        Adam Cianciarulo appender&agrave; il casco al chiodo. Il ventisettenne della Florida avrebbe dovuto essere la grande speranza Kawasaki, ansiosa di trovare l&rsquo;erede di Ryan Villopoto, ma salvo squilli impronosticabili chiuder&agrave; la carriera senza nemmeno un successo nella classe regina del Supercross. Uno &ldquo;zero&rdquo; per certi versi incredibile poich&eacute; al debutto nella serie Indoor, il 15 febbraio 2014, si mise tutti dietro. &nbsp;Quel giorno a Dallas, nel primo round della 250 Costa Est, Cianciarulo realizz&ograve; il secondo tempo nelle qualifiche, dietro al compagno di squadra Martin Davalos. Cinque ore dopo si aggiudic&ograve; la prima batteria con mezzo secondo su Blake Baggett e in serata vinse la finale con cinque secondi su Baggett, al culmine di una cavalcata contrassegnata da tredici giri di fila al comando. Non contento, Adam giunse secondo la settimana dopo ad Atlanta, vinse a Indianapolis, fu nuovamente argento a Daytona e conquist&ograve; pure Detroit. Superata la boa di met&agrave; stagione, guidava la classifica con 17 lunghezze di margine su Davalos e 20 su Baggett. La parabola di Cianciarulo  Ma il 22 marzo a Toronto, al terzo giro della finale la spalla sinistra usc&igrave; dalla sua sede, costringendolo a fermarsi. Dopo l&rsquo;intervento di un paramedico che gliela rimise a posto, Adam torn&ograve; in sella ma, dopo una manciata di curve a velocit&agrave; ridotta, prese la via degli spogliatoi e rest&ograve; a guardare il resto della stagione, concludendo il campionato in quinta posizione. Un antipasto dell&rsquo;infinita serie di infortuni che ne ha condizionato la carriera da professionista, peraltro avviata in ritardo: l&rsquo;estate precedente era stato costretto a posticipare l&rsquo;esordio nel National di un mese per colpa della salmonella. Tornando invece al 2014, il 26 marzo entr&ograve; in sala operatoria: &ldquo;Questa battuta d&rsquo;arresto &egrave; deludente. Le persone intorno a me e io stesso pensiamo che questa sia la decisione migliore per sistemare la spalla una volta per tutte. Torner&ograve; pi&ugrave; forte&rdquo; dichiar&ograve; l&rsquo;allora diciassettenne. Ai tempi si credeva che il decorso sarebbe durato dai tre ai quattro mesi, tuttavia Adam riusc&igrave; a rimettersi in forma soltanto in autunno, dopo aver saltato pure l&rsquo;intero National. In vista dell&rsquo;avvio del Supercross 2015 sbarc&ograve; in Europa per gareggiare al Supercross di Ginevra. In Svizzera, al termine della prima sezione ritmica della pista, fin&igrave; per&ograve; contro un muro, procurandosi un&rsquo;ulteriore lussazione alla medesima spalla. Rest&ograve; inattivo per altri cinque mesi, perdendo l&rsquo;intera stagione Indoor. Fece in tempo a disputare sei round del National prima di procurarsi uno strappo parziale alla spalla destra in allenamento a RedBud. Ancora una volta salt&ograve; l&rsquo;intera annata del Supercross, in cui fece ritorno nel 2017: per tre annate di fila fu vice campione della 250, prima nella Costa Est poi nella Ovest, perse il primo titolo per due punti, il secondo per tre e l&rsquo;ultimo per 15. Finalmente diede un calcio alla sfortuna nell&rsquo;estate 2019, vincendo il National. Salito in 450, si prese subito la Monster Energy Cup con due secondi posti e un successo nelle tre manche che gli fruttarono anche centomila dollari. Due mesi e mezzo dopo fu secondo al debutto nella classe regina del Supercross, ad Anaheim. Un risultato bissato a San Diego, preceduto di 2,7 secondi da Cooper Webb. Pareva l&rsquo;inizio di una nuova era, invece rappresentano i picchi della sua carriera Indoor che l&rsquo;ha visto salire sul podio per l&rsquo;ultima volta a Denver, undici mesi fa, approfittando degli infortuni di molti big. Aggettivo che a conti fatti non si sposa con il nome di Cianciarulo, bersagliato dalla cattiva sorte. La nuova vita di Ben Spies | Quella (S)Volta Che       

Un grande talento frenato da una miriade di infortuni: a suo modo, un simbolo di questa era del Motocross statunitense

Il sogno infranto di Adam Cianciarulo | Quella (S)Volta Che

        Dopo la Formula 1, gli statunitensi si stanno innamorando delle moto, trascinati da Dan Rossomondo, Chief Commercial Officer di Dorna dall&rsquo;aprile 2023. Prima ancora dell&rsquo;approdo in MotoGP di Trackhouse Racing come team satellite Aprilia, Graham Rahal aveva annunciato la costituzione del Team Rahal Ducati Moto, per gareggiare nella Supersport del MotoAmerica. Rahal Ducati &egrave; la concessionaria autorizzata Ducati con sedi a Brownsburg (Indiana) e Cleveland (Ohio). Pi&ugrave; gare, pi&ugrave; pubblico: i numeri della MotoGP 2023 | Quella (S)Volta Che Il nuovo compito di Ben Spies  Bobby Rahal ha conquistato tre campionati CART, serie in cui ha ottenuto 24 successi, inclusa la 500 Miglia di Indianapolis del 1986. Nel 1991 ha fondato il Team Rahal/Hogan Racing che per sei anni ha preso il nome di Rahal Letterman, grazie all&rsquo;associazione con il conduttore TV David Letterman. Meno talentuoso, il figlio Graham vanta come successo pi&ugrave; prestigioso la 24 Ore di Daytona del 2011, mentre in IndyCar ha totalizzato sei successi in 261 gare. Graham ha spiegato che &ldquo;La Ducati &egrave; sempre stata una grande passione. Quando ero piccolo, pap&agrave; aveva sempre l&rsquo;ultima e la pi&ugrave; grande Ducati: 996, 998 e cos&igrave; via. Era radicata nella mia testa la bellezza della Ducati: come suonava, come appariva... Ed erano sempre gialle&rdquo;. Per gestire il tutto si affidano a Ben Spies, iridato Superbike nel 2009, vincitore di un GP in MotoGP e cinque volte campione AMA, mentre per i piloti la scelta &egrave; ricaduta sul trentenne PJ Jacobsen, sul ventinovenne Corey Alexander e sulla sedicenne Kayla Yaakov di cui avevo gi&agrave; scritto nel luglio 2022. &ldquo;Siamo entusiasti della formazione di piloti che ci siamo assicurati per la nostra stagione inaugurale nel MotoAmerica &ndash; il commento di Graham &ndash; PJ ha mostrato un talento incredibile in Supersport e Superbike. Kayla &egrave; giovane e talentuosa. Avr&agrave; sia PJ che Ben a cui rivolgersi per l&rsquo;esperienza e la guida mentre crescer&agrave;&rdquo;. Ben Spies, ecco quali piloti gestir&agrave;  Jacobsen fu vice iridato Supersport nel 2015, preceduto soltanto da Kenan Sofuoglu. Tre anni dopo chiuse secondo alla 8 Ore di Suzuka con Takumi Takahashi e Takaaki Nakagami sulla Honda CBR 1000RR SP2 dietro la squadra ufficiale Yamaha. L&rsquo;anno scorso, invece, Jacobsen ha corso nella SBK del MotoAmerica con la BMW, conquistando il bronzo con 270 punti, a due lunghezze dalla Ducati di John Herrin. &ldquo;Avere di nuovo Ben Spies sar&agrave; fantastico per l&rsquo;aiuto con la guida, la meccanica e la strategia. Quando ho sentito che i Rahal arrivavano nel paddock i miei occhi si sono illuminati perch&eacute; gestiscono un team automobilistico cos&igrave; professionale: faranno lo stesso per le moto. &Egrave; fantastico per il nostro sport avere persone come queste coinvolte&rdquo;. Kayla sta bruciando le tappe ma d&rsquo;altronde sal&igrave; in moto gi&agrave; a quattro anni. Nel 2022 si &egrave; aggiudicata al Ridge Motorsports Park Gara 2 della Junior Cup. Nel resto della stagione la Yaakov ha ottenuto altri tre successi e chiuso il campionato in terza posizione, con 277 punti, otto in meno del campione. L&rsquo;anno scorso ha gareggiato nella Twins Cup, ottenendo un secondo e un terzo posto, nel finale di stagione ha esordito in Supersport e alla sua terza gara, nel New Jersey, ha agguantato un terzo posto con la Kawasaki di Tytlers Cycle Racing. A met&agrave; febbraio il trio di Rahal &egrave; sceso in pista per una tre giorni al Jennings GP in Florida, con Jacobsen autore del miglior tempo con due decimi sulla Yaakov e otto su Alexander, settimo nell&rsquo;ultima annata Superbike USA con due podi. Soddisfatto Spies: &ldquo;Sono contento dell&rsquo;andamento dei test, tutti hanno lavorato bene, abbiamo buoni set up di base per Daytona&rdquo;. Hiroshi Hasegawa, l'uomo del Monte | Quella (S)Volta Che       

Nel MotoAmerica, l&rsquo;ex iridato Superbike si occuper&agrave; del nuovo team della famiglia Rahal, dinastia delle quattro ruote che allarga i propri orizzonti

La nuova vita di Ben Spies | Quella (S)Volta Che

        La grande novit&agrave; del 2023 &egrave; stata l&rsquo;introduzione della Sprint, che abbiamo analizzato due numeri fa a livello &ldquo;sportivo&rdquo;. A livello statistico, per quanto riguarda le presenze negli autodromi il risultato pu&ograve; dirsi estremamente positivo: l&rsquo;anno scorso i GP hanno totalizzato 2.857.925 spettatori, con un aumento di oltre mezzo milione rispetto ai 2.352.028 del 2022 (in entrambi i casi manca il dato del GP Americhe, poich&eacute; nelle ultime tre edizioni non sono stati resi pubblici dagli organizzatori locali). Hiroshi Hasegawa, l'uomo del Monte | Quella (S)Volta Che MotoGP in numeri: il pubblico  Dal 2013 al 2019, quando furono comunicati i valori del GP texano, aveva sempre oscillato tra 118.826 e 131.881 spettatori. Aggiungendo un valore compreso in questo intervallo al dato stagionale, il Mondiale 2023 ha sfiorato i tre milioni di spettatori in pista. In media siamo nell&rsquo;ordine delle 150mila presenze complessive sui tre giorni per ciascun round. Un valore decisamente buono se rapportato ai dati dell&rsquo;era MotoGP. Nel 2009, anno dell&rsquo;ultimo titolo di Valentino Rossi, gli spettatori totali furono 2.152.874 (importo che non includeva Donington Park). Per le annate da 18 GP il massimo fu raggiunto nel 2015, l&rsquo;anno del duello intestino in Yamaha tra il pesarese e Jorge Lorenzo, con Marc Marquez terzo incomodo: 2.717.314 spettatori totali, poco meno di 151mila per singolo round, grazie anche ai 217mila della finalissima di Valencia. Ancora di pi&ugrave;, nello stesso impianto, furono nel 2006, quando Valentino si gioc&ograve; il titolo con Nicky Hayden al round conclusivo: 232.399 quell&rsquo;anno, ma nel 2007, con Casey Stoner gi&agrave; aritmeticamente campione, l&rsquo;affluenza fu anche pi&ugrave; massiccia: 237.149. Nel 2023 Valencia ha radunato 195.889 fans, in apparenza non tantissimi, eppure dal 2017 non si ergeva cos&igrave; in alto. Buona parte dell&rsquo;incremento stagionale &egrave; dovuto proprio all&rsquo;introduzione della Sprint: a Valencia, sabato 25 novembre c&rsquo;erano 85.811 spettatori, contro i 61.840 dello stesso giorno del 2022 e ai 56.136 del 2021. Nell&rsquo;ultimo decennio il picco del sabato al Ricardo Tormo erano stati i 77.786 spettatori del 2013 mentre per trovare valori analoghi al 2023 bisogna tornare al 2007 quando furono 85.542. Non &egrave; stato peraltro il sabato pi&ugrave; affollato del 2023: al Sachsenring nel giorno di vigilia del GP erano in 86.518, a Le Mans in 88.319. Tuttavia se per il GP transalpino l&rsquo;aumento in 12 mesi &egrave; stato di oltre 23mila spettatori, in Sassonia gi&agrave; nel 2022 furono 86.202, il che significa che la Sprint al sabato non ha fruttato nuovi adepti tedeschi. MotoGP, pubblico e numeri  In Italia invece la Sprint non ha catturato grandi consensi perch&eacute; per vederla al Mugello sono accorse appena 39.346 persone e a Misano 39.944. In entrambi i casi il giorno dopo il pubblico &egrave; stato quasi il doppio: 77.921 in Toscana, 79.424 al Marco Simoncelli. Ci&ograve; pone i due appuntamenti nostrani all&rsquo;11&deg; e al 12&deg; posto stagionale con complessivi 141.056 spettatori per il GP San Marino e 135.670 per il GP Italia. Eppure si &egrave; registrato un risveglio perch&eacute; nel 2022 il Mugello si ferm&ograve; a 74.078 spettatori e Misano a 101.140, anche a seguito di due sabati deludenti: 19.602 in un caso e 25.300 nell&rsquo;altro. Le tappe italiane non rappresentano il problema per la Dorna che lamenta la presenza in calendario di tre GP lontani dai centomila fans: 55.050 in Qatar, 71.387 in Australia e 76.125 in Giappone. Difficile avvicinare la F1: le monoposto hanno superato i 5,7 milioni di spettatori in entrambe le ultime stagioni, complici i 470mila del GP Gran Bretagna 2023 a Silverstone e i 445mila del GP Australia 2023. Numeri che la MotoGP pu&ograve; soltanto sognare. Calendario MotoGP 2024       

