        Si &egrave; spento all'et&agrave; di 74 anni Garry Taylor, manager storico del team Suzuki, capace di vincere due mondiali della classe 500, condivisi assieme a nomi quali Kevin Schwantz e Kenny Roberts. Col texano l'impresa fu firmata nel 1993, il figlio di Kenny "padre" gli port&ograve; il successo nel 2000. Ad annunciare la notizia della scomparsa&nbsp; &egrave; Phoebe, figlia dell'esperto inglese, appartenente alla categoria di autentici personaggi da paddock che oggi non si incontrano pi&ugrave;. Garry Taylor: due volte iridato da dirigente Suzuki Parlava per ore, descrivendo il perch&eacute; e per come il rotore dell'elicottero emanasse tale suono, spiegandone nei minimi dettagli dinamica e tecnica. Si soffermava anche con gli estranei, raccontando le peripezie attraversate nel viaggio da Londra a Shah Alam. Allacciava rapporti proficui con sponsor e Case, realizzando accordi commerciali e sportivi di alto livello. Voleva correre in auto, Garry Taylor, ma non aveva i soldi per farlo. Peccato, Brands Hatch si trovava a due passi da casa, e il Regno Unito offriva opportunit&agrave; a quattro ruote per (quasi) ogni tasca. Decise cos&igrave; di intraprendere il percorso di Marshall, strada ritenuta bislacca dai pi&ugrave;, che lo port&ograve; invece nel Motomondiale dell'epoca, fatto di opportunit&agrave; scaturite dai rapporti umani. Entrato in Suzuki, divenne dirigente del team che, con base Oltremanica, si aggiudic&ograve; i titoli della classe 500 in due edizioni simili ma diverse: gli americani Kevin Schwantz e Kenny Roberts, rispettivamente nel 1993 e 2000. La soddisfazione palesata dal professionista sempre elegante, barbuto, e talvolta simil-hawaiano fu tale, da archiviare la delusione di non aver mai corso gare di alto livello iridato. Garry Taylor 1949-2024 Quando decise di ritirarsi, dal principio di met&agrave; anni 80 al 20004, lo fece per vari motivi. Tra cui, la voglia di trascorrere tempo in famiglia a casa, in Inghilterra. Sebbene fosse sempre attento alle azioni dei suoi ex colleghi, si limitava a guardarli davanti alla TV, comprando giornali di settore, leggendone gli approfondimenti. Ma Kate, la moglie, e Phoebe, la figlia, rappresentavano la priorit&agrave;.&nbsp; Le gare, per lui erano finite,&nbsp; per&ograve; cominci&ograve; la corsa pi&ugrave; difficile. Problemi di salute cominciarono ad attanagliarlo, per&ograve; mai scoraggiarlo. Il carattere sempre positivo, il desiderio di esperienza, il desiderio di vita sono valori trasmessi dal post Facebook divulgato dalla figlia: "Pap&agrave;, hai lottato con forza e a lungo. Riposa, sdraiato sul divano, in pace e protetto da cani che adoravi.&nbsp; Sei stato amato da tanti, perch&eacute; significavi molto per molte persone. Grazie per essere stato il mio miglior amico, capace di portare il buonumore anche nei momenti bui"        

Era il manager del team Suzuki, che ha condiviso i successi della mezzo litro insieme ai due americani. L'inglese aveva 74 anni

Addio Garry Taylor, titolato 500 con Schwantz e Roberts

           La vittoria di Pecco Bagnaia a Jerez ha sancito la redenzione del campione del mondo dopo i due errori consecutivi in Argentina e in America. Il pilota di Chivasso ha dimostrato un aspetto del quale si parla probabilmente poco, ovvero la sua forza mentale. Nonostante potesse accontentarsi di una posizione da podio per rilanciare la sua classifica, Bagnaia ha voluto sfruttare appieno la sua competitivit&agrave; andandosi a prendere la vittoria dopo una battaglia sofferta con il tenace Brad Binder. Un segno di autorit&agrave; per un pilota che al momento &egrave; l'unico in grado di presenziare costantemente nelle prime cinque posizioni in ogni sessione del week-end di gara.  Ad essere cresciuti nel tempo non sono solamente la consapevolezza della sua velocit&agrave; e lo status sempre pi&ugrave; visibile all'interno della griglia ma anche i numeri, che lo pongono sempre pi&ugrave; saldamente come uno dei riferimenti dell'era moderna della top class. Dal momento della sua prima vittoria in Motogp (a fine 2021) il rullino di marcia del pilota Ducati &egrave; stato sintomatico di un campione, dall'alto dei suoi tredici successi in trenta gare. Numeri che parlano chiaro e che lo ergono a secondo pilota pi&ugrave; vincente in termini di vittorie nell'attuale parco piloti in attivit&agrave;, dopo Marc Marquez.&nbsp;&nbsp;   Bagnaia eguaglia Barry Sheene Il successo maturato in Spagna ha restituito a Bagnaia la leadership della classifica, il piemontese ha superato Marco Bezzecchi in un metaforico sorpasso che assomiglia ad una manovra importante di rilancio di un inizio di stagione che con i due errori consecutivi in gara stava iniziando a prendere una brutta piega. Quello su Bezzecchi per&ograve; non &egrave; l'unico sorpasso compiuto dall'italiano, che con la seconda vittoria dell'anno ha completato il sorpasso su Marco Melandri nella classifica dei piloti pi&ugrave; vittoriosi di sempre nel motomondiale in termini di GP se considerate tutte le classi. Bagnaia ha infatti colto la sua 23esima vittoria in carriera, superando di una lunghezza l'ex pilota di MotoGP e Superbike. Inoltre, questo risultato permette al campione del mondo in carica di eguagliare una leggenda del motociclismo, ferma a quota 23 successi, ovvero il bicampione del mondo della classe regina Barry Sheene.   Vincendo a Le Mans nel prossimo appuntamento stagionale, Bagnaia potrebbe dunque staccare lo storico pilota della Suzuki per poi eguagliare altri quattro fenomeni che hanno fatto la storia del motomondiale: il quattro volte iridato Walter Villa, il tre volte campione mondiale Kenny Roberts, il tre volte iridato&nbsp;Wayne Rainey ed il campione del mondo della 125 nel 2004 Andrea Dovizioso, predecessore di Bagnaia proprio sulla Ducati.  Nel caso in cui Bagnaia continui a dimostrare il suo valore durante l'arco della stagione non &egrave; impossibile prevedere fin dove pu&ograve; spingersi nella classifica all-time dei pi&ugrave; vincenti di sempre. A tal proposito si vedono insidiare la loro posizione, Maverick Vinales a quota 25 (lo spagnolo pu&ograve; ritoccare la sua classifica), Kevin Schwantz a 25, Freddie Spencer, Eugenio Lazzarini e Pierpaolo Bianchi a 27, Loris Capirossi a 29 ed Eddie Lawson a 31.  SBK Barcellona: Bautista punta Haga, Rea sempre pi&ugrave; re dei podi                 

C'&egrave; anche Walter Villa tra gli illustri piloti messi nel mirino dal campione del mondo in termini di vittorie nel motomondiale&nbsp;

MotoGP: Bagnaia punta Roberts, Rainey e Dovizioso

        Non &egrave; certamente una novit&agrave; vedere Wayne Rainey nel &ldquo;suo&rdquo; MotoAmerica, ma in occasione dell'appuntamento sullo spettacolare circuito di Laguna Seca, teatro in questo weekend del sesto round stagionale per la Superbike americana, sono tante le special guest presenti nel paddock per uno degli eventi pi&ugrave; sentiti dell'anno. Oltre all'organizzatore del campionato, infatti, sul tracciato californiano sono presenti anche il quattro volte iridato della 500 Eddie Lawson, il tre volte campione Kenny Roberts e l'icona dell'AMA Superbike Wayne &ldquo;Bubba&rdquo; Shobert, vincitore della massima serie a stelle e strisce nel 1988 ed ex pilota del Motomondiale. I road racers tornano sull'Isola di Man: tutto pronto per la Southern 100 Grande successo per la &ldquo;Rainey Ride to the Races&rdquo;  Oltre alle quattro leggende che hanno dato vita ad un divertente siparietto effettuando un giro di pista con un golf kart rispondendo alle domande dei fan, nella giornata di venerd&igrave; si &egrave; svolta anche la Rainey Ride to the Races. Si &egrave; trattato di un giro in moto a Monterey concluso con due giri del circuito di Laguna Seca, a cui hanno partecipato 35 centauri e il cui ricavato &egrave; andato alla Roadracing World Action Fund, associazione no-profit che si occupa della promozione della sicurezza nelle gare in moto. Un ottimo modo per iniziare un weekend ricco di gare, che vedr&agrave; impegnati anche gli italiani Danilo Petrucci ed Edoardo Mazzuoli, rispettivamente in Superbike e Twins Cup. Sondaggio: come potrebbe trovarsi Razgatlioglu su una MotoGP?       

Rainey, Lawson, Roberts e "Bubba" Shobert sono presenti sul celebre tracciato californiano, teatro anche della seconda edizione della "Rainey Ride to the Races"

MotoAmerica: grandi leggende nel paddock di Laguna Seca

        L'edizione del 1974 della "classica" di Daytona, la 200 miglia, &egrave; passata alla storia per l'impresa di Giacomo Agostini, che con la sua Yamaha (aveva da poco firmato il contratto che lo avrebbe legato alla casa giapponese) sfid&ograve; i piloti americani in una delle loro gare pi&ugrave; rinomate e prestigiose. C'era molta attesa attorno ad Ago, sia per il solito alone mediatico che distingueva il primo vero divo delle due ruote, nonch&eacute; uno dei primi divi in generale dello sport italiano, sia per il debutto con la Yamaha, una moto che rappresentava una nuova sfida per il pilota bresciano, che per la prima volta passava da un motore a 4 tempi ad uno a 2 tempi. Tanto da richiamare la curiosit&agrave; di fan e addetti ai lavori riguardo al modo di guidare la moto, e cio&egrave; se avrebbe mantenuto il solito stile di guida fluido e pulito che lo aveva segnato negli anni in MV Agusta. Da Ago-Dago ad Ago-Daisy: la prova di forza di Agostini contro gli americani  Come ama definire lo stesso Agostini, la vittoria ottenuta a Daytona rappresenta l'impresa pi&ugrave; bella della sua carriera, sebbene riguardi un evento non compreso nel calendario del mondiale. Questa pi&ugrave; che condivisibile considerazione nasce da una serie di fattori che hanno impreziosito il successo del pilota italiano, aiutando l'impresa ad entrare nella leggenda, nel mito del motociclismo. L'annuncio della partecipazione del 15 volte iridato alla 200 miglia di Daytona gener&ograve; una grande attesa, condita dal fatto che l'italiano non aveva mai corso negli Stati Uniti, n&egrave; aveva mai corso con una moto 2 tempi.  Serviva dunque un'impresa per un pilota che in Europa deteneva in maniera incondizionata ed incontrastata, lo scettro di pilota pi&ugrave; forte, ma che negli Usa non riscontrava lo stresso trattamento. La stampa americana non tard&ograve; nel mostrare un forte malumore, apostrofando Agostini con appellativi come Ago-Dago, (un dispregiativo richiamo alle origine latine), al quale si aggiunse Ago-Daisy, nomignolo dato da Kenny Roberts per sottolineare quanto Agostini, per quanto fosse forte in Europa, non fosse altrettanto pronto per le gare americane, essendo troppo "soft". Il giovane americano (futuro tre volte campione del mondo della 500) infiamm&ograve; la sfida e aggiunse successivamente: "Agostini non conosce il circuito e non conosce la sua moto. Me lo manger&ograve; tutto crudo.&rdquo; La resa di Roberts: "Agostini non &egrave; umano"  Al trash talking dei piloti di casa, ovvero l'attitudine (ravvisabile in molti sport americani) di provocare l'avversario tramite la violenza verbale, Agostini rispose nel modo a lui pi&ugrave; congeniale ed efficace, ovvero applicando il suo metodo meticoloso e preciso nella preparazione della corsa, unita ad una preparazione fisica di gran lunga migliore rispetto a quella dei rivali. La differenza mentale, fisica e tecnica, si vide in gara. Agostini, uno dei pochi ad essere dotati di gomme non completamente lisce, part&igrave; quinto, ma prese subito la leadership della corsa mettendo in mostra tutte le sue abilit&agrave; di guida. Lo stile fluido e scorrevole ebbe la felice e voluta conseguenza di preservare gomme, carburante ed energie, in una gara straziante dal punto di vista fisico tanto da "cercare le gocce di sudore con la lingua per bagnarsi", come lui stesso ci ha raccontato. Basti pensare che al termine della gara il pilota bresciano fu costretto alle flebo a causa dello sforzo fisico importante.  La regolarit&agrave; di guida e la prestazione mostrata furono la miglior risposta allo scetticismo degli americani che dovettero fare un passo indietro di fronte al pilota pi&ugrave; vincente di tutti i tempi. Lo dimostrarono le parole dello stesso Kenny Roberts, che al termine della corsa elogi&ograve; il rivale italiano, fino a quel momento schernito: "Non posso credere che Agostini sia umano". Le differenze tra il Tourist Trophy e la 200 miglia di Daytona  Il 15 volte iridato fu uno dei pionieri relativamente alla preprarazione fisica legata alle gare, un vero e proprio punto di forza di cui aveva gi&agrave; imparato ad apprezzare i pregi nelle gare del Tourist Trophy. Lo stesso Agostini ha evidenziato una comunanza tra la difficolt&agrave; fisica della 200 miglia di Daytona e la corsa dell'Isola di Man, spiegando alcune importanti e peculiari differenze: "La fatica era differente, al TT ero stanco per la tensione, i salti, gli occhi fuori dalle orbite, ma ero ancora forte. A Daytona ero diventato debole e soltanto il pensiero di quanti erano venuti a vedermi mi diede la spinta per continuare. Con l&rsquo;orgoglio continuai, ma poi mi fecero una flebo. I rischi delle due corse non sono paragonabili, anche a Daytona hai i muri vicini ma soltanto per tre curve, mentre all&rsquo;Isola di Man &egrave; un continuo, hai una percentuale superiore di pericolo. Inoltre a Daytona se c&rsquo;era dell&rsquo;olio ti veniva subito segnalato, mentre il TT durava 60 km, chi poteva avvisarti?". Un'impresa che entr&ograve; nella leggenda e che mostr&ograve; una volta di pi&ugrave; la velocit&agrave; e la forza di una pilota senza eguali. Di questo, e molto altro, parliamo nel libro&nbsp;&ldquo;Giacomo Agostini, un mito lungo 80 anni&rdquo;&nbsp;scritto dalla redazione di Motosprint in edicola da marted&igrave; 14 giugno. Non perdetelo. Ago Day, 5 curiosit&agrave; che forse non conoscevi sulla leggenda delle moto        

