Nello&nbsp;sport motociclistico, ma anche nell&rsquo;automobilismo e nel ciclismo, gli ordini di scuderia stabiliscono in genere, fin dall&rsquo;inizio della stagione o quando si delinea dopo alcune gare, una posizione di netto vantaggio di un pilota sul compagno di squadra, una gerarchia precisa e inderogabile che determina chi debba vincere e chi invece debba accontentarsi del ruolo di gregario.  Dopo il ritiro della Honda, nel 1968 Mike Hailwood chiese al Conte Agusta una MV per correre a Monza e la ottenne, ma con la precisa condizione di lasciar vincere Giacomo Agostini. &ldquo;Mike the Bike&rdquo; si offese e and&ograve; alla Benelli, dove ottenne una 500 quattro cilindri senza vincoli di sorta.&nbsp;  Spesso&nbsp;gli ordini di scuderia non escono dagli schermati ambienti dei box, o non sono ammessi ufficialmente, ma appaiono chiarissimi in certe situazioni, come quando &ldquo;inspiegabilmente&rdquo; un pilota che sta per vincere senza problemi, al penultimo o addirittura all&rsquo;ultimo giro si fa superare dal compagno di squadra.  Anche in questo caso gli esempi non mancano, anzi sono i pi&ugrave; frequenti: ricordiamo Pier Paolo Bianchi che regal&ograve; la vittoria a Paolo Pileri a Imola nel 1975 in maniera talmente plateale da irritare anche il pubblico, oppure Gianfranco Bonera, che nel GP Finlandia del 1974, dopo essere andato in testa con grande autorevolezza, nel finale si lasci&ograve; sorpassare da Phil Read, che con quella vittoria conquist&ograve; &ndash; come da copione &ndash; il titolo mondiale della 500. Lo stesso Read per&ograve; a suo tempo si era fatto beffe degli ordini di scuderia: accadde nel 1968. A inizio stagione, la Yamaha aveva programmato per lui il titolo della 125 e per il suo compagno di squadra Bill Ivy quello della 250, invertendo il risultato del precedente campionato.  Read si assicur&ograve; la vittoria nella 125 e non contest&ograve; l&rsquo;ordine di scuderia, ma lo sovvert&igrave; nella seconda parte del campionato cominciando a vincere anche quello che non gli spettava. La polemica in famiglia venne ovviamente alla luce, con grande dispetto dei riservatissimi giapponesi, ma non ci fu nulla da fare. Alla fine i due compagni-avversari si ritrovarono a pari punti nella 250, con lo stesso numero di vittorie e con identici piazzamenti. Vinse Read a tavolino dopo il calcolo dei rispettivi tempi di gara e l&rsquo;inglese conquist&ograve; cos&igrave; entrambi i titoli.&nbsp;  Questi fatti risalgono pi&ugrave; o meno a cinquant&rsquo;anni fa e sono quelli che si sono incisi nella nostra memoria di appassionati di storia del motociclismo, quasi convincendoci, anche per come ci &egrave; stato raccontato, che prima lo sport fosse pi&ugrave; &ldquo;puro&rdquo; ed esente da &ldquo;giochetti&rdquo; di questo genere. Ora&nbsp;sappiamo che non &egrave; vero: gli ordini di scuderia sono sempre esistiti, e ce ne fornisce una prova indiscutibile l&rsquo;ultimo libro scritto da Paolo Prosperi, pesarese e presidente del Registro Storico Benelli. Il libro si intitola &ldquo;Riccardo Brusi&rdquo; e racconta la storia del &quot;Pi&ugrave; saggio e taciturno dei romagnoli cuor di leone&quot;. Gi&agrave; questa definizione di &ldquo;saggio e taciturno&rdquo; ci proietta in mente l&rsquo;immagine del gregario, ma leggendo il libro scopriamo che Brusi fu un autentico campione di rango nazionale e anche internazionale.  Nato nel 1901 a Mercato Saraceno, antico paese una ventina di chilometri nell&rsquo;entroterra di Cesena, Brusi cominci&ograve; a lavorare come apprendista meccanico gi&agrave; a 12 anni, dimostrando subito una spontanea passione per i motori che si rafforz&ograve; durante il servizio militare, svolto al Centro Automobilistico di Milano, e poi al ritorno a Cesena, dopo l&rsquo;assunzione come autista del camion dei pompieri.  Tra&nbsp;automobili e autocarri, prevalse per&ograve; in lui la passione per la motocicletta, che presto si tradusse nel desiderio di misurarsi nelle corse di Velocit&agrave;. Messosi in luce in sella a una AJS 350 &ldquo;Big Port&rdquo;, a 23 anni fu notato dalla Molaroni, che lo ingaggi&ograve; come collaudatore delle sue moto costringendolo quindi a lasciare Cesena per Pesaro.  