Durante il weekend del British Superbike andato in scena sul tracciato londinese, grandi piloti del passato quali Niall Mackenzie, John Hopkins e Randy Mamola hanno effettuato alcuni giri di esibizione in sella alle moto che hanno fatto la storia del Motomondiale. Eccoli in azione

Il "ruggito" del due tempi: le iconiche 500 in pista a Brands Hatch

Nella quarta puntata del nostro podcast si parla di Randy Mamola, il funambolico pilota americano capace di far innamorare tifosi e addetti ai lavori grazie al suo temperamento, stile di guida e carisma. Nonostante il pilota californiano non sia mai riuscito a vincere il tanto agognato titolo in 500, &egrave; riuscito a ritagliarsi uno spazio importante nella storia della top class, tanto da essere l&#39;unico pilota ammesso nella hall of fame del motomondiale senza aver vinto un titolo. Con 13 vittorie &egrave; uno dei piloti pi&ugrave; vincenti degli anni 80&#39;, sicuramente uno dei pi&ugrave; iconici di una tra le ere pi&ugrave; fortunate della storia delle due ruote. Per ben quattro volte Mamola chiuse la stagione da vice-campione del mondo, due volte in sella alla Suzuki e poi con Honda e Yamaha, a dimostrazione anche di una spiccata duttilit&agrave; con moto diverse.  L&#39;inizio con Suzuki e i duelli con Kenny Roberts e Marco Lucchinelli   Nel 1979 Mamola fa il suo esordio in 500 in sella alla Suzuki riuscendo a cogliere subito due podi, prestazioni che convinsero la casa di Hamamatsu a promuoverlo affidandogli la moto ufficiale. I risultati non tardarono ad arrivare e nel 1980 Mamola si gioc&ograve; il titolo con il suo idolo d&#39;infanzia, Kenny Roberts, gi&agrave; detentore dei due titoli iridati precedenti, riuscendo a conquistare i GP del Belgio e della Gran Bretagna. Tuttavia, mentre il &quot;marziano&quot; vinse il suo terzo titolo consecutivo, Mamola dovette accontentarsi della piazza d&#39;onore. Grazie all&#39;ottima annata disputata, il pilota di San Jose sal&igrave; alla luce della ribalta per il suo particolare stile di guida in sella e per il grande controllo della moto.  Nel 1981 Mamola e la Suzuki furono nuovamente protagonisti per l&#39;iride insieme a Marco Lucchinelli, compagno di squadra dello stesso Mamola. I favori dei pronostici alla vigilia della stagione 1981 furono tutti per l&#39;americano che rispett&ograve; le aspettative vincendo subito due gare nella prima met&agrave; di stagione e piazzandosi in testa alla classifica. Tuttavia la seconda parte del campionato fu ad appannaggio di Lucchinelli che vinse poi il mondiale relegando l&#39;allora 22enne californiano alla seconda posizione finale. Le ultime due stagioni con Suzuki furono deludenti, la moto di Hamamatsu non riusc&igrave; a tenere il passo di Honda e Yamaha, divenendo lentamente meno competitiva delle cugine. Mamola collezion&ograve; una sola vittoria e alla fine del 1983 diede l&#39;addio alla casa giapponese.  &nbsp;  Il titolo sfiorato con Honda nel 1984 e il miracoloso salvataggio di Misano 1985   Nel 1984 l&#39;americano pass&ograve; in Honda e disput&ograve; probabilmente la migliore stagione della sua carriera, concludendo il campionato con 9 podi su 10 gare, nonch&eacute; tre vittorie. Tuttavia, essendo stato chiamato dalla casa di Tokyo solo dopo i primi due GP, non prese parte all&#39;intero campionato, dovendosi cos&igrave; piazzare in classifica alle spalle di Eddie Lawson e alla Yamaha. L&#39;anno successivo Mamola non riusc&igrave; a replicare le prestazioni mostrate nel 1984 e concluse l&#39;annata in terza posizione alle spalle di Eddie Lawson e Wayne Gardner. Durante la gara di Misano l&#39;americano comp&igrave; un leggendario salvataggio entrato nella storia delle due ruote. Mamola riusc&igrave; a controllare la moto (che tent&ograve; di disarcionarlo) con un numero da circo, finendo poi la gara sul terzo gradino del podio; una delle manovre pi&ugrave; iconiche degli anni 80&#39;.    Nel 1987 vice-campione del mondo per la quarta volta consecutiva   Nel biennio 86-87 Mamola disput&ograve; le ultime stagioni da protagonista e lo fece con la Yamaha del team di Kenny Roberts. Ancora una volta i risultati non mancarono, sia per le vittorie che per i podi, ma il guizzo decisivo per il titolo stent&ograve; ad arrivare. Nel 1986 il californiano trionf&ograve; in Belgio e concluse l&#39;annata in terza posizione mentre l&#39;anno successivo collezion&ograve; ben 12 podi e tre vittorie ma per soli 20 punti dovette cedere le ambizioni iridate a favore di Wayne Gardner. Nel 1988 si apr&igrave; l&#39;ultima fase di carriera di uno tra i piloti pi&ugrave; amati della sua generazione; l&#39;americano spos&ograve; il progetto Cagiva, una sfida ardua che termin&ograve; con un solo podio in tre anni. Nel 1992 Mamola disput&ograve; la sua ultima stagione tornando in sella alla Yamaha e terminando il campionato (vinto da Wayne Rainey) in decima posizione.  Gli anni &amp;#39;80 di Randy Mamola | RSS.com  SBK, &quot;Come ti preparo l&#39;inverno&quot;: l&#39;off-season raccontata dal team Go Eleven  &nbsp; 