L&rsquo;introduzione della Sprint ha favorito il sensibile aumento degli spettatori in circuito: oltre mezzo milione in pi&ugrave; rispetto alla stagione 2022

Più gare, più pubblico: i numeri della MotoGP | Quella (S)volta Che

        Qualche settimana fa &egrave; venuto a mancare Hiroshi Hasegawa, l&rsquo;unico asiatico ad aver vinto almeno una gara del Mondiale e il GP Macao. Classe 1934, si mise in luce nelle gare del Monte Asama, il vulcano pi&ugrave; attivo dell&rsquo;isola di Honshu, la principale del Giappone, anche se l&rsquo;ultima eruzione risale al 2009. Ai piedi di questo monte, in un circuito immaginario, sono ambientati gli ultimi due episodi del cartone animato &ldquo;Grand Prix e il campionissimo&rdquo;. Takaya Todoroki si cimenta nell&rsquo;edizione inaugurale del GP Giappone di Formula Zero ma, non conoscendo il tracciato, viene sconfitto da Himura, ex motociclista nonch&eacute; amico del padre di Takaya. Costui era un valente pilota di moto che abbandon&ograve; il pargolo dopo che si credeva avesse investito la moglie. Le follie di Robbie Maddison | Quella (S)Volta Che Hiroshi Hasegawa e il Monte Asama  Tornando alla realt&agrave;, nel novembre del 1955 alle pendici del Monte Asama si disput&ograve; la prima gara di durata del Paese del Sol Levante, malgrado le strade non fossero ancora asfaltate. Tra gli 81 partecipanti all&rsquo;Asama Kogen Race, che aveva preso ispirazione dal Tourist Trophy dell&rsquo;Isola di Man, c&rsquo;era anche Soichiro Honda, fondatore dell&rsquo;omonima azienda, che non sfigur&ograve;. Diciannove i marchi di moto presenti, nessuno straniero perch&eacute; l&rsquo;intento della competizione era migliorare tecnologia e prestazioni delle moto prodotte in patria: difatti diversi partecipanti furono squalificati perch&eacute; le loro moto utilizzavano componenti importati dall&rsquo;estero. Il tracciato era lungo 19,2 km ma, malgrado la chiusura delle strade al traffico, non furono resi noti i tempi di percorrenza e le velocit&agrave;, su pressione delle autorit&agrave; che si sarebbero trovate a disagio a non irrogare contravvenzioni per il superamento dei limiti. Le edizioni successive si corsero nel 1957 e 1959, con il nome di Asama Volcano Race, e continuarono negli Anni &lsquo;60 con cadenza biennale, poi la gara fu rimpiazzata dalla 8 Ore Suzuka. Nelle gare ad Asama si mise in luce Hasegawa, anche se il suo nome non compare nelle prime cinque posizioni degli ordini d&rsquo;arrivo delle prime tre edizioni. Hiroshi Hasegawa e i trionfi al GP Macao  Dopo averlo ingaggiato come collaudatore, nel 1963 la Yamaha lo fece esordire nel Mondiale, al TT nella gara della 250. Hasegawa giunse quarto, seppur distanziato di oltre quattro minuti e mezzo dall&rsquo;ultimo gradino del podio. L&rsquo;anno dopo, nel GP Giappone a Suzuka, sempre della quarto di litro fu terzo, ma primo delle Yamaha, a un minuto e 21 secondi da Jim Redman. Sempre in patria, fu quinto nel 1965, a un giro da Mike Hailwood, ma si rifece con gli interessi vincendo a Fisco (Fuji International Speedway Co) nel 1966, con tre secondi di margine su Phil Read che, secondo quanto scrisse Cycle News, al tornantino quasi cadde per non superare l&rsquo;eroe di casa: approfittando dell&rsquo;assenza delle Honda, quel giorno la Casa dei tre diapason monopolizz&ograve; il podio. Per Hasegawa furono gli ultimi punti nel campionato del Mondo ma riusc&igrave; a togliersi altre soddisfazioni conquistando le prime due edizioni del GP Macao: nel 1967 in sella alla RD 56 complet&ograve; per primo i trenta giri precedendo Siu Man To e Thio Soen Braw, mentre l&rsquo;anno successivo pieg&ograve; John Macdonald e ancora Siu Man To. Nel 1969 Hasegawa pass&ograve; alle quattro ruote e, alternandosi al volante con Hiroshi Kazato, su una Porsche 910, vettura del Gruppo 3 con i colori di Taki Racing, sal&igrave; sul gradino pi&ugrave; alto del podio di classe alla gara di durata del Fuji ottenendo l&rsquo;ottavo posto assoluto a 18 giri dal vincitore. L&rsquo;ennesima conferma di una carriera i cui picchi di rendimento ebbero come scenario le montagne.  Gli USA e il peso del passato | Quella (S)Volta Che        

L&rsquo;unico asiatico vincitore sia nel Motomondiale che a Macao, in una carriera che prese slancio con i successi sul vulcano Asama

Hiroshi Hasegawa, l'uomo del monte | Quella (S)Volta Che

        Robbie Maddison ne ha combinata un&rsquo;altra delle sue. Il motociclista e stuntman australiano ha detenuto in pi&ugrave; occasioni il record di salto in moto, fino a un massimo, nel marzo 2008 a Melbourne, di 106,99 metri in sella a una Honda CR500. Per la sua nuova follia si &egrave; invece servito di un cinquantino KTM e ha scelto come teatro il Nevis Bungy QT, la pi&ugrave; alta struttura per il bungee jumping dell&rsquo;intera Nuova Zelanda. Gli USA e il peso del passato | Quella (S)Volta Che L'impresa di Robbie Maddison  Questa cabinovia sospesa nel vuoto e ancorata da corde fissate ai lati della vallata del fiume Nevis &egrave; situata nelle Alpi Meridionali, vicino a Queenstown. Con i suoi 134 metri di distanza dal suolo &egrave; la terza piattaforma pi&ugrave; alta al Mondo. Per saltare &egrave; richiesta un&rsquo;et&agrave; minima di tredici anni e il peso del temerario deve essere compreso tra 45 e 127 chili. Ci&ograve; spiega l&rsquo;impiego di un cinquantino, decisamente pi&ugrave; leggero rispetto alle moto a cui Maddison &egrave; abituato. Alle 8 del mattino del 28 novembre scorso &egrave; salito sulla piattaforma, ha acceso il motore, accelerando verso l&rsquo;apertura. Dallo scarico della KTM &egrave; uscito uno sbuffo di fumo e, appena perso contatto con la struttura, Maddison si &egrave; avventurato in un backflip. Il suo tentativo di effettuarne un secondo &egrave; stato castrato quando era gi&agrave; a testa in gi&ugrave; dal distendersi della corda che l&rsquo;ha riportato in posizione perpendicolare al suolo. In totale la caduta &egrave; durata circa otto secondi e mezzo, ma con i successivi rimbalzi il quarantaduenne &egrave; rimasto sospeso nel vuoto per alcuni minuti. Dopo l&rsquo;ennesimo record ha dichiarato: &ldquo;Vivo per le esperienze folli. Una cosa del genere non era mai stata fatta prima, &egrave; stato epico realizzarla! Bisognava stare attenti al peso della moto, soprattutto con un&rsquo;altezza del genere, ma il team ha svolto tutto il lavoro necessario per garantire che il salto fosse sicuro. Ero in Nuova Zelanda e ho avuto l&rsquo;idea di lanciarmi in moto dal bungee jump pi&ugrave; famoso del Paese. La Nuova Zelanda &egrave; nota per le sue attivit&agrave; adrenaliniche ed estreme, ed essendo l&rsquo;AJ Hackett Bungy (societ&agrave; che detiene oltre al Nevis, anche il Ledge e il Kawarau Bridge Bungy, nde) la prima impresa commerciale di bungee jumping al Mondo, &egrave; ancora meglio. Sono entusiasta di questa esperienza&rdquo;. Robbie Maddison, follie di famiglia  Il gene dell&rsquo;acrobazia Maddison l&rsquo;ha trasmesso al figlio maggiore Kruz che, nonostante abbia soltanto 12 anni, a fine novembre ha completato in uno spettacolo pubblico a Wellington il suo primo backflip. Quel giorno il primo tentativo si &egrave; concluso con una caduta in fase di atterraggio ma il ragazzino ha subito inforcato la moto mentre un meccanico gli raddrizzava il manubrio. Ripartito, Kruz ha fatto centro, per poi essere portato in trionfo dai colleghi pi&ugrave; esperti. Dopo l&rsquo;impresa il padre ha commentato sui social: &ldquo;&Egrave; stata una delle scelte pi&ugrave; impegnative, perch&eacute; aiutarlo a fare un backflip &egrave; una cosa, ma condurlo al punto di conoscenza del salto per essere in grado di controllarlo e avere abbastanza sicurezza per farlo al momento giusto per il pubblico in diretta &egrave; qualcosa di molto pi&ugrave; complesso. Sono orgoglioso del suo coraggio e dell&rsquo;abilit&agrave; pur essendo in verde et&agrave;, e del suo desiderio di credere in se stesso. &Egrave; spaventoso, da genitore, aiutare il tuo bambino a raggiungere obiettivi pericolosi. Vedere la sua passione per le moto e aiutarlo a raggiungere i suoi sogni per&ograve; &egrave; tempo speso bene. Grazie per essere cos&igrave; tosto e motivato&rdquo;. Pi&ugrave; concisa ma di sicuro effetto la replica della madre Samy: &ldquo;Sei il miglior esempio per i nostri bambini. &Egrave; una fortuna avere tutti voi quattro ragazzi pazzi (i tre figli e Robbie, nde). Kruz ha ispirato i bambini che hanno guardato lo show e tu hai ispirato tutti i loro padri&rdquo;. Marc Marquez e la Honda, quando l'amore finisce | Quella (S)Volta Che       

Lo stuntman si &egrave; avventurato in un salto nel vuoto con la moto, trattenuto dalla corda del bungee jumping. Il figlio Kruz lo sta gi&agrave; imitando