Nel 1974 Agostini comp&igrave; una delle imprese pi&ugrave; importanti della storia del motociclismo, andando a vincere la rinomata corsa americana battendo i piloti di casa

AGO DAY: l'impresa di Daytona nel 1974 e l'ingresso nella leggenda

        In ogni dimora da lui abitata, Kenny Roberts ha allestito un&rsquo;ampia stanza, totalmente dedicata alle diverse vesti professionali interpretate. Trofei, coppe, targhe celebrative e divise, quasi tutte marcate Yamaha, azienda rappresentata con successo nella sua lunga carriera agonistica. Tutt&rsquo;oggi &egrave; difficile per il californiano decidere quale indumento da lavoro (s&igrave;, lavoro, poich&eacute; il nativo di Modesto introdusse i primi veri concetti di professionismo a due ruote) sia stato indossato con maggior piacere. Tuta da corridore o camicia da team manager? Sull&rsquo;elemento protettivo di pelle, per&ograve;, vi &egrave; un particolare a ricordargli come e quanto egli stesso cambi&ograve; la storia del Motomondiale e lo stile di guida in sella: le saponette, in passato chiamate &ldquo;ginocchiere&rdquo; poich&eacute;, di fatto, servivano a proteggere proprio l&rsquo;articolazione, messa a terra subito nel suo arrivo dagli Stati Uniti all&rsquo;Europa. Misano 1984: Fausto Ricci, buona la prima Da cowboy a pilota   Tali doti, unite all&rsquo;indole da impennatore vero, costituirono il frutto di un mix delle diverse attivit&agrave; gradite dal biondissimo e talentuoso pilota, nato come cowboy, cresciuto nel Dirt Track, e finito tra asfalto e motorhome. Era pi&ugrave; difficile domare un cavallo, derapare su terra o dominare una 500 da Gran Premio? Durante una rievocazione storica della 200 Miglia di Imola, Kenny rispose laconico: &ldquo;Dipende da quanti soldi ti danno. &Egrave; semplice scegliere, se si &egrave; ben pagati&rdquo;. Ecco la sintesi del concetto formulato a fine 1977, momento cruciale di un progetto stilato dai vertici Yamaha, determinati a riconquistare l&rsquo;alloro nella regina delle classi del Motomondiale. Ovvero, la serie articolata per lo pi&ugrave; nel Vecchio Continente, dove l&rsquo;incremento dei pezzi venduti sul mercato esigevano un&rsquo;immagine sportiva adeguata, che rispecchiasse gli obiettivi stessi della Casa. Magari, raffigurati nell&rsquo;ambito numero 1, sfoggiato da Roberts in tre stagioni consecutive, a suggellare altrettante affermazioni Mondiali ottenute nella mezzo litro (1978, 1979 e 1980), preferita a 250 e settemmezzo. Compresa l&rsquo;esigenza di ben figurare specialmente nella 500, il &ldquo;marziano&rdquo; &ndash; nickname meritato grazie proprio all&rsquo;uso degli arti inferiori nel far voltare pi&ugrave; velocemente di chiunque la moto &ndash; lasci&ograve; perdere le altre classi nonostante i successi di tappa conseguiti, impegnandosi al massimo soltanto in quella che rest&ograve; sino all&rsquo;avvento della MotoGP a quattro tempi la regina del motociclismo. Per merito del tris di re centrati con la testa dentro al casco e grazie a ulteriori soddisfazioni conseguite guardando le azioni dal box, con il tris di Wayne Rainey, KR ha lasciato nell&rsquo;ambiente segni indelebili. Innanzitutto, in Yamaha, Casa con la quale ha vinto titoli da pilota, certo, ma pure da dirigente ha brillato di gran luce (trionfando anche con John Kocinski nella 250). Nell&rsquo;orbita di Iwata, l&rsquo;americano ha fatto meglio anche di Agostini: in sella alla Yamaha 500, Ago sal&igrave; sul tetto del Mondo per l&rsquo;ultima volta, per&ograve; King Kenny scal&ograve; ancora di pi&ugrave; le liste preferenziali degli addetti ai lavori dell&rsquo;azienda. Forse perch&eacute; il coinvolgimento dei giapponesi era sempre in crescendo, forse per il numero di forti rivali battuti su altrettanto competitive cavalcature nipponiche, con la Suzuki che veniva dai due titoli di Barry Sheene. Rispetto a Mino, suo rivale anche da manager, Roberts parlava, dicendo tutto ci&ograve; che pensava, senza filtri n&eacute; peli sulla lingua. Le vittorie, l'autorevolezza dentro e fuori la pista   I successi della pista erano accompagnati dal carisma nel paddock. Un carisma alimentato dal pilota giallo-nero, previo camion posteggiati a formare un quadrato, dove entrava soltanto chi poteva. Il fido meccanico e amico Kel Carruthers era uno dei pochi. Gli altri, rimanevano fuori. Il simbolo del Circus auspicava, anzi, pretendeva circuiti pi&ugrave; sicuri, ingaggi pi&ugrave; corposi, copertura televisiva degli eventi e unione tra i protagonisti del campionato. O meglio, avrebbe voluto unirli nelle World Series, forte delle spiccate capacit&agrave; oratorie, sindacali e gestionali: &ldquo;Mi parve presto chiaro un aspetto: per crescere, si doveva collaborare. Ognuno invece faceva i propri interessi, per una coperta sempre corta, da una parte o dall&rsquo;altra. Per ottenere qualcosa, dovevano rimanere uniti. Altrimenti, saremmo andati a correre ancora in posti schifosi come Imatra&rdquo;. Infatti, il detestato GP Finlandia usc&igrave; dal calendario iridato e fu soltanto l&rsquo;anticipo di un fenomeno in costante crescita. Il dado era tratto, come l&rsquo;idea del ranch, varata ben presto: &ldquo;Se l&igrave; attorno ci galoppano i cavalli, possono farlo pure le moto&rdquo;. Ecco qui una delle tante iniziative poi &lsquo;copiate&rsquo; e perfezionate anni dopo: una grande fattoria, adibita all&rsquo;allenamento totale su sterrato, con mezzi nella piena filosofia USA, dove le manovre si effettuano praticamente sempre di traverso: &ldquo;Esaltiamo controllo e sensibilit&agrave;, per risultare veloci anche sull&rsquo;asfalto. Un giorno di tanti anni fa, David De Gea mi chiese se volessi diventare suo manager. Voleva vincere le gare, mi disse. Gli proposi di venire da me al ranch. Dopo avrei deciso&rdquo;. Lo spagnolo si present&ograve; di buon mattino in loco, una struttura appositamente realizzata nei pressi di Barcellona, replica di quella californiana. Kenny era gi&agrave; l&igrave; e, guardandolo bene, era evidente la faccia di uno in piedi da qualche ora. Roberts fece scegliere a David la miglior moto del lotto, prendendo per s&eacute;, invece, la pi&ugrave; lenta. Non ci fu storia: l&rsquo;esperto superava il giovane all&rsquo;interno e all&rsquo;esterno, in staccata e accelerazione. A sessione conclusa, il commento: &ldquo;Ragazzo, non sei pronto per il titolo della 500. Ripassa quando lo sarai. Io torno a dormire&rdquo;. Il racconto aiuta a capire come al marziano non fosse bastato aver battuto avversari del calibro di Barry Sheene, Johnny Cecotto, Pat Hennen, Marco Lucchinelli e Virginio Ferrari. Lui voleva creare e gestire talenti, dato che da loro e con loro poteva attingere proventi. Per&ograve; voleva gente forte, preparata, tenace e capace di guidare sopra i problemi. Nomi come Eddie Lawson, Randy Mamola, Wayne Rainey, John Kocinski e, perch&eacute; no, Luca Cadalora, tutti motorizzati Yamaha, tutti appoggiati dai marchi Philip Morris, il tabaccaio con cui l&rsquo;astuto californiano fece affari d&rsquo;oro e incetta di trofei. Misano World Circuit, la perla dell'Adriatico       

I tre titoli di King Kenny non raccontano tutto del suo impatto: apr&igrave; un'era vincente per Iwata rivoluzionando lo stile di guida e aumentando il valore sindacale dei piloti. I suoi successi continuarono anche nelle vesti di manager

