        Il periodo di Natale &egrave; sempre magico, o almeno lo &egrave; per chi ama l&rsquo;atmosfera di luci, Alberi di Natale pieni di palline colorate, Babbo Natale e, perch&eacute; no, anche qualche... Leggenda! Ma cosa c&rsquo;entra tutto questo con il motociclismo? Ebbene, lo sapevate che proprio una leggenda narra di come sia nata l&rsquo;idea di molti centauri (soprattutto Harleisti) di attaccare un campanellino, chiamato &ldquo;Guardian Bell&rdquo; alla propria moto? E c&rsquo;entrano qualcosa anche il Natale e Babbo Natale. La rivoluzione rosa dell'Australia | Io Guido da Sola La leggenda  La leggenda narra infatti che un vecchio motociclista, proprio alla Vigilia di Natale, stesse percorrendo una lunga strada in solitario per raggiungere una citt&agrave; lontana e portare regali ai bambini che vi abitavano. Qualcosa lungo il tragitto, per&ograve;, and&ograve; per il verso sbagliato: a un certo punto, si imbatt&eacute; negli &ldquo;Evil Spirits of the Road&rdquo;, ovvero gli spiriti cattivi che infestavano quel luogo, e che lo fecero cadere dalla moto. Il vecchio biker rimase incastrato sotto il proprio bolide e prov&ograve; invano a liberarsi dagli spiriti lanciando loro i doni che aveva portato ai bambini, ma non funzion&ograve;. Disperato, allora, inizi&ograve; a far suonare un campanellino che aveva con s&eacute;, sperando di spaventarli. Non lontano dal luogo dell&rsquo;incidente, si erano fermati due motociclisti, che, stanchi per il loro lungo viaggio, si erano seduti a riposare. Nel silenzio, sentirono un campanello che suonava e pensarono che qualcuno avesse bisogno di aiuto. Salirono in moto e, poco pi&ugrave; in l&agrave;, trovarono il loro collega in difficolt&agrave;, scacciarono via gli spiriti cattivi e lo aiutarono a rimettersi in piedi. Il biker solitario, per ricompensarli, regal&ograve; loro un campanellino, legandolo stretto alla loro moto quasi a sfiorare la strada. Questo, perch&eacute; se un giorno si fossero trovati a loro volta in difficolt&agrave;, il suono del campanellino avrebbe tenuto lontani gli spiriti cattivi ricordando a questi ultimi che quei biker erano protetti da altri motociclisti. Vi &egrave; piaciuta questa leggenda? Forse vi starete domandando cosa c&rsquo;entri con una rubrica legata alle donne... Semplice, i biker che aiutarono il vecchietto, erano in realt&agrave; &ldquo;le biker&rdquo;, cio&egrave; due donne motocicliste... Del resto, pensateci: quale uomo sarebbe stato cos&igrave; curioso per il richiamo del suono di un campanellino? In realt&agrave; questo &egrave; un dettaglio che non &egrave; noto, ma che si parli di uomini o donne poco importa... La leggenda e il suo significato sono preziosi e, soprattutto, in tema con il periodo! La MotoGP vista dalle donne | Io Guido da Sola       

Anche le due ruote hanno ispirato storie natalizie: con le donne protagoniste!

La leggenda del campanellino | Io Guido da Sola

        Figlio di un 4 volte Campione del Mondo (Harry Everts), Stefan conquista il suo primo titolo in 125 nel 1991 con la Suzuki gestita da Sylvain Geboerts che si innamor&ograve; del suo stile di guida unico vedendolo allenarsi con una piccola Honda, divenendo il pi&ugrave; giovane campione del mondo della storia del motocross.  In sella alla Suzuki Iridato con Suzuki, Kawasaki, Honda e Yamaha  Passeranno quattro stagioni prima che torni ad essere di nuovo iridato e questa volta sar&agrave; in 250 con Kawasaki nel 1995, subito prima di passare ad Honda, con la quale vincer&agrave; nuovamente in 250 nel &rsquo;96 e nel &rsquo;97. Arrivano anni difficili per Everts che fatica a gestire l&rsquo;enorme pressione che lo circonda. Nel 2000 l&rsquo;anno pi&ugrave; pesante con una sola gara disputata con la Husqvarna. Nel 2001 passa alla Yamaha con la quale scriver&agrave; le pagine pi&ugrave; belle della sua incredibile carriera e torna a vincere. Per lui &egrave; il quinto titolo, il primo in 500 e diventa il primo pilota ad aver vinto un iride con tutte le case giapponesi.  L'ultima gara in carriera ad Ern&eacute;e nel 2006 coincide con il 101&deg; successo in carriera Sei titoli consecutivi con Yamaha  Si ripete nel 2002, nel 2003, 2004, 2005 e infine nel 2006, raggiungendo quota 10 titoli e 101 vittorie iridate, record a tutt&rsquo;oggi imbattuto. Nel 2007 con grande scalpore lascia Yamaha rea di non avergli offerto una posizione alla sua altezza ed entra a far parte del progetto KTM come Team Manager e sviluppa i modelli che porteranno il marchio austriaco a dominare per oltre un decennio, tra i quali il 350 4t che Antonio Cairoli porter&agrave; al successo. Come team manager vince dal 2008 al 2015 ininterrottamente il titolo della MX2, prima di lanciarsi in una nuova avventura, acquistando il team Suzuki da Sylvain Geboerts, chiudendo un cerchio aperto 25 anni prima.  Nel 2015 inizia l'avventura da team owner in MXGP con Suzuki La vittoria pi&ugrave; importante contro la malaria  L&rsquo;avventura in giallo dura solamente due stagioni; nel 2018 contrae la malaria durante una gara di beneficienza in Africa e rischia di morire ma conquista la vittoria pi&ugrave; importante, risultando ad oggi l'unico belga sopravvissuto alla variante contratta e dopo un lungo calvario, il coma e l&rsquo;amputazione di numerose dita dei piedi riesce a venirne fuori. Oggi Stefan produce un apprezzato gin e segue la preparazione del figlio Liam che custodisce la sua pesante eredit&agrave;. Dal 2023 il terzo Everts ad aver partecipato ad un Gran Premio sar&agrave; pilota ufficiale KTM in MX2.&nbsp;  Liam Everts con l'iconico 72 sulla tabella della sua KTM       

Il 72 pi&ugrave; iconico della storia del motociclismo compie oggi 50 anni; i 10 titoli iridati, 5 titoli a squadre al Nazioni, uno alla Six Days di Enduro e i 101 successi conquistati lo collocano ancora al vertice delle classifiche di tutti i tempi.&nbsp;

Auguri a Stefan Everts: 50 anni e 10 mondiali

L&#39;opera &egrave; posizionata in piazzale D&rsquo;Annunzio ed &egrave; stata presentata al pubblico luned&igrave; 25 luglio

MotoGP, Valentino Rossi: inaugurato a Pesaro il maxi Casco da Leggenda

        Il 2013 rester&agrave; un anno storico per la MotoGP. Perch&eacute; coincide con l&rsquo;arrivo nella top class di un pilota che ha cambiato le gerarchie dell&rsquo;intero campionato: l&rsquo;allora ventenne Marc Marquez. Il catalano aveva gi&agrave; impressionato in 125 e Moto2, categorie di cui era stato campione del Mondo, al punto da generare la modifica al regolamento che prevedeva per i rookie l&rsquo;impossibilit&agrave; di correre in un factory team della MotoGP. La deroga consent&igrave; a Marquez di esordire direttamente nientemeno che nel Team Repsol Honda. Marc affianc&ograve; Dani Pedrosa, considerato il favorito per il titolo della MotoGP, perch&eacute; sebbene avesse perso il Mondiale del 2012 a favore di Jorge Lorenzo, era stato il pilota pi&ugrave; veloce. Tuttavia fin dal primo momento Marc ne mise in discussione lo status di pilota di riferimento del team. E gi&agrave; nel secondo GP della stagione, ad Austin, Marquez ottenne il primo successo nella classe regina; e da Jerez, terzo GP, sal&igrave; in testa al Mondiale (dopo il sorpasso senza troppi complimenti all&rsquo;ultima curva su Lorenzo). Duelli da leggenda: Harada e Capirossi, senza esclusione di colpi Jorge, un titolo mancato per soli quattro punti  Avendo compreso subito di che pasta fosse fatto il rookie, Lorenzo decise di intervenire, rivolgendosi al padre Chicho per gli allenamenti. Un modo per neutralizzare lo tsunami Marc. Il mentore di Lorenzo viveva in Messico, ma lasci&ograve; tutto e torn&ograve; in Europa accanto al figlio. "Il risultato si vide subito" racconta Chicho. &ldquo;Jorge vinse i due GP seguenti al Mugello e a Montmel&oacute;, ma poi arriv&ograve; Assen... Alla fine il campionato ci &egrave; sfuggito per quattro punti&rdquo;. Ad Assen, il maiorchino cadde pesantemente nelle prove, sul bagnato, e si ruppe una clavicola. Lungi dal gettare la spugna, si rec&ograve; subito a Barcellona, sottoponendosi a un immediato intervento chirurgico, e riusc&igrave; a tornare ad Assen in tempo per correre il GP e tagliare il traguardo quinto. Fu un misto di eroismo e follia, che gli consent&igrave; di salire al secondo posto in campionato dietro Pedrosa e davanti a Marquez. Ma per quel gesto, Lorenzo pag&ograve; un conto salato nel successivo GP, in Germania, il vero punto di svolta. Con la prospettiva data dal tempo, si pu&ograve; dire che fu il weekend che diede il titolo a Marquez: in Germania, Jorge e Pedrosa caddero in prova e non presero il via nel GP, e Marc ne ha approfitt&ograve; per vincere e prendere la testa del campionato, posizione che non avrebbe ceduto fino alla fine. Quando si laure&ograve; campione della MotoGP al primo tentativo.  Il vantaggio accumulato dopo il Sachsenring consent&igrave; a Marquez &ndash; vincitore anche a Laguna Seca dopo lo storico sorpasso al Cavatappi su Valentino Rossi &ndash; di neutralizzare gli effetti del fiasco di Phillip Island, dove rimedi&ograve; uno &ldquo;zero&rdquo; per un errore del team nella gestione di una gara flag to flag. Di conseguenza, Marquez e Lorenzo giunsero a Valencia &ndash; dove entrambi in passato avevano conquistato titoli &ndash; per l&rsquo;ultima gara della stagione, che metteva in palio il Mondiale. A Marc bastava un quarto posto, ma con un&rsquo;accorta gestione di gara fin&igrave; terzo. A Lorenzo non bast&ograve; ottenere l&rsquo;ottava vittoria dell&rsquo;anno, contro le sei di Marquez, che per&ograve; fu pi&ugrave; continuo e vinse per quattro punti. Fu l&rsquo;inizio del regno del pilota di Cervera nella classe regina. Maverick Vi&ntilde;ales, campione Moto3 nel giorno di Marc  Quel giorno, il GP Valencia laure&ograve; anche un altro campione del Mondo, che nel giro di pochi anni sarebbe diventato top rider in MotoGP. Maverick Vi&ntilde;ales conquist&ograve; il titolo della Moto3 dopo una battaglia tutta spagnola con Alex Rins e l&rsquo;indimenticato Luis Salom. Una battaglia particolare: pu&ograve; un pilota che ha vinto sette GP in una stagione non essere incoronato campione? Risposta: S&igrave;. Pu&ograve; il secondo pilota con il maggior numero di vittorie, sei, non vincere il titolo? Risposta: S&igrave;. Pu&ograve; un pilota che ha vinto soltanto tre GP essere proclamato campione del Mondo contro rivali che hanno vinto rispettivamente sette e sei gare? Risposta: S&igrave;. Questa sorprendente situazione fotografa l&rsquo;annata pi&ugrave; intensa della storia della Moto3: e dirlo di una categoria che di suo &egrave; vietata ai deboli di cuore, &egrave; emblematico. Nemmeno il miglior sceneggiatore hollywoodiano avrebbe potuto immaginare il finale offerto da quella corsa a tre. Perch&eacute; il nome del secondo campione nella storia della entry class a quattro tempi venne stabilito all&rsquo;ultima curva dell&rsquo;ultimo GP Tre spagnoli si contesero il titolo, mentre il motociclismo italiano era in piena crisi &ndash; soltanto un pilota nella Top 10 a fine stagione: Romano Fenati decimo &ndash; e gli iberici monopolizzarono i successi: l&rsquo;unico GP sfuggito ai tre rivali per il titolo and&ograve; infatti ad Alex Marquez. La stagione era iniziata con due favoriti, Vi&ntilde;ales e Luis Salom. Nel 2012 erano arrivati rispettivamente al terzo e al secondo posto, dietro Sandro Cortese. Il terzo uomo, Rins, non aveva ancora vinto una gara e sulla carta era un passo indietro. Ma Rins colm&ograve; tale lacuna alla seconda corsa... Nei primi otto GP, sette volte i tre spagnoli della KTM monopolizzarono il podio. Salom vinse tre gare di fila: Mugello, Montmel&oacute; e Assen; Maverick non fece un solo errore, ma non fu troppo brillante. Rins si vide &ldquo;sottrarre&rdquo; la vittoria nel giro finale ad Assen, chiudendo dietro Salom e Vi&ntilde;ales. Non era la prima volta, ma quel giorno, come avvertimento, Alex dichiar&ograve;: &ldquo;Ho imparato dai miei errori, da ci&ograve; che ho sbagliato negli ultimi giri, non succeder&agrave; pi&ugrave;&rdquo;. E non accadde di nuovo, perch&eacute; due settimane dopo inizi&ograve; la sua striscia vincente: Rins trionf&ograve; in Germania, a Indianapolis, Misano e al Motorland.  Si arriv&ograve; a Motegi per il penultimo GP della stagione: Salom era a 300 punti, Rins 295 e Vi&ntilde;ales 278. Maverick, con un quarto posto in Inghilterra e un quinto in Malesia, sembrava essere sceso dal treno per il titolo. Come disse Pablo Nieto, manager del Team Calvo all&rsquo;epoca. "Siamo fuori dai giochi". Ma quel GP vide il campionato cambiare rotta attraverso una serie di colpi di scena. Il primo fu la caduta, nelle battute iniziali della gara di Motegi, di Luis Salom causata da Isaac Vi&ntilde;ales, cugino di Maverick. Salom ripart&igrave;, ma si ritir&ograve; poco dopo. Isaac Vi&ntilde;ales aveva passato la leadership del campionato a Rins, ma anche quest&rsquo;ultimo cadde... Il primo successo di Alex Marquez arriv&ograve; davanti a un Maverick Vi&ntilde;ales assistito dalla fortuna &ndash; e dal cugino... &ndash; e capace di tornare prepotentemente in corsa per il Mondiale. Alla vigilia di Valencia, Salom era a 300, Vi&ntilde;ales 298 e Rins 295. Con il circuito gremito, i tifosi spagnoli videro due titoli contesi da piloti iberici: prima della MotoGP, ci fu infatti la battaglia della Moto3. Rins firm&ograve; la pole position, mentre Salom e Vi&ntilde;ales partivano accanto a lui in prima fila. Per 14 dei 24 giri i tre si scambiarono le posizioni in testa, fino al 15&deg; passaggio, quando Salom usc&igrave; di pista. E venne estromesso dalla lotta finale per il titolo. Gli ultimi 10 giri della gara furono un lungo duello tra Vi&ntilde;ales e Rins, &ldquo;disturbati&rdquo; da Jonas Folger. Era chiaro che il campione sarebbe stato deciso sul traguardo, e Vi&ntilde;ales si rivel&ograve; pi&ugrave; abile. Maverick seppe resistere agli attacchi di Rins, che in un tentativo disperato stacc&ograve; al limite all&rsquo;ultima curva. Super&ograve; Vi&ntilde;ales, s&igrave;, ma non riusc&igrave; a chiudere la linea nel modo voluto, cos&igrave; Maverick e Folger lo sorpassarono, precedendolo sul traguardo. E il titolo non and&ograve; al pi&ugrave; veloce, ma al pi&ugrave; costante. Duelli da leggenda: il duello Bianchi-Gresini datato 1985       

Al debutto in MotoGP, il ventenne Marquez tolse lo scettro al campione in carica Lorenzo, dando il via al proprio dominio nella top class. Il 2013 premi&ograve; un&rsquo;altra giovane stella, Vi&ntilde;ales, trionfatore nella Moto3 tutta spagnola