Le follie di Robbie Maddison | Quella (S)Volta Che

        Oltre alla splendida terza piazza dell&rsquo;Italia, l&rsquo;altra grande sorpresa del Motocross delle Nazioni andato in scena a Ern&eacute;e (Francia) &egrave; stato l&rsquo;ottavo posto degli Stati Uniti. Una d&eacute;b&acirc;cle per una formazione che si &egrave; aggiudicata met&agrave; delle edizioni a cui ha preso parte: 23 trionfi su 46 partecipazioni, con 33 podi. Marc Marquez e la Honda, quando l'amore finisce | Quella (S)Volta Che Gli USA e il Motocross delle Nazioni  Eppure nelle prime otto apparizioni, dal 1971 al 1978, gli USA mancarono il gradino pi&ugrave; alto del podio. Assenti nelle successive due contese, iniziarono a dettare legge l&rsquo;anno dopo a Galldorf (Germania). Grazie a fenomeni del calibro di Jeff Ward e Ricky Johnson, uniti a formidabili piloti come David Bailey, Ron Lechien, Jeff Stanton, Mike Kiedrowski e Damon Bradshaw, arrivarono tredici successi di fila con la ciliegina sulla torta del 21 settembre 1986 a Maggiora. Quel giorno, al Mottaccio del Balmone, Johnny O&rsquo;Mara, Johnson e Bailey monopolizzarono la prima e la seconda posizione in tutte e tre le manche. Non contento, lo squadrone a stelle e strisce arriv&ograve; a sedici podi consecutivi, grazie alla vittoria del 1996 a Jerez (Spagna) dopo il duplice secondo posto del 1994 a Roggenburg (Svizzera) e del 1995 a Sverepec (Slovacchia). Enorme fu quindi la sorpresa quando, nel 1997, a Nismes (Belgio) gli USA furono soltanto ottavi, complice il terreno fangoso malgrado l&rsquo;assenza di pioggia. Vinsero i padroni di casa, con l&rsquo;Italia seconda grazie a Claudio Federici, Chicco Chiodi e Andrea Bartolini, e la Gran Bretagna di bronzo. Gli americani arrivarono dietro non soltanto a Svezia e Francia ma pure alla Nuova Zelanda e alla Germania trascinata da uno scatenato Pit Beirer, attuale Motorsports Director della KTM, vincitore della seconda manche davanti a Stefan Everts e Chiodi e della terza precedendo Joakim Karlsson. Il team statunitense si avvalse di Steve Lamson (Honda) e Jeff Emig (Kawasaki), gi&agrave; presenti l&rsquo;anno prima, con John Dowd (Yamaha) al posto di Jeremy McGrath. Emig fece del suo meglio con un 2&deg; posto nella manche inaugurale e un 12&deg;. Dowd diede battaglia nella seconda manche in cui fu a lungo secondo prima di essere passato da Everts e Chiodi, ma alz&ograve; bandiera bianca a quattro giri dalla fine per un problema meccanico, e fu 11&deg; nell&rsquo;ultima. Fu mediocre Lamson, 15&deg; e 21&deg;, non rendendo giustizia alla tabella numero 1 che portava.  Il ruolino di marcia degli USA  Si pens&ograve; a un passaggio a vuoto occasionale, invece anche nel 1998 e 1999 gli USA mancarono il podio. A met&agrave; anni Duemila ripresero a comandare, infilando un settebello di vittorie, seguito da cinque podi. Ma a Matterley Basin (Gran Bretagna) nel 2017 arriv&ograve; un inatteso nono posto. E pensare che quando ad agosto fu annunciato il trio dei prescelti le aspettative furono subito altissime. &ldquo;La squadra ha un talento immenso &ndash; afferm&ograve; Kevin Crowther, AMA Director of Racing &ndash; piloti esperti con l&rsquo;attitudine e l&rsquo;abilit&agrave; per conquistare il Mondiale a squadre. E senza dubbio faranno ogni sforzo per portare a casa l&rsquo;oro&rdquo;. Cole Seely, in quel momento quinto nel National, mise per&ograve; insieme appena due giri in una manche e sei nell&rsquo;altra. Eppure il debuttante non ebbe colpe, perch&eacute; entrambe le volte, sulla sua Honda CRF450R, a causa del fango accumulatosi, si spost&ograve; il supporto della molla dell&rsquo;ammortizzatore, con conseguente caduta della molla. Zach Osborne fu decimo e terzo, mentre Thomas Covington concluse 22&deg; e 17&deg;, sempre doppiato. Con il nono posto gli USA fecero peggio persino dell&rsquo;Estonia. Un&rsquo;onta sfiorata da Aron Plessinger, RJ Hampshire e Christian Craig, incapaci di contenere i distacchi sotto il mezzo minuto. Supermotocross, dove il Giappone vince | Quella (S)Volta Che       

L&rsquo;ottavo posto di Ern&eacute;e &egrave; stato uno dei peggiori risultati degli americani al &ldquo;Nazioni&rdquo;, il Mondiale a squadre che hanno vinto nel 50% delle partecipazioni

Gli USA e il peso del passato | Quella (S)Volta Che

        Ogni amore, anche il pi&ugrave; grande, &egrave; destinato a finire. L&rsquo;annuncio della separazione tra Marc Marquez e la Honda, arrivata dopo undici stagioni insieme, &egrave; l&rsquo;ennesima conferma di questa teoria. Supermotocross, dove il Giappone vince | Quella (S)Volta Che Marquez-Honda: la statistica  D&rsquo;altro canto pure Dani Pedrosa, che con l&rsquo;HRC aveva corso in MotoGP per tredici annate di fila, &egrave; tornato in gara nel 2021 con la KTM che l&rsquo;aveva ingaggiato come collaudatore. L&rsquo;aver appeso il casco al chiodo per un biennio ci induce per&ograve; a considerare il fantino di Sabadell un caso a parte rispetto a quanti, dopo tantissimi anni di fedelt&agrave; a una Casa, sono passati direttamente a una rivale. In questa casistica Marquez resta unico perch&eacute; nessun altro ha messo assieme almeno dieci campionati consecutivi in classe regina con un marchio prima di virare altrove. Dopo nove avevano salutato la compagnia Giacomo Agostini e Jorge Lorenzo. Ago era gi&agrave; stato avvicinato dai vertici Yamaha nel 1971: &ldquo;Ma all&rsquo;epoca i motori due tempi erano ancora molto delicati e grippavano spesso&rdquo;. Tornarono alla carica due anni dopo: &ldquo;Avevano fatto passi da gigante e cos&igrave; decisi di cambiare. Avevo capito che con i quattro tempi era rimasto poco da fare&rdquo; E cos&igrave; in vista del 1974 lasci&ograve; la MV Agusta con cui correva dal 1965. Diverso il ragionamento compiuto da Lorenzo perch&eacute; ai tempi la Ducati non era ancora la macchina da guerra dell&rsquo;ultimo biennio. Nel 2016, ultimo anno del maiorchino in sella alla M1, la Yamaha vinse sei GP e la Honda nove, mentre la Ducati si aggiudic&ograve; un paio di gare. A indurre il numero 99 a cambiare aria furono la volont&agrave; di affrontare una nuova sfida, il corteggiamento di Gigi Dall&rsquo;Igna (con cui aveva vinto in 250), l&rsquo;insofferenza verso il clan di Valentino Rossi dopo il controverso 2015 (e la Yamaha sped&igrave; un messaggio chiaro a Jorge, rinnovando con Vale) e il ricco biennale offerto da Borgo Panigale, per complessivi 25 milioni di Euro. Come compagno di squadra trov&ograve; Andrea Dovizioso, che avrebbe continuato a correre per la Ducati fino a fine 2020 quando il suo contratto non &egrave; stato rinnovato. Il matrimonio di Dovi &egrave; giunto al capolinea dopo otto stagioni e il forlivese sembrava destinato a un anno sabbatico. Invece &egrave; stato chiamato come test rider dall&rsquo;Aprilia, salvo poi salire in corsa sulla Yamaha-Petronas per disputare gli ultimi cinque GP. Altri addii eccellenti  Otto furono anche le stagioni di fila di Alex Barros in sella alle Honda anche se il brasiliano girovag&ograve; a lungo: nel 1995 corse con Kanemoto, l&rsquo;anno dopo con Pileri, quindi fece due stagioni con Gresini e altre quattro con Pons Racing. Il suo destino cambi&ograve; nel 2002, quando per gli ultimi quattro GP gli fu concessa la RC211V in luogo della NSR 500 che aveva guidato fino ad allora. Barros fece faville, con due successi e quattro podi, poi salut&ograve;: &ldquo;Sono grato a Sito, &egrave; stato come un padre, mi ha aiutato a maturare&rdquo;. And&ograve; alla Yamaha-Tech 3, ma torn&ograve; in Honda dopo un solo (difficile) anno per rilevare la moto ufficiale di Rossi. Kenny Roberts Jr invece interruppe un settennio in Suzuki per correre nel 2006 con la KR211V, un ibrido con motore Honda e telaio prodotto autonomamente. And&ograve; alla ricerca della novit&agrave; pure Colin Edwards nel 2012, direzione Forward Racing, dopo sette anni in sella alle Yamaha. Diversa, infine, la scelta di Rossi, che dopo sette campionati (e quattro titoli) con la Casa dei tre diapason nel 2011 firm&ograve; con la Ducati. Alla vecchia amata scrisse una lettera: &ldquo;&Egrave; giunto il momento di cercare nuove sfide, il mio lavoro qui in Yamaha &egrave; finito. Purtroppo, anche le storie d&rsquo;amore pi&ugrave; belle finiscono, ma lasciano un sacco di meravigliosi ricordi&rdquo;. MotoGP, Sete Gibernau e la pole al venerd&igrave; | Quella (S)Volta Che       

Tra i tanti record firmati dal binomio Marc-HRC, ora c&rsquo;&egrave; anche quello della separazione dopo il binomio pi&ugrave; duraturo

Marquez-Honda, quando l'amore finisce | Quella (S)Volta Che

        Non &egrave; riuscita la doppietta ai fratelli Lawrence e alla Honda nel SuperMotoCross AMA: Jett si &egrave; aggiudicato il titolo della classe regina vincendo entrambe le manche della finalissima di Los Angeles, conquistando cos&igrave; un milione di dollari, mentre il fratello Hunter &egrave; stato costretto a saltare la tappa conclusiva, a causa dello schiacciamento di un nervo a seguito di una caduta nelle libere, chiudendo al nono posto stagionale la 250, dovendosi accontentare di 16.000 dollari. Hakan Carlqvist, un'impresa a tutta birra Jett Lawrence campione della classe regina  E pensare che proprio Hunter guidava la classifica a una gara dal termine, ma i punteggi triplicati dell&rsquo;atto conclusivo gli sono costati fior di quattrini, a beneficio di Haiden Deegan, che ha regalato l&rsquo;alloro alla Yamaha e a se stesso mezzo milione di dollari. Da maggio ad agosto Jett aveva annientato la concorrenza, vincendo tutte le manche del National, un&rsquo;impresa titanica per un neofita della 450. A Charlotte, nella prima gara dei Playoff del campionato che mette insieme il Supercross al National, i pi&ugrave; esperti colleghi lo avevano per&ograve; ridimensionato: il ventenne australiano si era dovuto accontentare del settimo posto in Gara 1, parzialmente riscattato dal secondo nella successiva, finendo quarto dietro all&rsquo;impeccabile Chase Sexton, a Ken Roczen e Dylan Ferrandis. Galvanizzato dall&rsquo;anello consegnatogli per la conquista del Supercross proprio quella sera, Sexton pareva aver ristabilito le gerarchie nel Team HRC: &ldquo;Avevo qualcosa da dimostrare dopo la stagione Outdoor. Sono stato felice quando sono tornato ai test Supercross: mi sentivo come se avessi ripreso da dove avevo interrotto&rdquo;. Ma una settimana dopo a Chicago, Lawrence ha rialzato l&rsquo;asticella: holeshot e vittoria in Gara 1 senza mai mollare il comando, secondo posto in Gara 2, cedendo la leadership nei tre giri finali alla Suzuki di Roczen, consapevole che l&rsquo;accoppiata gli avrebbe fruttato il massimo dei punti. A differenza delle altre competizioni, infatti, nel SuperMotoCross non si assegna un punteggio per manche ma soltanto quello di giornata, pertanto quel sorpasso &egrave; risultato ininfluente. &ldquo;Non volevo un altro fine settimana come Charlotte. Abbiamo lavorato sulle partenze, &egrave; stata la chiave&rdquo; ha dichiarato l&rsquo;australiano. Sexton, che giocava in casa, si &egrave; dovuto accontentare della terza piazza, dietro anche a Roczen. Al quale, per vincere il titolo, non sarebbe per&ograve; bastato trionfare a Los Angeles: nessuno dei due hondisti sarebbe dovuto arrivare secondo. In Gara 1 l&rsquo;holeshot &egrave; andato al redivivo Adam Cianciarulo e il primo giro si &egrave; chiuso con Roczen quarto, Sexton quinto e Lawrence sesto. Nel giro dopo, in testa si &egrave; portato Jason Anderson, con i tre pretendenti alle sue spalle. Lawrence ha rotto gli indugi al quarto giro, infilando l&rsquo;altra CRF450R. Una stagione che ha superato le aspettative  Al sesto ha passato Anderson, all&rsquo;ottavo ha tolto la leadership a Roczen che l&rsquo;aveva guadagnata in precedenza, per poi vincere con 1&rdquo;6 su Roczen e 6&rdquo; su Sexton. A quest&rsquo;ultimo non restava che vincere Gara 2 sperando che il rookie non giungesse secondo. Chase ha fatto subito il vuoto, accumulando quattro secondi in altrettanti giri ma con Lawrence secondo era tutto inutile. La caduta del fuggitivo, rimasto rintronato a terra, ha poi cancellato il pathos per la conclusione: Lawrence ha vinto manche, tappa e titolo, con Roczen secondo di giornata e in campionato, davanti a Sexton, decimo in California. Il podio internazionale ha chiuso una stagione inaugurale del SuperMotoCross che ha superato le aspettative, tanto che i biglietti per le gare dell&rsquo;anno prossimo saranno in vendita gi&agrave; da marted&igrave;. MotoGP, Sete Gibernau e la pole al venerd&igrave; | Quella (S)Volta Che       

