        Frankie Chili rimane uno dei piloti pi&ugrave; amati e ricordati dal pubblico degli appassionati per le sue gare generosissime e le decine di episodi che hanno caratterizzato la sua lunga carriera. Una carriera che lo ha portato in sella a praticamente tutte le moto di ogni categoria e cilindrata della Velocit&agrave;. Se le bellissime sfide che lo hanno reso famoso in Superbike sono abbastanza recenti, non tutti ricordano che Chili ha corso in 500 e 250 nella magica epoca delle due tempi, contro avversari leggendari come Wayne Rainey, Kevin Schwantz ed Eddie Lawson nella classe regina, e Max Biaggi, Loris Capirossi, Loris Reggiani, Luca Cadalora e tanti altri nella 250. Dopo una stagione altalenante in 500 nel 1990, Frankie decise di passare in 250 con l&rsquo;Aprilia del Team Iberna di Alessandro Valesi. Era iniziata in Aprilia l&rsquo;era-Witteveen che avrebbe ben presto monopolizza to questa competitiva categoria con le sue geniali soluzioni, vincendo per almeno 15 anni. Gi&agrave; nella sua prima stagione in 250 Frankie regal&ograve; a Witteveen il primo trionfo ad Assen, chiudendo 7&deg; un campionato vinto da Cadalora. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring La convivenza col Corsaro prima e con Tetsuya poi   Nel 1992 nel Team Iberna arrivarono un nuovo sponsor, Telkor, e un nuovo compagno, il giovane Max Biaggi. La stagione vide Chili viaggiare sempre tra i protagonisti, con quattro pole position, sei podi e tre vittorie. Purtroppo non mancarono le difficolt&agrave;, dai problemi tecnici alla convivenza con Biaggi che venne compromessa da un brutto episodio proprio nel GP di casa al Mugello, dove Chili fin&igrave; a terra dopo un contatto con Max alla Luco nel corso dell&rsquo;ultimo giro. E come se non bastasse in Spagna, mentre era in una bagarre infernale per il secondo posto con altri tre piloti, alla fine del penultimo giro tagli&ograve; il traguardo e inizi&ograve; a esultare convinto di aver battuto tutti nel gruppetto. I rivali lo sfilarono e Chili, convinto che la gara fosse gi&agrave; finita, scivol&ograve; al sesto posto sotto la bandiera a scacchi. Al termine della stagione il Team Iberna pass&ograve; alla Yamaha 250 e mand&ograve; Chili in Giappone a valutare la nuova moto ed eventuali modifiche. Al suo ritorno Frankie disse che la moto era tutto sommato competitiva ma che in pista aveva trovato un collaudatore veloce e talentuoso. Tale Tetsuya Harada, che su suggerimento di Chili venne preso dal team. Frankie aveva davvero ragione perch&eacute; nella prima stagione completa nel Mondiale, su piste mai viste e contro avversari molto agguerriti, Harada firm&ograve; una stagione memorabile conquistando il titolo. Mentre Frankie termin&ograve; soltanto 10&deg;. Al termine del &lsquo;93 il Team Valesi Iberna chiuse i battenti e Chili termin&ograve; la sua parentesi con la 250 per passare nel &lsquo;95 nella SBK con il Team Gattolone di Andrea Merloni e iniziare un altro bellissimo capitolo della sua storia. Chili: "La classe di mezzo era un gruppo selvaggio"   A questo punto &egrave; giusto sentire dalla sua voce il racconto di