Il pilota di San Jose &egrave; rimasto nel cuore degli appassionati per il suo carisma e per il suo funambolico stile di guida

Storie Sprint, Randy Mamola: il pi&ugrave; amato tra gli eterni secondi

Nel 1979 Randy Mamola prese parte alla sua prima stagione in classe regina in sella alla Suzuki, cogliendo subito due podi. L'anno successivo l'americano lottò per il titolo, vinse due gare e terminò l'anno alle spalle di Kenny Roberts

Ripercorriamo le tappe della leggendaria carriera di Randy Mamola, uno dei piloti più iconici degli anni 80'. Il pilota statunitense fu tra i più veloci della sua era, tanto da terminare per ben quattro volte come vice-campione del mondo della classe regina. Per un totale di 160 gare disputate e 13 vittorie in carriera

Randy Mamola, l'americano quattro volte vice-campione del mondo della 500

        Se mi chiedete qual &egrave; la moto da corsa che avevo pi&ugrave; voglia di provare, vi rispondo subito: la Ducati 1098R F08. Perch&eacute; dopo anni di studi e preparativi, in quella fase storica il regolamento Superbike finalmente apr&igrave; le porte ai bicilindrici di 1.200 cm3. Il campionato, che fino al 2007 aveva vissuto sulla sfida a pari cilindrata fra due e quattro cilindri, trov&ograve; nuovi spunti di interesse e di discussione tecnica. Da una parte la Ducati, che ha spinto molto per questa soluzione, trovandosi stretta nella morsa di un mercato in cui ormai le sue 999 bicilindriche si trovavano nell&rsquo;impossibilit&agrave; di contrastare le strapotenti quattro cilindri giapponesi, e dall&rsquo;altra, appunto, i costruttori nipponici, che temevano di doversi inchinare ad una superiorit&agrave; tecnica Ducati nelle competizioni. La 1098R F08 che ho avuto l&rsquo;opportunit&agrave; di provare &egrave; quindi nella stessa identica configurazione con cui &egrave; stata sviluppata durante l&rsquo;inverno: motore di 1198 cm3, air restrictor a valle dei corpi farfallati di 50 mm &Oslash; (sono di forma ellittica, quindi la misura &egrave; riferita al cosiddetto &ldquo;diametro equivalente&rdquo;), e 168 kg di peso minimo. Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250 &Egrave; proprio come mamma l&rsquo;ha fatta   Sanno tutti che fino alle precedenti 999, per far andar forte le sue bicilindriche la Ducati era costretta a scavare fino al fondo del regolamento per trovare cavalli. I motori erano dei veri e propri prototipi, troppo costosi da mantenere per i team privati, che ormai erano praticamente monopolizzati dalle marche giapponesi. Oltre ai costi, la 999 era comunque al limite fisico dello sviluppo, e solo la grande esperienza Ducati sul fronte della gestione elettronica le aveva permesso di vincere il titolo nel 2006 e di lottare per le prime posizioni nel 2007. C&rsquo;era bisogno di una svolta, in pista e sul mercato, e quindi, approvato il nuovo regolamento, lo sviluppo della 1098R F08 &egrave; proceduto di pari passo con quello della moto di &ldquo;serie&rdquo; da cui deriva, la 1098 R. Ernesto Marinelli, responsabile tecnico del team, mi ha confermato che la creatura di Bayliss e Fabrizio, cos&igrave; come quelle dei team privati, differiva dalla &ldquo;standard&rdquo; soprattutto nella ciclistica. L&rsquo;avantreno &egrave; completamente racing, con la Forcella Ohlins TTX 20 pressurizzata con steli di 43 mm &Oslash;, nuove testa e piastra di sterzo e freni Brembo con pinze P4 monoblocco con pistoncini da 34 mm mm &Oslash;. Nel posteriore sono diversi il forcellone (mantenendo il disegno originale) e il leveraggio della sospensione, mentre l&rsquo;ammortizzatore, che gi&agrave; di serie &egrave; il prestigioso Ohlins TTX 36 a doppia regolazione, &egrave; modificato nei piedini (per