Honda e Suzuki hanno monopolizzato il podio, la Yamaha ha trionfato in 250. La serie vinta da Lawrence &egrave; stata subito un successo

SuperMotoCross, dove il Giappone vince | Quella (S)Volta Che

        Trentacinque anni fa Hakan Carlqvist and&ograve; a tutta birra, non soltanto in senso metaforico. Mentre il mondiale Cross della 250 era di scena a Maracay (Venezuela), dove la Cagiva faceva doppietta con Pekka Vehkonen, monopolizzando il podio in Gara 1, la classe regina si cimentava alla Cittadella di Namur (Belgio). MotoGP, Sete Gibernau e la pole al venerd&igrave; | Quella (S)Volta Che L'impresa di Hakan Carlqvist  Un giorno storico per la disciplina perch&eacute; un quinto e un sesto posto furono sufficienti a Eric Geboers per affermarsi campione della 500, diventando il primo campione del Mondo nelle tre classi, laureandosi &ldquo;Monsieur 875&rdquo; (la somma di 125, 250 e 500). D&rsquo;altra parte, forte di 60 punti di vantaggio su Kurt Nicoll e 61 su David Thorpe a due round dal termine, con la vittoria di manche che ne assegnava 20, il trionfo del belga era scontato. Il 7 agosto 1988 per&ograve; i riflettori si accesero anche su un altro fenomeno, lo svedese Hakan Carlqvist, che ci ha lasciati anzitempo sei anni fa. Un&rsquo;autentica sorpresa perch&eacute; l&rsquo;ex giocatore di hockey su ghiaccio &ndash; era arrivato fino alla serie B prima di concentrare tutti i suoi sforzi in sella &ndash; in quella stagione non era mai salito sul podio, anche a causa di una Kawasaki privata. L&rsquo;ultimo successo di manche risaliva al 26 aprile 1987 in Gara 1 a Sittendorf (Austria). Complici i 34 anni di et&agrave;, il meglio sembrava alle spalle e in effetti dopo aver conquistato il suo secondo iride, nel 1983 con la Yamaha nella 500 (il primo era stato nel 1979 in 250), Carlqvist (nella foto di copertina) si era aggiudicato soltanto due manche, anche per l&rsquo;obsolescenza della moto dei tre diapason guidata fino al 1986. Un declino che sembrava aprirgli le porte della pensione, visto che nessun team era disposto a metterlo sotto contratto per il 1989. Hakan se la prese a male ma fece parlare la pista: a Namur fu primo nelle prove cronometrate e gi&agrave; all&rsquo;uscita dal cancelletto prese il comando della prima manche. In due giri fece il vuoto, distanziando i i rivali di tredici secondi con l&rsquo;eccezione d Thorpe che lo tallonava a un secondo e mezzo. Ma al quarto giro l&rsquo;inglese urt&ograve; un paletto di legno, e si frattur&ograve; lo scafoide. La gag a base di birra di Hakan Carlqvist  Pur rimasto solo &ldquo;Carla&rdquo; continu&ograve; a spingere tanto che al termine del nono giro il gap su Mark Banks era salito a 39&rdquo;6. Non fu questo per&ograve; a fruttargli un posto nel pantheon del motorismo, quanto la gag escogitata con uno dei fratelli, che gli dava le segnalazioni. &ldquo;Uno dei sogni della mia vita &ndash; raccont&ograve; la settimana dopo all&rsquo;inviato di Motosprint &ndash; era riuscire a bere, durante un GP, una birra in uno dei due bar lambiti dal tracciato di Namur e, ci&ograve; nonostante, vincere la manche. Per molti anni ci ho corso e anche vinto ma non avevo mai avuto un vantaggio sufficiente per fermarmi&rdquo;. Lo svedese arrest&ograve; la sua Verdona a bordo pista, vicino allo Chalet du Monument, un caff&egrave; situato nella parte bassa del circuito. Qui il fratello gli pass&ograve; un boccale di birra che Hakan svuot&ograve; per poi ripartire. Non contento, affront&ograve; gli ultimi metri salutando con il braccio sinistro il pubblico ma conserv&ograve; 27&ldquo;6 su Banks e 57 secondi su Geboers che, precedendo Nicoll, fu aritmeticamente campione. L&rsquo;alcool in corpo non ne rallent&ograve; le prestazioni nemmeno in Gara 2, vinta con 11&rdquo;5 su Kees Van der Ven. Fu il suo 21&deg; e ultimo GP vinto, festeggiato con lo champagne. Una bevuta dopo l&rsquo;altra, memore di quanto accadde a St. Anthonis, nel GP Olanda del 1983, ultima gara stagionale. Quel giorno era diventato campione del Mondo ma gli organizzatori &ndash; incredibilmente &ndash; dimenticarono le magnum di bollicine per i premiati. Meglio bere prima dell&rsquo;arrivo, deve aver pensato quel giorno a Namur il mitico Carlqvis&hellip; EWC: la vittoria Yamaha | Quella (S)Volta Che       

A 35 anni dall&rsquo;incredibile impresa dello svedese, che a Namur, nel giorno di Geboers, trionf&ograve; nella 500 nonostante un pit stop per... un boccale!

Hakan Carlqvist, un'impresa a tutta birra | Quella (S)Volta Che

        Pratice makes perfect. La pratica rende perfetti. Lo affermava Bruce Lee, aggiungendo che dopo un lungo periodo di pratica i nostri gesti diventano naturali, rapidi e costanti. EWC: la vittoria Yamaha | Quella (S)Volta Che MotoGP, nuovo format  Il termine Practice &egrave; tornato in auge pochi giorni fa, quando la Grand Prix Commission ha cambiato il format del weekend della MotoGP con effetto immediato. Dal GP Gran Bretagna, il primo turno del venerd&igrave; dura sempre 45 minuti e si chiamer&agrave; FP1. Non cambia nemmeno la durata del secondo turno, di un&rsquo;ora, ma adesso &egrave; ribattezzato semplicemente Practice e resta l&rsquo;unico valido per stabilire i 10 piloti che accedono direttamente alla Q2. Fino ad Assen, invece, per decretare i promossi e i &ldquo;rimandati&rdquo; in Q1 si prendeva in considerazione la classifica combinata di Practice 1 e 2. Pertanto i piazzamenti e i crono del primo turno, del venerd&igrave; mattina, non avranno pi&ugrave; alcuna valenza ufficiale, cos&igrave; come continuer&agrave; a non averlo il primo turno del sabato, da mezz&rsquo;ora, d&rsquo;ora in poi etichettato come FP2. Nel comunicato si evidenzia come l&rsquo;accordo tra i team della MotoGP sia stato unanime e d&rsquo;altra parte non poteva essere altrimenti per cambiare in corsa il regolamento. In tal modo i piloti non devono pi&ugrave; spendere una gomma soft e soprattutto alzare l&rsquo;asticella, assumendosi ulteriori rischi, nei minuti finali del primo turno per mettersi al riparo da inconvenienti in caso di una seconda sessione bagnata. Fino all&rsquo;anno scorso invece la classifica che premiava i primi dieci con l&rsquo;approdo in Q2 era costruita sui tempi dei primi tre turni di prove, i due del venerd&igrave; e il primo del sabato (l&rsquo;unico turno escluso era quello del sabato all&rsquo;ora di pranzo). Assistiamo quindi alla seconda modifica nell&rsquo;arco di otto mesi dopo che per un decennio non ce n&rsquo;erano state. Dal 2013 sono infatti in vigore le due sessioni da 15 minuti che vanno sotto il nome di Q1 e Q2. Per compensare il minor tempo in pista, visto che fino al 2012 il turno che stabiliva la griglia di partenza era di un&rsquo;ora, fu introdotta una quarta sessione di prove, ininfluente per decretare il passaggio in Q1 e Q2. Fino a una decade fa infatti i piloti utilizzavano i primi 40&rsquo; della sessione di qualifica per &ldquo;settare&rdquo; la moto e i restanti 20 per conquistare la migliore posizione al semaforo. La pole di Sete Gibernau  I tifosi lo sapevano e pertanto gli ascolti TV della prima parte della sessione erano scarsi, per poi moltiplicarsi con l&rsquo;avvicinarsi dello scadere del tempo. L&rsquo;ora di qualificazione era entrata in vigore nel 2005: prima ancora ci si serviva di due sessioni, la QP1 del venerd&igrave; e la QP2 del sabato. L&rsquo;ultimo a realizzare la pole grazie al miglior tempo del venerd&igrave; fu Sete Gibernau (nella foto di copertina) al GP Italia 2004: nella QP1 lo spagnolo rifil&ograve; 408 millesimi a Valentino Rossi e oltre 1&rdquo;2 a tutti gli altri. Anche il sabato il pilota del Team Gresini fu primo con due millesimi su Nicky Hayden e sei millesimi sul pesarese. Curiosamente soltanto il primo e l&rsquo;ultimo in pista, Chris Burns con la WCM &ndash; nemmeno qualificato in quanto attardato di 8&rdquo;6 &ndash; non riuscirono a migliorare il proprio tempo al sabato. Nel 2009, Burns fu compagno di squadra di Michael Schumacher nel Team Holzhauer Honda nel campionato tedesco (IDM) Superbike. L&rsquo;esperienza gli permise di conoscere il sette volte iridato di Formula 1, tanto da raccontare in seguito: &ldquo;Quando lo incontrai, restai scioccato. Era un ragazzo davvero in gamba. Dopo la mia prima sessione in pista mi fece un milione di domande, cercava di scoprire come andare pi&ugrave; veloce. Tutto quello che ha sempre voluto fare era migliorare se stesso&rdquo;. Anche sulle due ruote la pratica rende perfetti. I fratelli Birchall, un record di famiglia | Quella (S)Volta Che       

Practice &egrave; il nome del nuovo secondo turno di libere, l&rsquo;ultima evoluzione del format della classe raegina che andiamo a ripercorrere

