro, l&#39;allora ventottenne di Castenaso ha poi combattuto con il rivale Loris Reggiani, esibendo uno stile di guida, specialmente nei veloci curvoni andalusi, inimitabile ed efficace, che stava determinando la differenza finale. Qualcosa, per&ograve;, and&ograve; storto.  &nbsp;Secondo gradino del podio buttato     I passaggi previsti per la duemmezzo erano 24. Pierfrancesco, gi&agrave; da qualche giro, fu in grado farsi largo nella bagarre di gruppo in cui c&#39;era, appunto, anche Reggiani. Il fattaccio si stava materializzando. Convinto di avercela ormai fatta, Chili rallent&ograve; in prossimit&agrave; della linea a quadri bianco e neri.  Il teorico traguardo, ovvero. Peccato che, per&ograve;, mancavano all&#39;appello ancora 4218 metri di quello che oggi si chiama Angel Nieto. Cio&egrave;, un giro di pista. L&#39;italiano, fermo e convinto di aver vinto conquistato un bel secondo posto, part&igrave; in esultanza, ma... altre moto sfiorarono la sua Aprilia a grande velocit&agrave;.  &quot;Che sta succedendo?&quot; Accortosi che le ostilit&agrave; non fossero concluse, Frankie diede gas, compiendo un ulteriore giro di Jerez. Non male la sua sesta posizione, ma avrebbe potuto essere migliore, decisamente migliore. In una volata furibonda, il Gran Premio sanc&igrave; il successo di Reggiani, podio per Bradl e Shimuzu, poi Cadalora e Cardus. Frankie, appena dopo, esplose in lacrime di sconforto.  &nbsp;Piefrancesco, uno dei pi&ugrave; amati di sempre     Come descritto, Pierfrancesco si era fermato, aveva festeggiato - vanamente - si &egrave; accorto dell&#39;errore e poi ha ripreso. Tutto sommato, finendo pure in un buon piazzamento finale. Tuttavia, sesto non &egrave; podio, cio&egrave;, una delle massime ambizioni per chi partecipa.  Finire comunque la gara non gli tolse le lacrime. Ma nemmeno il sorriso. Tempo dopo, lui stesso ci scherz&ograve; sopra, ironicamente. Questa caratteristica, unita alle dosi di talento ed all&#39;estrema capcit&agrave; di comunicare gioie e dolori, attirava il pubblico motociclista.  Sia nel Motomondiale che in SBK, Frankie portava in pista un numero di appassionati notevole e li faceva divertire, nelle azioni a bordo della motocicletta, nel look proposto, nel rapporto con rivali e colleghi. S&igrave;, Piefrancesco Chili &egrave; stato uno dei personaggi pi&ugrave; veraci del paddock. Le lacrime di Jerez lasciarono spazio ai sorrisi di Hockenheim, Assen e Donington. Jerez fu cancellata a suon di vittorie.  Nel Gran Premio MotoGP di Losail, Yamaha riuscir&agrave; a contrastare Ducati?&nbsp; 

Nel Gran Premio 250 di Jerez 1992 il numero 7 era convinto di aver concluso al secondo posto, invece, mancava un giro alla bandiera a scacchi. Accortosi dell&#39;errore, la sesta posizione ed il pianto finale

