        Il segreto che si &egrave; tenuto dentro per una notte intera, e anche di pi&ugrave;, non l&rsquo;ha confidato nemmeno a sua moglie. Ma a un certo punto, Wayne Rainey &egrave; costretto a parlare. MotoGP Mugello: gli orari tv del GP Italia Wayne Rainey a cuore aperto  &Egrave; l&rsquo;1 agosto, il giorno del Gran Premio di Donington, decima tappa su 14 del Mondiale 1993. Lo statunitense, campione del Mondo in carica della classe regina all&rsquo;inseguimento del quarto iride consecutivo, ha un problema alla vista. Non ci vede bene per niente. Colpa del botto fatto il giorno prima, durante le prove del sabato, quando la sua Yamaha YZR 500 lo ha &ldquo;consegnato&rdquo; a terra. Una schiena dolorante e qualche unghia saltata via, fra le conseguenze. Ma soprattutto un gran colpo alla testa, il morso dell&rsquo;asfalto ben visibile sul casco AGV. L&rsquo;americano ha pensato bene di non dire nulla a nessuno. Una commozione cerebrale: che vuoi che sia? La sera prima si &egrave; coricato convinto di svegliarsi, l&rsquo;indomani, a posto. E invece, la vista fa ancora i capricci. Nel warm up &egrave; un paio di secondi pi&ugrave; lento dei migliori. E cos&igrave; &egrave; costretto a confessare il segreto al suo capotecnico, che non ci pensa troppo prima di dirgli che in quelle condizioni non pu&ograve; guidare. Ma il trentaduenne californiano non &egrave; uno che molla facilmente. Ci sono una battaglia da combattere e una guerra da vincere, per lui. Kevin Schwantz, in classifica, &egrave; davanti ma a tiro, pochi i punti a separarli: 192 per il texano della Suzuki, 169 per Rainey. Dal 1988, quando entrambi avevano iniziato a correre a tempo pieno nel Mondiale 500, erano sempre stati ai ferri corti. Biondi e affilati, americani e dotati: dalla California il numero 1 della categoria, dal Texas il pilota della Suzuki. Disposti a cedere un millimetro all&rsquo;avversario? Mai, nemmeno nelle prove libere, figuriamoci in gara. &Egrave; con questa motivazione addosso che Rainey si infila nel motorhome dopo il warm up e ragiona sul da farsi. Un&rsquo;ora dopo torna nel box del team ufficiale Yamaha, tappezzato di loghi Marlboro, con un piano ben preciso. Cosa decidesti di fare in quel momento? &ldquo;Qualcosa di decisamente folle, se ci penso adesso. Chiesi al mio capotecnico di sistemare i rapporti del cambio per consentirmi di partire in seconda marcia, anzich&eacute; in prima. Il fatto &egrave; che con la vista non riuscivo a misurare la profondit&agrave;, quindi a capire quanto distanti da me fossero gli altri piloti. Invece con le traiettorie ero a posto. Partendo davanti non avrei dovuto superare nessuno e avrei risolto il problema. Scattando in seconda pensavo di essere rapido perch&eacute; avrei dovuto infilare una marcia in meno accelerando, e toglierne una in meno frenando per la prima curva. Ma non ci avevo mai provato: era un salto nel buio&rdquo;. Un passo indietro: i medici non ti fermarono. &ldquo;Non c&rsquo;erano i protocolli di adesso. Non manifestai il problema e nessuno se ne accorse&rdquo;. Pronti via, cosa accadde? &ldquo;Scattai dalla seconda fila con un grande spunto. Alla prima curva avevo un solo avversario davanti (Alex Barros, nde), lui and&ograve; largo e io passai in testa. A quel punto era quasi fatta, perch&eacute; su gomme fredde ero quasi imbattibile. Poi, dietro si verific&ograve; un incidente che coinvolse anche Mick Doohan e Kevin (l&rsquo;australiano della Honda travolse entrambe le Suzuki di Schwantz e Barros alla staccata della variante, nde). Quindi in ottica iridata tutto volgeva a mio vantaggio. Il mio compagno di squadra, Luca Cadalora, mi segu&igrave; come un&rsquo;ombra per tutta la gara. Io pensavo: forza, passami! Lo fece sul finire del GP e vinse, io fui secondo e contento&rdquo;. And&ograve; bene, possiamo dire. &ldquo;Quella fu la prima volta, nella mia carriera, in cui gareggiai sapendo di non essere mentalmente a posto e non era una cosa sicura da fare. Fu un po&rsquo; da pazzi, lo ammetto. Francamente: non avrei dovuto correre, quel giorno&rdquo;. La vivesti come una cosa straordinaria, oppure normale? &ldquo;Negli anni avevo accumulato esperienza, avevo gareggiato al top e combattuto un sacco di battaglie, vincendo parecchie gare. Quell&rsquo;episodio fu soltanto qualcosa in pi&ugrave; nell&rsquo;ambito di ci&ograve; che occorreva fare per vincere un titolo mondiale: ho un problema e lo affronto, questo fu il ragionamento. Tutto qui&rdquo;.  La Storia Sprint di Wayne Rainey  Quel giorno a Donington chiudesti alle spalle del tuo compagno di squadra, una rarit&agrave; per te. &ldquo;Ai miei tempi, nei test ogni team girava per conto suo, non si svolgevano sessioni con tutti i piloti insieme, come si fa oggi. Si provava parecchio materiale e dovevo essere certo di spingere al massimo. L&rsquo;altro portacolori della squadra, quindi, era il mio unico metro di paragone. La mia strategia era quella di considerarlo a tutti gli effetti un rivale. In gara, poi, se finivo ottavo dovevo essere certo che lui, chiunque fosse, si classificasse nono. Con il tempo, per&ograve;, il mio approccio &egrave; mutato: gli avversari sono diventati tutti uguali&rdquo;. Stare davanti per te era una gioia o un&rsquo;ossessione? &ldquo;All&rsquo;inizio della mia carriera volevo sempre essere primo. Non soltanto in gara, ma in ogni turno di prove. Era un modo per far capire agli altri che sarei stato tosto, da battere. Sapevo bene come ci si sentiva a essere dietro: se Eddie Lawson era un decimo pi&ugrave; veloce di me, non la prendevo affatto bene e iniziavo a scervellarmi riflettendo su come recuperare. Pensando a questo, volevo mettere gli altri in quella particolare condizione. Pi&ugrave; avanti ho capito che quello che conta &egrave; il risultato della domenica. Lavoravo in quella direzione, dando meno importanza alle prove e alle qualifiche&rdquo;. Com&rsquo;era il processo di messa a punto? &ldquo;Posso dire tranquillamente che ci &egrave; capitato di essere nella m&hellip;. fino al collo il sabato sera, stravolgere la moto e provare qualcosa di nuovo per il warm up per poi doverla di nuovo smontare tutta perch&eacute; le cose non funzionavano come avrebbero dovuto. Poi ci presentavamo in gara con un ulteriore setting, mai provato prima, e finivamo magari per vincere! Non succedeva spesso, ma un paio di volte l&rsquo;anno s&igrave;. Ai giapponesi della Yamaha non piaceva affatto vedere il motore aperto e le sospensioni a pezzi a poche ore dal via. Ma avevo un&rsquo;ottima squadra: avevano tanta fiducia in me. E io ne avevo in loro&rdquo;. Sei mai stato felice per un piazzamento pi&ugrave; che per una vittoria? &ldquo;&Egrave; tutto relativo. Vinsi la mia ultima gara in Repubblica Ceca, nel 1993 a Brno, la corsa che segu&igrave; quella di Donington: trionfai con facilit&agrave;, dando il 90% e non il 100%. Non mi fece sentire del tutto appagato: a me piaceva dover lottare. Sempre quell&rsquo;anno, in Austria finii terzo con un grandissimo ultimo giro: avevo parecchi metri di ritardo da Barros. Lui commise qualche errore e io riuscii a raggiungerlo, infilarlo e salire sul podio. Ero raggiante&rdquo;. Correvate a Salisburgo: in uscita dalla prima &ldquo;esse&rdquo; a volte prendevi il cordolo e saltavi, con la YZR imbizzarrita: da vedere era parecchio spettacolare. &ldquo;Ma non era la cosa pi&ugrave; intelligente da fare: quando salti con una moto da GP rischi che la catena si spezzi oppure puoi provocare altri danni. Un paio di volte persi anche l&rsquo;appoggio del piede dalla pedana. Per&ograve; era divertente&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Wayne Rainey: l'incidente di Misano, le 500  A Misano, quell&rsquo;anno, hai subito l&rsquo;incidente che ha messo fine alla tua carriera: hai anche ricordi belli di quel tracciato? &ldquo;I curvoni a sinistra in accelerazione fra la curva del Carro e il Tramonto, certo, quando Misano si percorreva in senso antiorario: erano i pi&ugrave; belli dell&rsquo;intero calendario. Tre, ma si affrontavano come un&rsquo;unica grande svolta, infilando le marce senza tirarle al massimo e arrivando all&rsquo;ultima curva in quinta, a quel punto con il regime dei giri oltre il punto di massima coppia. Cos&igrave;, se dietro slittava, sapevi che non avrebbe riservato sorprese, come invece sarebbe accaduto con l&rsquo;arrivo di ancora pi&ugrave; potenza&rdquo;. Aprire il gas con quelle moto era come accendere una miccia? &ldquo;La parte in assoluto pi&ugrave; delicata era l&rsquo;inizio dell&rsquo;apertura, rispetto alla quale ero sempre molto concentrato: era il momento pi&ugrave; rischioso. Si lavorava parecchio anche sulla carburazione, per evitare comportamenti troppo bruschi o imprevisti nell&rsquo;erogazione. A Laguna Seca, per esempio, si usavano rapporti corti ed era difficile anche tenere la moto gi&ugrave; davanti. Tendeva a impennarsi molto. Anche gli high side erano facili. In un giro tenevamo il gas aperto del tutto per il 27% del tempo, mi pare. Con le MotoGP, e con l&rsquo;elettronica a gestire le cose, mi hanno detto che quel tempo &egrave; salito al 67%&rdquo;. La tua Yamaha: la moto migliore del lotto? &ldquo;Dal mio punto di vista no. Il fatto &egrave; che non si lavorava abbastanza sullo sviluppo, rispetto agli avversari. La conseguenza &egrave; che alla fine chi doveva fare la differenza era il pilota, cio&egrave; io. E quel peso, sulle mie spalle, si faceva sentire eccome. Nel 1992 arrivai a giocarmi il titolo all&rsquo;ultima gara senza pi&ugrave; ricambi. Un pasticcio, potenzialmente, perch&eacute; avevamo lavorato sull&rsquo;ordine degli scoppi del nostro quattro cilindri e ci&ograve; comportava maggiori sollecitazioni per l&rsquo;albero motore e il cambio. A volte qualche pezzo si rompeva e andava sostituito. Per fortuna and&ograve; bene&rdquo;. Un bel brivido. &ldquo;Da una parte, al rischio ero abituato da sempre, perch&eacute; mio padre, gi&agrave; quando ero piccolo, mi aveva portato verso scelte controcorrente. Se tutti correvano con le Yamaha 90 cm&sup3;, noi ci compravamo una Suzuki. Se era la Honda ad andare per la maggiore, noi optavamo per una Bultaco. Abbiamo sempre fatto le cose a modo nostro, distinguendoci. Ci piaceva, quel genere di sfida: vincere con ci&ograve; che gli altri avevano scartato&rdquo;. Da professionista, per&ograve;, immagino ci fossero pi&ugrave; pressioni e maggiore stress. &ldquo;Dipende da come prendi le cose. Quando la mia carriera &egrave; finita, una parte di me ha pensato: finalmente! Le corse sono state tutto per me, la mia vita, ci&ograve; che ero. Se non avessi avuto l&rsquo;incidente di Misano, nel 1993, penso che avrei continuato per almeno un paio d&rsquo;anni. Ma il fatto &egrave; che volevo sempre vincere: secondo o terzo non mi interessava. E se non riuscivo a vincere, non mi davo pace. Probabilmente &egrave; stato un errore, perch&eacute; occorre accettare il fatto di non poter finire sempre primi. Per&ograve;, quando sei nel bel mezzo di una bagarre, nella tua bolla mentale, &egrave; difficile fare questi ragionamenti. A ogni modo, forse avrei dovuto essere un po&rsquo; meno radicale, per vivere meglio le corse. L&rsquo;ho capito dopo aver smesso&rdquo;. Calendario MotoGP 2023       