MotoGP: Sete Gibernau e la pole al venerdì | Quella (S)volta Che

        Dopo un&rsquo;astinenza durata nove gare, la Yamaha &egrave; tornata a imporsi nel mondiale Endurance. L&rsquo;ultimo successo della Casa dei tre diapason nell&rsquo;EWC risaliva al 27 settembre 2020, nella 12 Ore dell&rsquo;Estoril che chiudeva la stagione. Anche in quel caso l&rsquo;equipaggio di YART Yamaha era composto da Niccol&ograve; Canepa, Karel Hanika e Marvin Fritz (nella foto), ma il distacco fu pi&ugrave; risicato, appena 24 secondi e mezzo su F.C.C. TSR Honda, mentre terza a tre giri chiuse l&rsquo;altra R1 del Wojcik Racing Team. In quell&rsquo;occasione YART fece due soste ai box in pi&ugrave; dei primi inseguitori (14 rispetto a 12), perdendo cos&igrave; 49 secondi sui rivali. I fratelli Birchall, un record di famiglia | Quella (S)Volta Che Yamaha torna a vincere nell'EWC  Curiosamente anche quest&rsquo;anno i vincitori si sono fermati pi&ugrave; volte: 28 pit stop rispetto ai 25 di F.C.C. TSR Honda che per&ograve; ai box ha passato molto pi&ugrave; tempo, 29&rsquo; 45&rdquo;, un paio di minuti in pi&ugrave; rispetto a Canepa e compagni. Al 2019 risaliva il penultimo successo di YART, alla 8 Ore di Sepang. Proprio le 8 Ore sembravano la specialit&agrave; di questa formazione che nel 2018 e 2019 conquist&ograve; la 8 Ore di Slovacchia e nel 2009 la 8 Ore di Doha, la 8 Ore di Albacete e la 8 Ore di Oschersleben. Non contenta, nel 2009 si aggiudic&ograve; pure la 24 Ore di Le Mans, a cui parteciparono 46 moto, inclusa una KTM RC8 e una Honda RC30 uscita di fabbrica 21 anni prima. Quella fu anche la prima edizione con la Superpole: ad aggiudicarsela fu Matthieu Lagrive con la Honda. Al rientro nell&rsquo;Endurance, YART, che impiegava le Michelin, prese il comando dopo 68 giri e non lo moll&ograve; pi&ugrave; fino al traguardo. Era la gara inaugurale di quel campionato che ai tempi prevedeva sei tappe e grazie a quella quaterna YART si aggiudic&ograve; il titolo con 145 punti: secondo, con poco pi&ugrave; della met&agrave; dei punti (73) fu il Team 18 Sapeurs Pompiers. Tutti e quattro i successi YART del 2009 furono firmati dallo sloveno Igor Jerman, dall&rsquo;australiano Steve Martin e dal francese Gwen Giabbiani (con la I). Il meno conosciuto dei tre &egrave; proprio il transalpino perch&eacute; ha sempre corso in patria e in campionati Superbike secondari, come quello polacco, dove &egrave; stato vice campione nel 2010 e 2011. Canepa, titolo possibile  Pi&ugrave; ricca l&rsquo;esperienza di Martin che ha corso quattro GP in 500, nel 1999, conquistando due punti con la Honda del Dee Cee Jeans Racing Team. Quella squadra era fondata e diretta dall&rsquo;olandese Jan Huberts, passato alla storia perch&eacute; nell&rsquo;agosto del 1981 stabil&igrave; il record del Mondo con un cinquantino: su un tratto dell&rsquo;autostrada A6 vicino a Lelystand, nei Paesi Bassi, spinto da un motore Casal da 50 cm&sup3;, raggiunse i 224,58 km/h, primato rimasto imbattuto fino al 2006, quando a Bonneville un motore Minarelli arriv&ograve; a 233,3 km/h. Martin ha corso una gara nel mondiale Supersport e 182 in Superbike, ottenendo tre pole e cinque podi, nel 2004 con la Ducati del Team DF Xtreme Sterilgarda con cui chiuse l&rsquo;anno in settima posizione. Anche Jerman ha militato nel mondiale SBK, in cui esord&igrave; nel 1996 con la Kawasaki di Taurus Bertocchi. Nel 1999 fu quattordicesimo in campionato, migliorandosi di una posizione rispetto al biennio precedente. Nel 1998 vinse la 24 Ore di Le Mans, prima di compiere 23 anni. Convertitosi a tempo pieno all&rsquo;Endurance, Jerman fu iridato nel 2002 con il team cinese Zongshen. Rest&ograve; con la squadra asiatica pure l&rsquo;anno dopo ma nel 2004 accett&ograve; la corte di YART, con cui ha continuato a correre fino al 2014. Quattro anni dopo, ecco l&rsquo;ingaggio di Canepa, gi&agrave; campione nel 2017 con GMT 94. Vinta la maledizione della 24 Ore, il titolo &egrave; possibile.       

YART &egrave; tornata ad aggiudicarsi una gara lunga un giorno dopo un&rsquo;attesa di quattordici anni: sar&agrave; il preludio al secondo titolo di Canepa?

EWC: Yamaha, ritorno alla vittoria | Quella (S)Volta Che

        Trent&rsquo;anni fa, fa, il 18 luglio 1993, il pubblico del Mugello fu spettatore della rinascita di Mick Doohan, al primo successo dopo il gravissimo incidente di tredici mesi prima, ad Assen, dove l&rsquo;australiano rischi&ograve; l&rsquo;amputazione della gamba destra. I fratelli Birchall, un record di famiglia | Quella (S)Volta Che Mick Doohan salvato dal Dottor Costa  A salvargli l&rsquo;arto fu la prontezza del Dottor Costa che lo port&ograve; in Italia. Non ancora guarito, Mick risal&igrave; sulla Honda NSR 500 per disputare gli ultimi due GP del 1992, nel tentativo di contenere la rimonta di Wayne Rainey che gli aveva recuperato 43 dei 65 punti di vantaggio. Fu inutile perch&eacute; lo statunitense oper&ograve; il sorpasso. Malgrado la sosta invernale, nel 1993 Doohan continu&ograve; a lamentare problemi di scarsa mobilit&agrave; al piede destro. Tre anni prima la Honda aveva iniziato a servirsi della Brembo, come ci racconta Eugenio Gandolfi, una vita spesa con il costruttore bergamasco di impianti frenanti, rivestendo per decenni il ruolo di ingegnere di pista: &ldquo;Doohan aveva avuto problemi di freni, non si trovava bene con quelli disegnati e progettati dalla Honda e prodotti dalla Nissin. Mi agganci&ograve; perch&eacute; nel campionato australiano Superbike aveva usato Brembo senza problemi. Spinse la Honda a passare alla Brembo, anche se i giapponesi si chiedevano perch&eacute; affidarsi a un produttore italiano di pinze freno&rdquo;. Celebrato il matrimonio, nel 1990 Doohan vinse il suo primo GP e aggiunse quattro podi. L&rsquo;anno dopo conquist&ograve; tre successi, con 14 podi in 15 GP, ma Rainey lo beff&ograve; per nove punti. Nel 1992, complice il motore &ldquo;big bang&rdquo;, nei primi sette GP Mick ottenne cinque vittorie e due secondi posti anche grazie a uno stile che Gandolfi ben racconta: &ldquo;Prima dell&rsquo;incidente Mick usava tanto il freno posteriore, soprattutto per controllare la velocit&agrave; di percorrenza della curva. Con l&rsquo;incidente non ci furono pi&ugrave; gli estremi per compiere quel lavoro con la gamba. Con i suoi ingegneri ci convincemmo che serviva qual cosa che gli permettesse di usare il freno posteriore&rdquo;. Mick Doohan e il freno posteriore  All&rsquo;inizio del 1993 la Honda introdusse una pompa freno assiale in luogo della pompa pedale, sul lato sinistro del semimanubrio vicino alla leva frizione: &ldquo;Quella pompa si azionava con dito indice e medio ma non era di facile attuazione e risultava poco efficace: sul semimanubrio sinistro c&rsquo;erano diversi controlli, oltre alla leva frizione che ai tempi era usata spesso, quindi il pilota faticava a manovrarla. Con la Honda a Jerez si decise di metterla sotto, per usufruire dello spazio tra le piastre forcelle inferiori e il semimanubrio, e di farla controllare dal pollice che &egrave; il dito che esercita una grande forza&rdquo;. I giapponesi l&rsquo;avrebbero voluta &lsquo;per ieri&rsquo;, ma la Brembo spieg&ograve; loro che non sarebbe stato possibile progettarla, testarla e produrla in pochi giorni, anche se fornirono una serie di indicazioni. I tecnici Honda lavorarono un pezzo di alluminio e, dopo averci messo dentro tutti i componenti di una pompa a pedale, realizzarono il primo prototipo. Nacque cos&igrave; la pompa pollice, che la Brembo perfezion&ograve;, anche se non fu facile per il pilota servirsene: &ldquo;Pi&ugrave; che lo stile di guida, Mick dovette cambiare la propensione mentale. Fatto lo &lsquo;switch&rsquo; si accorse dei vantaggi perch&eacute; poteva usare il freno posteriore dappertutto, non soltanto nelle curve a sinistra, per controllare la velocit&agrave; di percorrenza e sfruttare meglio l&rsquo;erogazione, dato che ai tempi non c&rsquo;era controllo di trazione. Nella sua sfortuna apprese una tecnica che gli altri non riuscivano a fare, un plus tornato in auge in MotoGP&rdquo;. Doohan ha vinto cinque titoli della 500, dimostrando come si possa rinascere dal male, diventando ancora pi&ugrave; forti. Orgoglio tricolore: il TT di Bonetti | Quella (S)Volta Che       

Trent&rsquo;anni fa l'australiano introdusse il freno posteriore sul semimanubrio sinistro: un&rsquo;idea (anche) italiana

Mick Doohan e il pollice della rinascita | Quella (S)Volta Che

        Tre ruote sono meglio di due. Lo sostengono gli amanti dei sidecar, tornati in auge grazie alle prestazioni dei fratelli Birchall, capaci per la prima volta di completare un giro del Tourist Trophy a una media di 120 miglia orarie (193,121 km/h). Ben e Tom ci sono riusciti sabato 3 giugno, in occasione del loro tredicesimo successo al TT, ottenuto con 24 secondi di vantaggio su Pete Founds e Jevan Walmsley. Al secondo giro i due fratelli hanno completato le 37,73 miglia (60,7 km) in 18 minuti, 48 secondi e 542 millesimi, infrangendo la barriera delle 120 miglia, per poi aumentare il vantaggio all&rsquo;ultimo giro. L'impresa dei fratelli Birchall  &ldquo;Grazie al cielo, questo record incombeva su di noi dal 2019, Tom &egrave; stato un asso, la moto &egrave; stata perfetta e le condizioni fantastiche, &egrave; stato bello realizzarlo durante le celebrazioni per i 100 anni dei sidecar al TT&rdquo; ha dichiarato Ben Birchall. Gi&agrave;, perch&eacute; nel 1923 debutt&ograve; la competizione dei sidecar con motori da 600 cm&sup3; sulla distanza di tre giri. Quattordici veicoli al via, con Freddie Dixon (coadiuvato da Walter Perry) che ebbe la meglio a una media di 53,15 km/h grazie a un sidecar di sua invenzione realizzato partendo da una moto Douglas gi&agrave; dotata di freni a disco con la terza ruota montata su una manovella che il passeggero poteva abbassare o sollevare con una lunga leva, cos&igrave; da massimizzare la velocit&agrave; in curva. Nelle svolte a sinistra, Perry faceva scendere la carrozzina per ritrovare aderenza con il terreno mentre in quelle a destra la alzava. Il vulcanico Dixon &egrave; ricordato anche per essere l&rsquo;unico ad aver vinto il Tourist Trophy con le due ruote (la Junior nel 1927), le tre (il citato 1923) e le quattro, nel 1935 e 1936, anche se il TT per le auto (vinto nel 1930 e 1933 da Tazio Nuvolari) si corse in Irlanda del Nord. La competizione non piacque ai costruttori perch&eacute;, a loro dire, dava un&rsquo;immagine errata di questo mezzo di trasporto, destinato soprattutto alle famiglie. Complice la scarsit&agrave; dei partenti, dopo tre edizioni i sidecar furono accantonati, salvo rientrare al TT nel 1954, quando per&ograve; furono chiamati a competere sul circuito Clypse da 17 km al giro. Un po' di storia  Risale al 1977, invece, il primo giro a 100 miglia orarie di media, autori Dick Greasley e Mick Skeels, ma nella stessa gara il primato fu portato a 102,8 miglia da George O&rsquo;Dell e Kenny Arthur su Windle-Yamaha. Nel 1990, nel tentativo di ridurre le velocit&agrave;, la cilindrata massima per i motori quattro tempi fu ridotta a 600 cm&sup3; (350 per i due tempi), ammettendo cos&igrave; soltanto la classe Formula Due. Ci&ograve; nonostante nel 1996, Dave Molyneux e Peter Hill riuscirono a rompere la barriera delle 110 miglia orarie di media sul giro. Peraltro Molyneux &egrave; il pi&ugrave; vittorioso di sempre con 17 trionfi tra 1989 e 2014, ma il suo primato &egrave; messo in pericolo dai Birchall che, aggiudicandosi il sette giugno scorso pure Gara 2, sono arrivati a meno tre dalla vetta. Hanno dovuto sudare sette camicie perch&eacute; Founds e Walmsley all&rsquo;ultimo giro hanno girato a 120,079. I due fratelli, per&ograve;, hanno ritoccato il record, portandolo a 120,645, con un giro in 18&rsquo;45&rdquo;850, conquistando l&rsquo;undicesima vittoria di fila al TT. L&rsquo;ultima volta che non ci sono riusciti risale al 4 giugno 2016: quel giorno strapparono il record sul giro a Molyneux ma all&rsquo;ultimo giro, quando avevano 34 secondi di vantaggio, furono appiedati da un guasto a Sulby Crossroads. Al primo giro invece aveva perso la vita il pilota australiano Dwight Beare, vittima di uno schianto a 220 km/h mentre Benjamin Binns se la cav&ograve; con qualche frattura. La successiva inchiesta non rilev&ograve; alcuna anomalia del loro sidecar Suzuki. Orgoglio tricolore: il TT di Bonetti | Quella (S)Volta Che       

Il loro equipaggio &egrave; stato il primo a completare un giro al TT con un sidecar oltre le 120 miglia orarie. Un primato immediatamente ritoccato