Duelli da leggenda: Valencia 2013 e l'incoronazione di Marc Marquez

        Singolare che, prima del recente trionfo di Enea Bastianini, nel Terzo Millennio l&rsquo;unico pilota di lingua italiana a vincere un titolo nelle tre grandi classi del Motomondiale soltanto all&rsquo;ultima gara non avesse fatto suonare l&rsquo;Inno di Mameli. Gi&agrave;, perch&eacute; si tratta di Manuel Poggiali, sammarinese iridato in 125 all&rsquo;ultimo GP nel 2001, precedendo Youichi Ui (anche se il trionfo era gi&agrave; stato ipotecato nella penultima gara), e poi nel 2003 in 250. Battendo Roberto Rolfo. Quel duello nella 250, vera &ldquo;scuola&rdquo; per i piloti appartenenti al paddock dei prototipi e non soltanto, fu tra due piloti che oggi si sono incontrati spesso negli studi televisivi. Entrambi ricordano quel campionato ricco di sfide, di tensione e di sportivit&agrave;: "Il mio avversario era tenace, ma corretto. Misurarsi con lui fu un vero piacere&rdquo; &egrave; l&rsquo;opinione unanime. E ripercorrendo le 16 tappe della stagione conclusasi a favore di Poggiali, emerge un sentimento di sorpresa.  Misano 1984: Fausto Ricci, buona la prima Poggiali: "Adattarsi alla 250 non fu semplice"  Perch&eacute; tale sensazione? I motivi sono differenti e validi. Come detto, Manuel aveva vinto due anni prima il titolo della ottavo di litro, portando la Gilera in vetta alle classifiche iridate, e nel 2002 sfior&ograve; il bis in 125. Per lui, l&rsquo;esordio nella quarto di litro del 2003 proponeva incognite, poich&eacute; affrontato con la super competitiva ma non facile Aprilia, moto che esprimeva un grande potenziale, ma che richiedeva un perfetto lavoro di set up e una guida &ldquo;particolare&rdquo;: &ldquo;&Egrave; vero &ndash; conferma l&rsquo;unico iridato del Monte Titano &ndash; la RSV 250 era veramente potente, per&ograve; altrettanto sensibile alle modifiche e ai cambiamenti del meteo. Da debuttante, la cosa pi&ugrave; difficile fu abituarsi allo stile di guida della categoria. Se con la 125 potevo rimanere piegato quanto e come desideravo, con la 250 no, perch&eacute; aprendo il gas, l&rsquo;erogazione appuntita e la botta di potenza facevano partire in derapata il posteriore. Poi le gomme si consumavano parecchio e a met&agrave; gara ero costretto a cambiare linee&rdquo;. Difficolt&agrave; superate egregiamente sin da Giappone e Sud Africa, con due successi ai primi due tentativi: &ldquo;Ne uscii sorpreso &ndash; Poggiali spiega il suo fantastico inizio &ndash; per me tutto era nuovo, avevo svolto eccellenti test, ma le gare erano una situazione pi&ugrave; dura. Cominciai nel migliore dei modi a Suzuka e Welkom, vincendo entrambi i Gran Premi, mentre Rolfo accus&ograve; qualche difficolt&agrave;&rdquo;. Roberto non part&igrave; benissimo. Un grosso cambiamento tecnico apportato alla NSR spiazz&ograve; momentaneamente i piloti Honda: &ldquo;Il passaggio da bialbero a monoalbero rese il motore meno potente &ndash; svela l&rsquo;attuale campione del mondo Endurance classe Superstock &ndash; perci&ograve; pativo in accelerazione e velocit&agrave; di punta. Nelle prime due uscite portai a casa punti, ma non ero soddisfatto. I successivi podi di Jerez e Le Mans mi diedero morale, facendomi capire che la strada intrapresa era in salita ma buona&rdquo;.  Pochi punti a separare i due contendenti  Al Mugello, dopo due successi di Toni Elias, Poggiali torn&ograve; a vincere, Rolfo giunse quarto e, con il nono posto di Barcellona, approfitt&ograve; dello &ldquo;zero&rdquo; rimediato dall&rsquo;avversario. Dopo Assen e Donington &ndash; nella gara britannica and&ograve; meglio il portacolori del Team Aprilia MS &ndash; arriv&ograve; il tortuosissimo Sachsenring, teatro dell&rsquo;affermazione firmata dal pilota di Gresini: "In Germania guidai veramente bene. Sebbene la NSR avesse poca potenza, potevo essere efficace in staccata e ingresso curva. Ricordo quel giorno con emozione, dato che parliamo della mia prima vittoria nel Motomondiale. Oltretutto, Manuel concluse ottavo e io gli soffiavo ancora sul collo&rdquo;. A Brno e all&rsquo;Estoril, risultati abbastanza in linea tra i due contendenti alla corona, fino al Brasile. A Rio de Janeiro, Poggiali sal&igrave; per la quarta volta sul gradino pi&ugrave; alto del podio, Rolfo si posizion&ograve; pochi centimetri pi&ugrave; sotto. I reciproci complimenti lanciarono la fase finale di quel caldo 2003: &ldquo;Eravamo divisi da pochi punti &ndash; ricordano all&rsquo;unisono &ndash; e ci preparavamo alla lunga trasferta oceanica: Motegi, Sepang e Phillip Island, tre piste differenti, con climi variegati&rdquo;. Rolfo: "A Phillip Island la pioggia mi esalt&ograve;"  Lontani da casa, i protagonisti del duello badarono poco alle strategie e, se queste furono studiate, non furono impostate su ragionamenti generati dal risparmio dei rischi. Certo, Manuel e Roberto fecero i conti con i propri staff (calcoli relativi a piazzamenti e punti di ogni tappa) e con i rivali della Top 10. C&rsquo;era Elias, che in seguito sarebbe diventato campione di Moto2 e MotoAmerica. Per lui e la sua Aprilia, grandi traguardi, con tre successi, ma anche qualche battuta d&rsquo;arresto. Per nulla appagato e ancora in corsa per il titolo, lo spagnolo si impose nei GP Pacifico e Malesia. Ma in Australia il diluvio bagn&ograve; le speranze di Elias, che naufrag&ograve; all&rsquo;undicesimo posto. Anche Poggiali ebbe noie, con una deludente nona posizione. Chi vol&ograve; sotto e sopra l&rsquo;acqua, fu proprio Rolfo, vero mago del bagnato: &ldquo;Quanto mi piaceva correre in quelle condizioni &ndash; le parole dell&rsquo;anfibio torinese &ndash; la mia sensibilit&agrave; fu premiata a Phillip Island e la NSR lavor&ograve; al meglio L&rsquo;erogazione dolce non offriva molta potenza, per&ograve; io la gestivo tutta con il polso destro. La situazione del campionato si deline&ograve; ulteriormente: Elias poteva essere considerato fuori dai giochi, De Puniet anche. Randy era forte, tuttavia incostante. Fonsi Nieto rappresentava una mina vagante e, se consultiamo la classifica, troviamo quasi tutte Aprilia, io ero il pilota Honda meglio piazzato. Sebastian Porto and&ograve; bene, non benissimo. In vetta c&rsquo;eravamo io e Poggiali, i pi&ugrave; forti della griglia. Lui con la RSV io con la NSR. Due moto dalle filosofie differenti, due avversari con lo stesso spirito corsaiolo: poche parole, tanti fatti&rdquo;.  I fatti dicono che a Valencia si consum&ograve; l&rsquo;atto conclusivo di una competizione tirata ai massimi livelli. Nella 250 ogni dettaglio doveva essere curato: &ldquo;Metodo di lavoro, strategia nella prove libere e in qualifica, carburazione, stile di guida, scelta delle gomme, attenzione alle mosse altrui, psicologia, alimentazione, allenamento&rdquo; la lista di voci stilata da Poggiali e Rolfo. Vi sembra poco? Valencia incoron&ograve; Manuel  Sette erano le lunghezze a separare il sammarinese, in vetta dal primo metro del campionato e a cui sarebbe bastato un secondo posto, e il piemontese. Al Ricardo Tormo ci si aspettava il confronto diretto che fu, invece, &ldquo;differito&rdquo;. In quasi tre quarti d&rsquo;ora di gara, De Puniet ed Elias lottarono per la vittoria, andata a Randy. Per soltanto 72 millesimi, un fotofinish, l&rsquo;Aprilia del francese beff&ograve; quella dello spagnolo. Con i due imprendibili l&agrave; davanti, Rolfo avrebbe dovuto chiudere terzo e sperare in un Poggiali ottavo o peggio. E invece a completare il podio fu proprio la RSV del sammarinese, che fece meglio di Rolfo, 7&deg;. Giunto nel proprio garage, il vincitore del secondo titolo della carriera a soltanto 20 anni &ndash; uno dei soli due rookie dell&rsquo;era moderna a vincere in 250, l&rsquo;altro &egrave; stato Dani Pedrosa, l&rsquo;anno seguente &ndash; prov&ograve; le stesse emozioni descritte oggi: &ldquo;Non potevo crederci, ero felice e distrutto &ndash; ricorda &ndash; perch&eacute; la gioia fu tanta e pure la tensione pre-gara. Le ambizioni dell&rsquo;Aprilia furono soddisfatte e pure le mie, vincere in due classi cos&igrave; diverse tra loro mi sembr&ograve; una cosa irreale&rdquo;. Rolfo non port&ograve; alla Honda il titolo, ma non pot&eacute; considerarsi sconfitto: &ldquo;Ero comunque contento. La mia NSR si rivel&ograve; la migliore del lotto, in una stagione iniziata in salita e continuata cogliendo grossi risultati. La sfida tra me e Poggiali rester&agrave; per sempre nel mio cuore e, quando ci incontriamo, ci scambiamo complimenti e l&rsquo;ammirazione &egrave; reciproca&rdquo;. Duelli da leggenda: il duello Bianchi-Gresini datato 1985       

Pur essendo al debutto nella 250, nel 2003 il ventenne Poggiali vinse d&rsquo;autorit&agrave;, guidando la classifica dal primo all&rsquo;ultimo metro della stagione. A insidiare il sammarinese fu l&rsquo;amico Rolfo

Duelli da leggenda: la vittoria del baby prodigio Poggiali su Rolfo

        Eugenio Lizama, chi era costui? A conti fatti, si tratta di una figura fondamentale per la stagione al vertice della MotoGP di Andrea Dovizioso. &ldquo;La rabbia &egrave; generalmente un sentimento negativo, ma se ben canalizzata pu&ograve; trasformarsi in una forza positiva&rdquo;. Lo disse Lizama, neuropsicologo protagonista della metamorfosi del ducatista, capace di vivere un cambio di mentalit&agrave; proprio in quel 2017 in cui la Casa di Borgo Panigale decise di andare all in. Rialzatosi dopo la pessima parentesi dell&rsquo;era-Rossi, il Reparto Corse cap&igrave; di poter dare l&rsquo;assalto al titolo. Gigi Dall&rsquo;Igna aveva avuto abbastanza tempo per progettare la propria moto, e secondo la visione dell&rsquo;ingegnere veneto, alla Ducati mancava soltanto un ingrediente per vincere: il pilota giusto. E quel pilota venne identificato in Jorge Lorenzo. Duelli da leggenda: quando Freddie Spencer pieg&ograve; Kenny Roberts L'anno dell'arrivo di Lorenzo in Ducati  Dall&rsquo;Igna convinse il cinque volte campione del Mondo a sbarcare a Borgo Panigale, in cambio dello stipendio pi&ugrave; alto (ai tempi) nella storia della MotoGP. Il 2017 sarebbe stato l&rsquo;anno dell&rsquo;ambientamento alla non semplice Desmosedici, per poi lottare per il titolo nell&rsquo;annata successiva. Lorenzo si ritrov&ograve; nel box Dovizioso. Diciamo &ldquo;ritrov&ograve;&rdquo; perch&eacute; in un primo momento il suo compagno di team avrebbe dovuto essere Andrea Iannone, il primo pilota a far vincere un GP alla Ducati dopo quasi sei anni di digiuno. Ma al momento di compiere la scelta su quale dei due Andrea confermare, Dall&rsquo;Igna opt&ograve; per mantenere Dovizioso. Una decisione figlia anche del mancato accordo economico con Iannone, che port&ograve; l&rsquo;abruzzese alla Suzuki. In questo modo, Dovi torn&ograve; d&rsquo;attualit&agrave; ma per restare in Ducati dovette accettare condizioni tutt&rsquo;altro che favorevoli. In quel momento, per&ograve;, non aveva alternative tra i top team. Dovizioso e Lorenzo si conoscevano bene, molto bene. Avevano trascorso l&rsquo;intera carriera a battagliare, salendo di categoria, prima in 250 e poi in MotoGP, in contemporanea. E spesso e volentieri, le battaglie avevano visto Jorge prevalere. Sulla carta, sarebbe stata la gerarchia anche nel team ufficiale Ducati, la prima volta con i due nella stessa squadra. Eppure quel Mondiale sembr&ograve; prendere subito la strada del successore di Lorenzo in Yamaha, Maverick Vi&ntilde;ales, vincitore di tre delle prime cinque gare. L&rsquo;anti-Marquez doveva essere il giovane catalano.  Per questo, la vittoria di Dovizioso al Mugello, in una giornata storica per la Ducati e il motociclismo italiano &ndash; con tre successi azzurri nelle tre classi &ndash; venne salutata con favore da Marc Marquez: in fondo, Andrea aveva sventato la vittoria di Maverick. Dichiarazioni simili si sentirono anche una settimana pi&ugrave; tardi, quando al Montmel&oacute; il ducatista rivinse davanti a Marquez, mentre Vi&ntilde;ales non and&ograve; oltre la decima posizione. Soltanto due mesi pi&ugrave; tardi, dopo aver perso un duello spettacolare e deciso all&rsquo;ultima curva del Red Bull Ring, Marquez intu&igrave; che il pericolo arrivava non dal conterraneo Maverick, ma dal binomio italiano. E da quel giorno, il campione in carica inizi&ograve; a marcare stretto Dovizioso. Ma a lottare per il titolo fu Andrea  Nel frattempo, la super-scommessa di Dall&rsquo;Igna, Lorenzo, pativa pi&ugrave; del previsto l&rsquo;adattamento alla Ducati. La prima met&agrave; della stagione fu cos&igrave; deludente da generare dubbi a Borgo Panigale. Non tanto nella mente di Dall&rsquo;Igna, mosso da una fiducia incrollabile nei confronti di Jorge e del suo potenziale, ma nei vertici della Casa di Borgo Panigale. Perch&eacute; non era Lorenzo, il pilota con uno stipendio-base dieci volte (!) superiore a quello del compagno, a lottare per il titolo. Anzi, non fosse stato per Dovi, il flop ducatista sarebbe stato drammatico. Dopo la vittoria in Austria, Dovizioso seppe ripetersi a Silverstone, favorito dalla rottura del motore di Marquez. Andrea era &ldquo;caldissimo&rdquo;, in quella fase, e la Desmosedici era la moto pi&ugrave; veloce in pista. Marquez per&ograve; riprese quota vincendo a Misano e Arag&oacute;n, e si arriv&ograve; in Giappone, all&rsquo;inizio del trittico, con Marc a +16 su Dovi. Un vantaggio giudicato insufficiente dallo spagnolo, considerando la fiducia ritrovata dal rivale. E i timori di Marquez vennero confermati dal finale di Motegi dove, come in Austria, lo spagnolo sub&igrave; un&rsquo;altra sconfitta all&rsquo;ultima curva, questa volta sotto il diluvio.  Si tratt&ograve; di uno dei migliori duelli sul bagnato nella storia del Motomondiale, con un giro finale da consegnare ai libri di storia. Perch&eacute; mai si erano visti tanti sorpassi nelle ultime curve, su un tracciato dove gi&agrave; rimanere in piedi era un&rsquo;impresa. Marquez attacc&ograve; Dovi all&rsquo;ultima variante, da cui per&ograve; Andrea usc&igrave; meglio, facendo assaporare allo spagnolo l&rsquo;amarezza di un altro duello perso in volata. Un&rsquo;amarezza a cui Marc non era abituato. La sconfitta, oltretutto, arriv&ograve; sul circuito della Honda, davanti allo stato maggiore dell&rsquo;HRC. E con il -11 in classifica a due gare dalla fine, la Ducati e Dovizioso erano in corsa pi&ugrave; che mai per il titolo. L&rsquo;anatroccolo era diventato cigno. La doccia fredda di Phillip Island e la caduta di Valencia  La gioia per la prodezza di Motegi dur&ograve; poco, perch&eacute; arriv&ograve; subito la doccia fredda di Phillip Island, il circuito tab&ugrave; di Dovizioso, che chiuse tredicesimo, nettamente il peggior piazzamento di quel campionato, che arriv&ograve; nel momento pi&ugrave; inappropriato. Dovi poteva fare meglio? Oppure si arrese al &ldquo;Qui la Ducati non pu&ograve; fare meglio di cos&igrave;&rdquo;? La risposta, forse, &egrave; s&igrave;, a entrambe le domande. Quel risultato sgonfi&ograve; la Ducati e le sue possibilit&agrave;. A poco serv&igrave; la sesta vittoria stagionale di Andrea, ottenuta pochi giorni dopo a Sepang, davanti a Lorenzo. Certo, alla vigilia della stagione, il forlivese e il team avrebbero firmato per un cammino del genere, e avrebbero firmato per vincere due delle tre gare del trittico. Ma il fiasco del GP Australia lasci&ograve; il segno. Specialmente nella mente di Dall&rsquo;Igna, che mai consider&ograve; quel risultato come il &ldquo;migliore possibile&rdquo;.  Dovizioso arriv&ograve; alla sfida finale di Valencia con 21 punti da recuperare a Marquez. Una missione impossibile: l&rsquo;unico istante in cui apparve possibile fu quando Marc, in testa alla corsa con Dovi quinto, rischi&ograve; di cadere alla Curva 1, ma mostr&ograve; forse il suo pi&ugrave; grande salvataggio, considerando anche la velocit&agrave;. Pochi secondi dopo e Dovi fin&igrave; fuori pista, dando l&rsquo;addio definitivo ai sogni di gloria. La sua fu comunque un&rsquo;annata da applausi: sei vittorie, mentre Lorenzo non and&ograve; oltre tre podi. Per Dovi fu l&rsquo;anno del riscatto, dopo essere stato trattato da seconda guida. E fu anche l&rsquo;anno dei ricchi bonus da aggiungere allo stipendio-base dopo ogni vittoria. I bonus da soli superarono lo stipendio-base draconiano che gli era stato sottoposto dopo il rifiuto di Iannone. Di solito, per evitare di sforare il budget, quei bonus sono garantiti e quindi sono gi&agrave; certi, cosa che la Ducati non fece quell&rsquo;anno. Del resto, chi poteva immaginare che Dovizioso avrebbe vinto sei GP? Per la risposta, tornate all&rsquo;inizio: &ldquo;La rabbia &egrave; generalmente un sentimento negativo, ma se ben canalizzata pu&ograve; trasformarsi in una forza positiva&rdquo;. Duelli da leggenda: Jacque e Nakano raccontati da Poncharal       

Pungolato dalla presenza di Lorenzo, ingaggiato con uno stipendio-record dalla Ducati, Dovizioso visse una stagione al vertice della classe regina. Ma nemmeno la migliore versione del romagnolo fu sufficiente contro Marquez, campione a Valencia grazie al pi&ugrave; celebre dei suoi salvataggi