Yamaha Mondiale: Kenny Roberts, il marziano

Al termine di una lunga stagione ricca di lotte interne con il compagno di squadra Raul Fernandez, a Valencia Remy Gardner &egrave; riuscito a laurearsi campione del mondo della Moto2 per una manciata di punti sul rivale. Il pilota australiano ha vissuto un 2021 da grande protagonista con i colori del team Ajo, vincendo cinque Gran Premio e salendo sul podio in altre sette occasioni, conquistando anche la piena fiducia di KTM, con cui passer&agrave; in MotoGP nella prossima annata.  Quella di Remy &egrave; un&#39;impresa importante anche e soprattutto per il cognome, visto che &egrave; riuscito a vincere il titolo proprio come accadde a suo padre Wayne nel 1987 (motivo per cui utilizza il numero 87 in gara). All&#39;epoca Gardner conquist&ograve; il titolo nella classe 500 con sette vittorie, ma i due australiani non sono i primi a raggiungere questo traguardo condiviso tra padre e figlio.    Loris Capirossi: &quot;Le 500 sono ancora le regine, vorrei guidare di nuovo la mia Honda&quot;  Roberts ed Everts, sulle orme dei padri   Restando nel contesto del Motomondiale, la prima famiglia a riuscire in questa impresa &egrave; stata quella dei Roberts: pap&agrave; Kenny ha infatti conquistato tre titoli mondiali consecutivi in 500 tra il 1978 ed il 1980, mentre Kenny Roberts Junior &egrave; salito sul tetto del mondo nella medesima categoria a distanza di vent&#39;anni, quando nel 2000 trionf&ograve; sulla Suzuki restando l&#39;ultimo pilota iridato con la Suzuki tra i prototipi fino allo scorso anno, in cui Joan Mir riusc&igrave; nella stessa impresa in MotoGP con la GSX-RR.  Passando all&#39;off-road, un&#39;altra famiglia vincente &egrave; quella degli Everts, con il padre Harry, quattro volte campione del mondo tra gli anni &#39;70 e l&#39;inizio degli anni &#39;80, e il figlio Stefan, diventato una vera e propria leggenda del motociclismo con i suoi dieci titoli iridati ottenuti tra gli anni &#39;90 e il 2007, anno del proprio ritiro dalle corse. Il pilota belga &egrave; stato inoltre il primo pilota a vincere il mondiale con tutte e quattro le Case giappionesi, prima di ricoprire il ruolo di responsabile sportivo del settore motocross per KTM. Quella degli Everts potrebbe diventare addirittura la prima famiglia a laurearsi campionessa con tre diverse generazioni, visto che il prossimo anno il giovanissimo Liam (figlio di Stefan) esordir&agrave; in MX2.  SBK, Fogarty: &quot;Non mi divertivo cos&igrave; dalla lotta tra Edwards e Bayliss&quot; 

Con la conquista de titolo in Moto2, Remy ha ripetuto l&#39;impresa compiuta da pap&agrave; Wayne in 500, ma non &egrave; la prima famiglia a riuscirci: ecco quali altri campioni delle due ruote hanno trionfato seguendo le orme del padre

Dalla famiglia Gardner ai Roberts: padri e figli sul tetto del mondo

Testa o croce, bianco o nero, yin e yang: la stagione 1983 della classe 500 si svilupp&ograve; lungo l&rsquo;asse Roberts-Spencer, senza contemplare soluzioni intermedie in nessuno dei 12 GP del Mondiale. O vinceva l&rsquo;uno o si imponeva l&rsquo;altro, un duopolio senza precedenti negli ultimi 40 anni della classe regina. Alla leggendaria sfida tra i due statunitensi contribu&igrave; la contrapposizione tra le altre variabili della contesa: Kenny con la Yamaha dotata di gomme Dunlop, una guida rotonda, tre Mondiali gi&agrave; in bacheca, Giacomo Agostini e l&rsquo;ex pilota Kal Carruthers (iridato con la Benelli in 250 nel 1969) a guidarlo nei box.    Duelli da leggenda: la vittoria del privatissimo Tournadre  Una contesa tiratissima   All&rsquo;altro angolo del ring l&rsquo;emergente Freddie con la Honda, i pneumatici Michelin, uno stile che lo portava a spigolare le curve ed Erv Kanemoto (nessuna esperienza in sella ma soltanto ai box) nelle vesti di capotecnico. Ad aggiungere pepe alla contesa, l&rsquo;annuncio di Roberts di appendere il casco al chiodo al termine della stagione, a prescindere dal risultato finale. Gi&agrave;, perch&eacute; si trattava anche di un duello generazionale: tra il californiano pluriiridato e la giovane stella della Louisiana, la differenza era di dieci anni esatti.  Il ventunenne Fast Freddie inizi&ograve; il 1983 alla grande vincendo i primi tre GP, guadagnando 25 punti di vantaggio sul rivale (la vittoria ne attribuiva 15). King Kenny, beffato a Monza prima da una scivolata alla Parabolica quando era al comando e poi, una volta risalito in sella, dall&rsquo;esaurimento del carburante, trionf&ograve; in Germania Ovest e Austria, finendo secondo in Spagna. E cos&igrave; a met&agrave; campionato il suo ritardo era sceso a sei lunghezze. Spencer vinse anche in Jugoslavia una corsa in cui il rivale fin&igrave; quarto dopo una furiosa rimonta, obbligata dalla partenza disastrosa (ai tempi ancora a spinta) che costituiva spesso il punto debole per Roberts e la Yamaha. Ma il californiano si riscatt&ograve; con una tripletta, in Olanda (nella gara che rischi&ograve; di essere fatale al campione uscente Franco Uncini), Belgio e Gran Bretagna. E in quel modo, il Marziano si port&ograve; a due punti dalla vetta. Restavano il penultimo round, in Svezia, e il successivo, un mese dopo, a Imola.    Nervi tesi in Svezia   Ad Anderstorp, Roberts sembrava destinato alla vittoria ma alla penultima curva fu infilato da Spencer. I due finirono larghi, sull&rsquo;erba, e Freddie fu il pi&ugrave; rapido a rientrare: il pilota della Honda vinse per 16 centesimi e port&ograve; il suo vantaggio in campionato a cinque punti. Roberts la prese malissimo: &ldquo;Gli parlai subito dopo, ma nulla di quanto dissi era pubblicabile. Se avesse detto una parola l&rsquo;avrei fatto volare gi&ugrave; dall&rsquo;auto&rdquo; disse riferendosi alla Mercedes cabrio su cui salivano i primi tre all&rsquo;arrivo per effettuare il giro d&rsquo;onore e salutare il pubblico. Poich&eacute; il secondo classificato incassava 12 punti, nel GP San Marino al californiano dagli occhi di ghiaccio non sarebbe bastato vincere per conquistare il trono: Spencer sarebbe dovuto arrivare terzo o peggio.  Roberts aveva bisogno di un alleato, tuttavia le altre due OW70 ufficiali erano guidate dal compagno di squadra Eddie Lawson, ancora troppo acerbo nel suo primo anno completo in Europa, e Marc Fontan (Team Sonauto), mai a podio. Si vocifer&ograve; persino che Agostini avesse chiesto aiuto a Virginio Ferrari, che in tutta la stagione con la Cagiva non aveva conquistato nemmeno un punto. Roberts non se ne preoccup&ograve; pi&ugrave; di tanto e approfitt&ograve; della lunga sosta per viaggiare con la prole, come spieg&ograve; una volta arrivato al circuito, ai tempi intitolato al solo Dino Ferrari: &ldquo;&Egrave; stato un mese di vacanza, i miei bambini sono qui perch&eacute; questa &egrave; la mia ultima corsa in Europa, la loro ultima chance di vedere il loro pap&agrave; come pilota da GP. Vivono con la mia ex moglie in California, cos&igrave; se gareggiassi ancora nel Mondiale non avrei abbastanza tempo per loro, per questo mi ritiro dai Gran Premi&rdquo;.  Kenny conquist&ograve; la pole position a Imola con un tempo di 1&rsquo;53&rdquo;49, ma Spencer con 1&rsquo;54&rdquo;00 si tenne dietro tutti gli altri. Questo sanc&igrave; il primo pareggio del weekend: sei pole stagionali a testa. In prima fila anche Marco Lucchinelli, all&rsquo;ultima uscita con la Honda ufficiale (1&rsquo;54&rdquo;65) dove era arrivato due anni prima da iridato ma con cui non aveva mai vinto, Randy Mamola con la Suzuki (1&rsquo;54&rdquo;96) e Lawson (1&rsquo;55&rdquo;00). Roberts conosceva a menadito gli allora 5040 metri di Imola, avendoci corso sin dal lontano 1974, con due successi nella 200 Miglia.  A Imola la resa dei conti   Al via, per&ograve;, le Honda NS 500 a tre cilindri mostrarono le loro qualit&agrave;: Spencer scatt&ograve; subito in testa seguito da Lucchinelli e Ron Haslam, anche se quest&rsquo;ultimo venne presto scavalcato da Roberts. Al quarto giro Kenny infil&ograve; anche Lucky, guadagnando la seconda piazza, mentre Lawson era risalito in quarta, seppur a debita distanza. Grazie anche al nuovo record della pista, a 160,056 km/h di media, nel giro di altre quattro tornate il leader della corsa cambi&ograve;, con l&rsquo;ingresso vincente di Roberts su Spencer alla staccata della Tosa. Tuttavia per completare il ribaltone in classifica sarebbe servito il secondo posto di Lawson, il quale invece faticava a mettersi dietro Lucchinelli.  Davantti a 80mila spettatori, i due rivali per il titolo si scambiarono la posizioni altre quattro volte nei nove giri seguenti. Approfittando delle chicane il californiano rallentava quel tanto che bastava per aumentare i tempi sul giro, cos&igrave; da aiutare la rimonta di Lawson. &ldquo;Kenny era veloce in pista e lento allo stesso tempo &ndash; spieg&ograve; dopo l&rsquo;arrivo Spencer &ndash; ogni volta che potevo, senza rischiare, cercavo di superarlo per allungare e non dare corda alla sua tattica. Pi&ugrave; che dura, &egrave; stata una gara strana&rdquo;.  Soltanto al giro numero 17 Eddie si liber&ograve; della compagnia del ligure, poi ringraziato pubblicamente da Freddie, e a cinque tornate dalla fine ridusse il ritardo a cinque secondi dal duo di testa. Al 21&deg; passaggio Spencer torn&ograve; in testa per scongiurare l&rsquo;aggancio ma alla Tosa venne ripassato da Roberts. La sua iniziativa ebbe in ogni caso effetto perch&eacute; al penultimo giro l&rsquo;altra Yamaha era lontana sei secondi e mezzo. All&rsquo;ultimo giro Spencer rinunci&ograve; a correre rischi e fin&igrave; secondo a 1&rdquo;23 da Roberts &ndash; ma davanti a Lawson di oltre sei secondi &ndash; che pareggi&ograve; anche il conto delle vittorie in quel campionato: sei a testa. Il neopensionato era inoltre avanti per il numero dei giri veloci in gara, sette contro i tre del neocampione del Mondo. Un dato figlio delle rimonte a cui spesso Roberts era costretto dalle partenze deficitarie.  Il trionfo di Spencer   Ma nella classifica che pi&ugrave; contava, quella del Mondiale, Spencer prevalse per due punti e nel giro di rientro trov&ograve; ad attenderlo in pista la fidanzata Sarie Joubert, che due anni dopo sarebbe finita quarta a Miss USA, nonostante il punteggio pi&ugrave; alto di tutte (9,311) alla voce &ldquo;Intervista&rdquo;. Quel giorno del settembre del 1983, per&ograve;, tutti gli occhi erano puntati sul suo Freddie e sulla Honda, allo storico primo titolo piloti della 500 dopo un inseguimento iniziato nel lontano 1966. Un titolo che apr&igrave; una nuova era, non tanto per Spencer &ndash; capace di compiere l&rsquo;impresa dei titoli di 250 e 500 nello stesso anno, il 1985, prima del crollo repentino &ndash; ma della Honda. Da quel 1983 al 2019, l&rsquo;HRC ha conquistato 21 titoli piloti e 24 costruttori nella top class.  Duelli da leggenda: Jacque e Nakano raccontati da Poncharal 

Fast Freddie seppe resistere alla rimonta di King Kenny, che pur conquistando l&rsquo;ultima gara nel mondiale non riusc&igrave; a ritirarsi da campione della 500. Il giovane Spencer fu il primo a vincere con la Honda nella classe regina