La leggenda del Motomondiale in esclusiva: "Le corse sono state tutto per me, la mia vita, ci&ograve; che ero"

Wayne Rainey: "Senza vittorie, non mi davo pace" | Storie Sprint

        La copertina Motosprint numero 50 &egrave; dedicata a Kevin Schwantz. In un&rsquo;intervista esclusiva al nostro giornale, il campione iridato della classe 500 cc con la Suzuki, diventato icona del motociclismo degli anni 90 grazie ai suoi memorabili duelli con Wayne Rainey, Mick Doohan e John Kocinski, ha parlato a tutto tondo del periodo che l&rsquo;ha portato sul tetto del mondo in sella alla RGV 500 &ldquo;targata&rdquo; Lucky Strike. Spazio anche ai ricordi dei suoi rivali pi&ugrave; difficili da battere (uno su tutti, proprio il suo avversario storico Rainey, sfortunato protagonista della caduta a Misano che gli fece dire addio alla carriera) e dei piloti ai quali avrebbe &ldquo;preso&rdquo; volentieri qualche talento. Come, ad esempio, Max Biaggi, del quale Schwantz ha invidiato lo stile di guida pulito ed efficace. Poster doppio dedicato a Schwantz e i pagelloni Superbike  Allegato al prossimo numero di Motosprint anche un poster doppio, dedicato proprio a Schwantz: da un lato, Kevin in azione con la moto con cui vinse il titolo mondiale nel 1993, dall&rsquo;altro sempre il texano con la RGV sponsorizzata Pepsi della stagione 1989, una delle prime che lo consacr&ograve; tra i &ldquo;grandi&rdquo; della mezzo litro. Ma su Motosprint 50 si parla anche della KTM MotoGP e dei suoi obiettivi per il 2023, della Superbike con il &ldquo;pagellone&rdquo; di fine anno, dell&rsquo;addio della Clinica Mobile e poi del Trofeo Motoestate, di tecnica, cross, dei FIM Awards andati in scena a Rimini e della prova su strada della BMW M 1000 R. In edicola, da marted&igrave; 13 dicembre.       

Il texano, campione del mondo della 500 con la Suzuki nel 1993, &egrave; protagonista di un&rsquo;intervista a 360 gradi sulla sua carriera, i rivali e il periodo d&rsquo;oro dei piloti statunitensi nel Motomondiale. Sul prossimo numero di Motosprint c&rsquo;&egrave; anche il poster doppio a lui dedicato

Motosprint 50 in edicola con Kevin Schwantz e il poster doppio

        Non &egrave; certamente una novit&agrave; vedere Wayne Rainey nel &ldquo;suo&rdquo; MotoAmerica, ma in occasione dell'appuntamento sullo spettacolare circuito di Laguna Seca, teatro in questo weekend del sesto round stagionale per la Superbike americana, sono tante le special guest presenti nel paddock per uno degli eventi pi&ugrave; sentiti dell'anno. Oltre all'organizzatore del campionato, infatti, sul tracciato californiano sono presenti anche il quattro volte iridato della 500 Eddie Lawson, il tre volte campione Kenny Roberts e l'icona dell'AMA Superbike Wayne &ldquo;Bubba&rdquo; Shobert, vincitore della massima serie a stelle e strisce nel 1988 ed ex pilota del Motomondiale. I road racers tornano sull'Isola di Man: tutto pronto per la Southern 100 Grande successo per la &ldquo;Rainey Ride to the Races&rdquo;  Oltre alle quattro leggende che hanno dato vita ad un divertente siparietto effettuando un giro di pista con un golf kart rispondendo alle domande dei fan, nella giornata di venerd&igrave; si &egrave; svolta anche la Rainey Ride to the Races. Si &egrave; trattato di un giro in moto a Monterey concluso con due giri del circuito di Laguna Seca, a cui hanno partecipato 35 centauri e il cui ricavato &egrave; andato alla Roadracing World Action Fund, associazione no-profit che si occupa della promozione della sicurezza nelle gare in moto. Un ottimo modo per iniziare un weekend ricco di gare, che vedr&agrave; impegnati anche gli italiani Danilo Petrucci ed Edoardo Mazzuoli, rispettivamente in Superbike e Twins Cup. Sondaggio: come potrebbe trovarsi Razgatlioglu su una MotoGP?       