questo bellissimo triennio in 250. Frankie, cosa ricordi del tuo passaggio dalla 500 alla 250? &ldquo;La 250 era una classe di grandissima competitivit&agrave; con moto fantastiche di cento chili per cento cavalli e con tanti italiani protagonisti. Da Cadalora a Reggiani, da Capirossi a Biaggi e Romboni. Le gare erano tutte battaglie in gruppo selvaggio fino alla bandiera a scacchi. Witteveen aveva appena iniziato a sviluppare il suo motore a valvola rotante e io gli regalai la primissima vittoria ad Assen al termine di una gara combattutissima&rdquo;. Con tanti italiani a giocarsi la vittoria, com&rsquo;erano i rapporti tra voi connazionali? &ldquo;Nel &lsquo;92 avevo Biaggi in squadra e proprio nel GP di casa al Mugello mi butt&ograve; fuori alla prima esse rovinandomi una gara importantissima. Decisamente ognuno pensava per s&eacute;. Firmai tre vittorie e chiusi terzo in campionato, e ora lo posso dire&rdquo;. Cosa? &ldquo;Corremmo met&agrave; stagione con tutti i parametri sbagliati perch&eacute; uno dei miei strumenti di rilevazione era rotto e dava valori completamente sballati&rdquo;. Nel 1993 ci fu il trasferimento alla Yamaha: come and&ograve; il passaggio dall&rsquo;Aprilia alla moto giapponese? &ldquo;Lo sponsor Telkor convinse Valesi a passare alla Yamaha e mi mandarono a fare un test in Giappone prima di decidere. Io mi presentai sulla pista della Yamaha e con me c&rsquo;era il loro collaudatore. Iniziai a prendere confidenza con questa moto, che mi piacque subito e quindi nel pomeriggio iniziai a tirare ma c&rsquo;era un problemino. Il loro collaudatore girava sempre pi&ugrave; forte 31 di me e mi passava a destra e a sinistra. Allora mi fermai ai box e feci le ultime regolazioni di fino per tornare in pista e togliermi di mezzo questo fastidioso pilota di casa. Incredibilmente fu lui a starmi ancora davanti per pochissimi decimi e l&igrave; commisi un altro errore&rdquo;. Parlasti bene di quel pilota... &ldquo;Appena tornato a casa dissi che la moto era OK e che c&rsquo;era un pilota giapponese, tale Harada, che andava fortissimo e che l&rsquo;avrei preso subito. Infatti lo presero e Tetsuya continu&ograve; ad andare fortissimo tanto da vincere il Mondiale!&rdquo;. Dopo quel 1993 fin&igrave; anche la tua esperienza nella 250. &ldquo;Purtroppo nel &lsquo;94 il Team Iberna si ritir&ograve; e io mi ritrovai a piedi. Feci qualche gara in SuperMono e soprattutto un bellissimo GP in 500 al Mugello dove rischiai di partire in pole con una Cagiva ormai ferma da un anno e presa dal salotto di Castiglioni. Poi conobbi un fantastico appassionato ex pilota che aveva allestito un team privato in SBK: era il Team Gattolone e lui era Andrea Merloni che purtroppo &egrave; scomparso giovanissimo tempo fa. E questa notizia mi ha davvero tramortito. Andrea &egrave; stato un amico e un grandissimo appassionato, lucido, coraggioso e visionario. Infatti dopo il Gattolone decise di costruire una bellissima tre cilindri per riportare in luce il leggendario marchio Benelli. Con lui abbiamo perso davvero un grande personaggio&rdquo;. Misano 1984: Fausto Ricci, buona la prima       