Duelli da leggenda: quando Freddie Spencer pieg&ograve; Kenny Roberts

Alzando al cielo il trofeo del campione del Mondo della classe 500, Kenny Roberts Junior apprezz&ograve; particolarmente, tra le tante congratulazioni ricevute, quelle di pap&agrave; Kenny, piuttosto parco di buone parole sino a quel GP Brasile, l&rsquo;occasione in cui il figlio si laure&ograve; Re della mezzo litro a due tempi, da tutti ritenuta la categoria pi&ugrave; difficile: &ldquo;Sapevo che Kenny aveva il potenziale per vincere &ndash; disse King Kenny, facendo cadere qualche lacrima dagli occhi azzurri &ndash; e vi dir&ograve;: lui ha pi&ugrave; stoffa di quanto si pensi, pu&ograve; anche fare meglio&rdquo;. Ebbene s&igrave;, nel 2000 Kenneth Leroy Roberts Junior regal&ograve; alla Suzuki un titolo che mancava dai tempi di Kevin Schwantz, texano trionfatore nel 1993 sulla quattro cilindri di Hamamatsu; come il connazionale americano, l&rsquo;allora ventisettenne californiano eguagli&ograve; l&rsquo;impresa con il medesimo numero di quattro successi, a Sepang, Jerez, Barcellona e Motegi. Non troppi, ma sufficienti in una stagione caratterizzata dall&rsquo;irregolarit&agrave; di tanti rivali e dai peccati di inesperienza del rookie, e futuro dominatore, Valentino Rossi.  SBK, Troy Bayliss: &ldquo;Io che sognavo a occhi aperti&rdquo;  Figlio d&#39;arte   Quattro erano anche le affermazioni con le quali il giovanotto di Mountain View aveva debuttato sulla RGV gestita dal team di Garry Taylor, squadra anglo-nippo-americana che, sino all&rsquo;arrivo di Kenny, gravitava a centro classifica. Invece, all&rsquo;inizio del 1999 un doppio colpo, tra Sepang e Motegi. I senatori della 500 capirono che Junior maturava, tramutandosi da &ldquo;figlio di pap&agrave;&rdquo;, o peggio ancora raccomandato, in un serio e credibile protagonista del Motomondiale. In quel &lsquo;99 nel box Suzuki si moltiplicarono le visite. Vuoi per i risultati eccellenti - primi posti anche al Sachsenring e in Argentina, podi ad Assen, Brno, Valencia e Rio - complice anche un lavoro di sviluppo svolto dal capotecnico Warren Willing: &ldquo;Abbiamo tanto di quel materiale nuovo da provare &ndash; le parole di Roberts &ndash; e non sappiamo se riusciremo a usarlo tutto&rdquo;.    I reparto corse giapponese era intenzionato a tornare in vetta al mondo delle due ruote e, a dar man forte a Kenny c&rsquo;era il nipponico Nobuatsu Aoki, capace di comunicare in madrelingua con gli ingegneri di Hamamatsu. In quell&rsquo;ultima stagione del Primo Millennio, Mick Doohan abdic&ograve;, per il grave infortunio nelle prove del GP Spagna. Il diretto erede in Honda divenne lo spagnolo Alex Criville, gran conoscitore della NSR marchiata Repsol e futuro campione del Mondo. Max Biaggi capitanava una compagine Yamaha con la non irresistibile YZR e costituita da Carlos Checa, Norick Abe, Simon Crafar e Regis Laconi. Roberts Senior dirigeva il progetto Modenas K3 e aveva appena visto volar via dal nido protettivo, quanto soffocante, il figlio Junior, secondo nella graduatoria 1999 con la Suzuki. Il prestigioso piazzamento invogli&ograve; lo sponsor Telefonica a vestire le RGV per le stagioni successive, a partire dal 2000 sino alla MotoGP del 2002.  L&#39;anno del titolo iridato   Forte della nomea di vice campione, Roberts cominci&ograve; il Nuovo Millennio con un sesto posto in Sudafrica, poi arrivarono due vittorie tra Malesia e Spagna, intervallate dal secondo gradino del podio a Suzuka. Si stavano mettendo benissimo le cose per Garry Taylor, malgrado qualche commento che rischi&ograve; di spazientire il carismatico manager, il quale rischi&ograve; di smarrire l&rsquo;aplomb britannico: &ldquo;Dite che abbiamo vinto a Sepang e Jerez per merito di due gare interrotte anzitempo? Io non la vedo cos&igrave;: Kenny si trovava in testa in entrambi i casi ed era pronto a spingere anche se fosse piovuto forte&rdquo;.  &Egrave; vero, quel braccio alzato dal californiano in entrambi i casi non piacque proprio a tutti, ma il regolamento parlava chiaro: in caso di pioggia sull&rsquo;asfalto asciutto, il leader della corsa &egrave; il primo a dover segnalare la situazione; stesso atteggiamento tenuto dagli inseguitori e confermato dai marshall, che sbandierarono le interruzioni anticipate. Junior rimase tranquillo e concentrato, consapevole dei propri mezzi e limiti: &ldquo;Sfrutto al massimo il potenziale della mia Suzuki. Soffriamo in accelerazione, a fine rettilineo e l&rsquo;erogazione &egrave; brusca Per&ograve;, allo stesso tempo, la RGV &egrave; molto equilibrata; magari non eccelle in alcuna caratteristica, ma si fa guidare con armonia&rdquo;. L&rsquo;armonia era dettata dal polso destro dello statunitense, allenato nei ranch di pap&agrave;. A Modesto in primis, a Barcellona in seguito, la filosofia &ldquo;tutta di traverso&rdquo; fece il giro del Mondo, conquistando enormi traguardi. La capacit&agrave; di controllare e, addirittura, prevedere le reazioni di telaio e gomme, proveniva dalle intere giornate spese praticando Dirt Track, specialit&agrave; Made in USA, esportata all&rsquo;estero e rivelatasi decisamente formativa e assolutamente determinante per Kenny Junior, impegnato a domare i quasi 200 cavalli della Suzuki. Per una potenza erogata da un effetto turbo, il californiano gestiva tutto nel migliore dei modi: &ldquo;Non potendo superare i rivali in accelerazione o in velocit&agrave; di punta, devo attaccarli in frenata, dare tutto a centro curva, aprire il prima possibile in uscita. Soltanto cos&igrave; posso giocarmi le vittorie&rdquo; precis&ograve; il pilota in diverse occasioni, riferendosi alle doti trasmesse dal padre, vero marziano in 500 e mattatore in tre campionati di fila, dal 1978 al 1980.  Pap&agrave; Kenny aveva cambiato il sistema, introducendo i primi concetti di professionismo, pretendendo denaro per tutti (in particolare per se stesso), sicurezza nei circuiti e la giusta considerazione. Il californiano il sistema, sia quando era in sella che quando inizi&ograve; la carriera di team manager. Passare da lui poteva segnare la svolta di un pilota o la discesa. Junior lo sapeva, infatti, nel Team Marlboro Yamaha allestito dal padre, il giovane di casa Roberts parlava poco e niente, pensando soltanto a scendere in pista, rimanendo nell&rsquo;ombra del genitore che spieg&ograve;: &ldquo;Denaro? Quale denaro? Mio figlio prender&agrave; i soldi quando inizier&agrave; a vincere, non prima&rdquo;. Questo fu uno dei diversi motivi che spinsero Junior a separarsi da Senior, abbracciando la causa Suzuki, realt&agrave; in cui il rampollo ricevette ingaggio e premi notevoli, conforto e una meritata importanza. Un solo ritiro nel 2000 per lui, ad Assen, ma nel frattempo era arrivato il successo a Barcellona. Mentre l&rsquo;ultimo primo posto della carriera, a Motegi, sarebbe giunto con il titolo della 500 gi&agrave; in tasca e altre parole ricevute dal babbo: &quot;Abbiamo la dimostrazione che mio figlio, quando tutto &egrave; a posto, pu&ograve; battere chiunque&quot;. I battuti erano Rossi, iridato in 250 e al primo anno in Honda ufficiale. E poi Biaggi, quattro volte campione nella &ldquo;dueemmezzo&rdquo; e prima punta Yamaha, il futuro campione SBK Carlos Checa, il numero 1 in carica Alex Criville e altri come Loris Capirossi, Alex Barros, Tadayuki Okada, Tetsuya Harada e Garry Mc Coy. Scusate se &egrave; poco.    La popolarit&agrave; ottenuta e i parecchi dollari non cambiarono particolarmente lo stile di vita di Junior, dotato di un passo lento e possente nel paddock ed espressioni da vero cowboy e per nulla disdegnante la cucina del suo Paese, accompagnata da qualche buona birra. Contrariamente a Barry Sheene - titolato 1976 e 1977 in 500 con la Suzuki - e proprio come Kevin Schwantz e Franco Uncini, Kenny volle tenere il numero 1 sulla Suzuki l&rsquo;anno successivo. Se l&rsquo;inglese prefer&igrave; il suo iconico 7, il texano lasci&ograve; l&rsquo;amato 34 sfoggiando il numero 1. Roberts fece lo stesso, pi&ugrave; o meno. Ma il 2001 port&ograve; soltanto un podio centrato da campione in carica. Finita quella stagione, la RGV 500 due tempi and&ograve; in pensione, lasciando spazio alla GSV-R 990 a quattro tempi: &ldquo;La differenza &egrave; la stessa provata nel passaggio dalle Cross 250 due tempi a 450 quattro tempi&rdquo; spieg&ograve; Kenny, chiamato a uno sviluppo complicato e macchinoso di fronte a un&rsquo;agguerrita concorrenza. Roberts ottenne due podi in MotoGP con la Suzuki, poi torn&ograve; all&rsquo;ovile: la KR 211V di pap&agrave; Kenny lo accolse e lui fin&igrave; sesto nella classifica finale del 2006 con due terzi posti, ricevendo le ultime parole da chi lo aveva lanciato nel Motomondiale: &ldquo;La nostra &egrave; una buona moto, per&ograve; &egrave; mio figlio a fare la differenza&rdquo;. Un modo per esaltare le doti dell&rsquo;ultimo iridato nei GP con la Suzuki, prima dell&#39;arrivo di Joan Mir.&nbsp;  La storia della Suzuki, tra tradizione e famiglia 

21 anni fa, il figlio di King Kenny precedeva Rossi, Biaggi e Capirossi, e si aggiudicava il Mondiale della 500. Un digiuno interrotto da Joan Mir nel 2020