consentire il montaggio dei potenziometri dell&rsquo;acquisizione dati) e nel settaggio interno. Altra modifica importante &egrave; l&rsquo;adozione dei cerchi Marchesini forgiati in magnesio da 16,5&rdquo; (&egrave; per alloggiarli che viene modificato il forcellone) con il posteriore che pu&ograve; avere un canale di 6,00&rdquo; o 6,25&rdquo; a seconda delle regolazioni e degli pneumatici scelti dai piloti di volta in volta. Non ci sono altre modifiche, carene e serbatoio da 24 litri in alluminio a parte. La prima Ducati con una posizione di guida &ldquo;giusta&rdquo;   Alla conferenza stampa Ducati di fine anno a Madonna di Campiglio, dissi a Claudio Domenicali che con la 1098 (mi riferisco a quella di serie) la Ducati aveva finalmente costruito una moto di serie con una posizione di guida &ldquo;intuitiva&rdquo;. I piloti hanno bisogno di sentirsi a casa propria. Quando guidano, non devono perdere tempo ad adattarsi a serbatoi lunghi, selle lontane o quant&rsquo;altro possa recare fastidio. La 1098 invece &egrave; &ldquo;naturale&rdquo; ti senti bene non appena sali in sella, e con questa 1098R F08 ti senti ancora meglio non appena fai un giro di pista per scaldare le gomme. Il mio primo giro l&rsquo;ho fatto a Monza, sotto un diluvio. Quel giorno non era possibile provare, quindi siamo tornati la settimana seguente al Mugello per il test. Ma gi&agrave; quel primo e unico giro a Monza l&rsquo;avevo concluso in monoruota e con un sorriso a trentadue denti sotto il casco. E dopo il primo giro al Mugello ho cominciato a pensare &ldquo;Wow... it&rsquo;s wonderful&rdquo;... Ops.. scusate, quando penso mi dimentico di tradurre: &ldquo;Wow, &egrave; meravigliosa!".&nbsp; Gi&agrave;, meravigliosa. Pensavo che avere tanta coppia in pi&ugrave; da gestire rispetto alla 1098 base potesse farla diventare difficile, aggressiva, invece &egrave; esattamente il contrario: ha lo stesso piacevolissimo carattere della sorella stradale, ma ti &ldquo;serve&rdquo; la tanta coppia con una dolcezza infinita. Tutto &egrave; facile, morbido e controllabile rispetto ai comandi sul gas, nonostante la spinta risulti impressionante. Cambiare stile di guida  Gi&agrave; dai primi giri, comunque, ho capito che qui ci vuole uno stile di guida diverso rispetto alle quattro cilindri giapponesi. &Egrave; una questione di assetto ciclistico e di erogazione, e tutto deriva proprio dal particolare motore. Qui, anche quando ti sembra di uscire dalle curve con il motore sottocoppia, appena ruoti il gas hai un&rsquo;accelerazione immediata, mentre con le &ldquo;quattro&rdquo; la prima risposta &egrave; molto meno rapida, cos&igrave; puoi aprire con pi&ugrave; decisione ed aspettare due cose: la derapata del posteriore e un&rsquo;accelerazione che comincia a farsi sentire veramente quando gi&agrave; hai finito di addrizzare la moto. Con la Ducati invece ti ritrovi subito una gran coppia, ed &egrave; per questo, credo, che la tengono un po&rsquo; &ldquo;bassa&rdquo; sul posteriore (almeno questa &egrave; la mia sensazione), per avere grip. O meglio, per avere grip da gestire con il controllo della trazione. Gi&agrave;, il controllo di trazione: ho dovuto cominciare a spingere davvero, nell&rsquo;ultimo round del mio test, per sentirlo entrare in azione in modo deciso, specie nelle curve a destra. E allora ho cominciato a capire cosa vuol dire nel linguaggio dei piloti moderni il &ldquo;setup&rdquo;. Ai miei tempi si trattava di sospensioni: leveraggi dell&rsquo;ammortizzatore, molle, regolazioni interne, geometrie. Oggi credo che tutto si riduca al tentativo, magari difficile, di armonizzare potenza ed erogazione del motore con il grip delle gomme, passando per la gestione elettronica. Tutto il resto passa in second&rsquo;ordine. Sfruttare al massimo il grip delle gomme per garantire accelerazione! Questa sembra la missione della 1098R F08.  