"La 250 &egrave; un capitolo indimenticabile: a Witteveen regalai la prima vittoria, proprio nella sua Olanda. And&ograve; meno bene con i compagni: prima la collisione con Biaggi, poi consigliai l&rsquo;ingaggio di Harada"

Frankie Chili: “In 250 consigliai all'Aprilia di prendere Harada, poi...”

        Negli anni Novanta, lo strapotere italiano nella 250 si concretizz&ograve; con otto titoli e 86 GP vinti tra 1990 e 1999. A quel clamoroso bottino, nessuno contribu&igrave; quanto Max Biaggi, quattro Mondiali consecutivi &ndash; eguagliando il record di Phil Read &ndash; e 29 successi in sei stagioni intere con Aprilia e Honda. Biaggi approd&ograve; direttamente nella classe di mezzo del Mondiale, senza la classica &ldquo;gavetta&rdquo; nella 125, e gi&agrave; al terzo tentativo trionf&ograve; con l&rsquo;Aprilia, aprendo un triennio da dominatore. E dopo la clamorosa separazione da Noale, vinse con la Honda, quasi a voler sottolineare che a fare la differenza, in quegli anni, era proprio lui, il Corsaro. Perfezionista e attento ai dettagli tanto nella messa a punto della moto quanto in gara, Max &egrave; stato un pioniere sotto diversi aspetti, inventando traiettorie nuove in pista, ma anche sdoganando il Motomondiale dalla settorialit&agrave; in cui era franato nel nostro Paese nel periodo dello strapotere degli americani. La sua amicizia con Fabrizio Frizzi port&ograve; il motociclismo in prima serata nelle case degli italiani e i suoi duelli con Loris Capirossi e Doriano Romboni &ndash; ovviamente prima del dualismo con Valentino Rossi in 500 e MotoGP &ndash; divennero argomento di conversazione anche fra chi non era mai stato un appassionato. I tre successi di Fausto Gresini a Misano Il poker di Max   Il debutto nel Mondiale fu nel 1991, come wild card, sull&rsquo;Aprilia. Nei quattro Gran Premi disputati, and&ograve; a punti due volte, ritirandosi per una caduta a Jarama e per un guasto tecnico a Donington quando era in sesta posizione. L&rsquo;anno successivo, il primo intero nel Mondiale, ecco i primi podi &ndash; due secondi e due terzi posti &ndash; e soprattutto la prima vittoria, nell&rsquo;ultima gara della stagione, in Sud Africa, per il quinto posto in classifica a fine Mondiale. Nel 1993 eredit&ograve; la Honda del campione uscente Luca Cadalora e concluse quarto, con una vittoria, due secondi e due terzi posti. Nel 1994, con il ritorno all&rsquo;Aprilia, inizi&ograve; il dominio assoluto: cinque vittorie, quattro secondi e un terzo posto su 14 Gran Premi gli valsero il primo titolo davanti a Tadayuki Okada e Capirossi sulla Honda. L&rsquo;anno successivo Biaggi si conferm&ograve; siglando ben otto vittorie, tre secondi e un terzo posto su tredici Gran Premi e s&rsquo;impose su Tetsuya Harada su Yamaha e Ralf Waldmann su Honda. Nel 1996 il numero delle gare sal&igrave; a 15, e Biaggi con l&rsquo;Aprilia infil&ograve; nove vittorie, un secondo e un terzo posto, conquistando il titolo davanti alle Honda di Ralf Waldmann e Olivier Jacque. La stagione seguente, in sella alla Honda, al termine della stagione di 15 GP, Max collezion&ograve; cinque vittorie, tre secondi e due terzi posti, prendendosi il quarto Mondiale consecutivo, davanti ancora alla Honda di Ralf Waldmann e all&rsquo;Aprilia di Harada. Quel percorso apr&igrave; la strada a Biaggi verso la 500 &ndash; con il debutto vincente a Suzuka &ndash; e la MotoGP, ma il Corsaro torn&ograve; iridato in Superbike, nuovamente con l&rsquo;Aprilia, nel 2010 e nel 2012, a 41 anni compiuti. Una carriera straordinaria, quella di Max, a conferma che la 250 era anche una bella scuola. Max, cosa aveva di speciale la 250? &ldquo;Era fantastica, con un rapporto peso-potenza incredibile. Era leggera, reattiva a e quasi sempre sincera. Dopo la fase di frenata la portavi alla corda al solo pensiero. I cambi di direzione erano estremamente veloci e avevi l&rsquo;impressione di poter fare qualunque cosa. Ci&ograve; che la rendeva un po&rsquo; complicata, &egrave; che spesso quelli che erano i suoi punti di forza potevano rappresentare anche un limite. In alcuni casi, infatti, veniva meno la stabilit&agrave; e si perdeva facilmente il controllo. Ecco perch&eacute;, in tutte le fasi di gara, era necessario mantenere sempre alta la concentrazione&rdquo;. Quanto era istruttiva per chi poi voleva salire di categoria e correre in 500? &ldquo;Tantissimo. Proprio questa sua elevata reattivit&agrave; forgiava il fisico e la mente, ti avvicinavi con naturalezza alle indomabili 500&rdquo;. Perch&eacute; negli anni &lsquo;90 la 500 era la classe degli americani e degli australiani, e la 