Kenny Roberts Jr, l&#39;ultimo iridato Suzuki prima di Mir

Racconta Alan Carter, ex pilota Yamaha 250 insieme a Wayne Rainey: &ldquo;La Yamaha 250 non andava. Io e Rainey chiamammo il nostro Boss e lui arriv&ograve; dall&rsquo;America al GP di Francia, in jet. Era un ex pilota da due anni. Ci ascolt&ograve;, chiese tuta e casco e scese in pista a Le Castellet. Fece 5 tornate, poi scese e si cambi&ograve;. Cristo, ci aveva rifilato un secondo al giro. La riunione tecnica con lui dur&ograve; 20 secondi. Ci disse: &ldquo;Ora ho 2 punti fermi: 1) Siete delle teste di c.... e 2) Salite in moto e date pi&ugrave; gas. Se non ci sono domande, ora io me ne torno in California&rdquo;.  Questo &egrave; solo un aneddoto per raccontare chi era sportivamente Kenny Roberts, che oggi spegne 69 candeline essendo nato il 31 dicembre 1951. Pi&ugrave; dei freddi numeri, &egrave; interessante notare come la carriera di Kenny in 500 sia durata solamente 6 anni, nei quali si &egrave; portato a casa 3 titoli consecutivi tra il 1978 ed il 1980.  Gli inizi   Kenny Roberts nasce a Modesto in California il 31 dicembre 1951. Arriva tardi al motociclismo, all&rsquo;et&agrave; di 12-13 anni. All&#39;et&agrave; di 12 anni Kenny lavorava come &quot;cow-boy&quot; e fu invitato dalla moglie del suo datore di lavoro ad accendere il mini motorino regalato al figlio, e che non partiva. Kenny ci prov&ograve; e si ribalt&ograve; immediatamente, si fer&igrave; gravemente a un ginocchio e svenne per il dolore.  A tredici anni Kenny aveva gi&agrave; vinto nell&#39;Oregon, vittorie nella categoria flat-track, nella classe 100&nbsp;cm&sup3;. Nel 1970 conquistava il &quot;National Novice Championship&quot; del Campionato AMA. Nel 1971 inizi&ograve; con la Yamaha e vinse nove gare della &quot;AMA Junior Championship&quot;. Nel 1972 ottenne la licenza &quot;Expert&quot;.  Yesterday: Kenny Roberts Junior  La 250   Il debutto nel Motomondiale avviene nel 1974 in 250 con la Yamaha. Coglie il primo podio di carriera in Olanda arrivando terzo e a fine anno &egrave; 19&deg; con 10 punti grazie proprio a quel terzo posto come wild card. Correr&agrave; in 250 anche nel 1978 chiudendo al quarto posto con 54 punti, 2 vittorie e 4 podi complessivi.  Le due vite in 500: la prima da pilota   Nel 1978 debutta in 500 come pilota ufficiale, sempre per la Yamaha. In quell&rsquo;annata disputa anche la 250 e la Formula 750 con questi risultati: campione del mondo in 500 con 110 punti e 4 vittorie, quarto in 250 e vice campione in Formula 750.  L&rsquo;anno successivo si riconferma al vertice della classe regina mantenendo il titolo con 113 punti, 5 vittorie e 7 podi complessivi.  Nel 1980 vince il terzo ed ultimo titolo mondiale con &ldquo;soli&rdquo; 87 punti, frutto di tre vittorie e 6 podi complessivi.  Nel biennio 1981-1982 inizia la fase &ldquo;calante&rdquo;: terzo posto con sole 2 vittorie, 5 podi e 74 punti mentre nel 1982 &egrave; quarto in classifica con 2 vittorie e quattro podi per 68 punti totali.  L&rsquo;83 rappresenta l&rsquo;ultimo colpo di coda di una carriera breve (6 anni effettivi) ma intensa: titolo platonico di vice campione per soli 2 punti (142 contro i 144 di Freddie Spencer) con 6 vittorie e 9 podi totali.  La seconda da team manager   A fine 1983 Roberts decide di appendere il casco al chiodo ed intraprendere una nuova vita da team manager all&rsquo;interno del Motomondiale. Nel 1984, grazie anche all&rsquo;aiuto di Yamaha, fonda il suo team che porta alla 250 Alan Carter e Wayne Rainey. Dal 1990 al 1992 Wayne Rainey diventa campione per tre volte di fila sotto la sua direzione ed in 250 un giovane John Kocinski riusc&igrave; a vincere il titolo della quarto di litro.  Trent&#39;anni fa: Rainey e Kocinski servono a Roberts l&#39;antipasto mondiale  Fino al 1996 &egrave; stato team manager per conto di Yamaha, nel 97 ha lasciato Yamaha per andare avanti da solo come owner del proprio team e proponendo diverse concezioni di moto.  La nuova attivit&agrave; inizi&ograve; con la&nbsp;KR V3, moto&nbsp;per il cui sviluppo si affid&ograve; ad una struttura situata in&nbsp;Gran Bretagna&nbsp;e il cui sostegno economico veniva garantito dalla casa motociclistica&nbsp;malese Modenas. La squadra debutt&ograve; cos&igrave; nella stagione 1997 con motociclette marchiate&nbsp;Modenas, nome mantenuto fino al termine del 2000.  Dal 2001 prese invece il nome del nuovo sponsor, anch&#39;esso malese, la Proton e, dopo aver proseguito ancora per un paio d&#39;anni il progetto della moto con motore a 2 tempi, present&ograve; il nuovo modello&nbsp;a quattro tempi&nbsp;per la nuova&nbsp;MotoGP.  Con l&#39;entrata in vigore della MotoGP e delle nuove regole per le case costruttrici e i team partecipanti al motomondiale, venne registrato come Proton tra le case costruttrici e come &quot;Proton Team KR&quot; tra i team, concludendo l&rsquo;anno al quarto posto tra i costruttori e al settimo tra i team; i piloti schierati furono&nbsp;Nobuatsu Aoki e&nbsp;Jeremy McWilliams. Gli stessi piloti gareggiarono anche nel&nbsp;Motomondiale 2003 ma i posizionamenti furono peggiorati con il sesto posto tra i costruttori e l&#39;undicesimo tra i team.  La situazione non miglior&ograve; neppure nel 2004 in quanto McWilliams venne sostituito dall&#39;altro figlio del team manager,&nbsp;Kurtis e da James Haydon nelle ultime gare della stagione in cui Kurtis era infortunato.  Nel&nbsp;2005 Roberts strinse un accordo per la fornitura del propulsore con la casa austriaca&nbsp;KTM ma l&#39;accordo ebbe termine prima della fine della stagione e il team ottenne un solo punto in tutta la stagione. Nel frattempo la denominazione ufficiale era cambiata in&nbsp;Team Roberts, perdendo la denominazione dello sponsor.  Dal&nbsp;2006 la squadra ha potuto contare sul supporto della&nbsp;Honda, che forniva a pagamento il motore. La nuova moto era la&nbsp;KR211V risultante dalle iniziali di Roberts e dal nome del propulsore Honda (che equipaggiava anche la&nbsp;Honda RC211V). Roberts, come unico pilota, scelse suo figlio&nbsp;Kenny Roberts Jr che riusc&igrave; ad ottenere due piazzamenti sul podio; il team riusc&igrave; ad arrivare al sesto posto nella classifica specifica.  Una situazione simile si &egrave; verificata nel 2007 con l&#39;introduzione della KR212V (il cambio di nome era dovuto all&#39;aggiornamento del propulsore che, dopo il cambio di regolamento che limitava la cilindrata a 800&nbsp;cm&sup3;, era passato a quello che equipaggiava anche la Honda RC212V); in corso di stagione Kenny Jr venne dapprima affiancato e poi sostituito dal fratello Kurtis ma non vennero ottenuti risultati di rilievo con il team che scese all&#39;undicesimo posto in classifica.  Fu questo anche l&#39;ultimo anno di attivit&agrave; del team che annunci&ograve; il suo ritiro dal mondiale a causa della mancanza di sponsor.  Kenny Roberts: &#39;Nessuno come Valentino Rossi: &egrave; incredibile&#39;  Kenny cuore di pap&agrave;   Roberts Sr ha avviato al motociclismo anche i suoi due figli, Kenny Jr e Kurtis, con alterne fortune. Mentre Kenny Jr riusc&igrave; nell&rsquo;intento di seguire le orme del padre diventando campione nel 2000 con Suzuki, Kurtis invece non ebbe molta fortuna: solo 11 punti in MotoGP tra il 2004 ed il 2007.&nbsp;  Tanti auguri, marziano! 

Compie oggi gli anni il capostipite degli americani campioni del mondo in 500 nonch&eacute; padre del campione del 2000 Kenny Roberts Jr, ovvero Kenny Roberts Sr.