Nei primi giri usavo le marce sbagliate, troppo corte, in molte curve del Mugello. Facevo in prima la San Donato e la esse successiva, perch&eacute; scalando fino alla prima avevo a disposizione un fantastico freno motore e la moto si inseriva in modo meraviglioso, quasi teleguidata. Entravo in curva ed era come se qualcuno mi tirasse gi&ugrave; la moto dal davanti. Perfetto per avere il massimo controllo e la massima sicurezza. Non come sulle quattro cilindri dove sembra sempre che qualcuno ti stia spingendo da dietro... Ma appena riprendevo in mano il gas per il cambio di direzione sinistra/destra la spinta sulla ruota motrice era tale che l&rsquo;avantreno si alleggeriva in modo evidente.  Assetti differenti  E poi avevo un altro problema: mi finiva la marcia, perch&eacute; in un attimo ero a 11.000 giri, dove tagliava il limitatore. Dopo un rapido consulto con Ernesto Marinelli, il responsabile tecnico del team, ho capito che potevo ottenere pi&ugrave; freno motore pur scalando solo fi no alla seconda se mi adattavo a fare quest&rsquo;operazione come Troy, senza usare la frizione in scalata. Cos&igrave; facendo la 1098 mi teneva meglio la linea alla corda e nella riapertura del gas avevo meno trasferimento di carico, quindi l&rsquo;avantreno era pi&ugrave; stabile, anche se conservava pur sempre un certo &ldquo;movimento&rdquo; dello sterzo, che non sono riuscito a eliminare anche in tutti i passaggi in sesta piena sul lungo rettilineo del Mugello. Ho pensato che fosse un movimento intrinseco della moto. &ldquo;Va talmente bene&rdquo; &mdash; ho detto fra me e me &mdash; &ldquo;che probabilmente fa come i cani quando sono felici e aspettano che gli lanci il bastone, scodinzolando serenamente&rdquo;. Poi Ernesto mi ha spiegato che probabilmente dipende dall&rsquo;assetto scelto da Troy, che vuole una moto molto rapida a voltare, perch&eacute; lui ha una guida nervosa, entra profondo in curva, la gira in un attimo e riapre il gas. Aldil&agrave; di questa &ldquo;leggerezza&rdquo; dello sterzo in accelerazione, il telaio della 1098 &egrave; favoloso, preciso e intuitivo. Guidando le moto da corsa trovi sempre motivo di divertimento, ma questa &egrave; veramente un parco giochi e allora mi sarebbe piaciuto poter giocare un po&rsquo; anch&rsquo;io con l&rsquo;elettronica. Io personalmente ci metterei un po&rsquo; pi&ugrave; di freno motore, perch&eacute; cos&igrave; com&rsquo;&egrave;, entrando in molte curve in seconda per avere la possibilit&agrave; di sfruttare la coppia in accelerazione prima che intervenga il limitatore, dovevo tenerla in traiettoria pizzicando i freni. A dire il vero sotto questo aspetto la moto era settata per Monza, a maggior dimostrazione di quanto oggi l&rsquo;elettronica permetta di modificare ogni parametro in funzione di ogni pista e dello stile di guida dei piloti. Ma sono questi &ldquo;giochi&rdquo; con l&rsquo;elettronica che ci spiegano perch&eacute;, a volte, i piloti Ducati non sono tutti competitivi allo stesso livello sulla stessa pista.  In frenata, vuoi per merito del sistema di gestione elettronica, vuoi per la potenza dei freni e per la messa a punto della ciclistica, questa moto &egrave; superba. Quando sei impegnato in staccata, mentre strizzi la leva, &egrave; come se tutto l&rsquo;avantreno si allargasse man mano che insisti, e questa, credetemi, &egrave; proprio la sensazione che il pilota cerca quando deve tentare l&rsquo;impossibile per fare il giro veloce o superare un avversario. SBK: Troy Bayliss, l'uomo con la valigia       