Ma con la Molaroni non rimase a lungo: le difficolt&agrave; finanziarie della fabbrica gli permisero di correre soltanto poche gare di scarso valore fin quando l&rsquo;azienda collass&ograve; e fu costretta a chiudere i battenti. Brusi apr&igrave; allora un&rsquo;officina in societ&agrave; con un amico e riprese a correre con diverse moto accomunate dalla scarsa competitivit&agrave;. Evidentemente, per&ograve;, le sue capacit&agrave; di guida emergevano oltre le possibilit&agrave; dei mezzi di cui disponeva. Cos&igrave; la Benelli, la grande fabbrica di Pesaro che teneva alto il prestigio della moto italiana con i suoi modelli tecnicamente evolutissimi, gli offr&igrave; di far parte della sua squadra corse, come seconda guida a sostegno di Tonino Benelli, la bandiera sportiva della famiglia.    Ecco dunque Brusi gregario, con ordini di scuderia precisi e inderogabili. Alla guida della portentosa Benelli 175, Tonino vinceva una gara dopo l&rsquo;altra e Riccardo gli guardava rigorosamente le spalle, senza invidia, senza reprimersi, appagato da un ruolo che comunque gli concedeva di partecipare a corse importanti, a contatto con i campioni pi&ugrave; blasonati. E di migliorarsi sensibilmente.  Al circuito di Torino del 1928 vinse ancora Tonino Benelli, ma Brusi, nell&rsquo;ansia di far bella figura, stabil&igrave; il giro pi&ugrave; veloce. Non lo avesse mai fatto! I fratelli Benelli all&rsquo;arrivo gli dissero senza mezzi termini di darsi una calmata&hellip;  Nel 1929, la ribellione. Taciturna, naturalmente, secondo il suo carattere, ma decisa. Si sent&igrave; pronto a rinunciare alla sicurezza del posto nella squadra ufficiale e con una Benelli 175 da lui curata inizi&ograve; la stagione che l&rsquo;avrebbe proiettato, vittoria dopo vittoria, fra i grandi del motociclismo. Una stagione che lo convinse delle sue possibilit&agrave; e lo spron&ograve; a salire di cilindrata, lasciando la Benelli per salire in sella su una Guzzi 250. Cominci&ograve; con due sonanti vittorie, poi la sfortuna gli si accan&igrave; contro con diversi guasti mentre correva da protagonista.  Nel 1932&nbsp;il suo valore fu riconosciuto dalla stessa Moto Guzzi, che lo volle nella sua squadra ufficiale, e Riccardo la ripag&ograve; conquistando a Monza, dopo un duello memorabile con Alfredo Panella, il titolo di campione d&rsquo;Europa della 250. Nella stessa stagione vinse la classe 250 e fu terzo assoluto, preceduto soltanto da due 500, nella Milano-Napoli, infine fece suo il titolo italiano di prima categoria della 250, un traguardo che aveva pi&ugrave; volte sfiorato. Rimase con la Guzzi fino al 1936 cogliendo numerosi altri trionfi. Alla fine il conteggio fu eclatante: 106 gare, 33 vittorie, 23 secondi posti, 5 terzi. Vice campione d&rsquo;Europa nel 1928, campione d&rsquo;Italia e d&rsquo;Europa nel 1932, tre volte vincitore della Milano-Napoli, un curriculum degno di un asso, non certo di un gregario.  Nelle 240 pagine del libro dedicatogli da Paolo Prosperi, emerge il Riccardo Brusi uomo e campione in tutte le sue sfaccettature. La ricerca di Prosperi &egrave; certosina, quasi maniacale, e la sua opera di conseguenza &egrave; fra le poche con il crisma dell&rsquo;assoluta attendibilit&agrave;, anche perch&eacute; &ndash; in questo pressoch&eacute; unica &ndash; &egrave; ricchissima di note che spiegano e approfondiscono i dettagli del testo occupando a volte intere pagine. Numerosissime anche le fotografie, i documenti e le immagini a corredo. Chi intendesse acquistare il libro dovr&agrave; richiederlo via e-mail (officinebenelli@hotmail.it) o per telefono (0721/31.508) al Registro Storico Benelli; il costo &egrave; di 30 Euro. 

<p>Il libro di Prosperi racconta la storia del romagnolo, prima &ldquo;secondo&rdquo; di Benelli e poi asso con la Guzzi</p> 

1 risultato per 'Riccardo Brusi'

Polvere di Stelle: Riccardo Brusi, altro che gregario!