Pilota, manager e pap&agrave;: i 69 anni di Kenny Roberts

Pilota, manager, padre. Nelle tre vesti in cui ha vissuto il paddock, Kenny Roberts ha toccato l&rsquo;apice nell&rsquo;anno che finiva con lo &ldquo;zero&rdquo;: dal 1980, quando complet&ograve; il tris iridato nella 500, al 2000, con il Mondiale della classe regina vinto dal figlio Kenny Junior. Nel mezzo, nel 1990 King Kenny non conquist&ograve; soltanto il primo titolo da manager, ma firm&ograve; addirittura una doppietta: vinse la 500 con Wayne Rainey e la 250 con John Kocinski, piloti che erano anche sue &ldquo;creature&rdquo;. Roberts sigl&ograve; cos&igrave; un record: da allora, nessun altro team campione nella top class ha vinto il titolo in un&rsquo;altra categoria nello stesso anno. Un&rsquo;impresa paragonabile alle doppiette dei fratelli Marquez nel 2014 e nel 2019 o a un altro primato targato Roberts, l&rsquo;unica dinastia con sia il padre (Kenny) che il figlio (Kenny Junior) campioni del Mondo.&nbsp;  Unico nel suo genere, Roberts non lo &egrave; stato soltanto da pilota, con l&rsquo;introduzione della piega con il ginocchio sull&rsquo;asfalto e le rivendicazioni a livello economico e di sicurezza nei circuiti in favore dei piloti. Anche da manager, il californiano &egrave; stato un precursore, e la doppietta Rainey-Kocinski fu il frutto del modus operandi di King Kenny, con la voglia di crescersi i campioni in casa e un proprio reparto corse sempre pronto a innovare, anche andando a mettere le mani dove al costruttore &ndash; in quel caso la Yamaha &ndash; poteva non piacere. E tanto lavoro, iniziato nel 1984 in 250 con il debuttante Rainey e Alan Carter e proseguito con i quattro anni in 500 con numerose vittorie ma senza il bersaglio grosso, venne sublimato nel 1990 dalla promozione a unico team ufficiale Yamaha in 500: nel duello interno tra manager che furono leggende in pista, Roberts estromise Giacomo Agostini, che pure aveva l&rsquo;accordo con Kevin Schwantz, accaparrandosi lo sponsor del tabacco che in quegli anni era costantemente partner del principale team di Iwata.  Un passo del genere coincise con la creazione di un dream team, con Eddie Lawson, di ritorno in Yamaha dopo il successo nell&rsquo;unico anno in HRC, e Rainey. Ma come sarebbe accaduto quasi 30 anni dopo con Marc Marquez e Jorge Lorenzo alla Honda, quel dream team fu un sogno per soltanto uno dei due piloti: Rainey domin&ograve; la stagione mentre Lawson - che era stato gregario di Roberts nel 1983 ma mai aveva corso nel suo team - fu subito tagliato fuori dalla corsa al titolo per errori altrui, falciato da Mick Doohan a Suzuka (dove il californiano rimedi&ograve; una frattura al malleolo sinistro) e poi tradito da un errore ai box a Laguna Seca, dove nelle prove Eddie si ritrov&ograve; senza freno anteriore, si schiant&ograve; e si ruppe il tallone destro. Accanto al dominio di Rainey, Roberts allung&ograve; le mani anche sulla 250 grazie a Kocinski, che dopo le wild card di successo nei due anni precedenti - due vittorie in due gare nel 1989 - si aggiudic&ograve; il titolo regalando a Kenny un&rsquo;altra soddisfazione nel &ldquo;derby&rdquo; con Agostini, il cui pilota, Luca Cadalora, chiuse terzo.&nbsp;    Il ventiduenne di Little Rock trionf&ograve; dopo un&rsquo;annata da montagne russe: 14&deg; a Suzuka a causa di uno scarico rotto, Kocinski vinse tre GP di fila (USA, Spagna e Italia), ma le sue cadute in Francia e Gran Bretagna ridestarono Carlos Cardus, che con la Honda puntava a mantenere in Spagna il titolo vinto nei due anni precedenti da Sito Pons. I toni della battaglia si alzarono parecchio e dopo il successo in volata a Brno, Cardus si lasci&ograve; andare a un gesto dell&rsquo;ombrello nei confronti dell&rsquo;americano. Ma Kocinski ebbe l&rsquo;ultima parola, vincendo in Ungheria e in Australia, dove lo spagnolo - ormai sorpassato in classifica - torn&ograve; ai box per un guasto al cambio, e prese a calci la propria moto.  L&rsquo;epilogo di un weekend da thriller, iniziato con Kocinski che chiese invano a Rainey di &ldquo;scendere&rdquo; in 250 per togliere punti a Cardus, fu con lo spagnolo ad accusare il proprio capotecnico George Vukmanovich di sabotaggio. In realt&agrave;, vinse chi lo meritava: con sette successi e otto pole position, Kocinski fu il pi&ugrave; veloce. Il metodo-Roberts aveva preso forma due anni prima di quella stagione trionfale. In vista del 1988, infatti, il manager californiano aveva deciso di stravolgere la filosofia nella lineup della squadra: via il veterano Mike Baldwin e Randy Mamola, velocissimo (quattro vittorie tra &lsquo;86 e &lsquo;87) e spettacolare quanto irregolare, e soprattutto attirato dalla munifica offerta della Cagiva, dentro due piloti sostanzialmente al debutto nella classe regina. Ma l&rsquo;australiano Kevin Magee non convinse fino in fondo e si&nbsp;inimic&ograve; il lato americano del paddock quando, nel 1989, nel giro d&rsquo;onore di Laguna Seca sfog&ograve; la rabbia per un risultato mancato a causa di problemi tecnici facendo un burnout a centro pista. Il fumo fu tale che l&rsquo;australiano venne tamponato dalla wild card Bubba Shobert (un idolo in patria) che per le conseguenze dello scontro dovette chiudere la carriera.  L&rsquo;altro pilota, Rainey, si rivel&ograve; il cavallo vincente: Roberts lo volle fortemente, a dispetto dei critici. &quot;Venni definito idiota, quando scelsi di sostituire Mamola con Wayne&quot; ha ricordato Kenny, come sempre senza peli sulla lingua. &quot;Credevo in Rainey, sapevo come trattarlo e amavo lavorare con i piloti emergenti. E poi lui imparava in fretta, assorbiva tutto ci&ograve; che gli dicevo&quot; .    Tra Roberts e Rainey, la simbiosi era totale, anche per le origini comuni: Rainey &egrave; di Monterey, Kenny di Modesto, e la distanza &egrave; inferiore alle due ore in auto. E sempre in quell&rsquo;area, a Hickman, sorgeva il ranch di Kenny, con la pista da Dirt Track, base d&rsquo;allenamento per i piloti - una novit&agrave; in grado di fare scuola - che poi in pista avrebbero dovuto domare purosangue imbizzarriti da poco pi&ugrave; di 100 kg di peso a fronte di 160 cavalli. Quei mezzi che spaventarono persino l&rsquo;uomo pi&ugrave; famoso del Motorsport negli Stati Uniti, Mario Andretti: &quot;Iniziai a correre in auto perch&eacute; non ero abbastanza bravo in moto&quot; disse l&rsquo;ex iridato di Formula 1, ricordando un test a Laguna Seca su una di quelle YZR. &quot;Non avevo mai guidato nulla che avesse cercato di lanciarmi in orbita per aver azionato appena un quarto dell&rsquo;acceleratore&quot;.  Se per Rainey fu quasi naturale finire sotto l&rsquo;ombrello di Roberts, Kocinski volle fortemente entrare nella scuderia. Partito dall&rsquo;Arkansas, dove il padre mantenne la promessa di farlo &quot;Correre fino a 18 anni, poi ti dovrai arrangiare&quot;, John John inizi&ograve; a sognare a occhi aperti quando dopo una vittoria a Pocono ricevette da Roberts la TZ 250 e il supporto di un tecnico come Bud Aksland. Certo, le stranezze che lo accompagnavano erano evidenti quanto il talento, e dividere il motorhome con un maniaco della pulizia come John non era facile per Rainey, spesso costretto a chiedere al compagno di squadra di spegnere l&rsquo;aspirapolvere nelle ore notturne.  Non fu per questo, per&ograve;, che i rapporti all&rsquo;interno del team si guastarono. Per esempio, John avrebbe voluto rivincere in 250, ma prevalse la filosofia di Roberts: One and done, bersaglio al primo colpo, e si sale al livello successivo. In 500, Kocinski si vide privato di Aksland (&quot;Se me l&rsquo;avessero lasciato chiss&agrave; dove saremmo arrivati&quot;). E non am&ograve; vedere lo sviluppo della ciclistica fatto per Wayne - e provate a spiegare a Kocinski che si trattava &ldquo;soltanto&rdquo; del campione della 500&hellip; - n&eacute; tantomeno essere trattato da &ldquo;cavia&rdquo;, per sperimentare le nuove sospensioni oppure altre innovazioni.  All&#39;interno&nbsp;del box di Roberts, infatti, non si lavorava soltanto sulla messa a punto. In quel 1990, in cui per il titolo in 500 fu determinante anche il passaggio dalle Dunlop alle Michelin, il Team Roberts era un reparto corse. &quot;Per me non era mai abbastanza, volevo sempre che la moto fosse migliore, perch&eacute; sapevo quanto potesse essere gratificante vincere da manager, condividendo la gioia con altre persone&quot; disse Kenny.  Fece storia l&rsquo;introduzione, gi&agrave; nell&rsquo;88, dei freni in carbonio: &quot;Se li avessi chiesti alla Yamaha, ci avrebbero detto che era troppo presto, cos&igrave; ci pensammo noi&quot; aggiunse Roberts, spiegando come il budget per tale sviluppo non arrivasse da Iwata, ma dallo sponsor tabaccaio. Lo stesso accadeva per molto altro: cilindri, pistoni e scarichi, non ultima un&rsquo;innovativa centralina per la raccolta dei dati, sviluppata dall&rsquo;elettronico Tom O&rsquo;Kane, uno dei numerosi tecnici determinanti all&rsquo;interno del team, come Warren Willing e Mike Sinclair. Roberts avrebbe continuato con la visione avveniristica, e convincendo la Yamaha a vendere i motori a telaisti come ROC e Harris evit&ograve; che la 500 rimanesse con una dozzina di partecipanti. Successivamente divenne costruttore, ma con risultati inversamente proporzionali all&rsquo;impegno&nbsp;e al coinvolgimento anche di menti brillantissime della F1, come John Barnard. Resta per&ograve; la soddisfazione dell&rsquo;ultima pole di una moto due tempi in MotoGP, nel 2002 in Australia, con la Proton KR guidata da Jeremy McWilliams.  Rainey resta il simbolo della seconda vita di Roberts in pista. Terzo nel Mondiale del 1988, secondo nel 1989, l&rsquo;escalation del californiano prosegu&igrave; con il dominio del 1990, il bis del 1991 e l&rsquo;incredibile rimonta in un 1992 caratterizzato prima dal proprio infortunio e poi da quello di Mick Doohan. Nel 1993, Rainey sembrava aver portato dalla propria il duello con Schwantz, ma il sogno del quarto titolo si infranse sull&rsquo;incidente dalle conseguenze tremende di Misano. Soltanto parecchi anni dopo aver perso l&rsquo;uso delle gambe, 26 per l&rsquo;esattezza, Rainey &egrave; risalito in sella a una Yamaha con livrea biancorossa, accanto proprio a Lawson e Roberts, in un luogo simbolico come Suzuka. Trent&rsquo;anni fa, con gli stessi uomini al suo fianco, in Giappone inizi&ograve; la leggenda del californiano, capace di ripetere il tris di Roberts in un&rsquo;era di fenomeni, battendo i Doohan, Schwantz, Lawson e Gardner. Questa volta &egrave; iniziata la sua nuova vita in sella.    Wayne Rainey, il doppio ritorno 

Nel 1990, Roberts non si limit&ograve; a conquistare il primo titolo da manager, ma&nbsp;fece doppietta: Rainey campione della 500, Kocinski della 250. 10 anni prima, il marziano aveva completato il tris iridato da pilota

Ritorno al Futuro, 1990: il team Roberts e la legge dello zero

Otto aprile 1990, ottovolante di Laguna Seca. Giochi di numeri e parole per descrivere la doppietta americana siglata dagli idoli dei tifosi locali, che hanno applaudito e festeggiato le gesta di Rainey in 500 e Kocinski nella dueemmezzo.  Wayne e John, due caratteri diversi, medesimo team, quello del connazionale Kenny Roberts, che aveva fatto appiccicare sulle Yamaha quattro e due cilindri alcuni bei adesivi con le scritte Marlboro.  Il munifico sponsor tabaccaio alimentava le attivit&agrave; manageriali del Marziano, in un collegamento diretto con Iwata. Siglare una doppia vittoria in casa, nella pista in cui egli era cresciuto, di fronte ai responsabili Phillip Morris decret&ograve; la squadra USA con base in Europa come la pi&ugrave; competitiva del Motomondiale. E, al termine della stagione, la soddisfazione divenne enorme: titolo vinto e... titolo vinto. Proprio grazie a Rainey e Kocinski, cos&igrave; diversi, cos&igrave; simili.  Classe 250: &ldquo;Little&rdquo; John Kocinski iniziava a diventare &ldquo;Big&rdquo; John   Scleravano tutti e non poco, perch&eacute; Kocinski era davvero originale. Poteva essere (in parte) accettata la sua scenetta coi pupazzi sulla griglia di partenza, non era tollerato l&rsquo;aspirapolvere acceso nel bel mezzo della notte: &ldquo;Ehm, mi sono ricordato di quello sporco lasciato in quell&rsquo;angolo del motorhome, pensavo di rimuoverlo&rdquo;...  Ma Kenny aveva ragione. John era forte e prometteva bene. Il giovane pilota dell&rsquo;Arkansas - Little Rock - poteva diventare uno dei pi&ugrave; grandi. I successi datati 1989 in Giappone e a Laguna Seca rappresentavano l&rsquo;antipasto 1990, anno in cui il numero 19 vinse il titolo della 250 Grand Prix, classe perfetta per il suo stile di guida.  Lo striscione di affermazioni cominci&ograve; proprio nei pressi di Monterey, ad un passo dalla casa di Rainey. Scattato dalla terza casella, Kocinski lott&ograve; con Roth, Zeelemberg e Cadalora, poi li salut&ograve;.   Lo sbandieratore ne sanc&igrave; il primo posto con un vantaggio di circa 10 secondi su Luca, talento italiano che raccolse fortune nella quarto di litro. Ma in quella domenica primaverile californiana, la Yamaha rivale, guidata dall&rsquo;americano, si dimostr&ograve; irresistibile, in traiettorie percorse a memoria.   Kocinski rimedi&ograve; all&rsquo;opaca prestazione inaugurale di Suzuka e, da l&igrave; in avanti, spian&ograve; il terreno che lo port&ograve; all&rsquo;iride: 7 gradini pi&ugrave; alti del podio e targa di campione finale nelle sue mani.    &nbsp;Classe 500, Rainey completava la festa USA   Di primo acchito, Wayne fu molto contestato da Roberts: &ldquo;Rainey non &egrave; pronto. Questo &egrave; il Motomondiale, non l&rsquo;AMA. Qui ci corrono i migliori piloti del mondo e credo sia meglio rispedirlo in California&rdquo;.  Mannaggia a Kenny, lo disse, lo fece. L&rsquo;opaca stagione 1984 in 250 non convinse affatto il team manager che in Europa lo volle ed in America lo rimand&ograve;.  Anni pi&ugrave; tardi, Rainey fu riconvocato dallo stesso Roberts, stavolta per guidare la mezzo litro: &ldquo;Penso che lui sia maturato e la potenza delle 500 si addica meglio al suo stile&rdquo; ribad&igrave; KR, che gli affid&ograve; una Yamaha YZR di livello.  L&rsquo;uomo di Monterey ripag&ograve; la fiducia: un successo nel 1988, tre l&rsquo;anno dopo, ed ecco il 1990, iniziato con il primo posto di Suzuka.  A Laguna la folla desiderava un eroe a stelle e strisce sul gradino pi&ugrave; alto. D&rsquo;accordo, ma quale tra i diversi &quot;american boys&quot; al via?   Lawson no, perch&eacute; Eddie si era &ldquo;autoeliminato&rdquo; schiantandosi in prova, a causa di una moto rimasta senza freni e impattata contro le barriere.  Kevin Schwantz, ma il texano non arriv&ograve; al traguardo. Rimanevano Randy Mamola e Rainey. Il californiano della Cagiva giunse settimo, mentre il californiano Yamaha duell&ograve; con Chili e Doohan su Honda, relegandoli al terzo e secondo posto.  I tifosi furono molto soddisfatti, Roberts ancor di pi&ugrave;. Per King Kenny Laguna Seca fu come un casello autostradale aperto che gli concesse la linea giusta per una doppietta 1990, sia a Laguna Seca che a conti finali fatti: Kocinski e Rainey si laurearono campioni del mondo nelle rispettive cilindrate.   Cagiva Ferrari F4: il sogno in Rosso 

A Laguna Seca i tifosi americani festeggiavano la doppietta con Wayne primo in 500 e John sul gradino pi&ugrave; alto della 250. Per Kenny il 1990 fu l&#39;anno del doppio titolo da team manager