Rainey, Lawson, Roberts e "Bubba" Shobert sono presenti sul celebre tracciato californiano, teatro anche della seconda edizione della "Rainey Ride to the Races"

MotoAmerica: grandi leggende nel paddock di Laguna Seca

        Wayne Rainey is ready to live out another dream. The former rider will take part in this year&rsquo;s Goodwood Festival of Speed and will do so with his Yamaha YZR500, the very bike with which he won the 1992 world championship, almost three decades after the terrible accident that left him paralysed from the chest down. The return of a legend  The Goodwood Festival of Speed has been the stage for many unforgettable moments and the news about Wayne Rainey&rsquo;s attendance will go down as yet another historic moment. The three-time 500 world champion will make his Goodwood Festival debut aboard his Yamaha YZR500. A brief, but intense, experience that will see the American back on a race bike for the first time since the incident at the 1993 Italian GP, which put an end to his career. This is not only a momentous event for the event organisers but also for Wayne himself, who comments: &ldquo;I&rsquo;m incredibly excited to not only be attending my first Goodwood Festival of Speed this summer, but to be riding my 1992 Yamaha YZR500 up the famous hillclimb&rdquo;, he said. &ldquo;It&rsquo;s truly a once-in-a-lifetime opportunity and one that I just couldn&rsquo;t pass up. I want to thank the Yamaha Motor Company for preparing my 1992 YZR500 and adapting it for me to ride, MotoAmerica for helping make the entire project fly, and The Duke of Richmond for really making this a reality. I can&rsquo;t wait to meet the fans who come from all over the world for the Goodwood Festival of Speed.&rdquo; Jarvis: &ldquo;Proud to support Wayne make his dream come true&rdquo;  Yamaha managing director Lin Jarvis also had positive things to say on the event&rsquo;s official website: "The Goodwood Festival of Speed is an amazing event that is a showcase for two and four-wheel motorsports legends &ndash; both human and mechanical. Wayne Rainey is a true motorcycle racing legend who achieved three 500cc World Titles with Yamaha before his career-ending accident and injury. The thought of Wayne riding the legendary 1992 Factory YZR500 bike that he rode to his final championship victory is something truly amazing that I for one never imagined could be possible. I know it will mean so much to Wayne, and it will be something truly special for all the fans at Goodwood and all around the world. We are proud to be able to support Wayne make his dream come true.&rdquo; Translated by Heather Watson MotoGP 2022: Livio Suppo, Suzuki&rsquo;s trump card       

An unmissable event, the American will ride the Yamaha with which he was crowned 1992 world champion in the 500 class

Wayne Rainey at the 2022 Goodwood Festival of Speed with his YZR500

Salendo la scala dell&rsquo;aereo che lo avrebbe portato da Los Angeles a Londra, Wayne Rainey sapeva benissimo come quel viaggio dalla California all&rsquo;Europa sarebbe stato l&rsquo;ultimo concessogli da Kenny Roberts.  Tra i due connazionali vigevano stima e rispetto, ma al Marziano non era affatto piaciuto il rendimento offerto dal pi&ugrave; giovane nella stagione iridata 1984 spesa assieme in 250, classe intermedia dei Gran Premi in cui l&rsquo;allora ventitreenne pilota del Team Marlboro Yamaha collezion&ograve; un solo podio, con il terzo posto colto a Misano Adriatico.  La delusione reciproca fu enorme, perlopi&ugrave; palesata da Roberts, che risped&igrave; a casa l&rsquo;allievo. Ma dato che proprio Kenny ne conosceva meglio di tutti le doti, fu per mano sua che avvenne la richiamata alle armi. Ecco perch&eacute; Wayne, a fine 1987, stava decollando verso un&rsquo;occasione assolutamente da cogliere... al volo.  Mauro Noccioli: &quot;Io, l&#39;Aprilia 250: ho visto cose che voi umani...&quot;  La scelta di King Kenny     In quella seconda chance, come si pu&ograve; evincere, responsabilit&agrave; e aspettative raddoppiarono. Esattamente come la cubatura e il numero di cilindri montati sulla YZR 500 quattro cilindri. Perch&eacute; King Kenny punt&ograve; nuovamente su Rainey? Il vivaio, anzi, l&rsquo;allevamento di giovani corridori creato nel ranch di Modesto vantava &ldquo;pony&rdquo; pronti a rivelarsi come purosangue. C&rsquo;era giusto l&rsquo;imbarazzo della scelta: &ldquo;Lo so, ma penso che Wayne sia la scelta migliore. Si &egrave; allenato duramente, ha guidato motociclette di grossa cilindrata, potenti e selettive. Adesso &egrave; il momento di portarlo nella classe regina&rdquo;. La spiegazione del manager lasci&ograve; immediatamente spazio ai riscontri della pista.  Tornato nel Vecchio Continente a 27 anni appena compiuti, il debuttante di categoria non ebbe nemmeno il tempo di riambientarsi. Immediatamente test, prove, collaudi. Lavoro. Le esigenze imposte dalla mezzo litro e la lista di grandi avversari non lasciavano tempo ai giochi: &quot;Cominciammo prestissimo a girare&quot; ha ricordato pi&ugrave; volte Wayne. &ldquo;Perch&eacute; io dovevo capire la moto e come farla andare. Gettarsi nella mischia senza riferimenti si sarebbe rivelata vera follia&rdquo;. I giornalisti definirono &ldquo;folle&rdquo; la scommessa di Roberts. Perch&eacute;, per sostituire un Randy Mamola ingolosito dai miliardi Cagiva, non prendere un pilota gi&agrave; esperto, togliendolo a Honda o Suzuki? Magari Wayne Gardner. Niente affatto: &ldquo;Il nostro Wayne lo abbiamo nel garage&rdquo; precis&ograve; Roberts. &ldquo;Perci&ograve; sar&agrave; lui a vincere il titolo&rdquo;. Presosi del pazzo (e non era la prima volta), King Kenny si mise in testa il berretto Lucky Strike, sponsor che appoggiava la squadra pi&ugrave; ambiziosa del paddock, desiderosa di meritarsi la fiducia riposta dalla Phillip Morris, budget costituito da sonanti dollari incluso.  Tre mondiali     Il concetto che fondava il progetto prevedeva &ndash; e auspicava &ndash; almeno un successo di tappa nel primo campionato, il 1988. Missione compiuta da Rainey, a Donington, con tanto di sei podi aggiuntivi. L&rsquo;anno dopo, le tre vittorie regalarono il secondo posto finale: &ldquo;Cio&egrave;, il primo dei perdenti&rdquo; la massima epocale di Kenny, a intimare il definitivo salto di qualit&agrave;, compiuto nel 1990. Con le gomme Michelin e un nuovo sponsor tabaccaio (Marlboro) a testimoniare lo status di team ufficiale Yamaha, il numero 2 riusciva a far derapare a suo piacimento la ruota posteriore. Rainey fu pressoch&eacute; l&rsquo;unico top rider a rimanere lontano dagli infortuni, e mise assieme sette primi posti, cinque secondi e due terzi. Elencato cos&igrave;, il rendimento del duo biancorosso americano (Rainey-Roberts) sembrerebbe un menu, in realt&agrave; parliamo del piatto ricco condiviso, per bocconi amari ingoiati dalla concorrenza. La Yamaha torn&ograve; in vetta al Motomondiale, King Kenny fece doppietta grazie a John Kocinski, affermatosi nella quarto di litro.  Quel doppio alloro fu foriero di ulteriori affermazioni. Tra le stagioni 1991 e 1992, Rainey si conferm&ograve; campione con nove vittorie di tappa, garantendo una continuit&agrave; sconosciuta a tutti. E dire che l&rsquo;avanti-indietro tra gomme Dunlop-Michelin avrebbe potuto mettere in crisi il californiano. In realt&agrave; le Dunlop, ritenute dai pi&ugrave; davvero estreme e meno sicure, addirittura esaltarono lo stile da cowboy, affinato in ore di allenamento nel Dirt Track: &ldquo;Soltanto cos&igrave; &egrave; possibile portare al vero limite la 500. Ci provano in tanti e diversamente, ma &egrave; impossibile. Wayne ha compreso quanto sia importante instaurare pieno feeling tra polso destro, fondoschiena, pneumatici e testa. S&igrave;, lui &egrave; forte anche di testa&rdquo; disse Roberts. Vero, altrimenti nel &lsquo;92 non sarebbe rimasto all&rsquo;interno di un campionato che sembrava di Mick Doohan, facendosi trovare pronto per sfruttare l&rsquo;occasione data dal gravissimo incidente dell&rsquo;australiano ad Assen.  Tre titoli furono molto pi&ugrave; che sufficienti per trasformare Rainey in una scommessa vinta. Gli scettici abbassarono lo sguardo di fronte ai successi di un pilota mite, pacato nei modi e scatenato in sella. E lo fecero in pista Doohan, Eddie Lawson, gli stessi Kocinski e Kevin Schwantz, spesso sconfitti.  Misano, inizio e fine     Ma Rainey stava per andare incontro a un incredibile destino. Proprio dove ottenne il primo podio iridato, il numero 1 del Motomondiale usc&igrave; di scena nel peggiore dei modi. Il tre volte campione stava comandando il GP Italia 1993, con il compagno Luca Cadalora a coprirgli le spalle. Vincendo, Rainey avrebbe ipotecato il quarto titolo. E invece un colpo di gas, forse troppo lesto e deciso. Un colpo sui cordoli &ndash; di quella che ai tempi era la prima curva del Santamonica e oggi &egrave; l&rsquo;ultima del Marco Simoncelli &ndash; sicuramente esagerato e determinante. Wayne non si rialz&ograve; pi&ugrave;, perlomeno fisicamente.  Il Re della 500 e simbolo della Casa di Iwata lasci&ograve; malamente le competizioni professionistiche, volando in elicottero verso l&rsquo;ospedale pi&ugrave; vicino. Due viaggi nel cielo contraddistinsero la prestigiosa carriera dell&rsquo;americano, da casa al Mondiale, dal tetto del Mondo alle proprie radici. Per tutto l&rsquo;ambiente e per il motociclismo internazionale fu una pesante perdita, in particolar modo ne risent&igrave; Kenny Roberts, mai pi&ugrave; titolato da allora. Anche la Yamaha ebbe bisogno di tempo, un decennio, per riprendersi e riorganizzarsi, non prima dell&rsquo;avvento di Valentino Rossi, il quale riport&ograve; i tre diapason al vertice della top class, divenuta MotoGP a quattro tempi. Un degno successore di Rainey, che anche dopo aver perso l&rsquo;uso delle gambe &egrave; tornato in moto, commuovendo il Mondo a fine 2019. Ma anche senza guidare, Wayne ha saputo lasciare la firma, ridestando il vivaio USA alla guida del MotoAmerica. Perch&eacute; la classe non &egrave; acqua.  Esclusiva, Agostini: &quot;La Yamaha &egrave; stata come una famiglia per me&quot; 