250 era nostra? &ldquo;Credo sia una questione di corsi e ricorsi storici. Dipende sicuramente dal modo in cui i giovani piloti venivano formati. Gli americani provenivano dalla Superbike AMA, per cui fin da piccoli erano allenati alle potenze elevate, mentre il percorso degli europei era il canonico 125-250-500. Inoltre, allora come oggi, tutto era influenzato dal supporto che i piloti riuscivano a trovare per poter salire di categoria. Le moto ufficiali erano poche e senza un buon mezzo era difficile emergere. Negli anni successivi gli europei sono diventati molto forti anche nella classe regina&rdquo;. I tanti confronti tra i piloti italiani nella 250, forse, ci hanno tolto anche qualche vittoria, come nella corsa al titolo del 1993? &ldquo;Potrebbe anche essere, per&ograve; fa parte del gioco. Il motociclismo &egrave; uno sport individuale e non si fa molta attenzione alla nazionalit&agrave; del tuo avversario. Non si ha voglia di arrivare dietro a nessuno!&rdquo;. Il titolo pi&ugrave; importante&nbsp;   Tra i tuoi quattro titoli mondiali in 250, qual &egrave; quello che ti sei goduto di pi&ugrave;? &ldquo;Sicuramente il 1994. &Egrave; stato il primo, per cui &egrave; quello a cui si &egrave; accompagnata la gioia pi&ugrave; grande. Per&ograve; devo dire che anche l&rsquo;ultimo in Superbike, nel 2012, me lo sono goduto non poco!&rdquo;. Quanto fu importante il 1993 con la Honda e con Erv Kanemoto? Fu in quel periodo che affinasti le doti di collaudatore? &ldquo;Quell&rsquo;anno fu molto importante, e il metodo appreso &egrave; stato determinante. Ogni pilota ha la voglia di primeggiare, ma &egrave; il metodo che fa la differenza. Ancora oggi, dopo tanti anni, quell&rsquo;approccio lo utilizzo per organizzare il mio lavoro&rdquo;. Oggi sei ambassador Aprilia, Casa con cui hai vinto cinque titoli tra 250 e Superbike, ma nel mezzo ci fu anche la rottura di fine 1996... &ldquo;Tutto ha un inizio e una fine. Il problema non &egrave; la fine, ma il modo in cui ci si arriva. Per me fu molto difficile il distacco da un ambiente ormai familiare. Oltretutto, per colpa di chi aveva orchestrato tutto, tenendo all&rsquo;oscuro il patron dell&rsquo;Aprilia Ivano Beggio, rischiai anche di rimanere a piedi. Il tempo poi &egrave; stato galantuomo, visto che la Philip Morris mi segu&igrave; nella mia avventura con la Honda, con il quarto titolo consecutivo in 250&rdquo;. Qual &egrave; stato il tuo avversario pi&ugrave; duro tra Capirossi, Harada e Waldmann? &ldquo;Parliamo di tre grandissimi campioni. Ognuno aveva le sue caratteristiche e ognuno di loro era davvero molto forte. Sicuramente il pi&ugrave; duro da battere &egrave; stato Loris che, come ha poi confermato nel prosieguo della sua carriera, non mollava mai. Oltretutto la medesima nazionalit&agrave; aggiungeva quel pizzico di pepe in pi&ugrave;, che rese la sfida ancora pi&ugrave; accesa&rdquo;. L&rsquo;Aprilia 250 &egrave; stata la moto che pi&ugrave; ti sei goduto e che pi&ugrave; hai sentito tua? &ldquo;Con l&rsquo;Aprilia 250 ero praticamente in simbiosi: la moto era un prolungamento del mio corpo! Tutto rasentava la perfezione. Anche la grande alchimia che si era creata con tutto il team, capitanato da Giovanni Sandi, era qualcosa di incredibile. Negli anni della Superbike, comunque, ho riprovato sensazioni del tutto simili, oltretutto con molti degli stessi attori. Infatti con la mia RSV4 nel 2010 sono riuscito a fare una stagione incredibile e ancora oggi, quando salgo in sella alla mia Aprilia RSV4 X, mi sento a casa&rdquo;. Oggi che con Capirossi il rapporto &egrave; migliorato, come ricordi i duelli con lui e con Romboni? &ldquo;Non eravamo grandi amici, ma l&rsquo;amicizia tra piloti che ambiscono alla vittoria non esiste. &Egrave; pura ipocrisia dire il contrario. Per&ograve; una cosa &egrave; certa: ci si rispettava! Con Capirex e Rombo di Tuono abbiamo dato vita a battaglie epiche. &Egrave; un vero piacere ricordarle con Loris. Anche soltanto dividere la pista insieme, accende la mia passione e mi fa comprendere quanto entrambi siano stati importanti per me. Purtroppo Doriano ci ha lasciato prematuramente, togliendoci la possibilit&agrave; di ricordare da adulti quelle esperienze passate&rdquo;. Senti di essere stato protagonista di un&rsquo;epoca irripetibile? &ldquo;Non credo sia un&rsquo;epoca irripetibile. Come dicevo, &egrave; soltanto una questione di corsi e ricorsi storici. Credo anche che il differente momento storico in cui si &egrave; realizzata, abbia reso meravigliosa quell&rsquo;epoca&rdquo;. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring       