Trent&#39;anni fa: Rainey e Kocinski servono a Roberts l&#39;antipasto mondiale

Per la serie &ldquo;non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi&rdquo;, oggi andremo a raccontarvi la vittoria a Sepang di Kenny Roberts Jr del 2000, anno in cui arriv&ograve; a vincere il titolo Mondiale nella categoria 500cc, l&#39;unico della sua carriera di pilota. Seguendo le orme del padre, il pilota statunitense, dopo aver gareggiato nei campionati americani, nel 1993 approd&ograve; per la prima volta nel Motomondiale come wild card (Gp degli Stati Uniti), per poi prendere parte, dall&#39;anno successivo, all&#39;intera stagione del Campionato 250cc.  Campionato 500cc   Nella classe di mezzo ottenne, nelle due stagioni di permanenza, come miglior risultato l&#39;ottavo posto nella classifica generale, dopodich&eacute; pass&ograve; alla 500cc, trasformatasi poi in MotoGP. Questa lunga permanenza (dal 1996 al 2007), per&ograve;, gli &egrave; valsa un solo titolo iridato, conquistato nel 2000, anno in cui ottenne quattro primi posti (Malesia, Spagna, Catalogna,Motegi), quattro secondi posti e un terzo posto, per un totale di 258 punti conquistati. In questa stagione, Roberts Jr si trov&ograve; ad affrontare piloti del calibro di Valentino Rossi, Max Biaggi e Alex Barros, riuscendo a spuntarla su tutti con un &quot;piccolo aiuto&quot; che gli venne dato anche dalle condizioni meteo di quel periodo. In Malesia, Spagna, Catalogna, infatti, le gare furono disputate in due manches o accorciate rispetto alla lunghezza prevista a causa di condizioni meteorologiche molto avverse.  Malesia 2000   In ogni caso, l&#39;americano dimostr&ograve;, al suo secondo anno in sella alla Suzuki, di saperci fare su qualsiasi tipo di asfalto e la prima vittoria dell&#39;anno arriv&ograve; in Malesia, la seconda gara in programma della stagione 2000. Sepang, per Kenny era stato un circuito &quot;amico&quot; anche nel 1999, dove riusc&igrave; a vincere nella sua gara di esordio in sella alla Suzuki, riuscendo a battere anche un Mike Doohan in gran forma, nonostante proprio in quella stagione (dopo due gare) dovette ritirarsi a causa di un bruttissimo infortunio alla gamba. A dire il vero nel 2000, l&#39;intero weekend malese fu il massimo per Roberts Jr: primo nelle prove libere, secondo nella prima sessione di qualifiche e ancora al comando nella seconda sessione, riusc&igrave; a mettersi tutti alle spalle conquistando la pole position. Dietro di lui, un insidioso Loris Capirossi e un altrettanto &ldquo;pauroso&rdquo; Max Biaggi con il solo e comune intento di acciuffare il californiano ed aggiudicarsi la vittoria. La domenica di gara, che venne disputata il 2 aprile 2000, fu per&ograve; una di quelle dalle condizioni meteo avverse: partita in condizioni di asfalto asciutto, al 16esimo giro venne interrotta a causa della pioggia. Ad alzare il braccio per dire di interrompere la gara, mentre in quel momento si trovava al comando, fu lo stesso Roberts Jr. Dopo la consueta attesa per far si che la pioggia cessasse, alla fine la direzione gara decise di non far ripartire la corsa facendo si che la classifica finale fosse quella consolidata al termine del 15esimo giro. A vincere fu quindi Kenny Roberts Jr, seguito da Carlos Checa e Garry McCoy. Max Biaggi arriv&ograve; quarto mentre Valentino Rossi, in sella alla Honda, fu costretto a ritirarsi dopo quattro giri a causa di un incidente.  Lo stesso anno, ovvero il 2000, fu per Roberts Jr, l&#39;anno della vittoria del titolo, vinto matematicamente alla terzultima gara della stagione. Il titolo costruttori, per&ograve;, non and&ograve; alla Suzuki, che arriv&ograve; terza con 264 punti dietro a Yamaha e Honda.  Vent&#39;anni fa: la prima vittoria di Garry McCoy in 500 

Il pilota californiano, con un importante cognome da portare sulle spalle, sempre nel 2000 si aggiudic&ograve; il Campionato del Mondo classe 500cc

Vent&#39;anni fa: Kenny Roberts Jr vinceva a Sepang

  Per raccontare la carriera di Kenny Roberts Junior, dobbiamo tirare in ballo aneddoti realmente, accaduti, chiamare in causa personaggi illustri, rievocare miti e &ldquo;divinit&agrave;&rdquo; scese nella Terra delle due ruote: il motociclismo.  Dalla California al Mondiale, sembra facile dirlo, meno farlo. Il ragazzo di Modesto (citt&agrave; dal nome preso su misura per la personalit&agrave; riservata del campione 500 anno 2000) ha dovuto sopportare e sfruttare un padre dal blasone pesante, diventandone il primo erede. Poi,si &egrave; fatto largo, troncando il cordone ombelicale che lo stava strozzando.  Il successo, l&rsquo;affermazione, la discesa dopo l&rsquo;ascesa. Kenny rimane l&rsquo;ultimo rappresentante Suzuki ad aver consegnato ad Hamamatsu il titolo della Classe Regina.  &nbsp;  Panteon di Dei  Cresciuto nelle campagne nord - californiane, il piccolo Kenny poteva godere del ranch messo in piedi dal pap&agrave;, vero cowboy su due tipi di sella; quel del cavallo che domava e nutriva, quella della moto da dirt track, che controllava in sbandata e metteva a punto.  Con queste due passioni, il biondino non doveva che scegliere. Per lui, l&rsquo;opzione fu semplice e logica: con tutti quegli ospiti presenti, era difficile dire &ldquo;no, io non ci provo&rdquo;, Wes Cooley, Fred Merkel, Eddie Lawson, Mike Baldwin, Randy Mamola, John Kocinski, Rich Oliver, Wayne Rainey, Doug Chandler... manca qualcuno? Loro e pap&agrave;, naturalmente, tutti impegnati in derapata, tra Harley Davidson e Yamaha,  Il ranch di Valentino Rossi? Bazzecole.    Da Kenny si imparava davvero a controllare la moto di traverso - faccenda utile con le due tempi da corsa dell&rsquo;epoca - senza fronzoli, nomi delle curve, personaggi improvvisati. Junior, dal canto suo, rimaneva a bocca aperta nell&rsquo;ammirare i i miti che, in futuro, avrebbe anche battuto. Non tutti, ma alcuni s&igrave;. Ancora non lo sapeva, quando ha iniziato ad allenarsi tra terra e sterco di vacca.  &nbsp;  Padre padrone  Kenny Senior non era un tipo facile da comprendere, ci&ograve; &egrave; risaputo. Pi&ugrave; semplice era capirlo mentre guidava, in pista. Tuttavia, nel paddock, la sua camminata lenta e possente, le parole poche ma incisive, il carisma di colui che arriva da un mondo differente, lasciavano i segni.  Potente e ricco, dopo aver vinto gare e campionati, il Marziano allest&igrave; un team tutto suo, dove si entrava con requisiti piuttosto ricercati. Possibilmente americano, meglio se californiano, abile con la moto da dirt, concreto e non troppo rompi balle. Chi passava da lui, sfondava o era sfondato, nel senso che davvero poteva ottenere grandi risultati o bruciarsi del tutto.  Per capirci: le moto con cui Kenny &amp; Soci si allenavano, avevano tutte la tabella porta numero con le lettere KR, Kenny Roberts, appunto. Non solo: quando divent&ograve; padre - tre volte - dette ai suoi figli nomi come Kenny Junior, Kurtis, Kristie. La fantasia non era il suo forte? Nossignori, tutto era calcolato e ben definito, come l&rsquo;arrivo in Europa di Junior, voluto da pap&agrave; per farlo entrare nel vero professionismo.    Cos&igrave;, dopo apparizioni fugaci - nel 1995 Kenneth Leroy Roberts Junior venne schierato dal suo vecchio nella 250GP, naturalmente, nel team di casa.  Per il neo arrivato, buoni piazzamenti e niente di pi&ugrave;. B&egrave;, ma almeno era ben pagato, vi verrebbe da pensare. Ecco la risposta del babbo, tratta da una intervista dell&rsquo;epoca: &ldquo;Soldi per mio figlio?! Quali soldi? Quando e se inizier&agrave; a vincere, di denaro ne avr&agrave;. Nel frattempo, lasciatelo imparare&rdquo;. Ecco (quasi) tutto.  &nbsp;  Scusi, avrebbe una sigaretta? Mi spiace, non fumo  Lo sponsor Marlboro era talmente ricco e munifico da poter determinare il meteo del paddock di quei tempi. Roberts lo sapeva, infatti, la partnership tra la sua struttura e la Phillip Morris era pi&ugrave; salda e forte del matrimonio appena scisso da buoni avvocati dell&rsquo;epoca.  Allestito un secondo ranch a Barcellona, era ora di implementare gli sforzi in 500. Stagione 1996, Team Yamaha Marlboro Roberts Yamaha: Norifumi Abe, numero 9. Jean-Michel Bayle, numero 12. Kenny Junior, numero 10.  Un trio dalle speranze e dai grossi dubbi. Il giapponese era in grado di incredibili vittorie come quella di Suzuka, accompagnate da pesanti ruzzoloni. L&rsquo;ex crossista francese non aveva convinto in 250 ed era, per&ograve;, ben voluto dallo sponsor. E poi, in un angolino del garage bianco rosso, il &ldquo;raccomandato&rdquo;, Roberts.  La Marlboro voleva risultati, comprensibilmente, ed una certa immagine. Per esempio, nessuno dei tre corridori scelti avrebbe dovuto fumare. Ma come &egrave; possibile, davvero? Certamente.  Tanto, specialmente a Junior, le sigarette non interessavano. L&rsquo;unico fumo che lui respirava proveniva dagli scarichi della YZR o dalle narici fumanti di pap&agrave;, specialmente quando le cose non andavano nel verso giusto, come quando lasciarono Yamaha per costruire una moto fatta in casa, la Modenas tre cilindri.  Contraddistinta, ovviamente, dalla siglia KR3. Avete capito il concetto?  &nbsp;  Ciao pap&agrave;, guarda come mi diverto  Se pensate che accettare l&rsquo;ingaggio di Garry Taylor fosse per lui una passeggiata, vi sbagliate. Junior lasci&ograve; la squadra di famiglia per passare in Suzuki con pi&ugrave; di un patema e molte confessioni.  Dollari, ok. Ma, soprattutto, per lui si intravedeva una maggior libert&agrave; di espressione, unita ad un mezzo molto pi&ugrave; competitivo. All&rsquo;inizio del 1999, nel team anglo - giapponese c&rsquo;erano tanti pezzi portati dal reparto corse e Kenny sintetizz&ograve; cos&igrave;: &ldquo;Dannazione, abbiamo tanto di quel materiale nuovo, da non sapere come provarlo tutto&rdquo;.    Diciamo che le parti poi collaudate sono andate &ldquo;benino&rdquo;, il resto lo ha fatto il polso destro dell&rsquo;americano. Prima vittoria a sorpresa, 8 aprile 1999: sulla pista di Sepang, Junior vola in curva con la RG500, meno dotata dal punto di vista cavallerizzo e con una inferiore velocit&agrave; di punta nei rettilinei. No problem; tra derapate e pieghe al limite, il californiano batte tutti, tra cui un certo Michael Doohan ed il compagno di squadra Alex Criville. Biaggi, Checa, Kocinski e compagnia bella dovettero cedere le armi al pilota numero 10, su una moto dalla livrea davvero azzeccata.  Il muretto Suzuki esplose in una gioia contenuta, tipica dell&rsquo;elegante aplomb di Taylor, barbuto, sapiente e dai modi raffinati. Ad un certo punto, nel garage in festa, entra un uomo, non tanto alto, con una giacca a vento rossa. Era pap&agrave; Kenny, in lacrime. Per la prima volta, il duro cowboy fece i complimenti al figlio. Fu l&rsquo;inizio di una serie di successi, non tantissimi, ma molto importanti.  &nbsp;  Il numero 1 non confermato    Gli sportelli dei bancomat erano in tilt, del resto, lo avevano preannunciato. Il Millennium Bag mander&agrave; &ldquo;a puttane&rdquo; quasi tutti i sistemi telematici ed informatici, banche incluse. Anche gli equilibri del Motomondiale avevano inerzie inedite. Perso Doohan l&rsquo;anno prima, il nuovo Re della Regina era Alex Criville, un bravo cristo in sella, ma niente di pi&ugrave;. Ovviamente, la spagnola Dorna era super felice dell&rsquo;impresa, la prima di uno spagnolo in 500.  Serviva di pi&ugrave;. Non ancora pronto Valentino Rossi (ma stava arrivando) l&rsquo;uomo di mezzo era proprio Kenny Junior, con la Suzuki corredata dallo sponsor Telefonica. Di telefonate, a fine anno, Junior ne ricevette tante, ricche di complimenti. Con quattro successi e diversi podi, il numero 2 vince il Mondiale, mandando lo staff di Hamamatsu sul tetto del mondo, dopo Kevin Schwantz.  Pioggia di qua, acqua di l&agrave;: &ldquo;Eh, ma Kenny ha vinto grazie alle piste bagnate, in gare interrotte anzitempo&rdquo;. Non tutte, in realt&agrave;: accadde a Sepang e Jerez, ma lui aveva accumulato un vantaggio abissale nei confronti dei rivali. Vinse poi nel diluvio di Barcellona e riusc&igrave; a trionfare sull&rsquo;asciutto di Motegi.    Meritatamente: il suo stile di guida era perfetto, impeccabile, tanto che lo stampo della sua messa in piega fu usata per figurine, pubblicit&agrave; e foto accessorie. Inoltre, la Suzuki non era proprio la miglior moto della griglia. Poco potente, sputava - addirittura - gocce di benzina dalle quattro espansioni tra forcellone e codone. Consumava di brutto e male, ecco perch&eacute;. E poi, l&rsquo;erogazione aveva un fastidioso effetto turbo, che Kenny controllava bene grazie all&rsquo;allenamento con il dirt track.  Insomma, gli insegnamenti di pap&agrave; gli furono utili e dal giorno del titolo, Kenny Junior divenne, per molti, Kenny Roberts, l&rsquo;americano che ha riportato il titolo della 500 da quelle parti, affiancato dal nome di Colin Edwards in SBK.  &nbsp;  La MotoGP e la fuga    Nel 2001 Kenny deluse, questa &egrave; la verit&agrave;. Con il numero 1 e tanta pressione sulle spalle, non si pretendeva un bis iridato, ma nemmeno un solo podio finale, a Valencia. Dal terzo gradino, Roberts indossava un cappello strano, difficile da trovarsi in Europa. Era quello dei pompieri di New York, eroi e vittime dell&rsquo;attentato alle Twin Towers, in quel famigerato 11 settembre.  Anche la stagione del californiano fatic&ograve; a stare in piedi, tra poca velocit&agrave; e diverse scivolate. Chiss&agrave;, forse appagato, magari ormai privo del classico &ldquo;Complesso di Edipo&rdquo;, Junior ne aveva meno degli altri, addirittura meno di Sete Gibernau, compagno di colori. Oppure, vedendo che ad Hamamatsu pensavano gi&agrave; alla quattro tempi, egli decise di darla un po&rsquo; su. Ma proprio un po&rsquo;.  La MotoGP, ultima pagina per Junior  Con l&rsquo;avvento delle grosse e potenti quattro tempi, Kenny paragon&ograve; la nuova Suzuki alla &ldquo;vecchia&rdquo; due tempi, con questa frase: &ldquo;Facile descrivere la differenza tra le due moto: &egrave; la stessa che c&rsquo;&egrave; tra una quattro tempi da cross ed una due tempi&rdquo;. Benissimo, lui e Gibernau era pronti a guidarla, la Suzuki meno reattiva nello sviluppo,  Da l&igrave; in avanti, storie simili, con un mezzo non all&rsquo;altezza dei rivali, compagni di squadra decisamente bizzarri (Hopkins, anch&rsquo;egli californiano, non era definibile &ldquo;mite&rdquo; come Kenny, anzi) e risultati non all&rsquo;altezza del titolo vinto anni prima.  Per&ograve;, tanti tanti dollari, che Roberts viveva cos&igrave;: &ldquo;Mi piace guadagnare molto, pensate che potrei buttare anche una parte dei soldi che ricevo, sono davvero un mucchio&rdquo;.  Beato lui che, tempo dopo, torn&ograve; all&rsquo;ovile del babbo. Con la KR211V motorizzata Honda cinque cilindri Kenny and&ograve; benissimo, tanto da cogliere podi mondiali. Con la 800, and&ograve; malino, tanto da ritirarsi prima di met&agrave; stagione. L&rsquo;ultima, per lui.  &nbsp;  La nuova vita, quella vera  Edipo ed il suo Complesso, lo abbiamo gi&agrave; citato. Del resto, sar&agrave; capitato anche a qualcuno di voi: allevato ed indottrinato da un padre di forte presenza sociale e costrutto, nasce - pi&ugrave; o meno volontariamente - la fase di ribellione, che si trasforma in una vera e propria sfida col genitore.  Avvalora questa tesi la recente &ldquo;Guerra dei Roberts&rdquo; in cui, ogni membro della famiglia californiana aveva qualcosa da rivendicare o pretendere. In tutto quel marasma, Kenny Junior aveva deciso (annunciandolo) di voler fare il giro degli Stati Uniti, il suo Paese. Aveva viaggiato per lavoro in tutto il mondo, non aveva mai visto la sua terra. Con un grosso mobil home e sua moglie, inizi&ograve; il viaggio.  Persi i contatti con i parenti che, addirittura, non riescono a rintracciarlo, nonostante un numero di telefono nelle proprie rubriche, l&rsquo;amico di avventura Matt Wait, gi&agrave; visto in 500, ha suggerito che Kenny abbia preso casa in Oregon e da l&igrave;, abbia aperto piccole strutture per far correre i go kart, specialit&agrave; che tra California e Oregon &egrave; molto in voga.  Insomma, Kenny Roberts Junior non si fa pi&ugrave; sentire, ma a lui piace udire ancora il suono dei motori da corsa.  ESCLUSIVA, Uncini: &ldquo;I segreti Suzuki? Guidabilit&agrave; e armonia&rdquo; 