L&#39;allievo di Roberts vinse tre titoli mondiali 500 con la Casa di Iwata e il quarto era a un passo, ma la sua carriera termin&ograve; con il terribile incidente di Misano

Yamaha Mondiale: Wayne Rainey, numero uno fino alla fine

        Wayne Rainey &egrave; pronto a coronare un nuovo sogno. L'ex pilota di L.A. prender&agrave; parte quest'anno al Goodwood Festival of Speed e lo far&agrave; con la sua Yamaha YZR500 vincitrice del campionato del Mondo del 1992, quasi tre decenni dopo il terribile incidente che lo ha lasciato paralizzato dal petto in gi&ugrave;. Il ritorno della leggenda  Il Goodwood Festival of Speed &egrave; stato a lungo la casa di momenti indimenticabili, ed ecco che la notizia della presenza di Wayne Rainey rester&agrave; un altro dei tanti momenti storici. Il tre volte campione del mondo di motociclismo classe 500cc far&agrave; il suo debutto al Goodwood Festival tornando in sella alla sua Yamaha YZR500. Per lui, sar&agrave; uno dei brevi, ma intensi ritorni in sella ad una moto da corsa dall'incidente nel Gran Premio d'Italia del 1993, che mise fine alla sua carriera. E non solo da parte degli organizzatori dell'evento, ma anche da parte dello stesso Wayne, l'enstusiasmo &egrave; alle stelle: &ldquo;Sono incredibilmente felice &ndash; ha detto - non solo di partecipare al mio primo Goodwood Festival of Speed??quest'estate, ma di guidare la mia Yamaha YZR500 su per la famosa cronoscalata. &Egrave; davvero un'opportunit&agrave; irripetibile che non potevo lasciarmi sfuggire. Voglio ringraziare la Yamaha Motor Company per aver preparato la mia YZR500 e averla adattata alla mia guida, MotoAmerica per aver contribuito a far volare l'intero progetto e The Duke of Richmond per averlo reso realt&agrave;. Non vedo l'ora di incontrare i fan che verranno da tutto il mondo per il Goodwood Festival of Speed". Jarvis: &ldquo;Felici di supportare Wayne nella realizzazione di un sogno&rdquo;  A parlare di questa straordinaria apparizione &egrave; stato anche Lin Jarvis, amministratore delegato Yamaha che si &egrave; espresso attraverso il sito dell'organizzazione dell'evento: "Il Goodwood Festival of Speed ?&egrave; un evento straordinario, una vetrina per le leggende degli sport motoristici a due e quattro ruote. Wayne Rainey &egrave; una vera leggenda delle corse motociclistiche che ha ottenuto tre titoli mondiali nella 500 cc con la Yamaha prima del suo incidente e infortunio che ha posto fine alla sua carriera. Il pensiero di Wayne in sella alla leggendaria Factory YZR del 1992 che ha portato alla sua ultima vittoria in campionato &egrave; qualcosa di veramente sorprendente che non avrei mai immaginato potesse essere possibile. So che significher&agrave; cos&igrave; tanto per Wayne e sar&agrave; qualcosa di veramente speciale per tutti i fan di Goodwood e di tutto il mondo. Siamo orgogliosi di poter supportare Wayne nella realizzazione del suo sogno&rdquo;. Prove amarcord: il ruggito della Gilera 250 di Marco Simoncelli       

Sar&agrave; un evento imperdibile, il pilota americano torner&agrave; a guidare la Yamaha che lo ha visto Campione del Mondo nel 1992 nella classe 500cc