Duelli da leggenda: Andrea Dovizioso e la sfida a Marc Marquez del 2017

        Quel Mondiale ha fatto la storia: se ne parla ancora oggi. Del resto il successo di Emilio Alzamora &egrave; stato unico nel suo genere: lo spagnolo si laure&ograve; campione del Mondo 125 senza vincere una gara. E contestualmente lo scopritore dei fratelli Marquez tolse a Marco Melandri (ai tempi 17 anni) la possibilit&agrave; di diventare il pi&ugrave; giovane campione del Mondo ogni epoca. Ma l&rsquo;epilogo di quel Mondiale ricco di imprevisti e colpi di scena viene ricordato anche per le polemiche. E un comportamento del quale Melandri oggi non va orgoglioso. Duelli da leggenda: il duello Bianchi-Gresini datato 1985 Inizio di stagione in salita per Marco  L&rsquo;inizio di una nuova stagione del Motomondiale &egrave; sempre un momento di grandi aspettative per i piloti: l&rsquo;edizione del &lsquo;99 part&igrave; con Melandri, che correva con il principale team della Honda, tra i favoriti della 125. L&rsquo;anno precedente, nella prima stagione intera nel Motomondiale, il romagnolo era riuscito a chiudere terzo con 202 punti, alle spalle di Kazuto Sakata e Tomomi Manako, con una bella progressione nella seconda met&agrave; dell&rsquo;annata. Nonostante la giovanissima et&agrave; (vinse la sua prima gara del Motomondiale ad Assen a 15 anni e 324 giorni) &ldquo;Macio&rdquo; aveva gi&agrave; capito che per inseguire il titolo serviva la costanza, e proprio quella virt&ugrave; fu il suo problema nel 1999. Per l&rsquo;enfant prodige la stagione fu immediatamente in salita, visto che nella storica prima del Motomondiale a Sepang, Melandri non era sulla griglia di partenza. Nelle prove, infatti, cadde e si frattur&ograve; il radio sinistro, e fu costretto a saltare anche la successiva gara di Motegi, rientrando a Jerez, dove chiuse ancora con uno zero: &ldquo;Un infortunio stupido &ndash; racconta oggi Melandri &ndash; quando rientrai alla terza gara, anticipando i tempi, avevo ancora un gran male al polso che mi ero rotto. A Jerez mi buttarono gi&ugrave; all&rsquo;ultimo giro mentre ero nono. E mi feci ancora male a met&agrave; stagione, fu tutto molto complicato&rdquo;.  Partito per vincere con Melandri, il Team Playlife si trov&ograve; ugualmente al vertice, grazie per&ograve; a Masao Azuma, che centr&ograve; cinque vittorie nei primi otto GP, compreso il tris iniziale. Alzamora rispose con sei podi in quei primi otto GP, senza mai scendere sotto il sesto posto. Melandri era in difficolt&agrave; ma con il progressivo recupero dall&rsquo;infortunio, anche i risultati si fecero pi&ugrave; costanti: sesto a Le Mans, secondo al Mugello e terzo a Barcellona. Per risollevarsi del tutto mancavano le vittorie, e queste iniziarono ad arrivare quando la stagione sembrava compromessa, dato che Melandri era finito a -82 dalla vetta occupata da Azuma e a -62 da Alzamora: in un&rsquo;ideale staffetta con Azuma &ndash; la coppia del Team Playlife vinse 10 gare! &ndash; il romagnolo infil&ograve; tre successi consecutive. Prima in Germania, dove vinse dopo una bagarre con Alzamora, poi a Brno e Imola. A Valencia, Melandri fece di nuovo uno &ldquo;zero&rdquo; ma poi torn&ograve; alla vittoria a Phillip Island, fu terzo in Sud Africa e secondo a Rio de Janeiro. La gara australiana fu uno dei momenti cruciali della stagione poich&egrave; avvenne un fatto particolare: Alzamora cadde ma seppe rialzarsi e rimontare fino a tagliare il traguardo in quindicesima posizione grazie al compagno di team, Angel Nieto jr., che gli cedette il passo sul traguardo. Quel &ldquo;misero&rdquo; punto si rivel&ograve; decisivo... La gara decisiva. E le annesse polemiche  Prima del conclusivo GP Argentina, la situazione in classifica vedeva Alzamora in testa con 207 punti seguito da Melandri con 201 e Azuma con 190. Allo spagnolo sarebbe bastato un secondo posto, ma al tempo stesso Melandri si sentiva forte: nelle precedenti sei gare in cui aveva tagliato il traguardo, aveva sempre preceduto Alzamora Tuttavia in gara, di fronte a una situazione di tensione che cresceva giro dopo giro, Melandri super&ograve; il limite. Al via, Roberto Locatelli balz&ograve; al comando seguito da Melandri e Alzamora. Poco pi&ugrave; indietro anche Manuel Poggiali, Noboru Ueda e Lucio Cecchinello, mentre Azuma cadde subito. Melandri dovette cercarsi un altro &ldquo;alleato&rdquo; in grado di precedere Alzamora: poteva essere Cecchinello, che prese il largo assieme a Marco, ma anche l&rsquo;attuale team manager in MotoGP scivol&ograve;. Mentre Alzamora super&ograve; Locatelli e sal&igrave; al secondo posto.  A questo punto, la vittoria di un Melandri che aveva preso un vantaggio cospicuo sugli inseguitori non avrebbe avuto alcun valore. Capendo di aver sbagliato strategia, allora, il romagnolo attese lo spagnolo, rallentando vistosamente. Melandri si fece sorpassare e poi prov&ograve; a chiudere la strada in curva al rivale. L&rsquo;intenzione era quella di ostacolarlo per favorire il ritorno di Locatelli. Ma poi si and&ograve; oltre, con un tentativo di &ldquo;spallata&rdquo; per mandare fuori pista Alzamora. Nell&rsquo;ultimo giro le posizioni si cristallizzarono, Marco port&ograve; a casa il successo in gara, ma con il secondo posto Alzamora conquist&ograve; il titolo per un punto. La bufera che si scaten&ograve; dopo offusc&ograve; tutto: ai box venne per poco evitata una discussione accesa tra i due piloti. Lo spagnolo si dichiar&ograve; contento del titolo che reput&ograve; meritato, sebbene non avesse vinto neppure una gara, un fatto raro che non accadeva dal Motomondiale 1989 con Manuel Herreros nella 80. Dall&rsquo;altra parte il romagnolo ribatt&egrave; con parole dure: &ldquo;Credo si sia visto che il pi&ugrave; forte in questa classe &egrave; seduto sulla moto con il numero 13". Melandri si mostr&ograve; rammaricato anche per il mancato aiuto ricevuto dagli altri piloti italiani. "Le moto sono uno sport individuale&rdquo; gliss&ograve; per esempio Locatelli. "Mi sentivo derubato"  Il commento di Marco, a distanza di 21 anni ricostruisce il suo comportamento: &ldquo;Mi sentivo derubato di un campionato che ritenevo mio. Diciamo che non &egrave; stato uno dei gesti pi&ugrave; belli. Credo per&ograve; che se tutto ci&ograve; non fosse avvenuto in quell&rsquo;occasione, magari sarebbe stato un gesto che avrei fatto pi&ugrave; avanti. E invece quando ti succede una cosa del genere impari, e ti fa riflettere per il futuro. Di certo, per&ograve;, a fine gara non andai a complimentarmi con Alzamora, avendo io vinto cinque gare e lui nemmeno una&rdquo;. L&rsquo;allora diciassettenne venne additato come &ldquo;scorretto&rdquo; soprattutto dalla stampa spagnola. La vicenda and&ograve; avanti a lungo e ancora oggi, insieme al brutto infortunio di Mick Doohan in 500 e alla vittoria del Mondiale di Valentino Rossi in 250, quell&rsquo;episodio polemico &egrave; il fatto che pi&ugrave; viene ricordato di quella stagione 1999. Una brutta pagina che Melandri si &egrave; messo alle spalle con il titolo del 2002 in 250. Duelli da leggenda: Jacque e Nakano raccontati da Poncharal       

Pur senza vincere un solo GP, nel 1999 Alzamora conquist&ograve; il titolo per un punto. A Melandri, costretto a inseguire dopo il ko iniziale, non bast&ograve; un recupero prodigioso, e nell&rsquo;ultima gara cerc&ograve; invano il sorpasso, con ogni mezzo. E oggi ammette: "Il mio non fu un bel gesto"

Duelli da leggenda: Alzamora, Melandri e lo "zero" vincente

        Affacciarsi sulla scena mondiale e vincere subito il titolo &egrave; un fatto pi&ugrave; unico che raro, figurarsi a 17 anni, quando i tuoi rivali di anni ne hanno 24 e 31 e alle spalle hanno diverse stagioni iridate. Protagonista di questo quadro che sembra pi&ugrave; favola che realt&agrave; &egrave; Loris Capirossi, capace di iniziare la sua carriera con il &ldquo;botto&rdquo;. Non aveva ancora compiuto 17 anni quando, il 25 marzo 1990, si schier&ograve; sulla griglia di partenza di Suzuka, e dalla ventiseiesima casella risal&igrave; fino a portare a casa un positivo sesto posto con la Honda RS125R del Team Pileri. Ne aveva invece 17 e 165 giorni quando si present&ograve; in griglia di partenza all&rsquo;ultimo GP della stagione a Phillip Island, in piena lotta per il titolo. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring Capirossi, iridato 125 al primo colpo&nbsp;  Ma come era arrivato a essere uno dei pretendenti al titolo quel ragazzino nuovo nel Mondiale? Dopo il primo GP Loris aveva iniziato a prendere bene le misure, tanto da assaggiare il podio gi&agrave; alla terza uscita stagionale, a Misano, restando nei primi tre anche nelle tre gare successive. Nei primi nove GP Capirossi sal&igrave; sul podio cinque volte, e la vittoria arriv&ograve; al decimo tentativo, a Donington Park. Due gare pi&ugrave; tardi, per&ograve;, la sua lotta verso il titolo sembrava per&ograve; essere finita. La caduta a Brno, infatti, apparve una porta sbarrata verso i sogni di gloria, ma vincendo in Ungheria, Loris torn&ograve; subito in gioco. Era il 16 settembre, il Mondiale faceva tappa in Australia e sullo spettacolare tracciato di Phillip Island andava in scena la lotta a tre per il titolo iridato della classe cadetta: Stefan Prein, classe 1965, con 169 punti, seguito dal ragazzino di Borgo Rivola, distante sette punti, e da Hans Spaan, classe 1958, terzo a nove lunghezze e autore della pole position. Il tedesco recit&ograve; da comparsa, perch&eacute; venne messo fuori gioco al via da un contatto involontario con Alessandro Gramigni, che ruppe la leva del cambio di Prein, costringendolo al ritiro. Uno sviluppo che significava soltanto una cosa per &ldquo;Capirex&rdquo;: un avversario in meno. A quel punto tutti gli occhi erano su Spaan.  La leggenda narra che per aiutare Loris si mise in marcia la pattuglia italiana composta dai &ldquo;fratelli maggiori&rdquo;: Fausto Gresini, suo compagno di squadra, Doriano Romboni (velocissimo pur con una Honda poco pi&ugrave; che &ldquo;affittata&rdquo; per l&rsquo;occasione) e Bruno Casanova, i due piloti che salirono sul podio proprio alle spalle del pi&ugrave; giovane campione del Mondo della storia. In realt&agrave;, a svolgere il vero gioco di squadra fu proprio Gresini, che rallent&ograve; Spaan ove possibile per far s&igrave; che Capirossi recuperasse terreno nella fase pi&ugrave; complicata. All&rsquo;olandese saltarono i nervi, tanto che durante la gara rifil&ograve; un pugno sul casco di Gresini. Un gesto che peraltro gli fece perdere posizioni. Il gran finale fu in volata, come consuetudine (di ieri e di oggi) nella classe pi&ugrave; piccola. Con cinque piloti, raccolti in carena, che si lanciarono sul lungo rettilineo in discesa: Capirossi tagli&ograve; il traguardo per primo, davanti a Casanova per poco pi&ugrave; di due decimi, Romboni, Spaan e Gresini. Fu il capolavoro di Capirossi, che si prese gara e titolo della 125. Per un&rsquo;impresa indimenticabile. La lotta tra Kocinski e Cardus in 250  In Australia si decise anche la classe di mezzo, dove i pretendenti erano John Kocinski e Carlos Cardus. Lo spagnolo arrivava da leader per soli cinque punti. L&rsquo;americano della Yamaha di Kenny Roberts &ndash; alla prima stagione intera nel Mondiale 250, dopo wild card vincenti nei GP Giappone e USA e dopo una presenza in 500 in Belgio &ndash; era il favorito fin da inizio stagione, ma Cardus contava su un team efficientissimo, con l&rsquo;ottima Honda NSR e George Vukmanovich capotecnico, uno dei pi&ugrave; prestigiosi del Circus (in precedenza aveva vinto con Freddie Spencer, poi si sarebbe ripetuto con Luca Cadalora e Max Biaggi). Tutto pareva sorridergli: Phillip Island era pi&ugrave; favorevole alla sua Honda, e qui nei test Cardus aveva girato con tempi da record. E con l&rsquo;assegnazione dei punti di allora (20 al primo, 17 al secondo, 15 al terzo) gli sarebbe bastato il secondo posto. Anche per questo Kocinski chiese, invano, a Wayne Rainey di correre la gara della 250 per aiutarlo.  Ma qualcosa and&ograve; storto per Cardus, la cui moto fin dalle prove parve meno performante, tanto che lo spagnolo dovette partire settimo mentre John era in pole position. In gara, Cardus non riusc&igrave; a stare in scia all&rsquo;americano, vincitore, e le cose degenerarono a due giri dalla fine, quando il cambio cedette e lo spagnolo si dovette ritirare. Il ritorno in pit lane resta l&rsquo;immagine simbolo di quel duello: Cardus rientr&ograve; come una furia, scese e moll&ograve; un calcio alla moto, poi punt&ograve; il dito contro il suo capomeccanico, accusandolo di sabotaggio. Il motivo? Nel 1991 Vukmanovich sarebbe passato alla struttura di Erv Kanemoto &ndash; con Cadalora &ndash; che avrebbe avuto la Honda factory soltanto in caso di mancato titolo di Cardus, il quale da campione avrebbe avuto diritto alla moto ufficiale. Un&rsquo;ipotesi che per&ograve; non ha mai avuto riscontri provati. Duelli da leggenda: il duello Bianchi-Gresini datato 1985       

L'imolese e lo statunitense conquistarono il titolo, in 125 e 250, al primo anno intero nel Mondiale, e lo fecero alla stessa maniera: completando a Phillip Island una rimonta apparentemente impossibile, tra botte e presunti sabotaggi

Duelli da leggenda: Capirossi e Kocinski, campioni al debutto

        Una piccola MotoGP. Questa era la Moto3 del 2014, ricca di piloti circondati da grandi aspettative: da Alex Rins a Miguel Oliveira passando per Jack Miller, Pecco Bagnaia, Alex Marquez, Brad Binder, tutti saliti almeno una volta sul podio della top class, e ancora Romano Fenati e l&rsquo;allora rookie Enea Bastianini. Tale platea di candidati gener&ograve; un duello per il titolo tra i pi&ugrave; accesi dell&rsquo;era moderna. E il paradosso &egrave; che il Team KTM-Ajo, campione nel 2010 con Marc Marquez in 125, questa volta si ritrov&ograve; a sfidare l&rsquo;altro Marquez, Alex, schierando invece Miller. Un pilota agli antipodi rispetto ai tanti protagonisti europei: dal carattere ai tempi un po&rsquo; scontroso e irascibile, Jack ai sorrisi di circostanza preferiva la schiettezza. Fin troppo ruspante per l&rsquo;ambiente sornione del paddock, per lui quella stagione rappresent&ograve; per&ograve; una svolta. Duelli da leggenda: il duello Bianchi-Gresini datato 1985 Due piloti agli antipodi  Molto diverso era il suo rivale: 18 anni, viso pulito e un cognome gi&agrave; molto pesante, Alex guidava una Honda, quella del Team Estrella Galicia 0,0. Sin dal debutto in Qatar, inizi&ograve; il duello: Miller conquist&ograve; la prima vittoria nel Motomondiale mentre Marquez arriv&ograve; secondo. Jack ad Austin infil&ograve; la seconda vittoria mentre Alex rimedi&ograve; uno &ldquo;zero&rdquo;, ma si rifece in Argentina dove arriv&ograve; secondo dopo una battaglia con Romano Fenati che si aggiudic&ograve; la corsa. Miller chiuse terzo. La bagarre prosegu&igrave; incessante: a Jerez a vincere fu nuova mente Fenati, che si port&ograve; a cinque lunghezze da Miller, quarto all&rsquo;arrivo. Marquez, rimasto intruppato nel gruppone centrale, chiuse in settima posizione, mentre a Le Mans arriv&ograve; quarto.  La Francia vide trionfare per la terza volta Miller dopo una corsa combattuta fino all&rsquo;ultimo giro con Rins e Isaac Vi&ntilde;ales. Al Mugello, il primo colpo di scena: all&rsquo;ultimo giro, la caduta di Miller decim&ograve; il gruppo di testa, dato che nella ghiaia lo seguirono Marquez e Bastianini. Da quell&rsquo;inconveniente, Alex usc&igrave; con due vittorie, a Barcellona (primo successo della Honda in Moto3 dopo quasi due anni) e Assen, mentre per Miller arrivarono un quarto posto e uno &ldquo;zero&rdquo;. Lotta fino all&rsquo;ultimo giro  Arrivati al Sachsenring, &ldquo;Jackass&rdquo; riusc&igrave; a risollevare le sue sorti andando a centrare il quarto successo. Alex chiuse quarto e anche nelle gare successive, Indianapolis e Brno, non brill&ograve; &ndash; sesto e quarto &ndash; con Miller che invece arriv&ograve; terzo e poi quinto. Ma da qui in poi la stagione prese la piega migliore per il catalano, che nell&rsquo;arco di cinque gare ottenne un successo (a Motegi) e quattro secondi posti. In quello stesso arco di tempo, Miller croll&ograve;, passando dal +23 al -20 in classifica. L&rsquo;australiano vinse in casa a Phillip Island, dopo la gara emblematica disputata ad Arag&oacute;n, dove tra i due furono scintille: al quarto giro Jack impost&ograve; una traiettoria all&rsquo;esterno con Alex che tent&ograve; di infilarsi all&rsquo;interno. Lo spagnolo allarg&ograve; leggermente la linea e and&ograve; a toccare l&rsquo;australiano che cadde. La beffa fu doppia per Miller perch&eacute; Marquez, grazie a quel secondo posto, si port&ograve; in vetta alla classifica Con 20 punti da recuperare in due gare, a Sepang Miller chiuse secondo, mentre Marquez gest&igrave;, chiudendo quinto. E cos&igrave; si present&ograve; a Valencia a +11: gli sarebbe bastato un podio per regalare alla famiglia di Cervera il secondo titolo di quel 2014, dopo quello di Marc in MotoGP (il quarto per il Fenomeno, ai tempi soltanto 21 anni).  Valencia aveva deciso la corsa al titolo della Moto3 gi&agrave; l&rsquo;anno prima, con la battaglia tutta spagnola tra Luis Salom, Alex Rins e Maverick Vi&ntilde;ales. Il compianto Salom, arrivato davanti a tutti all&rsquo;ingresso nell&rsquo;ultimo weekend, scivol&ograve;, e fu Vi&ntilde;ales ad aggiudicarsi la gara, in volata, e il titolo. La corsa finale del 2014 si accese gi&agrave; dalle prime curve fino a quando, dopo il 20&deg; passaggio, ci fu l&rsquo;ennesimo contatto tra i due contendenti che fece perdere a entrambi posizioni importanti. Miller e Marquez ricucirono lo strappo con gli avversari e alla fine l&rsquo;australiano tagli&ograve; per primo il traguardo ma grazie al terzo posto Alex conquist&ograve; il titolo iridato con due punti di vantaggio. Fu la prima volta di due fratelli iridati nella stessa stagione del Motomondiale, i Marquez. Mentre Valencia lasci&ograve; l&rsquo;amaro in bocca a Miller, che con sei vittorie venne sconfitto da un pilota che aveva vinto la met&agrave; dei GP. Miller pot&eacute; consolarsi con il doppio salto immediato di categoria, passando subito in MotoGP, dove Marquez l&rsquo;avrebbe raggiunto soltanto nel 2020, dopo aver vinto un secondo titolo, in Moto2. Duelli da leggenda: la vittoria del privatissimo Tournadre       

Ruspante, schietto, pronto al salto immediato in MotoGP, Miller conquist&ograve; sei gare ma perse il duello per il titolo contro il secondo dei Marquez, timido, educato e favorito da un rendimento molto pi&ugrave; regolare