Ripercorriamo la carriera di Roberts Jr., che si laure&ograve; campione vent&#39;anni fa, 20 anni dopo il padre, regalando alla Suzuki il suo ultimo Mondiale

Yesterday: Kenny Roberts Junior

        Si parla di storia nella lunga intervista fatta da Crash.net alla leggenda del motociclismo Kenny Roberts.Storia a due ruote che ripercorre la carriera del 3 volte iridato che ha corso dal 1974 al 1987 ottenendo 24 vittorie, 44 podi, 22 pole position e 27 giri veloci in 68 gare disputate.  Numeri che per il tempo in cui &ldquo;King Kenny&rdquo; correva, hanno davvero dello straordinario. Ma la Motogp di adesso &egrave; tutt'altra storia e un grande campione come lui lo riconosce: nell'intervista al giornale inglese racconta non solo dei cambiamenti che ci sono stati nel massimo campionato del mondo, ma anche di due grandi piloti di talento come Valentino Rossi e Marc Marquez. LASCIA SCATENARE LA MOTO - Roberts &egrave; stato il primo pilota al mondo ad aver introdotto uno stile di guida &ldquo;diverso&rdquo; rispetto agli altri, uno stile un po' pi&ugrave; &ldquo;sporco&rdquo; non solo da pista ma anche da sterrato, insomma, alla Marc Marquez. Ed &egrave; proprio a questo pilota che, facendo un paragone, Kenny si vede pi&ugrave; vicino:&rdquo;Penso che Marquez si avvicini un po' pi&ugrave; a me nello stile di guida, nel farla scivolare, nel modo di curvare e nel farla scatenare. Questo almeno &egrave; quello che cercavo di fare io, ma non ero cos&igrave; bravo!&rdquo;&ldquo;Marquez &ndash; ha aggiunto Roberts &ndash; pu&ograve; essere battuto, certo, ma &egrave; pi&ugrave; facile che sia lui a battere se stesso. Per batterlo qualcuno dovr&agrave; davvero farsi avanti e mettergli pressione per fargli fare degli errori.&rdquo; &ldquo;VALENTINO INCREDIBILE!&rdquo; - A Kenny Roberts viene poi chiesto cosa ne pensa di Valentino Rossi che a 40 anni non solo continua a gareggiare, ma ad essere ancora molto competitivo ed in lotta per il titolo iridato:&rdquo;Quello che fa &egrave; davvero sorprendente! Alla sua et&agrave; potrebbe godersi la vita su una sedia a dondolo e invece &egrave; ancora l&igrave;.&rdquo; Qual &egrave; quindi il segreto di Dottor Rossi?&ldquo;Ci sono vari fattori che hanno contribuito alla sua lunga carriera &ndash; ha concluso &ndash; uno su tutti &egrave; quello di non avere avuto troppi grandi infortuni, solo cos&igrave; si pu&ograve; continuare ad essere ancora veloci. In ogni caso, a prescindere da tutto questo, quello che sta facendo e ha fatto Valentino &egrave; davvero incredibile.&rdquo; Jerez: gli orari tv del weekend per la MotoGP, Moto2 e Moto3       

La leggenda americana, 3 volte iridato, parla della MotoGP moderna, di Marc Marquez e soprattutto del Dottore: &rdquo;Alla sua et&agrave; potrebbe godersi la vita su una sedia a dondolo e invece...&rdquo;

Kenny Roberts: 'Nessuno come Valentino Rossi: è incredibile'

 Kenny Roberts, Eddie Lawson e Kevin Schwantz sono tornati sulla pista giapponese in sella alle loro rispettive moto. Dal suo 50&deg; anniversario nel 2012, il circuito di Suzuka &egrave; diventato teatro di varie attivit&agrave; volte a salvaguardare prezioso retaggio storico lasciatogli in eredit&agrave; da costruttori e piloti delle gare di auto e moto.  Lo scorso fine settimana la manifestazione "Sounds of Suzuka", ha riunito tre MotoGP Legends scesi in pista in sella a quelle stesse moto con le quali hanno raggiunto i pi&ugrave; importanti successi della loro carriera sportiva.  Il tre-volte campione del mondo 500cc, Kenny Roberts, &egrave; stato il primo a solcare l'asfalto del tracciato giapponese con la sua Yamaha YZR 500, moto che ha segnato un'epoca nella classe regina, quando il pilota americano ha cambi&ograve; per sempre lo stile di guida del motociclismo.    Eddie Lawson, quattro volte iridato nella top class, si &egrave; esibito sull'indomabile Honda NSR 500 in sella alla quale ha vinto l'ultimo dei suoi titoli mondiali dopo tutta una carriera da pilota Yamaha.  Il pubblico nipponico ha potuto anche apprezzare la passerella di Kevin Schwantz (nella foto in apertura), Campione del Mondo 500cc nel 1993 e pilota ufficiale Suzuki, autore tra l'altro di vittorie memorabili proprio nel GP del Giappone.  Il pilota americano ha girato con la RGV del 1989, facendo rivivere (con i colori Pepsi) a tutti gli appassionati una delle immagini pi&ugrave; belle di questo sport, in sella alla quale, nonostante 6 vittorie e 9 pole position, chiuse quarto in quella stagione epica a causa di cadute e altri inconvenienti meccanici.    &nbsp;  

Kenny Roberts, Eddie Lawson e Kevin Schwantz sono tornati sulla pista giapponese in sella alle loro rispettive moto

16 risultati per 'kenny roberts'

Addio Garry Taylor, titolato 500 con Schwantz e Roberts

MotoGP: Bagnaia punta Roberts, Rainey e Dovizioso

MotoAmerica: grandi leggende nel paddock di Laguna Seca

AGO DAY: l'impresa di Daytona nel 1974 e l'ingresso nella leggenda

Yamaha Mondiale: Kenny Roberts, il marziano

Dalla famiglia Gardner ai Roberts: padri e figli sul tetto del mondo

Duelli da leggenda: quando Freddie Spencer piegò Kenny Roberts

Kenny Roberts Jr, l'ultimo iridato Suzuki prima di Mir

Pilota, manager e papà: i 69 anni di Kenny Roberts

Ritorno al Futuro, 1990: il team Roberts e la legge dello zero

Trent'anni fa: Rainey e Kocinski servono a Roberts l'antipasto mondiale

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Sounds of Suzuka

In groppa al diavolo