Wayne Rainey al Goodwood Festival of Speed 2022, con la sua YZR500

        Per il suo debutto alla guida del Motomondiale, la Dorna non poteva augurarsi di meglio: due Mondiali decisi all&rsquo;ultima gara, con il titolo assegnato a piloti che soltanto poche settimane prima, complici infortuni, apparivano fuori dai giochi. Nella 125, il titolo dello stoico Alessandro Gramigni (nella foto a destra) ebbe connotati storici, perch&eacute; fu il primo per l&rsquo;Aprilia nel Motomondiale. Mentre in 500, Wayne Rainey ebbe la meglio su Mick Doohan. Per l&rsquo;ultima volta. I tre successi di Fausto Gresini a Misano L'ultimo titolo di Wayne  Rainey centr&ograve; l&rsquo;ultimo alloro della carriera in extremis, in Sud Africa. La stagione della 500 fu falcidiata da gravi infortuni: nel caso del californiano del Team Roberts avvenne nella off-season precedente, nei test in Malesia, ma a pesare maggiormente fu l&rsquo;incidente di Doohan nelle prove ad Assen, dove l&rsquo;australiano si frattur&ograve; della gamba destra, rischiando l&rsquo;amputazione dell&rsquo;arto e, peggio ancora, la vita. Pure in quel caso, le cure del Dottor Costa si rivelarono fondamentali, per&ograve; saltando quattro GP l&rsquo;australiano perse il treno: &ldquo;Mi dispiacque tanto per Mick &ndash; disse Rainey &ndash; perch&eacute; volevo giocarmi il titolo sul campo. Anch&rsquo;io ebbi i miei problemi e dovetti fermarmi&rdquo;. Quelle mezzo litro erano bestie feroci. Con circa 115 chili di peso, 180 cavalli di potenza e un&rsquo;erogazione aggressiva, le cadute dovevano essere messe in conto. Rainey e Doohan duellarono sino alla Catalunya, dove trionf&ograve; Wayne, poi si divisero: &ldquo;Mick aveva vinto i primi quattro GP, contro il mio solo successo di Barcellona. Ottenni dei podi, ma non ero in forma. I secondi posti mi lasciarono in corsa&rdquo;. I piazzamenti consentirono al pilota Yamaha di provare a mantenere il contatto con il rivale della Honda, ma a Hockenheim, Rainey cadde malamente in prova. E dopo aver dovuto gettare la spugna in gara, decise di tornare in patria per farsi curare, accettando di saltare il GP Olanda, perch&eacute; Doohan, a +65 in classifica, sembrava irraggiungibile.  E invece, ecco l&rsquo;episodio che segn&ograve; la carriera di Doohan, che in Olanda fin&igrave; all&rsquo;ospedale e inizi&ograve; un lungo calvario. Rainey segu&igrave; la vicenda da casa, davanti alla TV, poi torn&ograve; in azione all&rsquo;Hungaroring, dove la Cagiva vinse la sua prima gara grazie a Eddie Lawson. Considerando le affermazioni di Kevin Schwantz e Alex Criville al Mugello ed Assen, divenne un Mondiale che nessuno voleva conquistare. Wayne a parte: &ldquo;A Le Mans ritrovai un buon rendimento &ndash; spieg&ograve; &ndash; infatti, arrivai davanti a tutti. A Donington, Wayne Gardner mi freg&ograve;, io mi riscattai a Interlagos&rdquo;. Proprio quando rientr&ograve; un magrissimo e pallido Mick, che si spostava con stampelle e aiuti. Rainey vinse, Mick limit&ograve; i danni, ma il 12&deg; posto non assegnava punti. La contesa si risolse a Kyalami, pista congeniale a John Kocinski, che firm&ograve; la prima affermazione in 500 nel giorno dell&rsquo;addio alle corse di Lawson e Gardner: &ldquo;Un terzo posto fu sufficiente per il terzo titolo &ndash; Wayne riassunse quel weekend &ndash; mentre Doohan fece sesto&rdquo;. L&rsquo;americano vide il proprio nome nell&rsquo;albo d&rsquo;oro per l&rsquo;ultima volta, prima del dramma di Misano che sanc&igrave; la fine agonistica. Invece, per l&rsquo;australiano il meglio doveva ancora arrivare: &ldquo;In Sud Africa dissi all&rsquo;HRC che non volevo giochi di squadra &ndash; la confessione di Doohan &ndash; se avessi fatto mio il titolo 1992, mi sarei poi ritirato, perch&eacute; le sofferenze patite erano state troppe. Per fortuna, non vinsi io. Perdere per soltanto quatto punti mi diede la motivazione per riscattarmi nel migliore dei modi&rdquo;. Diventando campione per cinque volte consecutive, dal 1994 al 1998. La storica affermazione di Gramigni  Aveva 23 anni ai tempi, Gramigni, e affrontava il suo terzo Mondiale difendendo i colori Aprilia. Podi e vittorie di tappa, il pilota toscano gi&agrave; li conosceva. Secondo in Svezia e terzo in Ungheria nel 1990, stagione conclusa in nona posizione. L&rsquo;anno dopo si piazz&ograve; meglio, settimo, con la soddisfazione di aver battuto tutti in Cecoslovacchia, nel giorno della certezza matematica del secondo titolo di Loris Capirossi. Il toscano, forse, pens&ograve; al buon auspicio del passaggio di consegne, dato che l&rsquo;imolese preparava il salto in 250. Il 1992 cominci&ograve; un sesto posto a Suzuka, il secondo a Eastern Creek e la vittoria a Shah Alam. Poi, l&rsquo;incidente, non tra i cordoli, bens&igrave; sui colli fiorentini. Quell&rsquo;episodio, grave, viene oggi ricordato da Gramigni.  &ldquo;Stavo tornando dal Mugello, andai in circuito a provare bellissime auto, mi ero divertito ma, nella strada verso casa, impattai con la mia moto da Enduro contro una macchina che sopraggiungeva dalla parte opposta. Mi ruppi tibia e perone della gamba sinistra, con interessamento ai tendini del piede. Era il primo maggio, comandavo il Mondiale e dovetti saltare Jerez&rdquo;. Stringendo i denti, il numero 39 torn&ograve; alle corse, indovinate dove... &ldquo;Al Mugello, chiaramente &ndash; sorride &ndash; ma non ero in forma. Passarono soltanto 17 giorni dal fattaccio e avevo chiodo e viti nella gamba. Il Dottor Costa e la Clinica Mobile mi seguirono bene, gareggiai con il cambio a destra, poi lo rimisi a sinistra&rdquo;. Il futuro campione realizz&ograve; che l&rsquo;impresa era possibile: &ldquo;Grazie al lavoro del team, colmai le lacune di una moto non sempre competitiva. Io non ero al 100% e la guida ne risent&igrave; parecchio: la saponetta sinistra non si consum&ograve; mai del tutto&rdquo;. Eppure, arrivarono un podio in Olanda e un clamoroso successo in Ungheria. Seguirono il 5&deg; posto di Le Mans, il secondo a Donington, sino alla doppia trasferta tra Brasile e Sud Africa, mentre le Honda si toglievano punti, con l&rsquo;alternanza di successi tra Fausto Gresini, Ralf Waldmann ed Ezio Gianola, vincitori di otto delle tredici gare: &ldquo;A Interlagos salii sul gradino pi&ugrave; basso del podio, idem a Kyalami, dove avvenne un episodio particolare: mi accordai con Jorge Martinez, chiedendogli di aiutarmi. In cambio, lo avrei fatto passare in gara. Non ne ebbi bisogno (il rivale per il titolo Gresini non riusc&igrave; a rimanere con i primi, ndr), ma feci passare Jorge lo stesso. Soltanto che ne approfitt&ograve; pure Carlos Gir&oacute;, ma il 3&deg; posto bast&ograve; per diventare campione. Diedi all&rsquo;Aprilia il suo primo titolo, mi resi conto pi&ugrave; avanti di quanto fosse importante quel traguardo&rdquo;. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring       

Le rimonte del toscano in 125 e del californiano nella 500 caratterizzarono un Mondiale storico. Il 1992 ricco di colpi di scena coincise con il debutto della gestione-Dorna, il primo titolo dell&rsquo;Aprilia e il grave incidente di Doohan, che ricorda: "Se avessi battuto Rainey, mi sarei ritirato subito..."

Duelli da leggenda: le imprese di Gramigni e Rainey nel 1992

L&#39;AMA ha detto &quot;s&igrave;&quot;: l&#39;Aprilia RS 660 ha soddisfatto le prove di omolgazione vigenti nel territorio Nord Americano e potr&agrave; cos&igrave; correre nella Twins Cup, categoria compresa nel programma MotoAmerica, il campionato voluto, organizzato e patrocinato da Wayne Rainey.  Dal primo round, previsto a Road Atlanta nei giorni 30 aprile, uno e due maggio, la bicilindrica veneta dovr&agrave; rispettare tabelle che prevedono le caratteristiche elencate qui sotto.  - I cilindri devono essere quelli originariamente montati e omologati senza alcuna modifica  - I pistoni devono essere quelli originariamente montati e omologati senza alcuna modifica  - Le fasce elastiche devono essere la parte originariamente montata e omologata senza alcuna modifica. Tutti i segmenti del pistone devono essere montati  - I perni e le clip del pistone devono essere la parte originariamente montata e omologata senza alcuna modifica  - Le bielle devono essere la parte originariamente montata e omologata senza alcuna modifica. I bulloni dello stelo sono gratuiti  - Il rivestimento del cilindro &egrave; gratuito  La soddisfazione di Wayne Rainey e le rivali di Aprilia   Pi&ugrave; Marchi si hanno, meglio &egrave;. Quando si parla di Aprilia, la soddisfazione &egrave; doppia: &quot;Siamo entusiasti di avere l&#39;Aprilia RS 600 nella nostra Twins Cup - le parole del californiano - il nostro dipartimento tecnico ha lavorato sodo per garantirne l&#39;accesso, per una categoria dai livelli bilanciati. Sar&agrave; una stagione fantastica, tutta da guardare&quot;.  La neonata di Noale dovr&agrave; vedersela con Case gi&agrave; presenti ed agguerriti sul suolo statunitense. C&#39;&egrave; la Suzuki SV650, presente pure la Yamaha MT-07. In 32 corse consumate nella Twins Cup, Suzuki se ne &egrave; aggiudicate 20, Yamaha 10, Ducati 2. Per Hamamatsu, tre vincitori consecutivi dal 2018 al 2020: Chris Parrish, Alex Dumas e Rocco Landers.  Maria Herrera ancora al via della Supersport 600&nbsp;  &nbsp; 

La nuova RS 600 ha soddisfatto i requisiti di omolagazione dell&#39;AMA e potr&agrave; correre nella Twins Cup, categoria appartenente al campionato del tre volte iridato 500