Duelli da leggenda: Alex Marquez e Jack Miller, due poli opposti

        Per il suo debutto alla guida del Motomondiale, la Dorna non poteva augurarsi di meglio: due Mondiali decisi all&rsquo;ultima gara, con il titolo assegnato a piloti che soltanto poche settimane prima, complici infortuni, apparivano fuori dai giochi. Nella 125, il titolo dello stoico Alessandro Gramigni (nella foto a destra) ebbe connotati storici, perch&eacute; fu il primo per l&rsquo;Aprilia nel Motomondiale. Mentre in 500, Wayne Rainey ebbe la meglio su Mick Doohan. Per l&rsquo;ultima volta. I tre successi di Fausto Gresini a Misano L'ultimo titolo di Wayne  Rainey centr&ograve; l&rsquo;ultimo alloro della carriera in extremis, in Sud Africa. La stagione della 500 fu falcidiata da gravi infortuni: nel caso del californiano del Team Roberts avvenne nella off-season precedente, nei test in Malesia, ma a pesare maggiormente fu l&rsquo;incidente di Doohan nelle prove ad Assen, dove l&rsquo;australiano si frattur&ograve; della gamba destra, rischiando l&rsquo;amputazione dell&rsquo;arto e, peggio ancora, la vita. Pure in quel caso, le cure del Dottor Costa si rivelarono fondamentali, per&ograve; saltando quattro GP l&rsquo;australiano perse il treno: &ldquo;Mi dispiacque tanto per Mick &ndash; disse Rainey &ndash; perch&eacute; volevo giocarmi il titolo sul campo. Anch&rsquo;io ebbi i miei problemi e dovetti fermarmi&rdquo;. Quelle mezzo litro erano bestie feroci. Con circa 115 chili di peso, 180 cavalli di potenza e un&rsquo;erogazione aggressiva, le cadute dovevano essere messe in conto. Rainey e Doohan duellarono sino alla Catalunya, dove trionf&ograve; Wayne, poi si divisero: &ldquo;Mick aveva vinto i primi quattro GP, contro il mio solo successo di Barcellona. Ottenni dei podi, ma non ero in forma. I secondi posti mi lasciarono in corsa&rdquo;. I piazzamenti consentirono al pilota Yamaha di provare a mantenere il contatto con il rivale della Honda, ma a Hockenheim, Rainey cadde malamente in prova. E dopo aver dovuto gettare la spugna in gara, decise di tornare in patria per farsi curare, accettando di saltare il GP Olanda, perch&eacute; Doohan, a +65 in classifica, sembrava irraggiungibile.  E invece, ecco l&rsquo;episodio che segn&ograve; la carriera di Doohan, che in Olanda fin&igrave; all&rsquo;ospedale e inizi&ograve; un lungo calvario. Rainey segu&igrave; la vicenda da casa, davanti alla TV, poi torn&ograve; in azione all&rsquo;Hungaroring, dove la Cagiva vinse la sua prima gara grazie a Eddie Lawson. Considerando le affermazioni di Kevin Schwantz e Alex Criville al Mugello ed Assen, divenne un Mondiale che nessuno voleva conquistare. Wayne a parte: &ldquo;A Le Mans ritrovai un buon rendimento &ndash; spieg&ograve; &ndash; infatti, arrivai davanti a tutti. A Donington, Wayne Gardner mi freg&ograve;, io mi riscattai a Interlagos&rdquo;. Proprio quando rientr&ograve; un magrissimo e pallido Mick, che si spostava con stampelle e aiuti. Rainey vinse, Mick limit&ograve; i danni, ma il 12&deg; posto non assegnava punti. La contesa si risolse a Kyalami, pista congeniale a John Kocinski, che firm&ograve; la prima affermazione in 500 nel giorno dell&rsquo;addio alle corse di Lawson e Gardner: &ldquo;Un terzo posto fu sufficiente per il terzo titolo &ndash; Wayne riassunse quel weekend &ndash; mentre Doohan fece sesto&rdquo;. L&rsquo;americano vide il proprio nome nell&rsquo;albo d&rsquo;oro per l&rsquo;ultima volta, prima del dramma di Misano che sanc&igrave; la fine agonistica. Invece, per l&rsquo;australiano il meglio doveva ancora arrivare: &ldquo;In Sud Africa dissi all&rsquo;HRC che non volevo giochi di squadra &ndash; la confessione di Doohan &ndash; se avessi fatto mio il titolo 1992, mi sarei poi ritirato, perch&eacute; le sofferenze patite erano state troppe. Per fortuna, non vinsi io. Perdere per soltanto quatto punti mi diede la motivazione per riscattarmi nel migliore dei modi&rdquo;. Diventando campione per cinque volte consecutive, dal 1994 al 1998. La storica affermazione di Gramigni  Aveva 23 anni ai tempi, Gramigni, e affrontava il suo terzo Mondiale difendendo i colori Aprilia. Podi e vittorie di tappa, il pilota toscano gi&agrave; li conosceva. Secondo in Svezia e terzo in Ungheria nel 1990, stagione conclusa in nona posizione. L&rsquo;anno dopo si piazz&ograve; meglio, settimo, con la soddisfazione di aver battuto tutti in Cecoslovacchia, nel giorno della certezza matematica del secondo titolo di Loris Capirossi. Il toscano, forse, pens&ograve; al buon auspicio del passaggio di consegne, dato che l&rsquo;imolese preparava il salto in 250. Il 1992 cominci&ograve; un sesto posto a Suzuka, il secondo a Eastern Creek e la vittoria a Shah Alam. Poi, l&rsquo;incidente, non tra i cordoli, bens&igrave; sui colli fiorentini. Quell&rsquo;episodio, grave, viene oggi ricordato da Gramigni.  &ldquo;Stavo tornando dal Mugello, andai in circuito a provare bellissime auto, mi ero divertito ma, nella strada verso casa, impattai con la mia moto da Enduro contro una macchina che sopraggiungeva dalla parte opposta. Mi ruppi tibia e perone della gamba sinistra, con interessamento ai tendini del piede. Era il primo maggio, comandavo il Mondiale e dovetti saltare Jerez&rdquo;. Stringendo i denti, il numero 39 torn&ograve; alle corse, indovinate dove... &ldquo;Al Mugello, chiaramente &ndash; sorride &ndash; ma non ero in forma. Passarono soltanto 17 giorni dal fattaccio e avevo chiodo e viti nella gamba. Il Dottor Costa e la Clinica Mobile mi seguirono bene, gareggiai con il cambio a destra, poi lo rimisi a sinistra&rdquo;. Il futuro campione realizz&ograve; che l&rsquo;impresa era possibile: &ldquo;Grazie al lavoro del team, colmai le lacune di una moto non sempre competitiva. Io non ero al 100% e la guida ne risent&igrave; parecchio: la saponetta sinistra non si consum&ograve; mai del tutto&rdquo;. Eppure, arrivarono un podio in Olanda e un clamoroso successo in Ungheria. Seguirono il 5&deg; posto di Le Mans, il secondo a Donington, sino alla doppia trasferta tra Brasile e Sud Africa, mentre le Honda si toglievano punti, con l&rsquo;alternanza di successi tra Fausto Gresini, Ralf Waldmann ed Ezio Gianola, vincitori di otto delle tredici gare: &ldquo;A Interlagos salii sul gradino pi&ugrave; basso del podio, idem a Kyalami, dove avvenne un episodio particolare: mi accordai con Jorge Martinez, chiedendogli di aiutarmi. In cambio, lo avrei fatto passare in gara. Non ne ebbi bisogno (il rivale per il titolo Gresini non riusc&igrave; a rimanere con i primi, ndr), ma feci passare Jorge lo stesso. Soltanto che ne approfitt&ograve; pure Carlos Gir&oacute;, ma il 3&deg; posto bast&ograve; per diventare campione. Diedi all&rsquo;Aprilia il suo primo titolo, mi resi conto pi&ugrave; avanti di quanto fosse importante quel traguardo&rdquo;. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring       

Le rimonte del toscano in 125 e del californiano nella 500 caratterizzarono un Mondiale storico. Il 1992 ricco di colpi di scena coincise con il debutto della gestione-Dorna, il primo titolo dell&rsquo;Aprilia e il grave incidente di Doohan, che ricorda: "Se avessi battuto Rainey, mi sarei ritirato subito..."

Duelli da leggenda: le imprese di Gramigni e Rainey nel 1992

        Conteggiando anche il 2020, in 72 stagioni del Motomondiale sono addirittura 84 i titoli iridati assegnati all&rsquo;ultimo Gran Premio. La categoria che ha fatto registrare il maggior numero di arrivi in volata &egrave; la 250, con 24 edizioni, seguita dalla 125 con 21, dalla 500 con tredici e dalla 50 con 12. Sebbene sia stata introdotta nel 2010, due anni prima della Moto3, soltanto nel 2020 la Moto2 ha fatto attendere l&rsquo;ultima gara stagionale per attribuire la corona iridata. Al contrario, invece, per la Moto3 esistevano gi&agrave; tre precedenti, anche se nessuno nel quadriennio 2016-2019, prima di quello di quest&rsquo;anno. Duelli da leggenda: Max Biaggi e l'indimenticato Ralf Waldmann Le statistiche  In cinque stagioni, nel 1950, 1971, 1980, 1982 e 1989, furono ben tre i titoli assegnati al GP conclusivo: nei primi due casi le classifiche erano per&ograve; complesse perch&eacute; il regolamento prevedeva lo scarto di alcuni risultati, formula abbandonata negli anni Ottanta. Sia nel 1950 che nel 1989 si correvano quattro classi, mentre nel 1971, 1980 e 1982 le categorie erano cinque. Nel 1971 i soli titoli assegnati con largo anticipo furono quelli della 350 e 500, entrambi conquistati da Giacomo Agostini con l&rsquo;MV Agusta: per il principio degli scarti, ad Ago bast&ograve; vincere i primi sei GP stagionali della classe regina e sei dei primi otto della 350 per allungare la sua striscia in cima al Mondo. Nel 1980 invece festeggiarono in anticipo Pier Paolo Bianchi con la MBA in 125 e Anton Mang con la Krauser in 250. Quell&rsquo;anno, a una gara dal termine lo stesso Mang e Jon Ekerold erano a pari punti nella classifica della 350: trionf&ograve; il sudafricano grazie alla vittoria nel GP Germania Ovest con poco pi&ugrave; di un secondo su Mang che pure giocava in casa. Due piloti in testa a pari punti a un GP dalla conclusione del campionato: non &egrave; un&rsquo;eventualit&agrave; cos&igrave; rara come si potrebbe immaginare. Sono nove i precedenti, tuttavia l&rsquo;ultimo risale al 1989. Dopo cinque dei sei appuntamenti della 80 al comando c&rsquo;erano Peter &Ouml;ttl (Krauser) e Manuel Herreros (Derbi) con 75 punti: il tedesco aveva vinto tre volte mentre lo spagnolo aveva ottenuto al massimo tre secondi posti. In lizza c&rsquo;era pure Stefan D&ouml;rflinger (Krauser) con 69 punti. Un degno epilogo per la classe 80 che proprio con la gara di Brno, il 27 agosto, and&ograve; definitivamente in archivio. Vinse la Krauser sbagliata, quella di Herri Torrontegui con quasi 19 secondi su Herreros, soltanto quinto in griglia, che fu scortato sul podio dall&rsquo;altra Derbi di Jorge Martinez. Pur scattando dalla pole, D&ouml;rflinger fin&igrave; quinto, mentre &Ouml;ttl cadde. Senza conquistare un solo GP, Herreros vinse il titolo con 12 punti sullo svizzero e 17 sul tedesco. Negli anni Duemila, invece, in quattro occasioni &ndash; 2006, 2013, 2015 e quest&rsquo;anno &ndash; due titoli sono stati assegnati all&rsquo;ultimo GP. Nei primi tre casi un alloro &egrave; stato vinto dal pilota che inseguiva in classifica: 14 anni fa in MotoGP era stato Nicky Hayden, che prima del GP Valencia doveva recuperare otto punti a Valentino Rossi. Arrivi in volata  Nel 2013 invece in Moto3 a una gara dalla fine c&rsquo;era un terzetto in lizza per il titolo: Luis Salom con 300 punti, Maverick Vi&ntilde;ales con 298 e Alex Rins con 295. Il vincitore di Valencia sarebbe diventato campione, a prescindere dai risultati altrui: nell&rsquo;ipotesi di successo di Rins e secondo posto di Salom i due sarebbero saliti entrambi a 320 punti e sette vittorie, ma il primo avrebbe avuto la meglio grazie al numero di secondi posti. Fin dalle prime battute il quintetto con i tre pretendenti al titolo pi&ugrave; Jonas Folger e Jack Miller aveva preso il largo. Al 15&deg; giro per&ograve; Salom &egrave; uscito di scena per una caduta, imitato poi dall&rsquo;australiano. Gara e Mondiale si sono decisi in volata con Vi&ntilde;ales vincitore per 186 millesimi su Folger e 187 su Rins. Tre sono invece i piloti diventati campioni del Mondo pur non figurando nelle prime due posizioni in classifica a una gara dalla fine. Nel 1966, il campionato della 50 era articolato su sei GP, con i migliori quattro piazzamenti validi per la classifica. Dopo il quinto GP le Honda di Luigi Taveri e Ralph Bryans avevano 26 punti, ma Hans-Georg Anscheidt con la Suzuki seguiva a 25, e si aggiudic&ograve; gara, in Giappone, e Mondiale.  Nel 1969 invece nella 50 Angel Nieto aveva 64 punti, Barry Smith 69 e Aalt Toersen 75 ma lo spagnolo aveva soltanto cinque risultati validi a differenza dei rivali che dovevano scartare dei punteggi. All&rsquo;iberico bast&ograve; il secondo posto ad Abbazia per essere campione. In contemporanea nella 250 Santiago Herrero aveva 83 punti, Kent Andersson e Kel Carruthers 82, con quest&rsquo;ultimo terzo per il minor numero di quarti posti. Ma l&rsquo;australiano della Benelli vinse gara e titolo, con cinque punti sullo svedese e sei sullo spagnolo. Duelli da leggenda: la vittoria del privatissimo Tournadre       

Parit&agrave; risolte soltanto nel GP conclusivo, rimonte impossibili e sorpassi ai danni di due rivali in una sola gara: il Motomondiale ha vissuto ogni tipo di epilogo in extremis

Duelli da leggenda: quando il titolo è stato assegnato all'ultima curva

Il 2015 fu un anno ricco di situazioni che cambiarono radicalmente la MotoGP. La maggior parte dei tifosi ricorda quella stagione per gli episodi controversi nel GP Malesia, con la situazione esplosiva che si cre&ograve; tra Valentino Rossi e Marc Marquez. Ma non fu l&rsquo;unico episodio passato alla storia. Fu, per esempio, l&rsquo;anno in cui si consum&ograve; la rottura tra Jorge Lorenzo (al suo ultimo titolo) e la Yamaha, un divorzio che sarebbe diventato effettivo a fine 2016. Fu anche il campionato in cui Marc Marquez cap&igrave; di dover mettere da parte la filosofia &ldquo;tutto o niente, gloria o morte&rdquo;.    E fu anche l&rsquo;ultimo anno targato Bridgestone come fornitore di pneumatici. Ma &egrave; ovvio e inevitabile che tutto debba partire dall&rsquo;allontanamento, inconciliabidrosa arriv&ograve; soltanto al settimo tentativo. Le prime tre gare extra-europee non furono positive nemmeno per Lorenzo, che ritrov&ograve; la velocit&agrave; di crociera soltanto al ritorno in Europa. Quando il primo scontro tra Rossi e Marquez si era gi&agrave; consumato...  Duelli da leggenda, Valencia 2006: Hayden campione, Rossi per terra  I fatti di Rio Hondo e Assen   Accadde in Argentina, in una gara che Marquez comand&ograve; con autorit&agrave; finch&eacute; le gomme non vissero un crollo, dopo essere state messe alla frusta. &ldquo;Poco a poco, vidi Marc e la sua moto diventare pi&ugrave; grandi di fronte a me: mi stavo avvicinando&rdquo; raccont&ograve; Rossi per spiegare la rimonta fino a giungere a ruota del rivale a cinque giri dalla fine, con un ritmo chiaramente migliore rispetto a quello dello spagnolo. Lungi dal rassegnarsi, Marc difese la prima posizione con le unghie e con i denti. Iniziarono i contatti e le manovre al limite, principalmente da parte del pilota della Honda, che per&ograve; ebbe la peggio. La disputa si risolse quando, in uscita da una curva, con Valentino davanti, le due moto si toccarono, e Marc fin&igrave; a terra.    Il seme della discordia venne gettato quel giorno. Fu un contatto di gara oppure Valentino aveva difeso la posizione con troppa veemenza? Aveva senso che Marquez cercasse con quella ostinazione di rimanere con Rossi, sapendo che mancavano ancora cinque giri e che il rivale era decisamente pi&ugrave; veloce? Interrogativi che restarono aperti, ma mai dimenticati. L&rsquo;episodio seguente tra i due maschi Alfafu in Olanda, a fine giugno. In quel caso, Valentino si present&ograve; al comando all&rsquo;ultima staccata, la chicane prima del traguardo. Marquez, che complici i tre &ldquo;zero&rdquo; era gi&agrave; piuttosto fuori dalla corsa al titolo, fece ricorso a una manovra che &ndash; in previsione di tale epilogo &ndash; aveva provato al mattino nel warm up.  Tent&ograve; un block pass ai danni di Rossi, che per&ograve; a sua volta aveva chiuso la traiettoria. Lo stesso Valentino aveva immaginato un finale del genere, e quindi rialz&ograve; la sua Yamaha non appena avvert&igrave; il contatto con la Honda di Marquez. Se avesse deciso di resistere, sarebbe caduto o avrebbe perso la propria inerzia. La manovra preparata e poi messa in atto da Rossi fu quella di saltare la chicane. Mantenne il gas aperto sulla ghiaia, rimettendosi in pista all&rsquo;uscita della variante, per tagliare il traguardo da vincitore, davanti a un Marquez attonito. La Honda present&ograve; un reclamo, spiegando che non poteva essere dichiarato vincitore un pilota che non aveva compiuto l&rsquo;ultima curva della gara, e che con il proprio scooter aveva &ldquo;testato&rdquo; la consistenza delle vie di fuga tre giorni prima della corsa, proprio in previsione di una manovra del genere. Il risultato venne per&ograve; confermato, e apr&igrave; una ferita in Marc.  In quella stagione, i piloti spagnoli mostravano sempre un miglior rendimento in qualifica rispetto a Rossi, che per&ograve; in gara era sempre l&agrave; davanti. In Argentina, per esempio, Valentino si qualific&ograve; ottavo ma poi vinse. A Le Mans scatt&ograve; dalla terza fila, con il settimo tempo, e chiuse secondo in gara. Al Mugello pass&ograve; dall&rsquo;ottavo tempo al terzo posto sul traguardo. Una concretezza che gli consent&igrave; di mantenere la vetta del Mondiale nonostante il ritorno e la velocit&agrave; di Lorenzo. Ma la tensione saliva, e la gara di Phillip Island la fece detonare.   Una battaglia intensa tra Rossi, Lorenzo, Andrea Iannone e Marquez fu vinta da quest&rsquo;ultimo, con un fenomenale ultimo giro. Valentino e il suo entourage, per&ograve;, ravvisarono una condotta di gara di Marc atta a ostacolare Rossi. E questa visione, il nove volte campione la rese pubblica quattro giorni dopo, in una conferenza stampa divenuta storica, alla vigilia del GP Malesia. Fu un&rsquo;evidente provocazione pubblica: qual era la finalit&agrave;? Se l&rsquo;obiettivo era quello di intimidire Marquez, la strategia gener&ograve; un effetto opposto, per un tremendo errore. Perch&eacute; Marc non si sgonfi&ograve; affatto, e non fece un passo indietro per lasciare che Rossi e Lorenzo si contendessero il titolo fino in fondo. Quanto si vide la domenica, nella penultima gara della stagione, super&ograve; decisamente i confini del fair play.  Sepang e poi Valencia: un finale di stagione infuocato   A Sepang, Pedrosa prese il comando della corsa, seguito da Marquez, Rossi e Lorenzo. Quest&rsquo;ultimo impieg&ograve; un paio di giri per superare Valentino e Marc e mettersi all&rsquo;inseguimento di Dani. Rossi e Marquez finirono per battagliare, e Marc decise di chiudere i conti per quanto riguardava l&rsquo;Argentina, Assen e l&rsquo;attacco in conferenza stampa di tre giorni prima. Per tre giri, Marquez ronz&ograve; come una mosca attorno a Rossi, come mai un pilota dovrebbe fare nei confronti di chi si sta giocando un titolo. I due finirono per &ldquo;impantanarsi&rdquo; in un duello gomito a gomito suicida, con numerosi sorpassi e incroci di traiettorie in ciascun giro. Il tutto, con Rossi che aveva molto di pi&ugrave; da perdere. Non poteva finire bene, e infatti...  Rossi arriv&ograve; a un punto in cui, furioso, si dimentic&ograve; di essere in gara. Impost&ograve; la penultima curva del tracciato &ndash; a destra &ndash; rallentando vistosamente e allargando la traiettoria, portando Marquez verso l&rsquo;esterno. Quando Marc tent&ograve; di completare la curva, le due moto entrarono in contatto, e Marquez fin&igrave; a terra. Dopo la corsa, entrambi i piloti e i rispettivi manager vennero convocati in Direzione Gara: la Honda chiese una penalit&agrave; per Rossi, difeso invece dalla Yamaha. Tale posizione fece arrabbiare Lorenzo, secondo in gara davanti a Rossi: il maiorchino interpret&ograve; la difesa della Yamaha nei confronti di Valentino come una mossa contro i propri interessi. La discussione tra Lorenzo e Lin Jarvis, massimo responsabile di Iwata in pista, fu a dir poco accesa. In quel post-gara, in Jorge matur&ograve; la decisione di lasciare la Yamaha. In un clima di tensione mai visto prima in MotoGP, Valentino vide il risultato ottenuto in pista nel GP Malesia confermato, ma contestualmente il pesarese venne penalizzato in vista del GP Valencia, con la partenza in fondo alla griglia. Una condanna nella corsa al titolo per Rossi, che alla vigilia dell&rsquo;ultima gara poteva contare su un +7 sul rivale, ma per difendere il primato &ndash; e ottenere il tanto sognato decimo titolo &ndash; sarebbe dovuto arrivare almeno secondo a Valencia.    A Cheste, il Mondo dovette assistere a una delle gare pi&ugrave; tristi di sempre. Lorenzo sempre davanti, e Rossi che da fondo griglia non pot&eacute; fare meglio del quarto posto, distanziato dai tre spagnoli davanti. Tra loro, dest&ograve; scalpore &ndash; per non dire vergogna a livello sportivo &ndash; il comportamento di Marquez, che scort&ograve; Lorenzo fino al traguardo, senza nemmeno tentare un sorpasso. Un&rsquo;attitudine differente rispetto all&rsquo;opposizione nei confronti di Rossi in Malesia. I fatti di Sepang 2015 divisero il mondo in due blocchi: pro-Marquez e anti-Marquez. Un tema che prosegue fino ai giorni nostri, anche perch&eacute; i tentativi di &ldquo;pulire&rdquo; l&rsquo;immagine di Marc sono stati infruttuosi. Nessuno discute il valore del pilota, ma nonostante i sei titoli in questi anni in MotoGP, l&rsquo;affetto nei suoi confronti non &egrave; quello riscontrato per altri dominatori dell&rsquo;era moderna: Mick Doohan, Wayne Rainey, Casey Stoner, per non parlare di Valentino Rossi...  Duelli da leggenda: Harada e Capirossi, senza esclusione di colpi 