La (vana) esultanza di Frankie Chili e le lacrime dopo il traguardo

Si &egrave; spenta una fiamma che ha saputo riscaldare il mondo del business e quello delle moto. Si tratta di una perdita umana e di risorse. Perch&eacute; Andrea Merloni era un appassionato imprenditore, che sapeva legare affari e sport. Vincendo.  Trovato senza vita nel suo appartamento milanese, ci lascia a soli 53 anni di et&agrave;. La sua carriera imprenditoriale &egrave; nota a tutti, con il ruolo di conduttore del gruppo Indesit Company ma, ancor prima, il figlio di Vittorio era capo del marchio Benelli, che ha guidato dal 1996 al 2004.  Quando si parlava di tecnologia, Andrea palesava una competenza, ereditata da una famiglia di innovatori. Il suo elettrodomestico preferito si chiamava motocicletta, preferibilmente da corsa. La propria carriera agonistica in sella non fu folgorante, decisamente meglio quella da manager. Chi ha lavorato e corso con lui, ne porta ricordi indelebili.    Il team Gattolone con Chili: come battere gli ufficiali da privati   Dopo una esperienza con Pileri nelle vesti di stagista sulle moto di Capirossi e Gresini, Merloni fond&ograve; il team Gattolone, un nome che inizialmente fece sorridere, poi piangere gli avversari. Dapprima impegnato in Supersport coi piloti Gianmaria Liverani e Giuliano Rovelli, ecco il ricordo di quest&rsquo;ultimo, a sua volta fondatore del team ParkinGO: &ldquo;Andrea era un appassionato esagerato. Prov&ograve; una moto a Misano, cadde, ma poi si rialz&ograve;. Decise di non correre, ma seguire i suoi alfieri dal garage. Mi piaceva lavorare con lui, perch&eacute; sapeva trasmettere il 120% che metteva col suo impegno. Ci siamo rivisti qualche anno fa a Dubai, abbiamo bevuto qualcosa insieme... se ci penso, un po&rsquo; lui era come me: credeva in ci&ograve; che faceva, mettendoci testa e cuore&rdquo;.    Dalla 600, il salto in Superbike. La Honda RC45 rombava nel box con Liverani, pi&ugrave; tardi arrivarono due iene: la 916 e Pierfrancesco Chili. Con Frankie, i successi mondiali, a dispetto di avversari super ufficiali. La foto di copertina immortala il numero 7 vincente a Monza nel giugno 1995, quando il bolognese annichil&igrave; Fogarty e Slight. Insieme, Merloni e Chili ottennero podi ed affermazioni e, in seno alla squadra, cresceva bene anche Matteo Flamigni, attuale telemetrista di Valentino Rossi.   &nbsp;Il cuore oltre l&rsquo;ostacolo: la sfida Benelli ai colossi SBK   Peter Goddard, oltre ad essere un bravo pilota, ne capiva assai di tecnica. Laureato in ingegneria, l&rsquo;australiano rimase a bocca aperta, vedendo il progetto Benelli Tornado 900, in pratica, Davide contro Golia, se parliamo del piccolo reparto corse che sfidava i colossi HRC, Ducati, Kawasaki, Suzuki, Aprilia.&nbsp;    La moto, oltre ad essere bella, risultava rivoluzionaria. Tante le soluzioni avveniristiche, per un sound tre cilindri puramente italiano, passionale. Una gommatura Dunlop non propriamente al top e un po&rsquo; di sfortuna ne limitarono soddisfazioni iridate, ma qualsiasi appassionato SBK vorrebbe rivedere in griglia idee cos&igrave; ardite, pure, originali. Cio&egrave;, firmate Andrea Merloni.  Jorge Lorenzo non ne vuole pi&ugrave; sapere di fare il collaudatore: piuttosto, il ritiro 

Ritrovato senza vita nella sua casa di Milano, aveva solo 53 anni. Tutti lo ricordano come un passionale, che ha regalato momenti unici alle persone che hanno lavorato con lui: da Giuliano Rovelli a Pierfrancesco Chili

SBK, ci lascia Andrea Merloni, icona italiana nell&#39;industria e nelle corse

Dal team Gattolone con Honda, sino alla 916 e Pierfrancesco Chili. La sfida Benelli e gli amici del paddock. Ecco alcuni scatti simbolo

I momenti più significativi di Andrea Merloni in SBK - FOTO

Dalla prima vittoria a Monza, con la Ducati 916 del team Gattolone, agli ultimi anni tra le derivate di serie, Pierfrancesco Chili ci ha parlato dei dodici anni di carriera che lo hanno reso uno dei piloti pi&ugrave; rappresentativi del Mondiale Superbike. E da dove poteva partire il racconto se non proprio dalla stagione 1995 e il&nbsp;primo trionfo iridato, conquistato sul circuito brianzolo?  &quot;Ho avuto un po&#39; fortuna - dice il bolognese - avevo una moto che andava molto bene, preparata da Piero Gianesin. Anche se il motore non aveva tutti i cavalli che avevano gli ufficiali, lui curava molto bene gli scorrimenti del cambio, degli alberi, e quindi la moto scorreva. Meno potente, ma fluida&quot;.  Una moto privata, che aveva poco da invidiare alle Ducati ufficiali, allora perch&egrave; &#39;Frankie&#39; parla di una vittoria fortunata?&nbsp;&quot;A Monza abbiamo avuto un problema sia io che Fogarty nel corso del penultimo e ultimo giro - spiega Chili -. Io l&#39;ho avuto al penultimo, lui all&#39;ultimo. Un piccolo vuoto di motore fuori dall&#39;Ascari e quindi ne ho approfittato, l&#39;ho passato e sono andato a vincere&quot;.  Un successo che &egrave; stato solo il primo contatto della sua storia d&#39;amore con Monza, dove il pilota di Bologna si &egrave; reso&nbsp;protagonista di gare indimenticabili. Guardate il video per il racconto completo!    Duelli Sprint: Assen 1998, Fogarty vs Chili 

Il mitico &quot;Frankie&quot;, ricorda i suoi anni in SBK con il Direttore Federico Porrozzi, Giovanni Di Pillo e il fotografo di GPAgency, Fabrizio Porrozzi