I fratelli Birchall, un record di famiglia | Quella (S)Volta Che

        Per il secondo anno di fila il campione in carica della MXGP non sar&agrave; al via del Mondiale: Tim Gajser, reduce dall&rsquo;operazione al femore destro infortunato negli Internazionali d&rsquo;Italia ad Arco, salter&agrave; i primi tre round, in Argentina (12 marzo), a Riola Sardo e in Svizzera. Il titolo MXGP, un sortilegio  Lo sloveno avrebbe espresso l&rsquo;intenzione di rientrare proprio in occasione del GP Trentino, in programma il 16 aprile, ma anche se ci riuscisse difficilmente avrebbe la condizione per competere per le posizioni di vertice nei primi appuntamenti. L&rsquo;anno scorso a infortunarsi a febbraio era stato Jeffrey Herlings, e nemmeno in gara: l&rsquo;incidente era avvenuto durante uno... shooting fotografico precampionato. E cos&igrave;, lo scorso anno l&rsquo;olandese non &egrave; riuscito a disputare nemmeno un Gran Premio. Gi&agrave; nel 2019, dopo essersi aggiudicato il suo primo titolo della classe regina, la stella della KTM marc&ograve; visita nella parte iniziale della stagione, saltando i primi sette round, a causa delle fratture al piede destro patite in allenamento in Spagna, sempre a febbraio. Fece in tempo a disputare appena un round e mezzo prima di rompersi la caviglia destra nel giro di allineamento (!) del GP Lettonia, in cui comunque si prese Gara 1 prima di alzare bandiera bianca. Quell&rsquo;anno Herlings conquist&ograve; soltanto due GP, gli ultimi della stagione, in Turchia e in Cina. Il sortilegio di Gajser  Tornando a Gajser, crolla il mito della sua indistruttibilit&agrave;, alimentato dal filotto di risultati degli ultimi due anni e mezzo. Nel 2022, su 18 GP soltanto due volte aveva raccolto meno di 30 punti: nel GP Fiandre, a Lommel, dove era stato due volte settimo incassando 28 punti, mentre in Finlandia ne aveva intascati 29, grazie a un sesto e un settimo posto. Nei 18 round del 2021 invece il punto pi&ugrave; basso furono i 15 punti del GP Sardegna, a cui partecip&ograve; dopo essersi fratturato la clavicola in allenamento in Croazia. A quel punto della stagione aveva 28 lunghezze di vantaggio su Romain Febvre, 29 su Tony Cairoli, 34 su Herlings (poi campione) e 40 su Jorge Prado. Penalizzato da un pessimo cancelletto, a causa del 18&deg; posto in qualifica, Gajser inizi&ograve; la prima manche in modo disastroso: alla prima curva centr&ograve; un rivale rimasto a terra e ripart&igrave; quasi ultimo. Caduto una seconda volta riusc&igrave; a raggranellare un paio di punti con il diciannovesimo posto. In Gara 2 conquist&ograve; il 12&deg; posto al primo giro e lo difese a lungo, prima di andare a prendersi l&rsquo;ottavo posto e i relativi tredici punti. Fu l&rsquo;unica volta in cui rest&ograve; sotto quota 25 mentre al GP Repubblica Ceca mise in saccoccia 28 punti: a Loket perse Gara 1 per mezzo secondo, battuto da Prado, mentre in Gara 2 cadde al quinto giro. La leva della frizione rimasta incastrata nel paramano lo costrinse a fermarsi in pit lane, facendogli perdere ulteriori 28 secondi, ma riusc&igrave; a risalire fino al 15&deg; posto. Per trovare l&rsquo;ultimo &ldquo;zero&rdquo; di manche di Gajser bisogna tornare al GP Kegums del 16 agosto 2020: dopo aver vinto Gara 1 in scioltezza, con quasi nove secondi su Arminas Jasikonis, in Gara 2 stava lottando con il lituano per il bronzo quando l&rsquo;impianto elettrico della sua Honda lo piant&ograve; in asso al quartultimo giro. Quattro giorni prima, sulla stessa pista, in Gara 1 lo sloveno era incorso in un altro nulla di fatto, questa volta per caduta, con conseguente ritiro a sei giri dalla fine. Sono i soli &ldquo;zero&rdquo; di Gajser nell&rsquo;ultimo quadriennio della MXGP. Per trovare un intero suo GP senza punti bisogna risalire fino al 4 marzo 2018, quando non si present&ograve; al GP Argentina per la violenta caduta di cui era rimasto vittima durante la manche MX1 dell&rsquo;ultima gara degli Internazionali d&rsquo;Italia a Mantova. Trasportato all&rsquo;ospedale Carlo Poma fu sottoposto a un&rsquo;operazione per ridurre le due fratture alla mandibola. Torn&ograve; in pista due settimane dopo, ma pur disputando tutti i restanti diciannove GP non riusc&igrave; a imporsi nemmeno una volta: &egrave; stata l&rsquo;unica annata delle ultime otto in cui non ha vinto nemmeno un GP. Nel 2018, peraltro, non conquist&ograve; nemmeno una manche (impresa che gli riusc&igrave; nel 2014 in MX2 quando si mise tutti dietro in Gara 2 in Brasile e Messico) anche se otto volte ci and&ograve; vicino: in sette casi fin&igrave; secondo dietro Herlings, poi campione, e nel GP Lombardia fu battuto dal solo Cairoli. Il cambio del team No Limits | Quella (S)Volta Che       

Febbraio &egrave; diventato il mese dei ko dei campioni in carica: da Herlings a Gajser

Il sortilegio della MXGP | Quella (S)Volta Che

        Suzuki, fine di un&rsquo;era. E questa volta non ci riferiamo alla chiusura del progetto MotoGP, ma al passaggio di marca del Team No Limits, da sempre impegnato nell&rsquo;Endurance, dove &egrave; stato vice campione del mondo Superstock nelle ultime tre edizioni del campionato. La storia di Andrea Balestrieri | Quella (S)Volta Che Le parole di Codeluppi  Sono addirittura venti le stagioni di fila disputate dalla formazione giallonera con la Casa di Hamamatsu, con un bottino di un successo in gara, due secondi posti e cinque terzi, sette dei quali dal 2017. Il titolare Moreno Codeluppi&nbsp; &egrave; stato un fedele sostenitore Suzuki, acquistando in un ventennio una trentina di esemplari, con sconti simili a quelli praticati ad altri clienti: &ldquo;Se la Suzuki avesse mostrato interesse a portare avanti il modello GSX-R con aggiornamenti avrei aspettato. E invece, in questo arco di tempo, &egrave; mancata la comunicazione di Suzuki Italia: dopo ogni successo, riprendevano i post della SERT, ma quando nel 2021 abbiamo conquistato la 6 Ore di Most non hanno speso due parole. Il rapporto si esauriva nel comprare le moto e ordinare i ricambi&rdquo;. Valutando le diverse variabili, l&rsquo;estate scorsa il cinquantaquattrenne controllore zootecnico di Castelnovo Sotto (Reggio Emilia) si &egrave; deciso al grande passo: &ldquo;Dopo la gara di Spa ho iniziato a ragionare sul cambio, ma non per il ritiro della Suzuki, dato che avevo avuto garanzie sull&rsquo;approvvigionamento dei ricambi. Ma a parte l&rsquo;affidabilit&agrave;, punto forte della Suzuki nell&rsquo;Endurance, cominciavamo a pagare troppo in termini di prestazioni. Mancava potenza anche se eravamo saliti a quasi 205 cavalli&rdquo;. Non abbastanza per contrastare la concorrenza, come specifica Codeluppi: &ldquo;A Le Mans e Spa pagavamo 5-6 km/h di velocit&agrave; massima, al Bol d&rsquo;Or dai 10 ai 15 km/h. Era sempre pi&ugrave; faticoso recuperare nel misto ci&ograve; che perdevamo in rettilineo e la conferma l&rsquo;abbiamo avuta al Bol d&rsquo;Or, dove siamo giunti quinti senza mai essere competitivi per il podio (tre i giri di distacco dalla terza piazza, nde)&rdquo;. Il team manager si &egrave; messo alla caccia di alternative: &ldquo;Ho parlato con la squadra ufficiale BMW, visto che non avevano un team nella Stock ma ho capito che non se ne sarebbe fatto niente. Poi &egrave; stata la volta di Kawasaki Italia e, tramite concessionari, della Honda. A EICMA ho incontrato Massimo Rivola che mi ha parlato dell&rsquo;omologazione dell&rsquo;Aprilia 1100, ma non siamo andati avanti in maniera spedita e dovevo prendere una decisione per i test&rdquo;. La scelta Honda  La scelta &egrave; caduta sulla Honda CBR1000 SP, la moto vincitrice dell&rsquo;ultimo Bol d&rsquo;Or con il Rac 41 Chromeburner. Due gli esemplari acquistati, su cui sono iniziati gli interventi per l&rsquo;adattamento al regolamento, a partire dal cablaggio e dalla centralina HRC, passando per le sospensioni Bitubo e i serbatoi: &ldquo;Quest&rsquo;ultimo &egrave; il componente pi&ugrave; difficile, sono da 24 litri in alluminio e vorremmo sfruttare anche la parte sotto la sella. Li avevo ordinati a un fornitore francese ma li avrebbe avuti pronti per maggio, allora li faccio fare qui, dalla LM Racing di Novellara&rdquo;. Da quest&rsquo;anno &egrave; obbligatorio il sistema unico di rifornimento, realizzato dalla svizzera Staubli, che ha vinto il bando decennale della FIM. &ldquo;Secondo la Federazione &ndash; chiarisce Codeluppi &ndash; &egrave; un sistema che offre sicurezza e affidabilit&agrave;, evitando il verificarsi di spargimenti di benzina. Noi avevamo due tappi, uno per il carburante e l&rsquo;altro per l&rsquo;aria, questo &egrave; invece unico&rdquo;. Confermate invece le gomme Dunlop, obbligatorie per l&rsquo;intera Stock: "In una stagione ne facciamo fuori 75 set. A parte l&rsquo;acquisto delle moto, rappresentano la voce di spesa pi&ugrave; rilevante&rdquo;. Restano da ufficializzare i piloti, mentre la squadra continua a rafforzarsi: &ldquo;L&rsquo;anno scorso abbiamo ingaggiato due meccanici francesi, quest&rsquo;anno vorrei affiancare qualcun altro a Gigi Scassa, il padre di Luca, che si occupa di elettronica. La centralina HRC ti permette una marea di cose, ma &egrave; sofisticata, &egrave; l&rsquo;unico aspetto che mi impensierisce&rdquo;. Anche per questo predica prudenza: &ldquo;Sar&agrave; un anno di transizione, pi&ugrave; lavoreremo sulle moto e pi&ugrave; saremo competitivi. Ma a Le Mans siamo reduci da tre podi di fila per cui, anche se &egrave; la prima gara (15-16 aprile, nde), l&rsquo;auspicio &egrave; fare poker&rdquo;. Come impone la moto numero 44...       