Il duello fratricida tra i piloti della Yamaha venne indirizzato dalla variabile-Marquez: in Malesia, dove alla vigilia era stato accusato da Rossi di comportamento scorretto, Marc venne a contatto con Valentino ed ebbe la peggio. Ma la conseguente penalit&agrave; infranse il sogno del decimo titolo del Dottore

Duelli da leggenda: il 2015, l&#39;anno della discordia

Un anno condizionato da un fattore esterno, la pandemia, e una stagione compressa in quattro mesi, non potevano che avere un epilogo particolare. Anche perch&eacute;, fedele all&rsquo;unicit&agrave; dell&rsquo;annata, l&rsquo;ultima e decisiva tappa &egrave; stata su un circuito che debuttava nel Motomondiale, Portimao, tutt&rsquo;altro che semplice da &ldquo;domare&rdquo;. Moto2 e Moto3, le due classi che ancora dovevano designare il campione, sono state un thriller che a conti fatti si &egrave; risolto in anticipo, cio&egrave; il giorno prima dell&rsquo;ultima bandiera a scacchi. Perch&eacute; quanto accaduto nelle qualifiche ha indirizzato l&rsquo;esito della battaglia a quattro della Moto2 cos&igrave; come il finale della lotta a tre della Moto3.  Una Moto2 imprevedibile   Quando il Sole stava iniziando a calare sull&rsquo;Algarve, estremo sud-ovest della Penisola iberica, con le Moto2 in pista per le qualifiche, Bastianini ha compiuto la mossa decisiva per conquistare il Mondiale. Fedele a un cammino in cui ha interpretato ogni momento nel modo giusto - capendo quando attaccare e quando gestire - a met&agrave; della Q2 il pilota del Team Italtrans ha compreso di dover giocare il tutto per tutto.  Confinato in quel momento in una preoccupante sesta fila, con i principali rivali Sam Lowes e Luca Marini in prima e pronti a erodere il pur cospicuo divario dalla vetta, il Bestia ha montato la gomma soft non soltanto al posteriore, ma anche davanti. E in due giri lanciati ha guadagnato quattro file provvidenziali. Perch&eacute; il giorno successivo, in gara, nella classifica virtuale Enea, scattato dalla quarta casella, &egrave; stato leader del Mondiale dalla prima curva - dove la caduta di Fabio Di Giannantonio ha tolto dalla corsa la principale mina vagante - fino all&rsquo;ultimo metro, quando il suo arrivo sul traguardo &egrave; stato accompagnato dalla lavagna esposta dal Team Italtrans: &ldquo;World Champion&rdquo;.    Il giorno pi&ugrave; lungo non ha offerto ribaltoni e ha persino seguito un filo logico, se &egrave; vero che per gli inseguitori di Bastianini l&rsquo;ordine d&rsquo;arrivo del GP ha ricalcato quello del Mondiale: quindi Marini, futuro compagno di Enea in MotoGP, secondo davanti allo stoico Lowes, velocissimo nonostante la frattura all&rsquo;osso pisiforme della mano destra, e a Marco Bezzecchi. &ldquo;La gara l&rsquo;ho vissuta bene - ha detto il nuovo campione &ndash; sapevo di avere margine, l&rsquo;importante era riuscire a tenere a tiro il quarto posto&rdquo;. Quel piazzamento infatti, avrebbe tolto ogni pensiero a Enea anche in caso di successo di Lowes, ma se &egrave; vero che quasi mai il riminese &egrave; stato tra i primi quattro nella gara vinta da Remy Gardner, &egrave; altrettanto vero che l&rsquo;inglese mai ha condotto il GP. E con una vittoria di Marini, a Enea sarebbe bastato l&rsquo;ottavo posto. &ldquo;Ma avrei potuto chiudere anche quarto: fosse stato necessario, con Lowes al comando, sarei stato in grado di spingere e attaccare Bezzecchi&rdquo; ha detto il primo italiano capace di vincere un titolo all&rsquo;ultimo GP nel Terzo Millennio.    Il pathos &egrave; stato legato alla tensione del momento, pi&ugrave; che all&rsquo;effettivo andamento della gara. Una sorta di &ldquo;molto rumore per nulla&rdquo; applicato al Motomondiale. E dire che nei precedenti GP la Moto2 aveva offerto ribaltoni continui. Dopo Barcellona, Marini sembrava in controllo ma il suo volo nelle prove di Le Mans aveva dato il via agli stravolgimenti, perch&eacute; in Francia era iniziato il momento d&rsquo;oro di Lowes, vincitore di tre gare consecutive, compresa Arag&oacute;n 1, la corsa durante la quale il nome del leader del Mondiale era cambiato quattro volte, fino alla caduta di Bezzecchi al penultimo giro che aveva regalato il GP all&rsquo;inglese. A Valencia 1, per&ograve;, era stato Lowes a cadere per cercare di tenere il ritmo di Bez, restituendo cos&igrave; la leadership iridata a Bastianini, ma nel secondo GP a Cheste al pilota del Marc VDS &egrave; andata persino peggio, con la piccola frattura al polso destro rimediata nelle prove. Il giorno successivo Bastianini non ha chiuso i conti ma Bezzecchi, terzo dopo aver subito due sorpassi nell&rsquo;ultimo giro, non ha concretizzato la propria velocit&agrave; per diventare il primo rivale. E in Portogallo, dove Marini si &egrave; ritrovato dopo un lungo periodo di impasse, la competitivit&agrave; del fratello di Valentino Rossi e lo stoicismo di Lowes nulla hanno potuto contro Bastianini, capace di alternare rischio e gestione. In una stagione cos&igrave; pazza, &egrave; stato il suo segreto.  Moto3, il successo sfiorato da Arbolino   La gioia per Bastianini ha risollevato il weekend portoghese di Carlo Pernat, che sabato all&rsquo;ora di pranzo aveva visto le chance dell&rsquo;altro suo assistito, Tony Arbolino, evaporare durante la Q1 della Moto3. Il 27&deg; tempo del milanese in FP3 lo ha costretto ad affrontare una fase preliminare delle qualifiche molto insidiosa, con anche Binder, Suzuki, Ogura, Antonelli, McPhee e Fenati a giocarsi i quattro posti per la Q2, e a togliersi dai giochi ci ha pensato lo stesso Arbolino, fermatosi a met&agrave; di un giro in cui aveva acceso due caschi rossi.  &quot;Forse pensava di avere un ulteriore tentativo, e un paio di minuti in pi&ugrave;&quot; &egrave; stata l&rsquo;interpretazione di Pernat, mentre nel box Snipers Mirko Cecchini si aggrappava a non si sa quale forza per non ricorrere al vandalismo. Oltretutto il primo commento di Arbolino al rientro (&ldquo;La moto &egrave; buona, possiamo risalire&rdquo;) mitigava poco quella partenza dalla nona fila. Ma quantomeno preannunciava una domenica di battaglia. L&rsquo;ultima di un&rsquo;annata di certo senza noia per Tony. Il fatto di essere ancora in corsa deponeva a favore di Arbolino, capace di riemergere dopo mille peripezie, dopo le quali gli 11 punti di distacco da Albert Arenas sembravano ben poca cosa. Dalla folata di vento che in fondo al rettilineo di Losail l&rsquo;aveva fatto retrocedere da una posizione da podio al 15&deg; posto, al finale di Jerez 1, dove John McPhee, con un&rsquo;entrata folle all&rsquo;ultima curva, era caduto facendo retrocedere Tony dal primo al terzo posto. Per non parlare di Arag&oacute;n 1, gara che Arbolino aveva visto in TV dall&rsquo;isolamento (pur essendo negativo al tampone), dato che pochi giorni prima aveva volato da Parigi a Milano nei pressi di una persona positiva al Covid-19. Tony ha superato tali avversit&agrave;, quantificabili in una trentina di punti (come minimo), e grazie al successo a Valencia 2 si &egrave; presentato a Portimao come un treno in corsa.    Ma l&rsquo;errore in Q1 ha vanificato tutto. Quanto fosse grande l&rsquo;occasione, Arbolino lo avrebbe scoperto in una gara che ha ricalcato l&rsquo;andamento delle precedenti: Raul Fernandez imprendibile, le Honda-Leopard cos&igrave; veloci da non avvertire gli effetti del doppio Long Lap Penalty (con Dennis Foggia capace di chiudere 2&deg;), il mai vincitore Ai Ogura impegnato pi&ugrave; a non sbagliare che a conquistare posizioni, e Arenas vittima del braccino, tanto da scendere fino al 12&deg; posto. Un piazzamento modesto ma sufficiente per festeggiare il titolo con la scenetta del carretto dei gelati, quelli che vinceva quando non saliva sul podio (e nell&rsquo;ultimo periodo ha fatto indigestione, con le cinque gare conclusive fuori dai primi tre...), mentre chiedere ad Arbolino di recuperare pi&ugrave; delle 22 posizioni effettivamente rimontate sarebbe stato troppo. Tuttavia il quinto posto non sarebbe bastato nemmeno con Arenas fuori gara&hellip;  &quot;Sono contento ma anche inc.... to, penso di aver dimostrato di essere il pi&ugrave; forte. La gara di Arag&oacute;n 1 me la sogner&ograve; di notte&rdquo; ha detto Arbolino, dopo un bell&rsquo;abbraccio con lo scopritore Paolo Simoncelli, per sotterrare l&rsquo;ascia di guerra dopo una difficile separazione. Un titolo sfuggito per quattro lunghezze, dopo averne recuperate 51 ad Arenas, che al termine del quinto GP stagionale vantava tre successi e un secondo posto, e sembrava imprendibile. E per quanto possa apparire incredibile, Tony non ha perso il Mondiale in gara, ma in qualifica e in viaggio, la storia pi&ugrave; paradossale del campionato pi&ugrave; pazzo.  Duelli da leggenda, Valencia 2006: Hayden campione, Rossi per terra 

L&rsquo;esito dei duelli di Portimao 2020 &egrave; stato indirizzato dalle qualifiche, con la risalita di Bastianini e l&rsquo;erroraccio di Arbolino. Il riminese &egrave; diventato campione del mondo Moto2 davanti al futuro compagno di team Marini. Il milanese, beffato da Arenas in Moto3, ha perso il titolo anche in... viaggio