Scatto Sprint, Chili:&nbsp;&ldquo;Il pubblico mi dava la carica&rdquo; - VIDEO

Uno dei sondaggi da voi pi&ugrave; seguiti riguardava la questione annosa e delicata, inerente alla stagione SBK 1998. Chi dei quattro pretendenti al titolo - secondo voi - avrebbe meritato di vincerlo?  In lizza sino ad Assen, teatro del round - rissa tra Fogarty e Chili, c&#39;erano proprio Carl, Pierfrancesco, Troy Corser e Aaron Slight. Dopo aver lasciato l&#39;Olanda, la cima della classifica era comandata dall&#39;australiano Corser, che si fece male nel warm up di Sugo.  Sappiamo come &egrave; andata: con Frankie fuori dai giochi matematici, rimanevano in lotta Foggy e Slight, neozelandese Honda. L&#39;inglese tenne alta la testa, rimanendo tra i migliori, Aaron spar&igrave; dai radar. Alla fine &quot;The King&quot; trionf&ograve; portando a Ducati il terzo di quattro mondiali vinti.  Voi, lettori attenti, avreste per&ograve; preferito vedere Chili al successo. Il 48% delle votazioni hanno dato l&#39;italiano in testa al sondaggio, dimostrando come il numero 7 fosse amato e lo sia ancora. Non ha vinto lui in pista, vince nel cuore dei tifosi, con un titolo basato su preferenze passionali.  Fogarty, invece, ne esce con un secondo posto. Il 35% delle preferenze voleva Carl vincitore - come realmente lo &egrave; stato - non sufficiente per&ograve; per tenere testa a Chili. Forse le manovre e le parole di Assen - dure entrambe - hanno inficiato i voti finali, di fatto chi ama i piloti duri e crudi trovano nell&#39;inglese ci&ograve; che cercano.  Aaron Slight, bravo ragazzo dallo stile mohicano, &egrave; terzo con il 12% dei voti. Forse perch&eacute; lui guidava una Honda e non una Ducati, ma il neozelandese era forte, regolare. determinato. Nel 1998 sfior&ograve; l&#39;alloro finale, perso proprio in Giappone. Nonostante non abbia mai sfoggiato il numero 1, Slight era considerato un vincente.  Ne ha pagato le spese in pista, lo fa pure nel sondaggio. Povero Corser, eppure nel weekend di Sugo era in vantaggio nei confronti dei rivali. La caduta rimediata nel warm up giapponese, ha costretto Troy fermo con acciacchi importanti e l&#39;impossibilit&agrave; di correre per il titolo. Ci&ograve; non &egrave; stato considerato, perch&eacute; l&#39;australiano - lo dicono i voti - avrebbe meritato di ottenere il numero 1 per il solo 5% dei votanti.  Duelli Sprint: Assen 1998, Fogarty vs Chili 

Il 48% dei lettori ha scelto Pierfrancesco Chili, amato italiano piloti Ducati. Frankie &egrave; stato preferito a Carl Fogarty, che quel titolo lo vinse davvero. Seguono Slight e Corser