Il test di una delle Rosse di Borgo Panigale che hanno fatto la storia della Superbike. A metterla alla prova un tester d'eccezione: Randy Mamola, che ce l'ha raccontata in questo articolo

Prove amarcord: la Ducati 1098R F08 di Troy Bayliss

        28 anni fa l&rsquo;ultimo Mondiale disputato in 500, concluso in decima posizione con 45 punti ed un solo podio in sella alla Yamaha: parliamo di un californiano di grande talento capace di numeri incredibili, ovvero Randy Mamola. 61 anni il 10 novembre. Re senza corona  Californiano di San Jos&egrave;, non ha mai centrato il titolo mondiale nonostante i suoi 13 anni di militanza nella 500 (dal 1979 al 1992, anno del suo ritiro dopo l&rsquo;ultima gara in Sudafrica). E&rsquo;, insieme a Mike Hailwood, Eddie Lawson e Loris Capirossi, il pilota che ha vinto almeno un GP nella Classe regina con tre marche diverse. Ritiratosi dalle competizioni a fine '92, ha iniziato a fare le telecronache del Motomondiale ed essere inviato sui campi di gara per Eurosport, nel 2000 &egrave; stato inserito nella Motorcycle Hall of Fame e nel 2018 Legend della MotoGP.&nbsp;  Gli inizi  Il californiano &egrave; diventato pilota professionista all&rsquo;et&agrave; di 16 anni e fino al 1978 ha corso per i circuiti degli Stati Uniti. L&rsquo;anno successivo &egrave; stato portato sui circuiti del Motomondiale dalla Yamaha esordendo nella 250 in Venezuela. Quarto posto finale con 64 punti e tre podi, niente male per un rookie! Nello stesso anno disputa sia la 350, raccogliendo per&ograve; zero punti, e la 500 con la Suzuki, chiudendo il campionato in ottava posizione con 29 punti ed i primi due podi in carriera. La 500, i titoli da vice campione e i numeri da rodeo  La storia vera di Mamola in 500 parte dal 1980, sempre in sella alla Suzuki. 2 vittorie (Belgio, Inghilterra), 4 podi complessivi ed il primo titolo da vice campione alle spalle del connazionale Kenny Roberts. L&rsquo;anno successivo le vittorie sono sempre 2 con 7 podi successivi ma il finale &egrave; identico all&rsquo;anno precedente, vice campione dietro a Marco Lucchinelli per soli 11 punti L&rsquo;82 &egrave; un anno complicato per Randy: 1 sola vittoria e 4 podi complessivi per un sesto posto finale e 65 punti mentre l&rsquo;anno successivo torna sul podio mondiale con il terzo posto finale. Nel 1984 il passaggio in Honda dopo 4 anni di Suzuki. E&rsquo; di nuovo vice campione del mondo dietro al connazionale Eddie Lawson per 31 punti con 3 vittorie e 9 podi su 10 gare totali. Il suo '85 assomiglia all&rsquo;82 con il sesto posto finale e 72 punti ma con l&rsquo;highlight del numero da rodeo a Misano nell&rsquo;ultima gara stagionale che conclude al terzo posto nonostante quel numero.&nbsp; Nel biennio 86-87 cambia ancora marca andando a correre per Yamaha. 4 vittorie e 19 podi complessivi con la casa di Iwata. L&rsquo;86 lo chiude al terzo posto con 105 punti mentre nell&rsquo;87 &egrave; nuovamente vice campione alle spalle di Gardner per 20 punti.&nbsp; Il fascino dell&rsquo;Italia e della "Rossa"  Nel 1988, venne ingaggiato dalla Cagiva, primo top rider dei tempi moderni disposto ad accettare la sfida di correre con la moto italiana, una sfida che si prospettava impegnativa ed infatti i risultati scarseggiarono, forse anche per la sua guida aggressiva, ma Mamola riusc&igrave; comunque a regalare alla casa italiana un podio iridato, il primo per una casa italiana nella classe regina dopo un digiuno lungo 13 anni. L&rsquo;evento &ldquo;storico&rdquo; si verific&ograve; quando alla guida della C588 Randy arriv&ograve; terzo dietro a Wayne Gardner e Eddie Lawson al Gran Premio del Belgio disputato il 3 luglio 1988.  Con la casa italiana rimane fino al 1990, raccogliendo pochissime soddisfazioni oltre al podio dell&rsquo;88 per via di una moto non ancora ai livelli delle grandi della 500.&nbsp; Gli ultimi anni e la beneficienza  Dopo l&rsquo;anno sabbatico del '91, decide di rimettersi in gioco nel '92 ritornando in Yamaha. Un solo podio e tante top 10 per quella che &egrave; la sua ultima stagione da pilota professionista. Al termine del '92 appende il casco al chiodo dedicandosi full time all&rsquo;attivit&agrave; di beneficienza, iniziata nel 1986. Dal '96 &egrave; tra i fondatori dell&rsquo;associazione Riders for Health, che si occupa di fornire moto e addestramento tecnico per la loro manutenzione ai progetti che si propongono di distribuire medicinali o apparati medicali nelle zone rurali&nbsp;dell&rsquo;Africa. Randy torner&agrave; a far vivere brividi in moto ai fortunati passeggeri della Ducati Desmosedici biposto. &nbsp; Buon Compleanno Randy, Cavallo Pazzo!       