Motoamerica, Wayne Rainey &quot;d&agrave; il benvenuto&quot; ad Aprilia

L&rsquo;esperimento durante il round di Laguna Seca della scorsa stagione ha convinto, dunque avanti tutta. Parliamo della &ldquo;King of the baggers&rdquo;, categoria dedicata a moto custom e cruiser, dotate degli stessi componenti ed accessori (valigie, pedane basse ecc.) delle moto vendute in tutte le concessionarie, che dall&rsquo;anno prossimo sar&agrave; parte integrante dell&rsquo;universo Motoamerica.  Come detto l&rsquo;anno scorso nella terra del cavatappi vi fu un primo test di questa innovativa iniziativa, con una singola gara alla quale presero parte anche nomi come Ben Bostrom e Tyler O&rsquo;Hara, ma nella prossima stagione le gare saranno ben cinque, e formeranno un vero e proprio campionato, che si disputer&agrave; ovviamente all&rsquo;interno dei weekend di gara del Motoamerica. Ovviamente ogni gara assegner&agrave; punti, ed a fine anno verr&agrave; incoronato il primo &ldquo;King of the baggers&rdquo;.  Rainey: &ldquo;Il successo del debutto ci ha convinto a sviluppare il progetto&rdquo;   Il primo appuntamento della nuova categoria &egrave; fissato per il weekend del 2 maggio a Road Atlanta, in occasione del secondo round della stagione 2021 del Motoamerica, che scatter&agrave; invece a met&agrave; aprile ad Austin. Successivamente sar&agrave; la volta di Road Atlanta, Laguna Seca e Pittsburgh, mentre il gran finale avverr&agrave; al Barber Motosport Park, ultimo appuntamento anche per il Motoamerica.  &ldquo;Il debutto della categoria a Laguna Seca &egrave; andato oltre le pi&ugrave; rosee aspettative - racconta il presidente del Motoamerica Wayne Rainey &ndash; quindi lo sviluppo del progetto &egrave; stato naturale. Ci sono tanti appassionati di questa tipologia di moto, cos&igrave; abbiamo deciso di portare lo spettacolo in ben cinque dei circuiti presenti in calendario, aprendo la porta a tutti i piloti e le squadre che vorranno partecipare&rdquo;.  Il MotoAmerica attende (ancora) Lorenzo Zanetti su Ducati 

Dopo il successo del primo esperimento del 2020 a Laguna Seca, le moto custom e cruiser avranno il loro campionato, con cinque round ed un campione da incoronare. Rainey: &quot;Abbiamo accontentato i fan&quot;

Motoamerica: potere alle Harley, nasce la categoria &quot;king of the baggers&quot;

Wayne Rainey e Kevin Schwantz: due nomi leggendari, entrati nella storia del Motomondiale e che sanno suscitare emozioni negli appassionati di tutto il mondo anche a distanza di molti anni.&nbsp;  In pista non si sono mai risparmiati - chi non ricorda l&#39;incredibile duello all&#39;ultimo giro tra Wayne e Kevin a Hockenheim nel 1991? - e lo stesso Rainey ha ripercorso i momenti di quella grande sfida in un&#39;intervista al podcast MotoStarr.  Rivalit&agrave; seria   &quot;La rivalit&agrave; tra me e Kevin era piuttosto seria. Volevo essere il campione AMA Superbike, Kevin era appena entrato in scena ed era amico del mio compagno di squadra Fred Merkel. All&#39;epoca non andavamo d&#39;accordo, quindi &egrave; stata una battaglia dentro e fuori la pista&quot;, ha ricordato l&#39;ex pilota americano ripensando agli albori del loro duello, quando ancora correvano negli Stati Uniti.   Dopo il titolo vinto nella Superbike americana nella stagione 1983, per Rainey arriv&ograve; il momento di debuttare nel Motomondiale. Nel 1984 esord&igrave; nella classe 250, trovando poca fortuna. Decise cos&igrave; di tornare in patria, dove nel 1987 esplose la rivalit&agrave; con Schwantz.  &quot;Nel 1986 penso di aver vinto 9 delle 11 gare previste, ma Fred Merkel fin&igrave; per vincere il campionato perch&eacute; avevo sub&igrave;to un paio di cadute. L&#39;anno successivo, nel 1987, &nbsp;Kevin Schwantz divenne mio compagno di squadra e c&#39;era un accordo secondo cui se un pilota avesse vinto tutte le gare avrebbe ottenuto un premio in denaro. Quando Kevin vinse gi&agrave; alla prima gara, non volevo che avesse la possibilit&agrave; di ottenerlo, cos&igrave; al secondo GP abbiamo messo su uno spettacolo piuttosto bello... &Egrave; qui che inizi&ograve; davvero la rivalit&agrave;&quot;&nbsp;.  Avere&nbsp;un rivale da sconfiggere &egrave; sempre una grande motivazione per un pilota e lo stesso principio vale per Rainey: &quot;Schwantz &egrave; stata la mia motivazione per vincere tutto quello che ho vinto&quot;, ha ammesso il tre volte campione del mondo 500.&nbsp;  Il riavvicinamento dopo Misano 1993     La carriera di Rainey si interruppe in quel maledetto 5 settembre 1993, quando a Misano cadde in gara rompendosi la spina dorsale. Un evento sfortunatissimo, ma che fu l&#39;occasione per ricomporre i rapporti con Kevin.&nbsp;  &quot;Penso che quello sia stato l&#39;anno in cui abbiamo allentato la nostra rivalit&agrave;&quot;, ha ricordato Wayne.&nbsp;  Alla fine di quella stagione fu proprio Schwantz a vincere il titolo mondiale della 500, prima di ritirarsi nel 1995.  Che fine ha fatto: Alex Barros 

Il tre volte campione del mondo della classe regina ha ripercorso alcuni momenti dei suoi duelli contro il rivale texano

Rainey: &ldquo;La rivalit&agrave; con Schwantz fu la mia motivazione&rdquo;

Marc Marquez ha infranto tanti record: lo scorso anno, con i suoi 26 anni e 231 giorni, Marquez &egrave; diventato il pi&ugrave; giovane pilota di sempre a vincere sei mondiali nella classe regina. Un primato che fino a quel momento apparteneva al leggendario Giacomo Agostini, imbattuto dal 1971, quando &lsquo;Mino&rsquo; lo aveva siglato a 29 anni e 25 giorni.  Lo spagnolo di Cervera ha battuto anche Mike Hailwood, portandosi a quota otto titoli iridati in tutte le classi a 27 anni incompiuti, mentre il britannico ci era riuscito a 27 anni e 112 giorni. Un&rsquo;impresa, poi, quella di vincere almeno otto titoli fra tutte le cilindrate, che appartiene a pochi altri: Carlo Ubbiali (vincitore di 9 titoli), Mike Hailwood (9), Valentino Rossi (9), Angel Nieto (13) e Giacomo Agostini (15).    Marquez vs Rainey   Ma c&rsquo;&egrave; un altro record interessante che solo Marc Marquez al momento potrebbe battere, se ritorner&agrave; abbastanza in forma l&rsquo;anno prossimo dopo i recenti interventi al braccio destro: il record di percentuale di podi, che al momento appartiene a Wayne Rainey.  L&rsquo;americano ha siglato ben 64 podi su 83 partenze, con una percentuale del 77,1%. Marc Marquez ha concluso sul podio 95 volte su 128 Gran Premi, ovvero il 74,2% delle volte.  Alle loro spalle in questa speciale classifica riportata da Motomatters.com c&rsquo;&egrave; Mick Doohan, anche lui a quota 95 podi ma su 137 Gran Premi, con una percentuale del 69,3%. Seguono Kenny Roberts, con 39 podi su 58 Gran Premi e Eddie Lawson, 78 podi su 127 Gran Premi. Valentino Rossi &egrave; al settimo posto, alle spalle di Casey Stoner, e la sua percentuale &egrave; del 56,21%: il pesarese ha siglato 199 podi su un totale di 354 Gran Premi ai quali ha partecipato.    Perch&eacute; solo Marquez pu&ograve; farcela   Soltanto Marquez &egrave; il pi&ugrave; accreditato a battere il record di percentuale-podi detenuta da Wayne Rainey. Dei piloti attualmente in attivit&agrave; Rossi &egrave;&nbsp; il secondo per percentuale di podi alle spalle di Marquez, ma negli ultimi anni, la sua percentuale &egrave; scesa al 56,21%. Al terzo posto c&rsquo;&egrave; Fabio Quartararo, con 10 podi su 33 gare, e una percentuale del 30,3%, poi Andrea Dovizioso, con 62 podi su 229 gare, e una percentuale del 27,1%. A completare la top 5 Maverick Vi&ntilde;ales, con 26 podi su 105 partenze e una percentuale del 24,8%.  Valentino Rossi, per&ograve;, potrebbe battere un altro interessante record: diventare il pi&ugrave; anziano vincitore di un Gran Premio di classe regina. Al momento il record &egrave; detenuto da Fergus Anderson, che nel 1953 vinse il Gran Premio di Spagna all&rsquo;et&agrave; di 44 anni e 237. Rossi ne compir&agrave; 432 il 16 febbraio del prossimo anno e se continuer&agrave; a correre per due stagioni&hellip;  Gresini Racing dal 2022 team indipendente nel Campionato MotoGP 

Wayne Rainey ha il primato nella percentuale di podi: 64 su 83 Gran Premi disputati, ovvero il 77,1%. Lo spagno di Cervera &egrave; il primo inseguitore a quota 95 podi su 128 partenze

MotoGP: Marc Marquez batter&agrave; il record di Rainey?