Chi doveva vincere il mondiale 1998? I risultati del sondaggio

I duelli consumati nelle tante gare della SBK sono infiniti ma, probabilmente, quello tra Fogarty e Chili di Assen 1998 &egrave; ricordato come quello pi&ugrave; feroce. In pista e nel paddock.  L&rsquo;appuntamento stagionale era l&rsquo;undicesimo dei dodici complessivi e, per tutta una serie di ragioni, cruciale. In ballo c&rsquo;erano contratti in scadenza e il numero 1 finale.  Al Van Drenthe si presentarono ben quattro piloti in lizza per il titolo: Aaron Slight. Troy Corser, gli stessi Foggy e Frankie, in una battaglia tra la Honda Castrol, le Ducati del team di Virginio Ferrari e quella del britannico, schierata dalla formazione capitanata da Tardozzi.  Era settembre, la (pi&ugrave; lunga rispetto ad ora) pista olandese mostrava un colpo d&rsquo;occhio mozzafiato: oltre ai tantissimi motociclisti nordici - giunti anche dai Paesi confinanti - diversi barconi portarono dall&rsquo;Inghilterra al circuito migliaia di sostenitori del gi&agrave; due volte iridato, The King, che aveva fame di terzo successo e poteva contare della spinta offerta dai connazionali, simili nel look e nei costumi ai tifosi del calcio.  Chili - Fogarty, uno a zero   &nbsp;La tensione era palpabile gi&agrave; dal venerd&igrave; e sabato saliva progressivamente: l&rsquo;autore della Superpole fu Chili, che regol&ograve; Peter Goddard con la Suzuki, Corser e Neil Hodgson in sella alla Kawasaki. Fogarty apriva la seconda fila, costituita pure da James Whitham con la GSX-R, Colin Edwards e la RC45 a precedere il compagno di box Slight.  In 16 tiratissimi passaggi di Gara 1, la spunt&ograve; Chili autore oltretutto del giro veloce. Chi fu il primo rivale illustre battuto? Nientemeno che Fogarty, per soli 158 millesimi. Mentre l&rsquo;italiano festeggiava e nutriva speranze mondiali, l&rsquo;inglese bramava sete di vendetta, servita poco dopo.  Fogarty - Chili,&nbsp;pareggio/vendetta di Carl  La seconda manche fu caratterizzata da un cielo sempre pi&ugrave; grigio, ma non c&rsquo;era vento e non si muoveva una foglia. La folla, invece, si agit&ograve; e pure parecchio. Specialmente nelle tornate conclusive, tre, per la precisione.   Si tratt&ograve; di una questione prettamente personale tra - ancora - Fogarty e Chili. La rivalit&agrave; tra le due squadre &ldquo;cugine&rdquo; che difendevano i colori di Borgo Panigale e la posta grande in gioco - che sarebbe stata assegnata a Sugo un mese pi&ugrave; tardi - fecero salire alle stelle i toni del confronto tra Carl e Pierfrancesco, che seminarono gli avversari e si ritrovarono in un &ldquo;faccia a faccia&rdquo; degno di un duello western.  Il primo a sparare fu l&rsquo;inglese, con manovre ritenute da Frankie oltre il limite. L&rsquo;italiano era pi&ugrave; veloce e scorrevole nei curvoni e nella parte guidata, ma Foggy frenava duro, davvero duro, cambiando spesso traiettoria a moto ravvicinate.  L&rsquo;epilogo &egrave; riproposto tutt&rsquo;oggi da centinaia di siti e video internet: mentre il resto dell&rsquo;allegra compagnia era da un pezzo salutata, le 916 numero 2 e 7 volavano verso il traguardo, incrociando le rispettive linee ripetutamente, spesso ad oltre 200 orari e passa. Dopo una piega sinistrorsa, l&rsquo;approccio in sincro alla chicane che immette nel rettilineo d&rsquo;arrivo e qui apriamo una parentesi a parte.  La cronaca narra di un Fogarty all&rsquo;interno e Chili all&rsquo;esterno, entrambi a freni Brembo pinzati e gomme Michelin al limite. Quelle di Carl, addirittura bloccate, da una staccata definibile &ldquo;inchiodata&rdquo;. Pierfrancesco, un po&rsquo; tradito dalla foga, un po&rsquo; dalla traiettoria &ldquo;sporca&rdquo;, perse l&rsquo;avantreno e fin&igrave; nella ghiaia, lasciando il successo al rivale che, di l&igrave; a poco, si trasform&ograve; in un nemico. O che gi&agrave; lo era.  Frankie, infatti, and&ograve; a cercare Foggy, in primis per dirgliene quattro e qualcosina in pi&ugrave;. Ma non lo raggiunse: The King stava esultando &ldquo;protetto&rdquo; in sella, e il bolognese &ldquo;tenuto a bada&rdquo;.     Anche nel paddock, si sfior&ograve; la rissa. Alcune fonti dicono di un fendente (destro) sferrato, altri - i presenti e vicini ai due - negano. La cosa certa &egrave; che Chili manifest&ograve; il proprio dissenso: &ldquo;Fogarty ha giocato sporco con me, ho rischiato di uscire di pista in sesta marcia, mi ha fatto arrabbiare, perch&eacute; ha ripetuto la manovra. Chieder&ograve; al mio team manager di chiedere una squalifica per lui. Sono arrabbiato, questo episodio mi sta facendo perdere il mondiale&rdquo;.  Il vincitore, dal canto suo, ne usc&igrave; soddisfatto: &ldquo;Ho desiderato tanto questa vittoria. Non riuscivo a vedere niente, avevo la visiera piena di moscerini. Ad un certo punto, sono riuscito a superare Chili, non so di cosa lui stia piangendo, ho fatto tutto in maniera regolare. Il suo errore sono cavoli suoi&quot;.  I cavoli, invece, erano anche per Slight e Corser. Il neozelandese e l&#39;australiano salirono sul podio, ma il peggio per loro doveva ancora arrivare. E giunse in Giappone, un mese pi&ugrave; tardi. Fogarty campione e loro a testa bassa.&nbsp;  VOTA IL SONDAGGIO: Chi doveva vincere il Mondiale SBK del 1998? 

La battaglia tra le Ducati di Carl e Pierfrancesco si concluse all&#39;ultimo giro, con l&#39;italiano nella ghiaia e l&#39;inglese primo al traguardo. A motori spenti, si sfior&ograve; la rissa

13 risultati per 'Pierfrancesco Chili'