Il racconto esclusivo del Corsaro: "L'Aprilia era un prolungamento del mio corpo. Le lezioni di Kanemoto e i duelli con Capirossi e Romboni: che ricordi"

Max Biaggi: “La 250? Era una goduria”

        Talento ne aveva, Doriano Romboni. E da vendere. I suoi duelli storici con Max Biaggi e Loris Capirossi fecero emozionare e lo proiettarono nell&rsquo;Olimpo del Mondiale. Deciso e schietto, da vero guerriero lo spezzino ha combattuto sempre contro le avversit&agrave;, talvolta vincendo, talvolta no. Ma rimanendo indelebile negli anni d&rsquo;oro della 250 per il motociclismo italiano. Nato a Lerici l&rsquo;8 dicembre 1968, Doriano Romboni debutt&ograve; in 125 nel 1989 con la Honda, e gi&agrave; l&rsquo;anno successivo conquist&ograve; due vittorie e altri quattro podi con il quarto posto finale. Nel 1991 approd&ograve; nella classe di mezzo, sempre con la Honda. Alla sua seconda stagione arriv&ograve; il primo podio: terzo in Gran Bretagna, alle spalle di Pierfrancesco Chili e di Loris Reggiani. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring La prima vittoria   La prima vittoria Il primo trionfo nella categoria arriv&ograve; nel GP Austria 1993, per cinque centesimi su Capirossi e quattro decimi su Helmut Bradl. &ldquo;Dopo tre anni passati in 250 me la sono proprio meritata&rdquo; disse Romboni a Motosprint subito dopo la vittoria a Salisburgo. &ldquo;Non &egrave; un risultato arrivato per caso, &egrave; il frutto di un lavoro duro, cominciato nel &rsquo;91. In questo campionato non mi sono mai sentito al massimo, sapevo che in me c&rsquo;era qualcosa che non andava. Oggi invece mi sentivo pronto per la prima vittoria&rdquo;. Romboni si conferm&ograve; vittorioso nel round successivo, in Germania, a Hockenheim, per nove centesimi su Capirossi, con Bradl ancora terzo. Con quella doppietta, sal&igrave; al secondo posto in campionato, a 22 punti da Tetsuya Harada, ma l&rsquo;incidente nel successivo GP Olanda lo tagli&ograve; fuori dalla corsa al titolo: Doriano si frattur&ograve; la gamba destra e fu costretto a saltare altri tre round. Al rientro, centr&ograve; un bel podio a Laguna Seca, con il secondo posto nel penultimo GP. E proprio nel GP Stati Uniti torn&ograve; al successo nel 1994, annata in cui sigl&ograve; sette ulteriori podi, chiudendo quarto la sua ultima stagione con la Honda targata HB. Fuori dal tunnel?   Nel 1995 corse ancora con la Honda, tuttavia con i colori di Giacomo Agostini. Con due podi in Sud America sul fi nire della stagione, con il terzo posto in Argentino e soprattutto la vittoria a Rio, chiuse nono il Mondiale. Quella vittoria a Rio gli diede grande carica: &ldquo;Finalmente sono uscito dal tunnel&rdquo; dichiar&ograve; a Motosprint. &ldquo;Un tunnel lungo un anno. Problemi fisici e di adattamento con le gomme mi hanno tenuto fuori dalla battaglia, ma ho dimostrato che quando tutto va bene posso vincere. Se a volte ho dubitato delle mie capacit&agrave;, oggi sono di nuovo sicuro di poter puntare al titolo, se mi daranno la possibilit&agrave; di farlo. Penso di meritarlo&rdquo;. Tuttavia non and&ograve; cos&igrave;. Romboni disput&ograve; due stagioni in 500 con l&rsquo;Aprilia (con lo storico podio in Olanda nel 1997) e un GP nel 1998 con la Muz-Weber prima di fratturarsi lo scafoide. Romboni chiuse poi la carriera con alcune gare nel mondiale Superbike nel 1999 &ndash; anno in cui rimedi&ograve; un&rsquo;altra brutta frattura alla gamba destra &ndash; nel 2000 e nel 2004. Nel 2013, a 45 anni, perse la vita al circuito Il Sagittario di Latina, mentre disputava le prove della gara di Supermotard in memoria di Marco Simoncelli. Qualche rimpianto, ma senza amareggiarsi   Negli ultimi anni Doriano era stato direttore sportivo del Team Puccetti-Kawasaki e poi del Team Italia per la Federazione Motociclistica Italiana. Quando parlava della sua carriera in 250, recriminava per la mancanza di &ldquo;Un pizzico di fortuna nel 1993&rdquo; riferendosi all&rsquo;incidente di Assen. &ldquo;Se avessi vinto il titolo quell&rsquo;anno forse la mia carriera sarebbe cambiata&rdquo; diceva. Sapeva che avrebbe potuto conquistare un titolo, ma non si amareggiava: &ldquo;Non possiamo vincere tutti, bisogna sapersi accontentare&rdquo; era solito dire. Duelli da leggenda, Valencia 2006: Hayden campione, Rossi per terra       