Considerato da molti come pilota dotato di grande talento, non ha mai agguantato il titolo mondiale nonostante abbia guidato moto molto competitive

Il "Cavallo Pazzo" Mamola spegne 61 candeline: tra genio e sregolatezza

Esattamente&nbsp;come faceva una trentina d&rsquo;anni fa, anche oggi Randy Mamola ama esibire&nbsp;stoppies&nbsp;lunghi una decina di metri, con la forcella a pacco e il posteriore che effettua il decollo. Il pi&ugrave; californiano degli americani visti in Europa propone determinate manovre ai passeggeri della Ducati biposto, allestita per intrattenere VIP, giornalisti e addetti ai lavori. Le doti del pilota (s&igrave;, pilota a tutti gli effetti, senza la preposizione &ldquo;ex&rdquo;) che ancora guida come se fosse impegnato in un Gran Premio &ndash; tra derapate, pieghe al limite e impennate &ndash; rappresentano un valore aggiunto al paddock del Motomondiale: &quot;Paddock che &egrave; cambiato parecchio in questi anni - racconta il sessantenne - e, se ci penso, nemmeno mi sono reso conto di come il tempo sia passato cos&igrave; rapidamente: pi&ugrave; veloce di una moto lanciata in rettilineo!&quot;.    Qual &egrave;&nbsp;la prima differenza che noti?  &quot;Rispetto a quando correvo io, il pi&ugrave; grande cambiamento &egrave; arrivato con l&rsquo;avvento dei social media; prima non avevamo smartphone e oggetti di questo tipo e noi piloti sembravamo personaggi tratti da racconti dei libri. Ora, invece, sembra di vivere in un film. Foto, filmati... tutto deve essere divulgato e condiviso subito, magari in diretta. Per questo motivo, forse, andare alle gare &egrave; meno eccitante, perch&eacute; non esiste l&rsquo;effetto sorpresa. Ma le corse restano divertenti e appassionanti in ogni pista in cui andiamo&quot;.  Tu hai calcato ogni circuito mondiale.  &quot;S&igrave;, e l&rsquo;atmosfera che trovo &egrave; sempre diversa. L&rsquo;evoluzione del professionismo ha portato grandi miglioramenti in ogni settore. In termini di sicurezza, ovviamente, tra passato e presente non ci sono paragoni: adesso le piste sono sicure e si lavora continuamente per incrementare questo aspetto. Sono arrivate anche le mega hospitality, i ristoranti e abbiamo servizi di ogni tipo&quot;.  Cosa c&rsquo;&egrave; in comune con i tempi in cui davi spettacolo e vincevi (13 GP) in 500, invece?  &quot;Ci&ograve; che non &egrave; immutato &egrave; il carisma. Per esempio, nei paddock italiani il fascino &egrave; rimasto lo stesso, l&rsquo;atmosfera &egrave; magica e i fans sono unici. Peccato non si vada pi&ugrave; a Imola o Monza, ma abbiamo ancora Misano e Mugello, due posti unici e rimasti fedeli alle proprie origini: ci sono sempre belle donne e il Sole splende ogni giorno&quot;.    Anche&nbsp;tu sei solare.  &quot;Io sono sempre me stesso nel paddock, mi piace il mio lavoro, adoro le persone e posso dire di andare d&rsquo;accordo con tutti e non nego il mio tempo a nessuno. Ho notato che anche Valentino Rossi &egrave; cos&igrave;. Mi viene in mente un episodio: quando Valentino correva con la Ducati, io e lui eravamo nell&rsquo;hospitality Philip Morris per una conferenza stampa. A sessione finita, mi accorsi che avevamo di fronte 100 persone, gli dissi: &#39;Ehi, guarda quanta gente abbiamo davanti&#39;. E lui rispose: &#39;S&igrave;, dobbiamo sempre andare verso di loro e concedere foto e autografi&#39;. Quello &egrave; stato un atto di grande rispetto da parte sua, ecco perch&eacute; ha sempre 100 persone che lo seguono. Valentino merita il successo e in questo aspetto credo di somigliargli&quot;.  C&rsquo;&egrave; un Randy Mamola tra i piloti del presente?  &quot;Secondo me ogni pilota &egrave; unico nel suo genere. Abbiamo tanti giovani in Moto3, che sono dotati di grande carisma e personalit&agrave;. In Moto2 pure, ma oggi occorre essere sempre molto seri, con un&rsquo;attitudine mentale impostata. Le Case vogliono piloti molto professionali e chi mette i soldi desidera personaggi sobri e mai fuori dagli schemi. Le conferenze stampa somigliano a quelle della Formula 1, il modo di celebrare le vittorie &egrave; cambiato totalmente: io ero uno dei primi a lanciare stivali, guanti, addirittura una volta mi sono seduto tra il pubblico. Dopo di me &egrave; arrivato Rossi, Valentino &egrave; stato uno degli ultimi piloti a cambiare le abitudini del festeggiamento di una vittoria&quot;.  C&rsquo;&egrave; un filo di nostalgia nelle tue parole, che ora rischia di aumentare: perch&eacute; gli americani non vengono pi&ugrave; al Mondiale?  &quot;Negli anni &lsquo;70 c&rsquo;erano Dirt Track, Short Track e le gare in pista a costituire il Grand National Championship. Kenny Roberts fu il campione tre volte consecutivamente, poi venne in Europa, sbaragliando subito la concorrenza in 500. Questo apr&igrave; la strada a parecchi statunitensi, tra cui il sottoscritto. In tanti siamo arrivati nel Mondiale, ottenendo grandi risultati, in una scia prolifera e positiva&quot;.  Yesterday: Kenny Roberts Junior  Poi&nbsp;cos&rsquo;&egrave; successo?  &quot;La stessa AMA ha conosciuto grande successo. Marche come Suzuki, Yamaha, Honda, Ducati e Kawasaki hanno dato vita a una fantastica battaglia tecnologica e per i corridori &egrave; diventato sempre pi&ugrave; difficile accettare di venire in Europa, perch&eacute; di l&agrave; guadagnavano molto di pi&ugrave;. In effetti, dopo l&rsquo;ultimo titolo vinto da Nicky Hayden, soltanto Ben Spies ha tentato il passaggio, Ben &egrave; andato alla grande in SBK e molto bene in MotoGP. In seguito, tante altre cose sono cambiate. Il settore racing &egrave; calato negli USA, le Case hanno smesso di investire nel campionato, perch&eacute; le moto da corsa non si vendono come prima e l&rsquo;AMA &egrave; quasi scomparsa. Per fortuna Wayne Rainey ha fondato il MotoAmerica, un campionato giovane che sta diventando forte, Wayne sta lavorando per farlo crescere e presto vedremo i risultati. Oltretutto, la Dorna dice &#39;Se troviamo americani forti, proviamo ad aiutarli&#39;&quot;.  E arriveranno?  &quot;Io penso che arriveranno presto, la struttura dell&rsquo;American Team in Moto2 sta facendo progressi, magari vedremo una seconda squadra Suzuki nel futuro, gestita proprio dai miei connazionali. Un giorno torner&agrave; a sventolare la bandiera a stelle e strisce dopo un titolo mondiale&quot;.  Questa impresa, a te &egrave; sfuggita.   &quot;Nel 1981 Marco Lucchinelli si aggiudic&ograve; il Mondiale per pochi punti, alcuni episodi sfavorevoli condizionarono il mio percorso, infatti ritengo che l&rsquo;elemento fortuna sia determinante, ma la Dea Bendata mi ha girato le spalle pi&ugrave; volte. Nel 1987, con la Yamaha Lucky Strike finii dietro a Wayne Gardner e davanti a Eddie Lawson. Arrivai secondo, dopo una Honda HRC ufficiale, facendo meglio di un avversario che aveva gi&agrave; vinto due Mondiali. Io e Eddie guidavano la stessa moto, l&rsquo;unica differenza &egrave; che io avevo gomme Dunlop e lui Michelin. Battere Lawson fu come conquistare un titolo, per me&quot;.    Hai qualche rimpianto?&nbsp; &quot;S&igrave;, vorrei dire &ldquo;Ehi, sono campione del Mondo&rdquo;. La Dorna mi ha conferito credibilit&agrave; con il titolo di Legend, ho consultato il dizionario per capirne il significato...&quot;.   E&hellip;&nbsp; &quot;Penso di non avere niente a che vedere con quel significato e nemmeno con i sinonimi&quot;.  Troppo modesto.  &quot;Casomai, chiamatemi &#39;appassionato&#39;. Ecco, s&igrave;: appassionato &egrave; la parola giusta per me&quot;. 