Duelli da leggenda: Portimao 2020, i trionfi di Bastianini e Arenas

Arrivare alla fine di un campionato e giocarsi il titolo all&rsquo;ultimo GP, come se l&rsquo;intera stagione si fosse trasformata in una gara secca. Servono nervi saldi per affrontare sfide del genere, dove in un attimo si pu&ograve; diventare campioni del Mondo o primi dei perdenti. Questa situazione si prospett&ograve; a Max Biaggi sia nel 1996 che nel 1997. Due sfide secche per il titolo, nelle quali il romano torn&ograve; Corsaro, per due vittorie storiche. In entrambe le occasioni Biaggi duell&ograve; con l&rsquo;indimenticato Ralf Waldmann, scomparso nel 2018: la prima volta con moto diverse &ndash; Aprilia per Biaggi, Honda per il tedesco &ndash; poi entrambi sulla Honda, con Max desideroso di dimostrare che l&rsquo;anno prima il Mondiale era arrivato in casa Aprilia perch&eacute; era stato lui a fare la differenza. Il teatro del duello fu sempre l&rsquo;Australia, nel primo caso a Eastern Creek, nel secondo a Phillip Island. Biaggi e Waldmann vinsero un GP a testa &ndash; con il rivale secondo &ndash; ma in entrambe le occasioni il titolo fu di Max.  Duelli da leggenda: Jacque e Nakano raccontati da Poncharal  Il brivido del 1996   Quella del terzo titolo nella 250 fu una stagione complicata per Biaggi. E dire che era iniziata nel migliore dei modi, inanellando vittorie e accumulando un vantaggio di ben 69 punti sugli avversari. Ma poi arrivarono tre cadute nello spazio di cinque gare, a Zeltweg (nella carambola con Olivier Jacque), Imola e Rio de Janeiro, unite alla rottura con l&rsquo;Aprilia. Improvvisamente il terzo Mondiale consecutivo non sembrava pi&ugrave; cos&igrave; a portata di mano. Invece a Eastern Creek, dove si arriv&ograve; con Biaggi a +1 su un Waldmann reduce da undici podi consecutivi, il Corsaro vinse d&rsquo;autorit&agrave; il Gran Premio e l&rsquo;iride, entrando nella leggenda: prima di lui, infatti, soltanto Walter Villa era riuscito a vincere tre mondiali nella 250 (nel 1974, 1975 e 1976). Alla fine della stagione 1996, Biaggi si ritrov&ograve; secondo soltanto a Phil Read, vincitore di quattro Mondiali della categoria intermedia.    Alfa e Omega   Per arrivare a questo punto, Biaggi seppe gestire alla perfezione il GP conclusivo di quel 1996. Il romano inizi&ograve; bene il weekend fin dalle qualifiche, strappando la pole position con il crono di 1&rsquo;31&rdquo;718. Waldmann stacc&ograve; il quarto tempo, unico tra i primi 20 a non migliorare il crono nel secondo turno di qualifiche. Tra loro si piazzarono il francese Jacque e il tedesco J&uuml;rgen Fuchs, tutti su Honda. Dopo Biaggi, la prima Aprilia fu quella di Roberto Locatelli, ottavo. Si corse sull&rsquo;asciutto &ndash; la pioggia era arrivata soltanto nella notte precedente &ndash; e Biaggi scatt&ograve; bene, Waldmann gli si incoll&ograve; in scia, mentre Jacque, Fuchs e Tohru Ukawa non riuscirono a far parte della bagarre: il duello per la vittoria era riservato soltanto ai contendenti al titolo. Il vincitore del GP si sarebbe preso anche il titolo. Per otto giri Max fece la lepre, poi decise di lasciar passare il rivale sul rettilineo.  E con estrema lucidit&agrave; Biaggi studi&ograve; il tedesco, per tornare al comando e inanellare giri veloci, fino ad accumulare un vantaggio di quasi quattro secondi. A quel punto Waldmann fu costretto a deporre le armi. Il terzo, Jacque, si piazz&ograve; a oltre 18&rdquo; da Biaggi. La seconda Aprilia al traguardo, con Locatelli, fu nona a 46&rdquo;. Max si prese il titolo con sei punti su Waldmann. E proprio Eastern Creek segn&ograve; l&rsquo;inizio e la fine del triennio di dominio di Biaggi e dell&rsquo;Aprilia: qui era arrivato il successo nel primo GP del 1994 e qui arriv&ograve; il trionfo &ndash; il 22&deg; per il binomio che rese Max il Corsaro Nero &ndash; nell&rsquo;ultimo.  Gioia incontenibile   &ldquo;Diventare campione del Mondo per la terza volta era veramente il mio sogno&rdquo; disse Max Biaggi a Motosprint dopo la vittoria. &ldquo;Mi sono reso conto di provare una grande emozione, una gioia incontenibile, mentre percorrevo il giro d&rsquo;onore. Non riuscivo pi&ugrave; a far nulla, n&eacute; ad accelerare n&eacute; a frenare, ero come inebetito da quello che mi stava succedendo. &Egrave; stato sicuramente il momento pi&ugrave; bello della mia vita&rdquo; aggiunse Biaggi, all&rsquo;epoca 25 anni.    La belva affamata   Le persone vicine a Max capirono subito il valore di questo titolo mondiale. &ldquo;Max nella vita non ha mai avuto la &lsquo;pappa pronta&rsquo; e ha dovuto e deve continuamente conquistare le sue certezze&rdquo; rivel&ograve; a Motosprint l&rsquo;indimenticato presentatore TV Fabrizio Frizzi, grande amico di Biaggi. &ldquo;Ha un senso di rivalsa contro qualcosa che soltanto lui sa; per questo vuole dimostrare, a se stesso prima che agli altri, di essere una persona forte. Come pilota &egrave; un grandissimo professionista, uno che non d&agrave; nulla per scontato e che fisicamente si prepara sempre di pi&ugrave; e meglio dell&rsquo;anno precedente. Quando sale sulla moto &egrave; una belva che si alimenta dei suoi successi, ma quando sveste i panni del pilota &egrave; un ragazzo eccezionale, dalla personalit&agrave; complessa, ma di gran de tenerezza, &egrave; affettuoso, sensibile&rdquo;.  La lucidit&agrave; del 1997   Dopo lo storico passaggio dall&rsquo;Aprilia alla Honda, Biaggi torn&ograve; a lavorare con il team di Erv Kanemoto, per cui aveva corso gi&agrave; nel 1993. E il secondo debutto sulla NSR 250, in Malesia, fu subito vincente. &ldquo;Quella vittoria, rifilando un secondo in prova al secondo miglior pilota Honda e non so quanti all&rsquo;Aprilia, mi fece capire di poter vincere il Mondiale&rdquo; disse Biaggi alla fine della stagione. Per arrivare al successo, per&ograve;, la strada non fu semplice, anche per via di una concorrenza agguerrita, con il compagno di squadra Waldmann e l&rsquo;altro pilota Honda Jacque, e con la coppia Aprilia formata da Tetsuya Harada e Loris Capirossi, tornato in 250 proprio per sostituire il grande rivale Biaggi. Si arriv&ograve; a Phillip Island con Biaggi a +6 su Harada e +7 su Waldmann, merito del sorpasso di Max in Indonesia, dove conquist&ograve; il quinto successo stagionale (compresa la doppietta italiana, al Mugello e Imola). Al romano sarebbe bastato un secondo posto, e tanto fece. Il GP Australia inizi&ograve; con la pole position di Biaggi, in 1&rsquo;34&rdquo;789, rifilando oltre tre decimi a Waldmann. Alle loro spalle, a oltre un secondo, Harada. Al via Waldmann e Biaggi fecero subito il vuoto mentre Harada pag&ograve; la botta rimediata il sabato in prova, e non riusc&igrave; a emergere dal gruppo, e si ritrov&ograve; a lottare con una wild card decisamente veloce, un tale Troy Bayliss (con la Suzuki) che di l&igrave; a poco avrebbe fatto parlare di s&eacute; con le quattro tempi...    Waldmann si mostr&ograve; subito veloce e preciso, persino troppo: il suo ritmo si rivel&ograve; talmente elevato che nessuno, tranne Biaggi, riusc&igrave; a sostenerlo. E al tedesco sarebbe invece servito un pilota in grado di precedere Max. Gli inseguitori, capitanati da Jacque, chiusero con oltre 27 secondi di distacco. Il secondo posto bast&ograve; al romano per vincere il quarto Mondiale consecutivo, con soltanto due punti di vantaggio su Waldmann. &ldquo;Pi&ugrave; che vincere la gara cosa dovevo fare?&rdquo; disse il tedesco. &ldquo;Nemmeno per un momento ho pensato di aspettare gli altri piloti. Io volevo arrivare primo a tutti i costi per dimostrare la mia forza&rdquo;. Per Biaggi, l&rsquo;irripetibile carriera in 250 &ndash; con quattro titoli consecutivi e ben 29 gare vinte &ndash; si chiuse da campione del Mondo.  &ldquo;Fatemi volare qualche ora&rdquo;   Alla fine del GP Australia del 1997 la soddisfazione di Max Biaggi fu incontenibile. &ldquo;Lasciatemi volare per qualche ora, poi quando torner&ograve; sulla Terra riuscir&ograve; a parlare&rdquo; disse all&rsquo;inviato di Motosprint. &ldquo;&Egrave; il mio quarto titolo, sicuramente il pi&ugrave; sofferto. Siamo partiti alla grande in Malesia per poi passarne di tutti i colori durante una stagione lunghissima. Alla fine sono riuscito a sfruttare la mia miglior qualit&agrave;: quella di non mollare mai, nemmeno quando tutti mi davano per sconfitto. Ho vinto una scommessa che soltanto quattro gare fa sembrava impossibile&rdquo;. A quattro GP dalla fine della stagione, infatti, Max era a 22 punti da Harada: il Mondiale sembrava compromesso.    Questo suo titolo ebbe un sapore ancora pi&ugrave; dolce, perch&eacute; fu una rivincita su chi diceva che l&rsquo;Aprilia era la moto pi&ugrave; veloce e che chiunque sarebbe riuscito a vincere con la moto di Noale. Fu la vittoria dell&rsquo;uomo Max Biaggi. Che con l&rsquo;Aprilia torner&agrave; a correre e a vincere, conquistando due titoli in Superbike nel 2010 e nel 2012. E oggi Max &egrave; anche brand ambassador della Casa di Noale. Perch&eacute; come dice la canzone di Antonello Venditti &ldquo;Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano&rdquo;.  Duelli da leggenda: la vittoria del privatissimo Tournadre 

Biaggi si aggiudic&ograve; due Mondiali consecutivi all&rsquo;ultimo GP: stesso rivale, l&rsquo;indimenticato Waldmann, medesimo Paese, l&rsquo;Australia, ma piste differenti. E nel mezzo, il passaggio dall&rsquo;Aprilia alla Honda

Duelli da leggenda: Max Biaggi e l&#39;indimenticato Ralf Waldmann

Testa o croce, bianco o nero, yin e yang: la stagione 1983 della classe 500 si svilupp&ograve; lungo l&rsquo;asse Roberts-Spencer, senza contemplare soluzioni intermedie in nessuno dei 12 GP del Mondiale. O vinceva l&rsquo;uno o si imponeva l&rsquo;altro, un duopolio senza precedenti negli ultimi 40 anni della classe regina. Alla leggendaria sfida tra i due statunitensi contribu&igrave; la contrapposizione tra le altre variabili della contesa: Kenny con la Yamaha dotata di gomme Dunlop, una guida rotonda, tre Mondiali gi&agrave; in bacheca, Giacomo Agostini e l&rsquo;ex pilota Kal Carruthers (iridato con la Benelli in 250 nel 1969) a guidarlo nei box.    Duelli da leggenda: la vittoria del privatissimo Tournadre  Una contesa tiratissima   All&rsquo;altro angolo del ring l&rsquo;emergente Freddie con la Honda, i pneumatici Michelin, uno stile che lo portava a spigolare le curve ed Erv Kanemoto (nessuna esperienza in sella ma soltanto ai box) nelle vesti di capotecnico. Ad aggiungere pepe alla contesa, l&rsquo;annuncio di Roberts di appendere il casco al chiodo al termine della stagione, a prescindere dal risultato finale. Gi&agrave;, perch&eacute; si trattava anche di un duello generazionale: tra il californiano pluriiridato e la giovane stella della Louisiana, la differenza era di dieci anni esatti.  Il ventunenne Fast Freddie inizi&ograve; il 1983 alla grande vincendo i primi tre GP, guadagnando 25 punti di vantaggio sul rivale (la vittoria ne attribuiva 15). King Kenny, beffato a Monza prima da una scivolata alla Parabolica quando era al comando e poi, una volta risalito in sella, dall&rsquo;esaurimento del carburante, trionf&ograve; in Germania Ovest e Austria, finendo secondo in Spagna. E cos&igrave; a met&agrave; campionato il suo ritardo era sceso a sei lunghezze. Spencer vinse anche in Jugoslavia una corsa in cui il rivale fin&igrave; quarto dopo una furiosa rimonta, obbligata dalla partenza disastrosa (ai tempi ancora a spinta) che costituiva spesso il punto debole per Roberts e la Yamaha. Ma il californiano si riscatt&ograve; con una tripletta, in Olanda (nella gara che rischi&ograve; di essere fatale al campione uscente Franco Uncini), Belgio e Gran Bretagna. E in quel modo, il Marziano si port&ograve; a due punti dalla vetta. Restavano il penultimo round, in Svezia, e il successivo, un mese dopo, a Imola.    Nervi tesi in Svezia   Ad Anderstorp, Roberts sembrava destinato alla vittoria ma alla penultima curva fu infilato da Spencer. I due finirono larghi, sull&rsquo;erba, e Freddie fu il pi&ugrave; rapido a rientrare: il pilota della Honda vinse per 16 centesimi e port&ograve; il suo vantaggio in campionato a cinque punti. Roberts la prese malissimo: &ldquo;Gli parlai subito dopo, ma nulla di quanto dissi era pubblicabile. Se avesse detto una parola l&rsquo;avrei fatto volare gi&ugrave; dall&rsquo;auto&rdquo; disse riferendosi alla Mercedes cabrio su cui salivano i primi tre all&rsquo;arrivo per effettuare il giro d&rsquo;onore e salutare il pubblico. Poich&eacute; il secondo classificato incassava 12 punti, nel GP San Marino al californiano dagli occhi di ghiaccio non sarebbe bastato vincere per conquistare il trono: Spencer sarebbe dovuto arrivare terzo o peggio.  Roberts aveva bisogno di un alleato, tuttavia le altre due OW70 ufficiali erano guidate dal compagno di squadra Eddie Lawson, ancora troppo acerbo nel suo primo anno completo in Europa, e Marc Fontan (Team Sonauto), mai a podio. Si vocifer&ograve; persino che Agostini avesse chiesto aiuto a Virginio Ferrari, che in tutta la stagione con la Cagiva non aveva conquistato nemmeno un punto. Roberts non se ne preoccup&ograve; pi&ugrave; di tanto e approfitt&ograve; della lunga sosta per viaggiare con la prole, come spieg&ograve; una volta arrivato al circuito, ai tempi intitolato al solo Dino Ferrari: &ldquo;&Egrave; stato un mese di vacanza, i miei bambini sono qui perch&eacute; questa &egrave; la mia ultima corsa in Europa, la loro ultima chance di vedere il loro pap&agrave; come pilota da GP. Vivono con la mia ex moglie in California, cos&igrave; se gareggiassi ancora nel Mondiale non avrei abbastanza tempo per loro, per questo mi ritiro dai Gran Premi&rdquo;.  Kenny conquist&ograve; la pole position a Imola con un tempo di 1&rsquo;53&rdquo;49, ma Spencer con 1&rsquo;54&rdquo;00 si tenne dietro tutti gli altri. Questo sanc&igrave; il primo pareggio del weekend: sei pole stagionali a testa. In prima fila anche Marco Lucchinelli, all&rsquo;ultima uscita con la Honda ufficiale (1&rsquo;54&rdquo;65) dove era arrivato due anni prima da iridato ma con cui non aveva mai vinto, Randy Mamola con la Suzuki (1&rsquo;54&rdquo;96) e Lawson (1&rsquo;55&rdquo;00). Roberts conosceva a menadito gli allora 5040 metri di Imola, avendoci corso sin dal lontano 1974, con due successi nella 200 Miglia.  A Imola la resa dei conti   Al via, per&ograve;, le Honda NS 500 a tre cilindri mostrarono le loro qualit&agrave;: Spencer scatt&ograve; subito in testa seguito da Lucchinelli e Ron Haslam, anche se quest&rsquo;ultimo venne presto scavalcato da Roberts. Al quarto giro Kenny infil&ograve; anche Lucky, guadagnando la seconda piazza, mentre Lawson era risalito in quarta, seppur a debita distanza. Grazie anche al nuovo record della pista, a 160,056 km/h di media, nel giro di altre quattro tornate il leader della corsa cambi&ograve;, con l&rsquo;ingresso vincente di Roberts su Spencer alla staccata della Tosa. Tuttavia per completare il ribaltone in classifica sarebbe servito il secondo posto di Lawson, il quale invece faticava a mettersi dietro Lucchinelli.  Davantti a 80mila spettatori, i due rivali per il titolo si scambiarono la posizioni altre quattro volte nei nove giri seguenti. Approfittando delle chicane il californiano rallentava quel tanto che bastava per aumentare i tempi sul giro, cos&igrave; da aiutare la rimonta di Lawson. &ldquo;Kenny era veloce in pista e lento allo stesso tempo &ndash; spieg&ograve; dopo l&rsquo;arrivo Spencer &ndash; ogni volta che potevo, senza rischiare, cercavo di superarlo per allungare e non dare corda alla sua tattica. Pi&ugrave; che dura, &egrave; stata una gara strana&rdquo;.  Soltanto al giro numero 17 Eddie si liber&ograve; della compagnia del ligure, poi ringraziato pubblicamente da Freddie, e a cinque tornate dalla fine ridusse il ritardo a cinque secondi dal duo di testa. Al 21&deg; passaggio Spencer torn&ograve; in testa per scongiurare l&rsquo;aggancio ma alla Tosa venne ripassato da Roberts. La sua iniziativa ebbe in ogni caso effetto perch&eacute; al penultimo giro l&rsquo;altra Yamaha era lontana sei secondi e mezzo. All&rsquo;ultimo giro Spencer rinunci&ograve; a correre rischi e fin&igrave; secondo a 1&rdquo;23 da Roberts &ndash; ma davanti a Lawson di oltre sei secondi &ndash; che pareggi&ograve; anche il conto delle vittorie in quel campionato: sei a testa. Il neopensionato era inoltre avanti per il numero dei giri veloci in gara, sette contro i tre del neocampione del Mondo. Un dato figlio delle rimonte a cui spesso Roberts era costretto dalle partenze deficitarie.  Il trionfo di Spencer   Ma nella classifica che pi&ugrave; contava, quella del Mondiale, Spencer prevalse per due punti e nel giro di rientro trov&ograve; ad attenderlo in pista la fidanzata Sarie Joubert, che due anni dopo sarebbe finita quarta a Miss USA, nonostante il punteggio pi&ugrave; alto di tutte (9,311) alla voce &ldquo;Intervista&rdquo;. Quel giorno del settembre del 1983, per&ograve;, tutti gli occhi erano puntati sul suo Freddie e sulla Honda, allo storico primo titolo piloti della 500 dopo un inseguimento iniziato nel lontano 1966. Un titolo che apr&igrave; una nuova era, non tanto per Spencer &ndash; capace di compiere l&rsquo;impresa dei titoli di 250 e 500 nello stesso anno, il 1985, prima del crollo repentino &ndash; ma della Honda. Da quel 1983 al 2019, l&rsquo;HRC ha conquistato 21 titoli piloti e 24 costruttori nella top class.  Duelli da leggenda: Jacque e Nakano raccontati da Poncharal 

Fast Freddie seppe resistere alla rimonta di King Kenny, che pur conquistando l&rsquo;ultima gara nel mondiale non riusc&igrave; a ritirarsi da campione della 500. Il giovane Spencer fu il primo a vincere con la Honda nella classe regina