In cinque stagioni nella classe intermedia il ligure ottenne un poker di successi e 15 podi nonostante gli infortuni. Con il suo talento, il compianto &ldquo;Rombo di Tuono&rdquo; avrebbe meritato la chance di giocarsi il titolo fino in fondo

Doriano Romboni, il Re senza corona della classe 250

        &Egrave; possibile amare alla follia una moto senza aver pi&ugrave; voglia di risalirci, e si pu&ograve; essere felici anche senza aver conquistato alcun Mondiale. Loris Reggiani non ha conti da regolare con il passato, nonostante una parabola sportiva forse inferiore alle sue capacit&agrave;. E con le sue 11 stagioni, il forlivese vice campione nel 1992, nonch&eacute; vincitore di cinque gare nella categoria con 29 podi complessivi, &egrave; stato un&rsquo;autentica bandiera del nostro motociclismo nella quarto di litro. Duelli da leggenda: Harada e Capirossi, senza esclusione di colpi Reggiani: "La 250 era un buon compromesso tra velocit&agrave; e agilit&agrave;"   Cosa aveva di speciale la 250? &ldquo;Sinceramente per me inizi&ograve; come un ripiego. Avevo cominciato a correre nel Mondiale in 125 (nel 1980), poi nel 1982 approdai in 500 che era la mia massima ispirazione. Ma dopo il grosso incidente che mi capit&ograve;, venni in qualche modo scaricato: non trovando una moto ufficiale n&eacute; semiufficiale, mi reinventai nella 250&rdquo;. Come fu l&rsquo;approdo in 250? &ldquo;Non nego che in quel momento, dopo l&rsquo;incidente, ero timoroso per le 500 e avevo bisogno di tempo per trovare fiducia in me stesso. Inoltre era una categoria meno costosa e mi sarei potuto permettere di affrontarla da privato. Corsi tutto il 1984 con una vecchia Kawasaki e finii i soldi&rdquo;. Sembrava l&rsquo;epilogo invece fu il preludio a un nuovo inizio. &ldquo;Gi&agrave;, Michele Verrini si invent&ograve; per me l&rsquo;Aprilia 250 e riusc&igrave; a convincere Ivano Beggio. Dopo un po&rsquo; scoprii che la 250 era la mia categoria ideale, mi sentivo forte, padrone della situazione, riuscivo a guidarla e a svilupparla bene. Non mi &egrave; nemmeno pi&ugrave; tornata la voglia di passare in 500. A quell&rsquo;epoca non c&rsquo;era la rincorsa massima alla classe regina e la 250 era comunque un campionato del Mondo&rdquo;. Moto3 e Moto2 oggi non lo sono? &ldquo;Da fuori non sembrano campionati, sono classi propedeutiche: in una c&rsquo;&egrave; il limite d&rsquo;et&agrave;, l&rsquo;altra &egrave; un monomarca. Non le chiamerei nemmeno pi&ugrave; Mondiali". Qual era l&rsquo;aspetto pi&ugrave; piacevole di quelle 250? &ldquo;La guidabilit&agrave;, erano molto leggere e agili, pur avendo una potenza gi&agrave; rilevante, gli 85-90 cavalli ci permettevano di raggiungere i 270 km/h. Un buon compromesso&rdquo;. Come si guidava? &ldquo;Per quanto possibile, non bisognava mai spigolare, n&eacute; &lsquo;impiccarsi&rsquo; troppo in frenata. Andava lasciata scorrere e puntare sulla velocit&agrave; di percorrenza della curva. Il motore, per spingere bene, dovevi tenerlo dagli undici ai tredicimila giri/minuto&rdquo;. L&rsquo;altra faccia della medaglia erano le frequenti rotture. &ldquo;Il grippaggio era talmente normale che siamo nati con le dita della mano sinistra sulla frizione: ti aspettavi che succedesse. Il problema era quando capitavano guasti anomali, a cui non eri preparato". Harada, il rivale pi&ugrave; forte   Qual &egrave; il pilota pi&ugrave; forte incontrato in 250? &ldquo;In assoluto Tetsuya Harada, perch&eacute; non sono mai riuscito a trovare una curva in cui ero superiore a lui: in alcune andavamo uguale, in altre era pi&ugrave; forte. In nessuna lo ero io, a differenza di quanto accadeva invece con gli altri, da Luca Cadalora ad Angel Nieto, da Toni Mang a Carlos Lavado. Secondo me Harada era proprio fatto per la 250, cos&igrave; come Cadalora, anche se Luca &egrave; andato forte pure in 500&rdquo;. E Max Biaggi? &ldquo;L&rsquo;ho incontrato soltanto per due stagioni in 250 e gli sono sempre arrivato davanti in classifica. Sicuramente poi lui &egrave; migliorato ma nel triennio iridato con l&rsquo;Aprilia ha vinto con una moto molto superiore. Gli riconosco invece i meriti