Il team emiliano, protagonista del mondiale Endurance, passa alla Honda

Il cambio del Team No Limits | Quella (S)Volta Che

        La prima volta non si scorda mai, specialmente se rappresenta anche la prima assoluta per un Paese. Quarant&rsquo;anni fa Andrea Balestrieri divenne il primo motociclista italiano a concludere la Parigi-Dakar. Nelle prime due edizioni del Rally Raid pi&ugrave; celebre al Mondo, infatti, nessun nostro connazionale si era presentato al via tra le moto. Quella (S)Volta Che: l'impresa di Valerio Boni L'Italia e la Dakar  Nel 1980 ci aveva provato Dante Favaro con una Yamaha XT 500 ma era stato costretto al ritiro, cos&igrave; come Elia Andrioletti l&rsquo;anno dopo su KTM 495. Nel 1983 l&rsquo;Italia schier&ograve; addirittura sette piloti: Leandro Ceccarelli, Gianni Gagliotti, Massimiliano Valentini e Marco Folignati con le Morini, Alessandro Zanichelli, Paolo Bergamaschi e Balestrieri con le Yamaha XT 550. Su 119 motociclisti soltanto 28 giunsero a Dakar, complici 15 tappe pi&ugrave; due prologhi senza alcun giorno di riposo: 12.000 km in tutto, dall&rsquo;1 gennaio &ndash; partenza in Place de la Concorde &ndash; al 20 gennaio dopo aver attraversato Algeria, Niger, Burkina Faso (che ai tempi si chiamava Alto Volta), Costa d&rsquo;Avorio, Mali, Mauritania e Senegal. Balestrieri, parmense classe 1959 che ha fondato due societ&agrave; (Endu e MySDAM) operative nello sport amatoriale, oggi ci racconta la genesi di quella partecipazione: &ldquo;Nel 1981 avevo smesso di gareggiare nella Regolarit&agrave; per frequentare l&rsquo;universit&agrave;, Economia. Ma, stando fermo, mi venne la strana idea di partecipare alla Dakar. Con Bergamaschi e Zanichelli facemmo una gestione collegiale: due moto le comprammo e la terza ce la diede il concessionario di Parma. Per l&rsquo;assistenza, affittammo a caro prezzo un po&rsquo; di spazio sulla Mercedes di Cesare Pezzoni e Gianfranco Bonera, che erano in gara tra le auto. Avrebbero dovuto portarci una ruota o due, un ammortizzatore di ricambio e altro ancora, oltre a una borsa a testa con i nostri effetti personali. Per&ograve; le borse le lasciarono a Place de la Concorde. Anche al bivacco non li vedemmo mai tranne a Bamako, quando avevo rotto l&rsquo;ammortizzatore. Andai a dormire e la mattina mi ritrovai quello nuovo sulla moto: me l&rsquo;aveva montato Bonera di notte&rdquo;. L'avventura di Balestrieri  Non fu la sua unica disavventura: &ldquo;In una tappa lunghissima, dopo 100 km si svit&ograve; il tappo e persi tutto l&rsquo;olio del motore, per cui grippai. Qualcuno mi diede dell&rsquo;olio e io realizzai un tappo artigianale. La moto faceva un rumore stranissimo, ma arriv&ograve; ugualmente fino a Dakar, era una specie di trattore, andava con qualsiasi carburante!&rdquo;. Ma non soltanto: &ldquo;Durante la tappa da Nara a Kaedi, a causa della polvere, non vidi una pietra e anche se non andavo forte ruppi la ruota anteriore. Salii sul camion-scopa con cui feci 100 chilometri, lasciando la moto incustodita. Raggiunto un villaggio al confine tra Mali e Mauritania, notai un&rsquo;auto ferma con due ruote da moto, e mi feci vendere la ruota di una KTM con freno a disco mentre la mia aveva il tamburo. Firmai un documento per attestare che non volevo pi&ugrave; stare sul camion-scopa. Nel villaggio trovai il Prefetto che con una Land Rover mi riport&ograve; indietro alla moto. Per fortuna riuscii a montare la ruota, anche se un po&rsquo; ballava. Arrivai a fine tappa al mattino e dopo mezz&rsquo;ora ripartii per la successiva...&rdquo;. Balestrieri concluse al 24&deg; posto e fu l&rsquo;unico italiano al traguardo, inclusi i partecipanti tra auto e camion: &ldquo;Fu una Dakar durissima, la classifica era l&rsquo;ultimo dei miei problemi ma l&rsquo;obiettivo comunque lo centrai, anche se mi &egrave; dispiaciuto aver perso gli amici per strada&rdquo;. L&rsquo;anno dopo, con il settimo posto, Balestrieri fu il primo azzurro nella Top 10: &ldquo;Gi&agrave;, ma ero terzo a tre tappe dalla fine e poi finii in un canale&rdquo;. Nel 1985 venne squalificato per essere arrivato a spinta, dopo aver rotto tre motori. Si riscatt&ograve; con il terzo posto del 1986 mentre 12 mesi dopo conquist&ograve; l&rsquo;unico successo di tappa ma poi cadde, cos&igrave; come nel 1988 e 1989.  &ldquo;Ho smesso a 30 anni, tutto sommato ero ancora giovane &ndash; conclude Balestrieri &ndash; ricordo ancora l&rsquo;edizione di 40 anni fa, &egrave; stata bellissima perch&eacute;, pur avendo vissuto un sacco di vicissitudini, ho superato tutte le difficolt&agrave;. Stavo bene, sebbene dormissi sotto le stelle nel sacco a pelo che mi portavo dietro la sella...&rdquo;.       

Quarant&rsquo;anni fa, Balestrieri fu il primo motociclista italiano a tagliare il traguardo del Rally

Quella (S)Volta Che: Andrea Balestrieri, lo scopritore della Dakar

        Milioni di italiani sognano il giorno in cui andranno in pensione. Per altri, invece, l&rsquo;abbandono del posto di lavoro costituisce un problema, per l&rsquo;incapacit&agrave; di trovare qualcosa che possa riempire le giornate. Quella (S)Volta Che: Nancy e Rinus, i fratelli del Cross Valerio e le prove di resistenza  Valerio Boni, sessantatreenne lombardo, un passato da giornalista inclusa una collaborazione con Motosprint dal 1982 al 1986, ha risolto il problema a colpi di 24 ore alla volta. Nell&rsquo;ultimo anno ha stabilito due record del Mondo di durata e altrettanti ne aveva fatti segnare nel 2021. Eppure la sua passione per le prove di resistenza in sella risale agli anni post-diploma: &ldquo;Nel 1979, seppi di una serie di iniziative per promuovere una nuova rivista quindicinale, Tutto Vespa. Pensai di fare il record di distanza sulle 24 ore con una 50 Special, senza mai fermarmi. In rettilineo venivo affiancato da una PX su cui ogni tanto c&rsquo;era Virginio Ferrari, che mi fece anche da starter, e mi rifornivano senza rallentare. Dalla tanica usciva un tubo di travaso che mi veniva passato e uno di sfiato: il passeggero del mezzo di supporto soffiava nel secondo tubo, mettendo in pressione la tanica e favorendo cos&igrave; il travaso nel serbatoio. Mi fu messa a disposizione dalla Pirelli la pista di Vizzola Ticino, ma era novembre e ai tempi faceva freddo. Complici la nebbia e il ghiaccio percorsi 940,118 km, cio&egrave; quasi 20 in meno di quanti ne avrei fatti andando sempre a 40 km/h, velocit&agrave; limite dell&rsquo;epoca, a causa della condensa&rdquo;. Un risultato comunque eccezionale che garant&igrave; grande notoriet&agrave; a tutti i protagonisti, anche se nessuno si preoccup&ograve; di farlo omologare dal Guinness dei Primati. Boni l&rsquo;ha saputo soltanto di recente: &ldquo;Stavo guardando il Guinness quando ho visto che nel 2017 un australiano con una Yamaha Aerox 50 si era fermato a 928 km. Ho scritto loro, allegando la documentazione dei cronometristi e un video, ma essendo passati troppi anni non l&rsquo;hanno accettata. Cos&igrave; ho iniziato a studiare le altre categorie e ho individuato il record che mi sembrava pi&ugrave; abbordabile, 250 km in 24 ore con le Minimoto. Se lo proponi tu, costa cinque sterline e devi indicare quando, come e dove intendi cercare di batterlo. Loro hanno 12 settimane per valutarlo e darti una risposta, a meno che non paghi la priorit&agrave;: 800 Euro e ti rispondono in cinque giorni lavorativi&rdquo;. 11 Paesi in meno di 24 ore  Coinvolta la Polini, la caccia al primato &egrave; andata in scena dall&rsquo;11 al 12 maggio 2021 a Castelletto di Branduzzo sulla pista di kart, accorciata. La preparazione &egrave; stata relativamente semplice: "Mi ero fatto dare una Minimoto senza motore che avevo piazzato in casa. Ogni tanto mi sedevo, facevo un po&rsquo; di stretching, per abituarmi alla posizione". Nemmeno un temporale ha fermato l&rsquo;inseguimento di Boni che si &egrave; servito di una Polini 910 Carena RS HP 6.2: &ldquo;Avevo gi&agrave; percorso 300 km quando con la pioggia sono scivolato due volte: non avevamo le &lsquo;rain&rsquo;, soltanto le gomme intagliate ma non si stava in piedi. Piuttosto che andare a passo d&rsquo;uomo e inzupparmi tutto, abbiamo deciso di fermarci. Dopo un&rsquo;ora e mezza, tornato il Sole, sono ripartito, anche se al curvone sono caduto un&rsquo;altra volta quando stavo spingendo. Il problema maggiore &egrave; stato per&ograve; alle ginocchia, per la posizione in sella che una Minimoto comporta, cos&igrave; dopo 15 ore rialzarsi &egrave; stato impegnativo. Malgrado le 17 soste per il rifornimento ho percorso 751,488 km&rdquo;.&nbsp; Una quarantina di giorni dopo, con una MV Turismo Veloce Lusso SCS, approfittando del giorno dell&rsquo;anno con il maggior numero di ore di luce, il milanese &egrave; riuscito a visitare 11 Paesi in meno di 24 ore, partendo dalla Svezia e arrivando in Italia dopo aver percorso 2003 km, malgrado una notte di pioggia forte. &ldquo;Il record &egrave; stato per&ograve; respinto dal Guinness perch&eacute;, anche se &egrave; fattibile rispettando i limiti di velocit&agrave;, la loro paura era che per migliorarlo qualcuno violasse il Codice della Strada. Cos&igrave; l&rsquo;ho fatto omologare dalla Iron Butt Association, un&rsquo;organizzazione statunitense per la guida in moto su lunghe distanze, che certifica soltanto chi percorre almeno mille miglia in 24 ore. Non &egrave; stato particolarmente faticoso, sono abituato ad andare in moto&rdquo;. &nbsp; (continua&hellip;)       

La storia del lombardo, con un passato da collaboratore con Motosprint

Quella (S)Volta Che: Valerio Boni, un'impresa da Guinness dei Primati

        La seconda gravidanza di Kiara Fontanesi, che in agosto ha dato alla luce Alaska, ha fatto finire in un cono d&rsquo;ombra il Mondiale di Motocross femminile, la WMX. Dopo le precedenti tre edizioni preda della neozelandese Courtney Duncan, il trofeo &egrave; tornato in Europa. La storia di Nancy...  Ma se in passato si erano aggiudicate il titolo la tedesca Stephanie Laier, la francese Livia Lancelot e la nostra Kiara, questa volta sono saliti in cattedra i Paesi Bassi, capaci di conquistare il primo e il secondo gradino del podio e pure la quarta posizione, rispettivamente con Nancy Van de Ven, Lynn Valk e Shana Van der Vlist. La Van de Ven ha coronato un lungo inseguimento perch&eacute; dal 2013 ha sempre chiuso il campionato nelle prime cinque posizioni ed &egrave; stata vice campionessa cinque volte: nel 2016 (dietro alla transalpina), nel 2018 (preceduta dalla parmense) e nel triennio 2019-21. &ldquo;Ho sognato questo momento per cos&igrave; tanto tempo &ndash; il suo commento dopo l&rsquo;ultima gara, ad Afyonkarahisar in Turchia &ndash; tante volte mi sono avvicinata ma per un motivo o per l&rsquo;altro l&rsquo;ho mancato. Sono cos&igrave; felice!&rdquo;. Nata il 13 novembre 1997, fin da piccola ha iniziato a frequentare i Crossodromi al seguito del fratello maggiore Rinus, classe 1988. ...e Rinus  Nel 2003 questi fu quarto sia all&rsquo;Europeo che al Mondiale della classe 85 ma due anni dopo, mentre gareggiava in 125 nel campionato nazionale, la sua carriera conobbe una battuta d&rsquo;arresto: a causa di una caduta gli venne rimossa la milza, e pure rene e pancreas furono danneggiati. Ripresosi, nel 2007 Van de Ven conquist&ograve; i primi punti nel Mondiale, in MX2: a Lierop fu diciannovesimo in Gara 1 a oltre due minuti da Antonio Cairoli e 18&deg; in Gara 2 a un giro dal siciliano. L&rsquo;anno dopo, nella medesima categoria, totalizz&ograve; 14 punti, e 14&deg; fu anche il suo miglior piazzamento di manche, nella prima a Valkenswaard in cui riusc&igrave; a precedere Davide Guarneri. Nel 2009 a gennaio si aggiudic&ograve; la diciassettesima edizione del Supercross di Goes, restando in testa dalla partenza all&rsquo;arrivo. Un ottimo avvio, ma l&rsquo;infortunio a un menisco e la mononucleosi lo fermarono per sei mesi. La stagione seguente, Rinus firm&ograve; insieme a Nancy per il team KTM di Burkhard Sarholz ma durante il Supercross di Stoccarda rischi&ograve; la vita. Durante un sorpasso non riusc&igrave; a saltare una gobba, finendo per colpirla violentemente prima di essere travolto dalla propria moto. La gravit&agrave; dell&rsquo;incidente fu subito chiara e la gara venne interrotta. Come raccont&ograve; il padre Giel: &ldquo;Ci fu un grande caos. Rinus aveva un aspetto molto strano e tutti i medici corsero da lui. Gli misero subito la flebo e come mi disse dopo, pensava che sarebbe morto". In ospedale riscontrarono 15 fratture, fra cui otto vertebre, sterno e diverse costole: &ldquo;Pensavo che sarei morto perch&eacute; non riuscivo a respirare&rdquo;. Subito operato, trascorse due giorni in terapia intensiva e di fatto appese il casco al chiodo, pur avendo soltanto 22 anni. Nel 2018, intervistato dal sito Red Bull, ha raccontato: &ldquo;Si dice che vedi un tunnel bianco quando guardi la morte in faccia. Io ho guardato bene all&rsquo;interno di quel tunnel e ho iniziato a vedere persone, vestite in qualche modo. Se lo dici a qualcuno, pensano che tu sia matto. Quando ero in un letto d&rsquo;ospedale, pi&ugrave; morto che vivo, Nancy decise di iniziare a correre. Le chiesi di non farlo&rdquo;. Nel 2011 la ragazzina si aggiudic&ograve; il campionato olandese femminile della 85 e due anni dopo pass&ograve; al Mondiale. Rinus &egrave; tornato alle gare nel novembre 2018, in occasione della Red Bull Knock Out 2018, prova del Mondiale di Enduro Estremo sulla spiaggia di Scheveningen. Trentacinquesimo nella manche di qualifica, &egrave; riuscito a chiudere al 23&deg; posto, a quattro giri dal vincitore Nathan Watson ma si &egrave; tenuto tutti dietro nella MX2, precedendo di cinque secondi e mezzo Tom Meijer e rifilando due giri al terzo, Dani Hoitink. Una soddisfazione immensa, al cospetto della sorella Nancy, anch&rsquo;essa in sella. Conclusa al 54&deg; posto alla manche di qualifica disputata da oltre 800 concorrenti, era nella Top 50 della finale ma a tre minuti dall&rsquo;arrivo le si &egrave; rotto il motore. Per una volta a sorridere &egrave; stato Rinus. Ma Nancy si &egrave; rifatta con gli interessi. Quella (S)volta Che: l'Italia e il salto indietro nella Moto2       