Duelli da leggenda: quando Freddie Spencer pieg&ograve; Kenny Roberts

Anche nello sport, come in altri contesti, quando si manifesta un risultato sorprendente si fanno largo le teorie pi&ugrave; misteriose e, in alcuni casi, assurde: dalle varie sfumature sul malore di Ronaldo, il Fenomeno, prima della finale calcistica di Francia &rsquo;98 passando per il sorpasso di Lewis Hamilton su Timo Glock all&rsquo;ultima curva del Mondiale di Formula 1 del 2008 fino alla rimonta da 0-8 a 9-8 per Oracle nella America&rsquo;s Cup 2013. A tale schema non sfugge il GP Valencia 2006 della MotoGP, che secondo la quasi totalit&agrave; degli esperti avrebbe dovuto regalare a Valentino Rossi il sesto titolo iridato consecutivo nella classe regina.  Duelli da leggenda: Harada e Capirossi, senza esclusione di colpi  Un trionfo scritto, ma...     Anche il 77,3% degli appassionati, 49.004 internauti interpellati dal sito della MotoGP pochi giorni prima della gara, espressero analogo pensiero: dall&rsquo;alto degli otto punti di vantaggio su Nicky Hayden, il Dottore si sarebbe riconfermato campione del Mondo. Eppure quella era stata una stagione differente dalle precedenti, annate nelle quali Rossi aveva silenziato le aspirazioni dei rivali fin dai primi vagiti: all&rsquo;esordio del 2006, a Jerez, fu tamponato da Toni Elias alla prima curva e rimedi&ograve; due soli punti. Poi, dopo il trionfo in Qatar, manc&ograve; nuovamente il podio in Turchia (4&deg;) e incapp&ograve; in un duplice zero in Cina (problema di gomme) e Francia (la sua Yamaha si ammutol&igrave; a otto giri dalla fine quand&rsquo;era al comando). Dopo soltanto cinque GP il campionato sembrava compromesso perch&eacute; Rossi aveva 43 punti di ritardo dallo statunitense (quattro volte sul podio ma mai vincitore), 39 sia da Marco Melandri che da Loris Capirossi e 33 dal rookie Dani Pedrosa. Come se non bastasse, davanti alla Yamaha numero 46 c&rsquo;erano pure quella del compagno di team Colin Edwards e le altre Honda di Casey Stoner ed Elias.  Con il duplice trionfo al Mugello e a Barcellona (teatro della drammatica carambola al via con cui Sete Gibernau atterr&ograve; il compagno Capirossi, Melandri e Pedrosa, uno &ldquo;zero&rdquo; ferale per le loro chance di titolo) il pesarese si rilanci&ograve; ma con altri due podi Nicky continuava ad avere 29 punti di margine. E quando vinse ad Assen approfittando della caduta di Edwards a pochi metri dal traguardo, con Vale 8&deg; il giorno dopo essersi fratturato una mano, Hayden salut&ograve; la compagnia: 42 lunghezze su Pedrosa, 44 su Capirex e 46 su Rossi e Melandri.&nbsp;  Tre GP pi&ugrave; tardi, l&rsquo;americano concesse il bis in casa, a Laguna Seca, e con il concomitante ko del motore della sua M1, Valentino scivol&ograve; a 51 punti da Kentucky Kid con soltanto sei round (150 punti) restanti. Nelle successive cinque gare, per&ograve;, Rossi conquist&ograve; altrettanti podi e Hayden nessuno, con l&rsquo;aggravante del ritiro all&rsquo;Estoril, abbattuto in staccata dall&rsquo;altra RCV211V di Pedrosa, in un improvvido tentativo di sorpasso. E cos&igrave; Hayden si ritrov&ograve; alla vigilia di Valencia con 236 punti contro i 244 di Rossi che avrebbero potuto essere 249, se Valentino non fosse stato beffato sul traguardo portoghese per due (!) millesimi dall&rsquo;immancabile Elias con la Honda di Fausto Gresini.  Tra le due gare iberiche c&rsquo;erano due settimane e oltre ad allenarsi, Valentino ne approfitt&ograve; per andare al CONI a ritirare il Diploma d&rsquo;Onore e per incontrare Romano Prodi assieme ad Andrea Dovizioso. L&rsquo;allora premier gli disse: &ldquo;Quando mia moglie la vede in TV sfrecciare in pista si mette le mani sugli occhi&rdquo;. Nicky invece ricevette una e-mail dal presidente HRC Suguru Kanazawa, dispiaciuto per l&rsquo;autoscontro dell&rsquo;Estoril che aveva lasciato segni evidenti sul morale, sulla spalla e sul bicipite destro dell&rsquo;ex capoclassifica: &ldquo;Come volete che mi senta?&rdquo; raccont&ograve; alla stampa Hayden il gioved&igrave;: &ldquo;Ho passato quasi tutta la stagione al centro della conferenza stampa e ora al mio posto c&rsquo;&egrave; Valentino. Spero di riprendermi quel posto, ma devo vincere&rdquo;.  Il weekend di Valencia     Nicky aveva bisogno di almeno un alleato che nell&rsquo;ultimo GP si frapponesse tra s&eacute; e il rivale, ma lo stesso Vale cercava il sostegno di Edwards che, come detto, ad Assen aveva praticamente battuto Hayden in volata, ma la successiva caduta di Texas Tornado fu un altro colpo per le chance di titolo di Rossi: &ldquo;Dopo l&rsquo;Estoril ho parlato con Colin: le Honda sono tante, troppe, ma lui qui pu&ograve; essere molto utile. La pista gli piace e ci ha corso anche in Superbike&rdquo;. Al suo fianco, Rossi aveva al suo fianco la milanese Arianna Matteuzzi (la loro storia &egrave; finita l&rsquo;anno dopo), mentre Nicky era single. Al box a Valencia poteva confidare su pap&agrave; Earl, mamma Rose, tre dei quattro fratelli e aveva accettato di buon grado le telecamere di MTV che non lo mollavano un istante per la realizzazione di una serie TV in quattro puntate intitolata &ldquo;The Kentucky Kid&rdquo;.  Nelle prime libere Rossi fu il pi&ugrave; veloce ma Stoner era a soli sei millesimi e Hayden a sette. Nelle FP2 con l&rsquo;abbassamento dei tempi sul giro di un secondo si misero in luce le moto gommate Bridgestone: la Ducati fu in testa con Capirossi, seguita dalla Kawasaki di Randy De Puniet e dalla Suzuki di Chris Vermeulen. Il primo con le Michelin era Hayden che al posto della tradizionale scritta Kentucky Kid aveva fatto cucire sulla tuta &ldquo;All in 69&rdquo; accompagnato da montagne di fiches e cinque carte da gioco (quattro di quadri, in scala, con l&rsquo;ultima coperta), quarto a otto decimi: &ldquo;Sono soddisfatto, la moto mi &egrave; piaciuta fin dal mattino&rdquo;. Per nulla preoccupato Rossi settimo, autore di 16 giri di fila con un passo di 1&rsquo;33&rdquo;5: &ldquo;So che di Loris mi posso fidare, se vince lui i 25 punti non li prende Hayden&rdquo;. Il giorno dopo per&ograve; il presunto aiuto non sembrava pi&ugrave; necessario: Valentino fu primo in FP3 con 37 millesimi sul rivale e 316 su Capirossi e concesse il bis in qualifica, con Hayden relegato in seconda fila con il 5&deg; tempo, a 376 millesimi. La giornata perfetta si concluse con il trionfo della sua Inter per 4-3 nel derby.  La gara decisiva   Il mattino dopo, in circuito erano presenti 125mila spettatori, buona parte dei quali tifosi di Rossi, come testimoniato dalla miriade di t-shirt e cappellini gialli. Il crescendo di emozioni inizi&ograve; con la vittoria di Hector Faubel in 125 (Alvaro Bautista era gi&agrave; campione) e il titolo conquistato da Jorge Lorenzo in 250. Un degno antipasto alla classe regina ma quando alle ore 14, un minuto e 18 secondi si spensero i semafori la Yamaha in pole non riusc&igrave; a scaricare a terra tutta la potenza, a causa di uno stacco di frizione sbagliato. E cos&igrave; alla prima curva entrarono per prime le Ducati di Troy Bayliss (sostituto dell&rsquo;infortunato Gibernau, un premio dopo il secondo titolo Superbike) e Capirossi, seguite da Pedrosa, Stoner e Rossi. Alla curva seguente quest&rsquo;ultimo fu infilato da Hayden che a met&agrave; giro pass&ograve; pure l&rsquo;australiano. Dopo il primo giro Nicky era quarto con Vale settimo ma nei due giri seguenti lo statunitense pass&ograve; Loris e Dani, guadagnando la seconda piazza dietro lo scatenato Bayliss. Inchiodato in settima posizione dietro alle due Rosse e a quattro Honda, Valentino era virtualmente scavalcato di tre punti.    Restavano 27 giri da completare, ma alla seconda curva del 5&deg; passaggio Rossi fin&igrave; gambe all&rsquo;aria, in una curva da 80 km/h. Ripartito ultimo, a 25 secondi dai primi, rimont&ograve; fino al tredicesimo posto mentre Hayden, informato dell&rsquo;accaduto, diede strada a Capirossi per la doppietta Ducati. Con i 16 punti del 3&deg; posto Hayden si laure&ograve; campione del Mondo: &ldquo;Mio Dio, questo &egrave; un gran giorno, ho dedicato tutta la mia vita per vivere questo momento!&rdquo; disse. Rossi ammise l&rsquo;errore, ma fece capire che si era giocato il titolo prima di scivolare: &ldquo;Il rosso si &egrave; spento con un attimo di ritardo e mi sono impappinato al via. Il Mondiale l&rsquo;ho perso l&igrave;. Ma le condizioni della pista non erano le stesse di ieri&rdquo;.    Un paio di giorni dopo per&ograve; il suo capotecnico Jeremy Burgess si lasci&ograve; sfuggire: &ldquo;Sembra che al 5&deg; giro Valentino abbia accelerato troppo, ma non &egrave; chiaro. Abbiamo visto foto frontali, c&rsquo;&egrave; la sensazione di qualcosa di strano nel comportamento della gomma anteriore&rdquo;. Una teoria sostenuta anche dal connazionale Stoner, non certo l&rsquo;amico del cuore di Rossi, nella sua autobiografia: &ldquo;Non appena le luci si spensero, Rossi si trov&ograve; nei guai. Fui uno dei sei che lo superarono al primo giro. La gomma anteriore e la posteriore non volevano saperne di collaborare tra loro. Credo che gli avessero dato una gomma difettosa. Non so perch&eacute; qualcuno avrebbe dovuto farlo&rdquo;. Fu l&rsquo;epilogo di una stagione stregata per Rossi, alla prima vera sconfitta della sua carriera.  Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring 

Il sorpasso in classifica, l&rsquo;incontro con il premier Prodi, la pole position e persino il derby vinto dall&rsquo;Inter: alla vigilia di Valencia, tutto giocava a favore di Rossi, ma il fluido magico si interruppe (colpa di una gomma?). E a trionfare fu l&rsquo;indimenticato Hayden, ultimo yankee iridato

Duelli da leggenda, Valencia 2006: Hayden campione, Rossi per terra

La rivalit&agrave; tra Loris Capirossi e Tetsuya Harada fu cos&igrave; forte da avere un primo atto e poi il sequel, come i grandi duelli nel pugilato, con il campione del Mondo che concedeva la rivincita. La &ldquo;categoria di peso&rdquo; in questo caso fu la 250, sul ring di Jarama nel 1993 e poi a Buenos Aires, cinque anni pi&ugrave; tardi. E in entrambi i casi, il finale fu drammatico, con due vincitori differenti.  Duelli da leggenda: il duello Bianchi-Gresini datato 1985  Il round del 1993 vinto da Harada   Tutto ebbe inizio nel 1993, quando il ventenne Capirossi affrontava la seconda stagione nella classe di mezzo ed era nel pieno del suo sodalizio con la Honda, tanto da ereditare la moto vincente con Luca Cadalora nei due anni precedenti. Storia diversa invece per il giapponese, che era alla prima stagione completa nel Mondiale, alla guida di una Yamaha.  Doveva essere l&rsquo;anno degli italiani, dopo l&rsquo;en plein di vittorie nella 250 del 1992, e invece fu Harada a sorprendere tutti nel GP Australia, poi fu secondo in Malesia e di nuovo vittorioso nel GP di casa e in Spagna, con la dedica al collega Nobuyuki Wakai, scomparso per un assurdo incidente in pit lane il giorno prima. Tutt&rsquo;altro che positivo, invece, fu l&rsquo;inizio di Capirossi, che se nei primi due GP conquist&ograve; la pole position, in Australia non vide la bandiera a scacchi e in Malesia chiuse terzo al traguardo ma la controversa penalit&agrave; di un minuto per partenza anticipata lo fece retrocedere al 12&deg; posto. In Giappone, dove inizi&ograve; l&rsquo;ultimo giro in testa, cadde, si rialz&ograve; e chiuse decimo ma con una mano infortunata, problema che lo limit&ograve; anche a Jerez, dove fu decimo. Dopo quattro GP, Loris era a -79 da Harada.    Il colpo di reni arriv&ograve; finalmente in Austria, nel quinto GP stagionale, dove sal&igrave; sul secondo gradino del podio dietro Doriano Romboni, cosa che fece anche in Germania (sempre alle spalle del ligure), prima di trovare la gloria in Olanda, proprio davanti al leader iridato, e inizi&ograve; a impensierire Harada. A met&agrave; stagione, &ldquo;Capirex&rdquo; era riuscito a trovare la direzione giusta per sfruttare al meglio la velocissima Honda. Per nove GP consecutivi, infatti, Harada non riusc&igrave; mai a guadagnare punti all&rsquo;imolese, che rivinse al Mugello e a Laguna Seca. E anzi, pot&eacute; recriminare per i punti persi a Brno, dove pag&ograve; un &ldquo;dritto&rdquo; nel corso della battaglia con Max Biaggi. A Laguna Seca, dove domin&ograve;, Loris vol&ograve; a +10 sul giapponese, e il Mondiale sembrava gi&agrave; nelle sue mani. Sembrava...  Quel 26 settembre le cose, per Capirossi, non andarono nel verso giusto. Fu il primo colpo duro per una carriera da predestinato, con il titolo 125 al debutto, a 17 anni, un record di precocit&agrave; ancora imbattuto, e un bis iridato nella stagione successiva. A vent&rsquo;anni si giocava il terzo titolo in quattro stagioni, qualcosa di incredibile. Partito per la settima volta dalla pole position, ottenuta dopo un dominio schiacciante nelle prove, Capirossi venne tradito dalle gomme. Forse una scelta sbagliata, forse l&rsquo;usura causata dalla rimonta dopo una brutta partenza, ma l&rsquo;immagine &egrave; quella di Loris sulla sabbia alla staccata in discesa dopo la curva Bugatti. L&rsquo;uscita di Loris accese l&rsquo;interruttore di Harada, che infil&ograve; gli avversari uno dietro l&rsquo;altro negli ultimi giri, mostrando un passo che non sembrava potesse avere. Sarebbe bastato il terzo posto a Capirossi, per vincere il titolo, ma Loris era lontano, e da sesto riusc&igrave; a recuperare soltanto una posizione grazie al gesto magnanimo dell&rsquo;amico Do riano Romboni, mentre un altro pilota Honda, Alberto Puig, super&ograve; Capirossi per il quarto posto. Harada vinse gara e titolo, con soltanto quattro punti di vantaggio.  Il 1998, la rivincita di Loris   La rivincita, nel duello con Harada, e il riscatto, per la sua carriera, arrivarono cinque anni dopo quando per uno scherzo del destino la rivalit&agrave; tra l&rsquo;italiano e il giapponese si riaccese. Correva l&rsquo;anno 1998 e &ldquo;Capirex&rdquo; gi&agrave; dall&rsquo;anno precedente era tornato nella classe di mezzo, dopo aver vissuto due stagioni in 500 senza troppa fortuna, se non per il succeesso in Australia proprio al passo d&rsquo;addio dalla classe regina. Il ritorno in 250 significava l&rsquo;obiettivo del titolo iridato, anche perch&eacute; Loris era giunto a Noale per sostituire Max Biaggi, tre volte campione in 250 con l&rsquo;Aprilia. Ma nel 1997 fu ancora Biaggi a vincere, con la Honda. E non soltanto, nel 1998 sulla strada di Capirossi si present&ograve;, oltre al compagno di colori Harada, anche un terzo pilota Aprilia, il rookie Valentino Rossi.  Capirossi e Harada fecero valere l&rsquo;esperienza contro Rossi, che prese il ritmo soltanto negli ultimi quattro GP, in cui fece un poker di successi. Nella stagione dominata dalle Aprilia, che a parte il primo GP &ndash; andato alla Honda della wild card Daijiro Kato &ndash; vinsero sempre, l&rsquo;inizio di Capirossi non fu eccellente, con un settimo e un quinto posto. La svolta arriv&ograve; in Spagna, a Jerez, quando con una decisa superiorit&agrave; Capirossi si fece sentire, con pole position e vittoria, mandando un chiaro messaggio al giapponese: per il titolo avrebbe dovuto vedersela, di nuovo, con lui. Da l&igrave; in poi Capirossi si mise in evidenza per la costanza, grazie alle rimonte fatte per sopperire alle brutte partenze. La conferma che Loris fosse al top arriv&ograve; a Donington, dove conquist&ograve; la seconda vittoria stagionale dopo aver duellato a lungo proprio con Harada.    Harada vinse di pi&ugrave;, con cinque successi, ma fu anche colui che commise pi&ugrave; errori. Come nel caso dell&rsquo;infortunio a Imola, che lo limit&ograve; nel finale della stagione. A due gare dalla fine, poi, il giapponese guidava il campionato, ma in Australia cadde, gettando al vento punti importanti mentre Loris, al termine di un&rsquo;altra delle sue rimonte, chiuse secondo, ribaltando la classifica. All&rsquo;ultima gara, in Argentina, fu l&rsquo;italiano a presentarsi da leader, anche se soltanto per quattro punti. Finendo primo, o secondo davanti a Capirossi, Harada sarebbe stato certo del titolo. Loris scatt&ograve; dalla pole, perdendo posizioni in partenza, mentre Harada si mise davanti a tutti. Il dominio dur&ograve; poco, perch&eacute; Capirossi a suon di giri veloci lo raggiunse tanto da superarlo, ma il giapponese non lo lasci&ograve; scappare. Sul finale irruppe per&ograve; Rossi, che dal box Aprilia si era sentito raccomandare: &ldquo;Non interferire nel duello per il titolo&rdquo;. Vale non lo fece, perch&eacute; super&ograve; Harada poi, complice una sbavatura di Capirossi, prese il comando della corsa, lasciando che i due rivali si &ldquo;scannassero&rdquo; alle sue spalle. Quel duello, che metteva in palio il titolo, si decise proprio all&rsquo;ultima staccata buona per cercare il sorpasso.  Harada, a cui sarebbe bastato il secondo posto per conquistare il titolo, lasci&ograve; aperto un piccolo spiraglio in curva, e Capirossi lo prese come un &ldquo;invito&rdquo; a passare. E con una staccata impossibile si infil&ograve;, andando per&ograve; a contatto con l&rsquo;avversario che cadde inevitabilmente a terra, perdendo cos&igrave; il titolo. &quot;Se non ci avessi provato, non me lo sarei perdonato&quot; disse Capirex. Dopo una manovra tra le pi&ugrave; controverse nella storia del Mondiale, considerando anche la posta in palio, Loris fu secondo al traguardo, divenne campione, ma la questione pass&ograve; attraverso la FIM, che dopo averlo inizialmente squalificato, decise di non punirlo, anche perch&eacute; in caso di squalifica dal GP, Capirossi sarebbe stato comunque campione. E una squalifica dal campionato, come per Michael Schumacher l&rsquo;anno prima in Formula 1, non avrebbe dato il titolo ad Harada, superato da Rossi. La conseguenza, semmai, fu il divorzio dall&rsquo;Aprilia, che accus&ograve; Loris di comportamento scorretto e antisportivo. Capirossi vinse il terzo (e ultimo) titolo iridato, un traguardo che sapeva di riscatto, arrivato dopo un periodo buio.  Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring 

Nel 1993 a Jarama, le gomme impedirono a Capirossi di compiere un&rsquo;impresa storica, e Harada conquist&ograve; il titolo pi&ugrave; inatteso. Cinque anni dopo, da compagni di team, il secondo atto della rivalit&agrave; si chiuse in modo controverso a Buenos Aires, con il sorpasso al limite di Loris e la caduta del giapponese