per il trionfo con la Honda nel 1997 perch&eacute; l&rsquo;Aprilia era fortissima&rdquo;. Oltre all&rsquo;Aprilia hai guidato anche Kawasaki e Honda: un aggettivo per quelle 250. &ldquo;Per la Kawasaki, vetusta, le moto le avevo comprate da Pierluigi Conforti ma avevano gi&agrave; quattro anni. Tirammo fuori un paio di cavalli, non sufficienti. Dopo le ho vendute a un collezionista di Bergamo, tranne una&rdquo;. La Honda invece? &ldquo;Una delusione per me, pensavo di avere la moto per vincere il Mondiale (nel 1989) e non mi impegnai abbastanza. Inoltre avevo una squadra di amici senza esperienza su quella moto e si vide&rdquo;. La vittoria pi&ugrave; bella &egrave; stata... &ldquo;La prima dell&rsquo;Aprilia, a Misano nel 1987. Era da qualche gara che potevamo vincere ma i problemi tecnici ce l&rsquo;avevano impedito. Era una moto ciclisticamente molto ben bilanciata e in molti GP quell&rsquo;anno mi ero sentito superiore agli avversari&rdquo;. Qual &egrave; stato l&rsquo;anno migliore, il 1987 o il 1992 da vice campione? &ldquo;Come pilota assolutamente il 1987, anche se l&rsquo;anno decisivo poteva essere il 1992. Per&ograve; cominciai con un infortunio grave e inoltre nelle gare extra-europee io non rendevo, sia a livello fisico che psicologico. In Malesia per me faceva troppo caldo. Ho scoperto poi di avere un problema al fegato, valori alti della bilirubina. E poi ero sempre poco allenato&rdquo;. Come ci si preparava? &ldquo;Da soli, e io non amavo allenarmi in palestra e a casa, arrivavo in condizioni non ottimali, ma probabilmente se mi avessero imposto la preparazione fisica non avrei fatto il pilota, non ce l&rsquo;avrei fatta&rdquo;. "Non ho mai saputo accontentarmi"   Rimpiangi l&rsquo;assenza del tuo nome dall&rsquo;albo d&rsquo;oro? &ldquo;Conosco piloti che hanno vinto due o tre Mondiali e sono incazzati perch&eacute; pensano che potevano vincerne quattro o cinque. Io invece mi guardo indietro e sono felice per quanto ho fatto nel motociclismo. Preferisco essere felice che non vincente ma incazzato&rdquo;. Ti riconosci alcune colpe? &ldquo;In certi anni sono stato il pi&ugrave; forte di tutti, ma per diventare campioni del Mondo bisogna anche avere un altro talento: quello, talvolta, di sapersi accontentare. Io non ce l&rsquo;avevo e se pensavo di poter vincere la gara, anche se era troppo rischioso, ci provavo sempre. Poi magari cadevo e spesso mi facevo tanto male. E poi...&rdquo;. E poi? &ldquo;Puntavo troppo sul pilota e poco sul team. Preferivo una squadra di amici a una in cui la conoscenza della moto era superiore. L&rsquo;importanza della squadra, a differenza di Cadalora, l&rsquo;ho capita soltanto molto tardi. E anche con i compagni di squadra puntavo su questo: nel 1993 Jean-Philippe Ruggia era pi&ugrave; veloce di me in met&agrave; delle gare eppure quando veniva a chiedermi suggerimenti glieli davo. Faccio fatica a capire le persone che basano la loro vita sui risultati&rdquo;. Nel 1993 accanto a Ruggia, chiudesti terzo, con Loris Capirossi 2&deg;, Biaggi 4&deg; e Doriano Romboni 5&deg;, ma il titolo lo vinse Harada: l&rsquo;Italia gett&ograve; al vento quel titolo? &ldquo;No, quell&rsquo;anno Harada era veramente fenomenale, io non mi sentivo tanto forte e Loris dice di aver avuto un problema di gomme all&rsquo;ultima gara&rdquo;. Perch&eacute; la 500 era la classe degli americani e la 250 quella degli italiani? &ldquo;Non l&rsquo;ho mai capito. Loro venivano dalle Superbike, moto da 200 chilogrammi, forse consideravano la 250 una categoria da ridere e cos&igrave; la snobbavano, anche se secondo me erano superiori. Ricordo nel 1984 Wayne Rainey con una Yamaha 250 privata che andava come la mia Kawasaki: io per&ograve; faticavo a qualificarmi e lui saliva sul podio, faceva cose disumane&rdquo;. Ti piacerebbe tornare a guidare una 250? &ldquo;Pur avendo tutte le Aprilia che ho guidato, e all&rsquo;epoca erano il top, sono pur sempre moto di 30 anni fa. Dopo aver usato quelle moderne il rischio, salendo in sella, &egrave; di perdere quella magia, allora preferisco evitare&rdquo;. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring       