Quando una Leggenda parla non lo fa mai per caso e dopo l&rsquo;investitura del totem Suzuki Kevin Schwantz, per Joan Mir arriva anche quella di un&rsquo;altra leggenda della 500, ovvero Wayne Rainey.  Mr MotoAmerica, nell&rsquo;ultima puntata della serie di interviste rilasciate a Motogp.com ha parlato dell&rsquo;attuale situazione nella MotoGP con la corsa al titolo indicando proprio lo spagnolo di Suzuki come favorito numero 1 per prendersi l&rsquo;alloro iridato, grazie alla sua consistenza mostrata in gara nonostante ancora lo zero alla casella vittorie.&nbsp;  MotoGP GP Europa, Mir: &ldquo;Sento la pressione, ma non bado agli altri&rdquo;  &ldquo;Mir ha tutte le carte in regola per vincere il Mondiale&rdquo;   Wayne Rainey ha scelto il suo candidato numero 1 per vincere il titolo, ovvero Joan Mir. &ldquo;Il pilota che mi ha impressionato di pi&ugrave; quest&rsquo;anno &egrave; Joan Mir. E&rsquo; davvero veloce, molto costante. In gara &egrave; quarto-quinto ma sempre in lotta per il podio, non ha ancora vinto ma &egrave; comunque vicino a vincere la sua prima gara. Dunque &egrave; un problema per tutti per la sua costanza, e la costanza &egrave; quella che permette di vincere i mondiali. Devono stare tutti attenti a Mir, una volta che vincer&agrave; la sua prima gara avr&agrave; ancora pi&ugrave; confidenza.&rdquo;&nbsp;  Esclusiva, Mir: &ldquo;Sono un perfezionista&rdquo;  Gli avversari   Rainey ha parlato anche dei primi inseguitori di Mir, ovvero i due piloti Yamaha Quartararo e Vinales: &ldquo;Ho visto Quartararo vincere delle gare e poi nelle successive non essere in top 10, stessa cosa per Vinales. Se risolvono i problemi con la Yamaha possono essere una minaccia per Mir. Maverick ha un grande team dietro di s&eacute;, Yamaha far&agrave; di tutto per metterlo in condizione di vincere&rdquo;.  La Leggenda della 500 ha espresso il suo parere su Dovizioso dicendo che &ldquo;ha vinto una gara ma non &egrave; riuscito a dar continuit&agrave; con risultati consitenti&rdquo;. Si &egrave; detto contento anche per Alex Marquez definendolo &ldquo;simile a Marc ma pi&ugrave; dolce nella guida, sono contento per lui e per Honda&rdquo;.&nbsp;  MotoGP, situazione motori: Suzuki in vantaggio sull&#39;affidabilit&agrave;  Distanza ridotta   Sulla situazione attuale del Mondiale, Rainey dice: &ldquo;E&rsquo; incredibile la competitivit&agrave; di moto e piloti quest&rsquo;anno, una cosa che non si era mai vista. La distanza tra i top e il fondo della griglia si &egrave; assottigliata e c&rsquo;&egrave; un solo secondo di distacco. Chiaramente sono i migliori al mondo e i valori sono ben definiti ma quest&rsquo;anno &egrave; tutto diverso. L&rsquo;infortunio di Marquez ha creato questa situazione&rdquo;.&nbsp;  In conclusione, Rainey d&agrave; anche il suo pronostico sull&rsquo;esito del Mondiale: &ldquo;Chi finisce con il maggior numero di punti &egrave; Campione del Mondo. Per ottenere il titolo, tutti i contendenti devono stare almeno sul podio o tra i primi 4, chi esce dalla top 4 esce anche dalla lotta per il titolo&rdquo;.  MotoGP, GP Europa: gli orari TV di Sky, DAZN e TV8 

La Leggenda della 500 dice la sua sulle ultime gare e sulla corsa al titolo, puntando sullo spagnolo della Suzuki come favorito numero uno per prendersi il Mondiale

MotoGP, Rainey: &ldquo;Punto su Mir per il Mondiale&rdquo;

Quando le Leggende parlano &egrave; sempre un piacere starle ad ascoltare, se poi parlano bene di un pilota che deve sbarcare nel Motomondiale tanto meglio. E&rsquo; il caso del grande Wayne Rainey, 3 volte campione in 500 negli anni 90 ed oggi Presidente del MotoAmerica, che in una lunga intervista al sito Motogp.com ha detto la sua su Cameron Beaubier, 5 volte campione MotoAmerica SBK che l&rsquo;anno prossimo sbarcher&agrave; in Moto2 nell&rsquo;American Racing.  &quot;Me lo aspetto competitivo da subito&quot;   La prima parte della lunga intervista rilasciata da Rainey a Motogp.com riguarda il pentacampione americano Cameron Beaubier, che l&rsquo;anno prossimo debutter&agrave; nel Motomondiale nella classe Moto2. &ldquo;La gente sta prendendo seriamente in considerazione Beaubier perch&eacute; ha vinto 5 volte il MotoAmerica Superbike - esordisce Rainey - mi aspetto che Cameron sia competitivo da subito e possa lottare per le posizioni che contano&rdquo;.  &ldquo;Mi ricordo che circa 10 anni fa era compagno di squadra di Marc Marquez - aggiunge Wayne - aveva circa 16 anni ed era arrivato da solo dall&rsquo;America e senza pieno supporto del team. Ora che ha 27 anni &egrave; pi&ugrave; maturo e pu&ograve; godersi al meglio la cultura europea e vivere in Europa. E&rsquo; l&rsquo;et&agrave; giusta per lui, io sono arrivato a 28 anni in Europa&rdquo;.  Toni Elias: &ldquo;Beaubier non ha nulla da invidiare a Valentino Rossi&rdquo;  &ldquo;Beaubier vuole diventare Campione del Mondo&rdquo;   &ldquo;Siamo americani, abbiamo fame di successi - prosegue Rainey - lo vediamo con Roberts in Moto2 e con Gerloff in Superbike per cui non sarei sorpreso se Cameron vincesse gi&agrave; qualche gara l&rsquo;anno prossimo e salisse sul podio. Penso che sorprender&agrave; molte persone e far&agrave; molto bene&rdquo;.  Rainey racconta di aver parlato con il suo campione dopo la decisione di passare in Moto2 l&rsquo;anno prossimo, chiedendogli gli obiettivi che si &egrave; prefissato e Beaubier gli ha risposto di voler diventare Campione del Mondo. &ldquo;Spesso i piloti vogliono correre nel Mondiale per dimostrare di essere da Mondiale - ha spiegato Rainey - Cameron ora ha molta pi&ugrave; esperienza avendo alle spalle anni di Superbike e penso che si adatter&agrave; subito alla Moto2 e render&agrave; orgogliosa l&rsquo;America&rdquo;.  MotoGP, GP Europa: gli orari TV di Sky, DAZN e TV8 

&ldquo;Siamo americani, abbiamo fame di successi&quot; racconta la Leggenda della 500, ora Presidente del MotoAmerica, che svela l&#39;obiettivo di Cameron: &quot;Vuole diventare Campione del Mondo&quot;

Moto2, Rainey crede in Beaubier: &ldquo;Sorprender&agrave; molte persone&rdquo;

La situazione legata alla pandemia non &egrave; ancora da ritenersi sotto controllo ed &egrave; meglio non allentare la presa.  Contrariamente a quanto fatto nei weekend gi&agrave; completati - tranne il primo - il quinto round MotoAmerica non ospiter&agrave; il pubblico pagante.  Al Ridge Motosport Park le porte saranno chiuse; il tracciato costruito nello stato di Washington non vedr&agrave; spettatori n&eacute; sui prati n&eacute; in tribuna. Il fine settimana di agosto solo piloti e staff tecnici nel paddock a stelle e strisce: &ldquo;Sfortunatamente, nel primo appuntamento fissato nel Nord Ovest non avremo i fans - le parole di Wayne Rainey, presidente della serie - avevamo guardato avanti per garantire un grande evento ai tifosi, purtroppo dobbiamo rispettare le restrizioni necessarie. Per&ograve;, gi&agrave; guardiamo al prossimo anno: garantiremo ai corridori ed ai relativi staff un nuovo ed ulteriore appuntamento nel calendario futuro&rdquo;.  Evviva il CIV Junior, che lancia nuovi talenti in erba! 