La staffetta off-road dei Van de Ven, tra incidenti e titoli mondiali

Quella (S)volta Che: Nancy e Rinus, i fratelli del Cross

        Il benservito dato alla Clinica Mobile ha scatenato una valanga di proteste in rete. Una reazione che &egrave; conseguenza dell&rsquo;incredibile servizio offerto dal Dottor Costa e dai suoi eredi in quasi mezzo secolo di attivit&agrave;. Il suo posto &egrave; stato preso dalla spagnola Quir&oacute;nSalud, come riportato da vari articoli che per&ograve; non si sono soffermati sull&rsquo;erede. L'eredit&agrave; del Dottor Costa  Quir&oacute;nSalud era gi&agrave; main sponsor della Clinica Mobile, come indicato sul sito della stessa. Ma non soltanto, perch&eacute; dal 2013 il team medico della MotoGP, l&rsquo;unit&agrave; di pronto intervento per gli incidenti nel Motomondiale composta dalle due medical car, &egrave; organizzata e coordinata da Quir&oacute;nSalud. Ogni vettura ha a bordo un medico e un paramedico, ma soprattutto le ultime tecnologie per la terapia intensiva, dal defibrillatore all&rsquo;aspiratore endotracheale, utili a liberare le vie aree superiori per poi eventualmente trasferire il paziente in ospedale. Il servizio &egrave; stato offerto in tutte le gare del Mondiale sotto la direzione di Angel Charte, classe 1955, capo del dipartimento di medicina dell&rsquo;ospedale universitario Quir&oacute;n Dexeus di Barcellona. Come ha raccontato a El Pais: "Un giorno nel mio ospedale sono comparsi i vertici della MotoGP offrendomi il nuovo progetto. Fu dopo la morte di Marco Simoncelli. All&rsquo;inizio rifiutai, ma poi cambiai idea. Bisognava dare una possibilit&agrave; di vivere ai piloti e l&rsquo;unico modo era lavorare a bordo pista". Anni dopo, nel 2017, Quir&oacute;nSalud fu nominata Servizio Medico Ufficiale del Motomondiale e cos&igrave; il marchio compar&igrave; sul sito della MotoGP e sui suoi social network, e sponsorizz&ograve; la Clinica Mobile. Secondo un articolo pubblicato dal sito della MotoGP &ldquo;Il nuovo accordo con Quir&oacute;nSalud assicurer&agrave; che la Clinica Mobile rimanga all&rsquo;avanguardia nel suo campo, oltre a continuare a svilupparsi e progredire nel frenetico mondo della MotoGP&rdquo;. Pau Serracanta, ai tempi amministratore delegato di Dorna Sports, comment&ograve;: &ldquo;Sono molto felice di questo accordo perch&eacute; abbiamo rafforzato i nostri legami con Quir&oacute;nSalud&rdquo;. Quella (S)volta Che: l'Italia e il "salto indietro" in Moto2 Una sostituzione prevedibile  Dal 2018 la collaborazione ha portato alla creazione del primo ospedale mobile sui circuiti europei, dotato di attrezzature quali radiologia digitale, ecografia dei tessuti molli, elettrocardiogramma e unit&agrave; di rianimazione. All&rsquo;annuncio il dottor Charte sottoline&ograve; che &ldquo;Questo accordo porta ai massimi livelli di assistenza medica la MotoGP in specialit&agrave; delicate come la medicina intensiva e i politraumi gravi&rdquo;. E sempre da quell&rsquo;anno ogni pilota delle tre categorie si deve sottoporre a una visita medica effettuata dalla Direzione Medica di Quir&oacute;nSalud. Tutto ci&ograve; dimostra che l&rsquo;inserimento dell&rsquo;istituzione iberica in MotoGP non &egrave; un fulmine a ciel sereno bens&igrave; il frutto di un allargamento complessivo delle sue competenze nel paddock. D&rsquo;altro canto Quir&oacute;nSalud, la cui sede &egrave; a Madrid, &egrave; il pi&ugrave; grande gruppo ospedaliero privato in Spagna, forte di 50 cliniche (quattro soltanto nella Comunit&agrave; di Madrid), una novantina di centri ambulatoriali e 300 centri di prevenzione dei rischi professionali. Ogni anno assiste oltre 12 milioni di pazienti ed &egrave; in continua crescita, come dimostrano i dati del bilancio: 4,021 miliardi di Euro di ricavi nel 2021, ben 546 milioni di Euro in pi&ugrave; dell&rsquo;anno prima.  Passa alla prossima scheda &nbsp; Il colosso Fresenius  Anche l&rsquo;utile lordo ha subito un balzo, arrivando a 514 milioni di Euro nell&rsquo;ultimo esercizio. Frutto della fusione di due reti ospedaliere private spagnole, il Gruppo Ospedaliero Quir&oacute;n di Arag&oacute;n e IDC Salud di Castilla-La Mancha, dal 2016 fa parte del gruppo sanitario tedesco Fresenius, che per rilevare l&rsquo;intero capitale sociale sbors&ograve; 5,76 miliardi di Euro. Fresenius &egrave; un colosso da 310mila dipendenti, opera in 100 Paesi e vanta un fatturato annuo di 37 miliardi e mezzo di Euro che si traduce in un utile lordo di 4,158 miliardi di Euro. La sua acquisizione di cliniche non conosce soste, cos&igrave; come gli investimenti per immobili e impianti, voce che ha assorbito due miliardi di Euro nel 2021. Che abbia avuto la meglio sulla minuscola Clinica Mobile, pur egregiamente diretta dai dottori Michele Zasa e Guido Dalla Rosa Prati, non stupisce nessuno.       

La storia di Quir&oacute;nSalud, entrata in MotoGP dopo la morte di Simoncelli

Quella (S)volta Che: MotoGP e il futuro post-Clinica Mobile

        Ventuno agosto 2022, una giornata storica per il motociclismo italiano: Pecco Bagnaia &egrave; diventato il secondo ducatista dopo Casey Stoner a vincere tre GP consecutivi della classe regina e il secondo italiano dopo Valentino Rossi ad aggiudicarsi tre gare di fila della MotoGP. Quella (S)volta Che: le moto, i videogames e i flipper Italiani a secco in Moto2 al Red Bull Ring  Erano invece 50 anni che un binomio italiano non conquistava tre successi di fila in 500-MotoGP: l&rsquo;ultimo era stato Giacomo Agostini con l&rsquo;MV Agusta nel 1972, anno in cui sal&igrave; sul gradino pi&ugrave; alto del podio nelle prime cinque gare, and&ograve; a vuoto ad Abbazia e poi vinse i sei successivi GP. A questa gioia ha fatto da contraltare lo &ldquo;zero&rdquo; legato ai piloti italiani in Moto2: zero come i punti conquistati dai nostri portacolori nel GP Austria. Il primo a uscire di scena &egrave; stato Alessandro Zaccone alla Curva 3 del secondo giro. Nello stesso punto al giro 17 &egrave; andato gi&ugrave; Celestino Vietti Ramus mentre in quello successivo Tony Arbolino ha tamponato Lorenzo Dalla Porta, rimasto piantato in uscita di curva per noie tecniche e i due sono ruzzolati a terra. A quel punto non ci restavano che Niccol&ograve; Antonelli e Simone Corsi ma il portacolori Mooney-VR46 ha chiuso ai margini della zona punti, 16&deg;, e il pilota MV Agusta si &egrave; fermato alla ventesima posizione. Il precedente risale al 2015  Una disfatta storica perch&eacute; l&rsquo;ultimo GP della classe intermedia senza italiani a punti era stato il GP Gran Bretagna 2015. Ai tempi per&ograve; schieravamo soltanto tre piloti stabilmente: Simone Corsi e Lorenzo Baldassarri con Forward Racing e Franco Morbidelli con Italtrans Racing, tutti su Kalex. E soprattutto, in Austria eravamo al completo, mentre in quel precedente &ldquo;zero&rdquo; mancava Morbidelli. L&rsquo;italo-brasiliano era stato il migliore nella prima parte dell&rsquo;annata: quattro quinti posti e un sesto, poi la gioia del podio a Indianapolis ma alla vigilia di Silverstone si frattur&ograve; tibia e perone in allenamento e fu rimpiazzato da Federico Caricasulo. La pole del GP Gran Bretagna fu conquistata da Sam Lowes che part&igrave; in prima fila affiancato da Alex Rins e Johann Zarco. In terza fila con l&rsquo;ottavo tempo Baldassarri, in quinta fila Corsi mentre Caricasulo fu 30&deg; a oltre quattro secondi dal miglior crono. Sotto l&rsquo;acqua il quartetto composto da Rins, Tito Rabat, Alex Marquez e Zarco fece il ritmo. Il transalpino rest&ograve; sornione finch&eacute; al settimo giro prese la testa e in un paio di giri accumul&ograve; tre secondi e mezzo di vantaggio. Il gap continu&ograve; a crescere fino al tredicesimo giro, quando sfior&ograve; gli otto secondi, ma poi Zarco tir&ograve; i remi in barca: vinse con tre secondi su Rins e quasi sei su Rabat. Anche i &ldquo;nostri&rdquo; sembravano in palla nelle battute iniziali: al terzo giro Baldassarri era settimo e Corsi ottavo ma poi i loro destini si separarono. Il primo era 11&deg; e il compagno al 20&deg; quando al tredicesimo giro entrambi finirono a terra nel terzo settore. Pur ripartiti, presero la via dei box, la stessa scelta dal pilota del team bergamasco al 12&deg; giro complice un ritardo di due minuti dal battistrada. Caricasulo per&ograve; ripart&igrave;, piazzandosi al 26&deg; posto, pur doppiato. Anche in quel caso la delusione fu annacquata dall&rsquo;esito della MotoGP: vinse Rossi davanti a Danilo Petrucci ed Andrea Dovizioso e il pesarese prese la testa della classifica con 12 punti di vantaggio su Jorge Lorenzo, medaglia di legno. Tornando alla Moto2, da allora per 124 GP consecutivi almeno un italiano ha conquistato punti. In quest&rsquo;arco di tempo, sempre limitandoci alla Moto2, il tricolore &egrave; sventolato 106 volte e in 40 occasioni &egrave; stato suonato l&rsquo;Inno di Mameli. Merito di dieci piloti differenti: otto successi per Morbidelli e Bagnaia, sei Luca Marini, cinque Baldassarri, tre Enea Bastianini, Marco Bezzecchi e Vietti Ramus, due Mattia Pasini, uno Fabio Di Giannantonio e Arbolino. I 106 podi nelle ultime 124 gare, Austria esclusa, portano la firma di undici piloti: i dieci citati pi&ugrave; Simone Corsi, un secondo e un terzo posto con la SpeedUp nel 2016. Comanda Morbidelli con 20 podi, poi Pecco e Marini con 15, Bez con 14 e Lorenzo con 12. Nell&rsquo;ultimo biennio per&ograve; abbiamo portato sul podio solo due piloti a campionato: non ne avevamo cos&igrave; pochi in Moto2 dal 2015. Un dato su cui riflettere. Quella (S)volta Che: quando le moto italiane fanno poker       

Il GP Austria ha offerto un dato negativo su cui riflettere