&quot;La Dorna mi ha dato il titolo di &#39;Legend&#39;, ma non mi descrive fedelmente: semplicemente, adoro questo ambiente. Non esiste un mio erede, anche se Valentino ha il mio stesso rapporto con&nbsp; i fan&quot;, dice Randy

Randy Mamola: &ldquo;Leggenda? No, chiamatemi appassionato&rdquo;

&Egrave; quando non sei sicuro di rivedere il tuo letto che provi il brivido pi&ugrave; forte. Stringe lo stomaco, mozza il respiro, ferma il cuore. Fa urlare. Ma quant&rsquo;&egrave; bello avere paura! Ci sono cose che non hanno prezzo, e sono le emozioni. Ma se per tutto il resto baster&agrave; forse Mastercard, per provare quelle della 2 Seater Ducati non vale nemmeno la carta di credito, perch&eacute; sono emozioni che non si comprano. Si possono solo avere in regalo, il giochino &egrave; riservato agli ospiti di riguardo: sponsor, politici di livello elevatissimo, attori, cantanti, modelle, dirigenti d&rsquo;azienda, talvolta qualche amico e qualche appassionato molto fortunato ammesso attraverso iniziative promozionali.  L&rsquo;esperienza della Biposto nasce per quello, per dare una sferzata di divertimento a persone importanti che non dimenticheranno mai pi&ugrave; una Ducati da corsa. Gi&agrave;, perch&eacute; la 2 Seater non &egrave; una moto stradale come quella che potreste avere in garage, magari un po&rsquo; incattivita; no, la 2 Seater &egrave; una vera moto da corsa col passeggero, guidata da un pilota professionista. E non ha niente a che vedere con la volata su una stradale guidata dall&rsquo;amico irresponsabile di turno. C&rsquo;&egrave; una bella differenza nella meccanica, nella tecnica di guida, nella sicurezza, e soprattutto nelle sensazioni, irriproducibili.  &laquo;Dannato pazzo, sei tu quello che mi ha fatto morire di paura&raquo; &egrave; sbottato ridendo Jonathan Green, commentatore della TV britannica, quando in un aeroporto cinese ha riconosciuto Dario Marchetti, il pilota pagato dalla Ducati per fare il taxi driver. &laquo;&Egrave; stato un po&rsquo; di anni fa &ndash; ricorda il bolognese &ndash;, quando con la 2 Seater abbiamo seguito le gare del Mondiale Superbike, data per data: Davide Tardozzi, team manager, scherzando mi aveva detto di farlo ballare un po&rsquo; perch&eacute; parlava male di noi. Io&hellip; ho obbedito&raquo;. E a distanza di mesi, lo spaventato Green rideva ancora.  &laquo;Mi ha detto di battergli sulla schiena se avevo paura &ndash; ha raccontato pi&ugrave; di recente la showgirl Annalisa Minetti, passeggera-ospite in occasione della gara internazionale dei Di.Di, i motociclisti disabili &ndash; ma chi ha il coraggio di mollare la maniglia? C&rsquo;&egrave; da tenersi stretti!&raquo;.  SI PU&Ograve; CADERE? A Randy Mamola &egrave; successo lo scorso anno a Barcellona, un highside con la 2 Seater Desmosedici, quella ricavata dalla MotoGP.  Guarda il video.    L&rsquo;articolo completo di Dario Ballardini lo potete leggere sul numero di Motosprint in edicola dal 23 settembre.

In pista con la Biposto. Un&rsquo;esperienza da ricordare. Ma non sempre tutto fila liscio: guarda questo VIDEO 

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