Duelli da leggenda: Harada e Capirossi, senza esclusione di colpi

Un Mondiale deciso per 14 millesimi, non per sette punti. &Egrave; la storia del duello tutto in casa Tech 3 della 250 nel 2000, quando i compagni di squadra Olivier Jacque e Shinya Nakano giunsero a Phillip Island separati da due punti: vincere il GP Australia avrebbe garantito anche il titolo della classe di mezzo, da successori di Valentino Rossi. E il francese la spunt&ograve; in volata, per 14 millesimi. A vent&rsquo;anni di distanza, &egrave; Herv&eacute; Poncharal a raccontare la lotta tra i suoi piloti, grandi amici prima che rivali per il titolo.  Una coppia confermata dall&rsquo;anno precedente, che seppe approfittare del salto in 500 di Rossi accompagnato da Loris Capirossi, e della scarsa esperienza in Europa del fenomenale Daijiro Kato (terzo nel Mondiale, preludio al titolo 2001) e di quella con la 250 di Marco Melandri. Quel titolo, l&rsquo;unico per Jacque, consent&igrave; a Tech 3 di spiccare il volo verso una lunga e brillante parentesi in top class.  Duelli da leggenda: la vittoria del privatissimo Tournadre  Coppia confermatissima   Herv&eacute;, partiamo dall&rsquo;antefatto: come si arriv&ograve; a quel 2000?  &ldquo;Nel 1998 iniziammo a parlare con la Yamaha. La cosa divertente &egrave; che non erano pi&ugrave; impegnati nel Mondiale 250 perch&eacute; qualche anno prima avevano chiuso il progetto, dato che Tetsuya Harada si lamentava della moto, e quindi correvano solamente in Giappone con Nakano. Ad Assen nel 1998 cominciammo a parlare e mi proposi di fronte all&rsquo;eventuale ritorno della Yamaha. Li sorpresi, perch&eacute; nessuno riponeva fiducia nella loro moto. Io invece avevo visto Nakano da wild card a Suzuka ed ero rimasto impressionato. Fatto l&rsquo;accordo, il 1999 fu il primo anno con la Yamaha e and&ograve; piuttosto bene: a Motegi, seconda gara, vincemmo con Nakano e durante l&rsquo;anno ottenemmo grandi risultati ma ci furono anche problemi tecnici che ci impedirono di lottare davvero per il titolo&rdquo;.    A fine &lsquo;99 confermasti Jacque e Nakano.  &ldquo;Nel 1999 eravamo felicissimi di Jacque e Nakano. C&rsquo;era un pochino di lavoro da svolgere sulla moto ed &egrave; quello che facemmo nell&rsquo;inverno prima del 2000. Per la prima volta la Yamaha ci diede la possibilit&agrave; di provare e usare carene e selle diverse da quelle standard. Avevamo due piloti velocissimi e sapevamo che avremmo avuto meno problemi tecnici rispetto all&rsquo;anno precedente. Kato e Tohru Ukawa con le Honda ufficiali erano gli avversari diretti, cos&igrave; dicemmo ai nostri piloti di essere veloci ma soprattutto costanti, e marcare punti in ogni gara&rdquo;.  Non c&rsquo;&egrave; che dire, ti ascoltarono: i risultati furono effettivamente incredibili.  &ldquo;S&igrave;, ottenemmo tantissimi podi (23), otto vittorie e quattro doppiette. Kato non era mai lontano e fu un rivale fino all&rsquo;ultima gara. Ricordo che all&rsquo;Estoril, quintultima gara, Nakano era tranquillamente secondo quando Ukawa gli cadde davanti e Shinya non pot&eacute; evitarlo, dovendosi ritirare. Arrivammo a Phillip Island con Jacque e Nakano primo e secondo ma i punti non erano sufficienti per vincere il titolo perch&eacute; matematicamente Kato, a -11 dal leader, era ancora in corsa&rdquo;.  Quel 2000 della 250 verr&agrave; ricordato per il duello &ldquo;fratricida&rdquo; per il titolo tra Jacque e Nakano. Ti saresti immaginato una sfida mondiale tra i tuoi piloti gi&agrave; al secondo anno con la Yamaha?  &ldquo;Onestamente nel &lsquo;99 avevamo visto che eravamo forti, Nakano era un pilota incredibile. Ricordo che a Jerez Valentino disse di non aver mai visto un pilota veloce come Nakano. Ed era un bel complimento. Anche Olivier era molto veloce ma gli mancava la consistenza nell&rsquo;arco della stagione. Dopo una stagione di esperienza, Jacque e Nakano erano pronti per lottare per il titolo. Sebbene Olivier e Shinya lottassero tra di loro, c&rsquo;era grande rispetto reciproco, un grande rapporto e nessuna tensione fino all&rsquo;ultima gara&rdquo;.    Nemici... fraterni   Nessun segno di cedimento?  &ldquo;Soltanto all&rsquo;ultimo GP, dopo il sabato, vidi tensione, ma era normale essendo la gara decisiva. C&rsquo;era una grandissima atmosfera all&rsquo;interno del team, sport allo stato puro e nessuna pressione dalla Yamaha per supportare l&rsquo;uno o l&rsquo;altro&quot;.  Come descriveresti il rapporto tra Olivier e Shinya?   &quot;Un bellissimo rapporto, erano amici. Nakano viveva in Francia vicino alla nostra officina, lui e Olivier si allenavano insieme, andavano in bici insieme, a nuotare insieme, molte volte a cena insieme. Avevano un bellissimo rapporto, cosa che non succede spesso. Quando hai due piloti di pari livello che lottano per il titolo non &egrave; scontato che siano anche amici. Questo me lo ricorder&ograve; per sempre perch&eacute; Olivier e Shinya erano dei veri gentleman&rdquo;.  Quando realizzasti di aver messo in cassaforte il titolo?  &ldquo;Ci furono pi&ugrave; momenti durante la stagione, ci costruimmo davvero la possibilit&agrave; di arrivare al titolo. Sapevamo che se tutto fosse andato nel modo giusto e senza incidenti o problemi, nelle ultime tre gare saremmo stati nella lotta per il titolo almeno con uno dei due piloti. Fino all&rsquo;ultima gara per&ograve; non eravamo sicuri di potercela fare. Parlai con Olivier e Shinya a Phillip Island il sabato prima del GP dicendo loro di pensare soprattutto al team. E lo fecero&rdquo;.  Misano 1982: Franco Uncini, in volo verso l&#39;iride 

Poncharal ricorda il duello tra i compagni di squadra, risoltosi in favore di Jacque per appena 14 millesimi. Fu una doppietta nata due anni prima: &quot;Convinsi la Yamaha a tornare in 250, poi Olivier e Shinya fecero il resto: due compagni di team amici tra loro, corretti quanto veloci&quot;

Duelli da leggenda: Jacque e Nakano raccontati da Poncharal

        Spesso capita, nel motociclismo come in tutti gli altri sport, che a lottare per un titolo siano due piloti di generazioni differenti. E se a vincere &egrave; il pi&ugrave; giovane, diventa immediato pensare al passaggio di consegne. Ed &egrave; quanto effettivamente accadde a Misano nel 1985, quando nella 125 la lotta per il Mondiale fu una questione tra il trentatreenne Pier Paolo Bianchi e il ventiquattrenne Fausto Gresini. Il veterano contro il giovane. Il riminese contro l&rsquo;imolese. Un tre volte campione del Mondo contro un pilota soltanto alla terza stagione del Mondiale, anche se gi&agrave; nel 1984 aveva mostrato grandi qualit&agrave;. A renderli rivali, in qualche modo, contribu&igrave; il Team Italia, nato proprio quell&rsquo;anno, che decise di puntare sul futuro &ndash; diventando il serbatoio per i talenti emergenti che in tre stagioni consecutive domin&ograve; la 125 con Gresini e Luca Cadalora &ndash; lasciando che il campione gi&agrave; affermato si trovasse una sistemazione da s&eacute;. I tre successi di Fausto Gresini a Misano Bianchi, l'impresa sfiorata  Ed &egrave; quello che Bianchi fece, arrangiandosi e riuscendo a mettere insieme un team, l&rsquo;Elit (a cui il pilota contribu&igrave; anche economicamente) con il patron Luigi Ghisimberti, trovandosi cos&igrave; alla guida di una MBA. Lo stesso Bianchi racconta con amarezza: &ldquo;Quell&rsquo;anno sembrava non dovessi correre. Nacque il Team Italia e fecero di tutto per escludermi, tentando anche di portarmi via il posto nell&rsquo;Elit. Fortunatamente il titolare credette in me e allora partimmo". Non fu l&rsquo;inizio pi&ugrave; semplice, quindi: "Moralmente non era il massimo e la Garelli con cui correva Gresini era pi&ugrave; veloce. Noi avevamo la nostra piccola moto e la voglia di vincere e lottammo per tutto il campionato&rdquo;. Invece di guidare una Garelli come Gresini e Gianola, il romagnolo rest&ograve; sulla MBA, moto che conosceva meglio. Quel giorno, per&ograve;, fu il destino a mettersi di traverso e a decidere le sorti di quel duello. Bianchi stava disputando la sua gara senza problemi, lottando per quella seconda posizione che gli avrebbe garantito il quarto titolo iridato, dopo quelli ottenuti nel 1976, 1977 e 1980 sempre in 125. Invece, a pochi giri dalla fine, il colpo di scena: &ldquo;La moto si ferm&ograve; e non ripart&igrave; pi&ugrave; &ndash; ricorda Bianchi &ndash; non era mai successo nel corso di tutta la stagione e capit&ograve; in quella situazione. Si vede che non dovevo vincere, che doveva finire cos&igrave;&rdquo;.  Nonostante la cocente delusione, che a distanza di 35 anni non &egrave; ancora passata (&ldquo;Mi dispiace pi&ugrave; oggi che quel giorno&rdquo;) per Bianchi quello &egrave; un anno da ricordare: &ldquo;&Egrave; stato uno dei pi&ugrave; belli, con tutte le disavventure, per com&rsquo;era partito, senza la fiducia di alcuni. Avrei dovuto smettere, poi mi sono arrangiato e sono arrivato a giocarmi il titolo. Ne avevo gi&agrave; vinti tre, ma quando ho perso quel Mondiale, gli altri non esistevano pi&ugrave;. &Egrave; stato un bel ricordo, sebbene sia uno dei pi&ugrave; brutti. Avevo fatto un anno alla pari del Team Italia&rdquo;. Il rammarico di Bianchi &egrave; legato anche a ipotesi circolate successivamente: &ldquo;C&rsquo;era chi sosteneva che qualcuno ricevette soldi perch&eacute; mi si rompesse la moto, chi diceva che avevo preso dei soldi io, 100 milioni di Lire, pur di fermarmi e lasciar vincere gli altri. Non &egrave; cos&igrave;&rdquo;. L'incoronazione di Gresini  Per un pilota che raccolse una delusione, ce ne fu un altro che festeggi&ograve; e Gresini vincendo la corsa divent&ograve; campione del Mondo della 125: &ldquo;Ero molto felice. &Egrave; un po&rsquo; come quando hai un sogno quasi irrealizzabile, quasi non ci credi pi&ugrave; e invece si avvera. &Egrave; una cosa a cui non credi. Era come avere il mondo in mano, vivere su un altro pianeta, una roba incredibile. Vincere a Misano un titolo, poi, ha un sapore speciale&rdquo;. Ripensando a quel weekend, ci raccont&ograve;: &ldquo;Era l&rsquo;ultima gara, avevamo addosso lo stress di tutto un anno intenso, impegnativo, veramente difficile. Non potevo sbagliare, ma ero molto sicuro, determinato e sereno da quel punto di vista. La pista mi &egrave; sempre piaciuta, ero sempre andato forte a Misano&rdquo;. Inoltre raggiunse un traguardo notevole anche per il Team Italia: &ldquo;Era molto importante, per loro significava aver fatto una scelta giusta nel progetto sui giovani". E sul rivale, invece, racconta: "Bianchi era blasonato, io ero pi&ugrave; giovane. Volevo diventare campione del Mondo e lui lo era gi&agrave;, lo rispettavo molto. Era un pilota veloce, un attaccante, uno che non mollava mai come tutti i campioni, che sapeva esattamente cosa voleva. Capace di combattere fino all&rsquo;ultimo. &Egrave; stato un avversario molto leale, batterlo non era scontato&rdquo;. Una rivalit&agrave; che diede vita a un duello del quale, 35 anni dopo, si continua a parlare. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring       

Il giovane Gresini strapp&ograve; al veterano Bianchi il titolo di specialista italiano delle piccole cilindrate. Ma il finale di Misano, con la rottura della MBA del riminese, ha lasciato strascichi: "Quel mondiale perso ha offuscato anche i tre che avevo vinto" dice oggi il romagnolo

Duelli da leggenda: il duello Bianchi-Gresini datato 1985

La notte, quella notte. Jean-Louis Tournadre non dimenticher&agrave; mai le poche ore alla vigilia del GP Germania Ovest 1982. Come pu&ograve; dormire un dipendente delle Poste Francesi in permesso di lavoro, pilota privatissimo e squattrinato, mentre aspetta la mattina per giocarsi il Mondiale della 250 contro un gigante, che oltretutto gioca in casa? L&rsquo;ultima prova del campionato era la gara della vita e il nostro Jean-Louis si accingeva al duello con Toni Mang &ndash; gi&agrave; tre volte iridato e in sella a una Kawasaki ufficiale &ndash; con una spada spuntata. Certo, aveva otto lunghezze di vantaggio, e con il sistema di punteggio allora in vigore gli sarebbe bastato arrivare quarto per conquistare il titolo; ma le chance erano pochissime.  Misano 1982: Franco Uncini, in volo verso l&#39;iride  Una stagione dell&#39;epilogo incredibile   Sulla pista di Hockenheim nella vecchia configurazione &ndash; due interminabili rettilinei che si inoltravano nella Foresta Nera e il tratto misto del Motodrom subito prima del traguardo &ndash; ci voleva un gran motore; Mang ce l&rsquo;aveva, la Yamaha &ldquo;clienti&rdquo; di Tournadre proprio no. La classifica delle prove parlava fin troppo chiaro. &ldquo;C&rsquo;erano molte moto ufficiali &ndash; ricorda oggi il francese &ndash; Espie ed Estrosi guidavano le Pernod, Fernandez aveva un motore Bartol, Freymond la MBA del reparto corse. Andavano tutte molto forte e nelle qualifiche non avevo ottenuto un buon tempo perch&eacute; la mia non era veloce e io sono grande e pesante&rdquo;.    Eppure a una gara dal termine era in testa al campionato. Quella notte i pensieri volavano, ripercorrendo i passi che incredibilmente lo avevano portato fin l&igrave;. Il primo: l&rsquo;amico vigile &ldquo;faccia tosta&rdquo; che aveva fermato in mezzo alla strada uno dei componenti della famiglia Michelin, proprio davanti alla fabbrica: &ldquo;Ho un amico pilota piuttosto bravo, &egrave; in difficolt&agrave; perch&eacute; non ha un gommista. Come facciamo?&rdquo;. Incredibilmente a partire dalla gara successiva Jean-Louis aveva avuto l&rsquo;assistenza del Bibendum &ndash; le gomme ufficiali &ndash; e nell&rsquo;ultima gara del Mondiale 1981, in Cecoslovacchia, era arrivato terzo. Nell&rsquo;inverno era stato chiamato a collaudare le coperture per l&rsquo;anno successivo, pagato a chilometraggio come un tassista...&nbsp;Il secondo: Jean-Louis era responsabile della manutenzione veicoli delle Poste Francesi a Clermont-Ferrand e il sindaco, Roger Quilliot, aveva convinto Louis Mexandeau, Ministro delle Poste, a inserirlo tra gli atleti di alto livello che beneficiavano di sei mesi di licenza all&rsquo;anno per svolgere la loro attivit&agrave; sportiva. Erano stati a scuola insieme...  Il terzo, il quarto, il quinto&hellip; Due Yamaha TZ in prestito, assolutamente di serie; un furgone, un meccanico, il pap&agrave; e tanta buona volont&agrave; contro l&rsquo;armata tedesca che invece schierava le Kawasaki ufficiali preparate dal mago Sepp Schloegl, e un pilota &ndash; Mang &ndash; pressoch&eacute; imbattibile. Ma nel primo GP della stagione, a Nogaro, i big avevano scioperato contestando le pessime condizioni dell&rsquo;asfalto francese, Tournadre invece aveva corso e vinto. Molti non sapevano nemmeno chi fosse. &ldquo;Avevo gi&agrave; girato a Nogaro e sapevo cosa avrei trovato&quot; dice Tournadre. &quot;Io dovevo correre, mi serviva il premio di arrivo perch&eacute; i soldi che avevo bastavano soltanto per fare un paio di gare. E poi era il GP Francia, erano venuti l&igrave; per vedermi diversi amici generosi che mi avevano aiutato. Quello era uno sciopero dei grandi, io ero uno sconosciuto e non c&rsquo;entravo. Nessuno aveva chiesto il mio parere. E allora perch&eacute; non partecipare? Conoscevo bene la pista, la moto funzion&ograve; bene&hellip;&rdquo;.  Vinse, ma nessuno si aspettava che lo &ldquo;sconosciuto&rdquo; potesse davvero lottare per il titolo contro Mang. Tournadre stesso guardava il Kaiser con grande rispetto. &ldquo;Per me &egrave; stato un avversario e anche un riferimento: dominava la categoria, aveva gi&agrave; vinto tre Mondiali (e il quarto sarebbe arrivato in quello stesso 1982, nella classe 350, nde), aveva moto veloci e una bella squadra. Era intoccabile&rdquo;. In effetti il tedesco fece la stagione con ritmi da blitzkrieg, la guerra lampo: su 11 gare disputate, cinque vittorie, otto podi. Per&ograve; non scherzava nemmeno il nostro &rdquo;postino&rdquo; che non vinse pi&ugrave; ma in totale fece otto podi senza mancare nemmeno un risultato. Mentre al contrario Mang in Cecoslovacchia sbagli&ograve;. &ldquo;Molti parlano di Nogaro e riassumono in quella gara tutti i sacrifici di una stagione, &egrave; una cosa che mi dispiace. Ma io penso che Mang abbia perso il titolo proprio a Brno &ndash; ricorda Tournadre &ndash; ci trovammo fianco a fianco alla frenata di una chicane molto lenta in cui si passava uno per volta. Lui stacc&ograve; dopo di me, ma io avevo frenato al limite e riuscii a fare la curva, lui arriv&ograve; troppo veloce e tir&ograve; dritto uscendo di pista. Finii la gara al secondo posto, dietro Carlos Lavado; Mang arriv&ograve; ottavo&rdquo;.    Gioco di &quot;squadra&quot;   Restavano due corse soltanto. Arrivarono primo e secondo nel GP San Marino al Mugello. Tre settimane dopo, il 26 settembre, c&rsquo;era Hockenheim. L&rsquo;ultima sfida era in casa del tedesco e la gara cominci&ograve; male per la Cenerentola: Mang andava come il vento, Tournadre remava disperato tra l&rsquo;ottava e la nona posizione. La sua moto era troppo lenta, non riusciva a recuperare e vedeva il titolo allontanarsi. Soltanto un miracolo avrebbe potuto salvarlo. Poi&hellip;  Per un momento il francese credette di avere avuto una allucinazione. &ldquo;Patrick Fernandez e Christian Estrosi cominciarono ad affiancarsi in rettilineo davanti a me per crearmi la scia. Avevo davanti due moto che generavano un tunnel, era un&rsquo;aspirazione terribile e il mio motore andava molto pi&ugrave; forte. Alle chicane e all&rsquo;ingresso del Motodrom si facevano da parte e mi lasciavano passare, all&rsquo;uscita mi superavano e si mettevano di nuovo davanti a me per tirarmi. And&ograve; avanti cos&igrave; per cinque o sei giri, io recuperavo posizioni, riuscii a risalire fino al quarto posto e a quel punto si misero dietro di me proteggendomi da Manfred Herweh che premeva&rdquo;. Mang vinse facile ma Jean-Louis mantenne la posizione fino al traguardo conquistando il punto in pi&ugrave; che gli serviva. Non c&rsquo;era stato nessun accordo, prima, eppure il regalo insperato di quei due ragazzi significava il titolo mondiale.  La domanda &egrave; ovvia: eravate amici, vero? La risposta&hellip; molto meno. &ldquo;No. Non prima di questi fatti. Loro erano piloti ufficiali, io invece avevo comprato le mie moto dall&rsquo;importatore. Ero un privato, non avevo molte occasioni di parlare con loro. Li conoscevo, nulla pi&ugrave;&rdquo;. E allora perch&eacute; lo hanno fatto? &ldquo;Non lo so. Forse perch&eacute; &egrave; partito come un gioco, durante la gara. Forse si &egrave; creato spontaneamente lo spirito di una &lsquo;squadra nazionale della Francia&rsquo;. Anche se in verit&agrave; la &lsquo;Nazionale&rsquo; non esisteva&rdquo;.&ugrave;  Fabrizio Pirovano, l&#39;uomo che regal&ograve; il titolo Supersport alla Suzuki 

Da postino a campione del mondo: l&rsquo;incredibile storia, tutta francese, di Jean-Louis Tournadre, supportato prima dalla Michelin e da un Ministro, e poi aiutato nella gara decisiva dai conterranei

25 risultati per 'leggende'