"Vi approdai dopo un grave incidente in 500: doveva essere un ripiego, e invece divent&ograve; la mia categoria. Il rivale pi&ugrave; forte &egrave; stato Harada: come Cadalora, il giapponese sembrava nato per quelle moto cos&igrave; leggere e agili"

Loris Reggiani: “La 250 iniziò come un ripiego, poi divenne casa mia”

Tra i protagonisti del decennio d&#39;oro dell&#39;Italia nella classe di mezzo del Motomondiale, non poteva mancare Loris Reggiani. Ecco cosa ha raccontato a Serena Zunino e Daniela Piazza, parlando dei suoi anni in Aprilia e della complicata stagione del passaggio in Honda

Speciale 250, Reggiani: “Quello con Aprilia è stato un matrimonio fortuito”

In diretta dallo studio, il Direttore di Motosprint, Federico Porrozzi illustra lo speciale dedicato agli anni d'oro dell'Italia nella classe di mezzo del Motomondiale, che fa da sfondo alla narrazione di questo video-evento

6 risultati per 'Speciale 250'

Frankie Chili: “In 250 consigliai all'Aprilia di prendere Harada, poi...”

Max Biaggi: “La 250? Era una goduria”

Doriano Romboni, il Re senza corona della classe 250

Loris Reggiani: “La 250 iniziò come un ripiego, poi divenne casa mia”

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Speciale 250 GP: le interviste a una generazioni di fenomeni