Il quinto round programmato a fine agosto nello stato di Washington non ospiter&agrave; tifosi e pubblico pagante. Al Ridge Motosport Park solo piloti e relativi staff

La prudenza non &egrave; mai troppa: MotoAmerica chiude (ancora) le porte

Pilota, manager, padre. Nelle tre vesti in cui ha vissuto il paddock, Kenny Roberts ha toccato l&rsquo;apice nell&rsquo;anno che finiva con lo &ldquo;zero&rdquo;: dal 1980, quando complet&ograve; il tris iridato nella 500, al 2000, con il Mondiale della classe regina vinto dal figlio Kenny Junior. Nel mezzo, nel 1990 King Kenny non conquist&ograve; soltanto il primo titolo da manager, ma firm&ograve; addirittura una doppietta: vinse la 500 con Wayne Rainey e la 250 con John Kocinski, piloti che erano anche sue &ldquo;creature&rdquo;. Roberts sigl&ograve; cos&igrave; un record: da allora, nessun altro team campione nella top class ha vinto il titolo in un&rsquo;altra categoria nello stesso anno. Un&rsquo;impresa paragonabile alle doppiette dei fratelli Marquez nel 2014 e nel 2019 o a un altro primato targato Roberts, l&rsquo;unica dinastia con sia il padre (Kenny) che il figlio (Kenny Junior) campioni del Mondo.&nbsp;  Unico nel suo genere, Roberts non lo &egrave; stato soltanto da pilota, con l&rsquo;introduzione della piega con il ginocchio sull&rsquo;asfalto e le rivendicazioni a livello economico e di sicurezza nei circuiti in favore dei piloti. Anche da manager, il californiano &egrave; stato un precursore, e la doppietta Rainey-Kocinski fu il frutto del modus operandi di King Kenny, con la voglia di crescersi i campioni in casa e un proprio reparto corse sempre pronto a innovare, anche andando a mettere le mani dove al costruttore &ndash; in quel caso la Yamaha &ndash; poteva non piacere. E tanto lavoro, iniziato nel 1984 in 250 con il debuttante Rainey e Alan Carter e proseguito con i quattro anni in 500 con numerose vittorie ma senza il bersaglio grosso, venne sublimato nel 1990 dalla promozione a unico team ufficiale Yamaha in 500: nel duello interno tra manager che furono leggende in pista, Roberts estromise Giacomo Agostini, che pure aveva l&rsquo;accordo con Kevin Schwantz, accaparrandosi lo sponsor del tabacco che in quegli anni era costantemente partner del principale team di Iwata.  Un passo del genere coincise con la creazione di un dream team, con Eddie Lawson, di ritorno in Yamaha dopo il successo nell&rsquo;unico anno in HRC, e Rainey. Ma come sarebbe accaduto quasi 30 anni dopo con Marc Marquez e Jorge Lorenzo alla Honda, quel dream team fu un sogno per soltanto uno dei due piloti: Rainey domin&ograve; la stagione mentre Lawson - che era stato gregario di Roberts nel 1983 ma mai aveva corso nel suo team - fu subito tagliato fuori dalla corsa al titolo per errori altrui, falciato da Mick Doohan a Suzuka (dove il californiano rimedi&ograve; una frattura al malleolo sinistro) e poi tradito da un errore ai box a Laguna Seca, dove nelle prove Eddie si ritrov&ograve; senza freno anteriore, si schiant&ograve; e si ruppe il tallone destro. Accanto al dominio di Rainey, Roberts allung&ograve; le mani anche sulla 250 grazie a Kocinski, che dopo le wild card di successo nei due anni precedenti - due vittorie in due gare nel 1989 - si aggiudic&ograve; il titolo regalando a Kenny un&rsquo;altra soddisfazione nel &ldquo;derby&rdquo; con Agostini, il cui pilota, Luca Cadalora, chiuse terzo.&nbsp;    Il ventiduenne di Little Rock trionf&ograve; dopo un&rsquo;annata da montagne russe: 14&deg; a Suzuka a causa di uno scarico rotto, Kocinski vinse tre GP di fila (USA, Spagna e Italia), ma le sue cadute in Francia e Gran Bretagna ridestarono Carlos Cardus, che con la Honda puntava a mantenere in Spagna il titolo vinto nei due anni precedenti da Sito Pons. I toni della battaglia si alzarono parecchio e dopo il successo in volata a Brno, Cardus si lasci&ograve; andare a un gesto dell&rsquo;ombrello nei confronti dell&rsquo;americano. Ma Kocinski ebbe l&rsquo;ultima parola, vincendo in Ungheria e in Australia, dove lo spagnolo - ormai sorpassato in classifica - torn&ograve; ai box per un guasto al cambio, e prese a calci la propria moto.  L&rsquo;epilogo di un weekend da thriller, iniziato con Kocinski che chiese invano a Rainey di &ldquo;scendere&rdquo; in 250 per togliere punti a Cardus, fu con lo spagnolo ad accusare il proprio capotecnico George Vukmanovich di sabotaggio. In realt&agrave;, vinse chi lo meritava: con sette successi e otto pole position, Kocinski fu il pi&ugrave; veloce. Il metodo-Roberts aveva preso forma due anni prima di quella stagione trionfale. In vista del 1988, infatti, il manager californiano aveva deciso di stravolgere la filosofia nella lineup della squadra: via il veterano Mike Baldwin e Randy Mamola, velocissimo (quattro vittorie tra &lsquo;86 e &lsquo;87) e spettacolare quanto irregolare, e soprattutto attirato dalla munifica offerta della Cagiva, dentro due piloti sostanzialmente al debutto nella classe regina. Ma l&rsquo;australiano Kevin Magee non convinse fino in fondo e si&nbsp;inimic&ograve; il lato americano del paddock quando, nel 1989, nel giro d&rsquo;onore di Laguna Seca sfog&ograve; la rabbia per un risultato mancato a causa di problemi tecnici facendo un burnout a centro pista. Il fumo fu tale che l&rsquo;australiano venne tamponato dalla wild card Bubba Shobert (un idolo in patria) che per le conseguenze dello scontro dovette chiudere la carriera.  L&rsquo;altro pilota, Rainey, si rivel&ograve; il cavallo vincente: Roberts lo volle fortemente, a dispetto dei critici. &quot;Venni definito idiota, quando scelsi di sostituire Mamola con Wayne&quot; ha ricordato Kenny, come sempre senza peli sulla lingua. &quot;Credevo in Rainey, sapevo come trattarlo e amavo lavorare con i piloti emergenti. E poi lui imparava in fretta, assorbiva tutto ci&ograve; che gli dicevo&quot; .    Tra Roberts e Rainey, la simbiosi era totale, anche per le origini comuni: Rainey &egrave; di Monterey, Kenny di Modesto, e la distanza &egrave; inferiore alle due ore in auto. E sempre in quell&rsquo;area, a Hickman, sorgeva il ranch di Kenny, con la pista da Dirt Track, base d&rsquo;allenamento per i piloti - una novit&agrave; in grado di fare scuola - che poi in pista avrebbero dovuto domare purosangue imbizzarriti da poco pi&ugrave; di 100 kg di peso a fronte di 160 cavalli. Quei mezzi che spaventarono persino l&rsquo;uomo pi&ugrave; famoso del Motorsport negli Stati Uniti, Mario Andretti: &quot;Iniziai a correre in auto perch&eacute; non ero abbastanza bravo in moto&quot; disse l&rsquo;ex iridato di Formula 1, ricordando un test a Laguna Seca su una di quelle YZR. &quot;Non avevo mai guidato nulla che avesse cercato di lanciarmi in orbita per aver azionato appena un quarto dell&rsquo;acceleratore&quot;.  Se per Rainey fu quasi naturale finire sotto l&rsquo;ombrello di Roberts, Kocinski volle fortemente entrare nella scuderia. Partito dall&rsquo;Arkansas, dove il padre mantenne la promessa di farlo &quot;Correre fino a 18 anni, poi ti dovrai arrangiare&quot;, John John inizi&ograve; a sognare a occhi aperti quando dopo una vittoria a Pocono ricevette da Roberts la TZ 250 e il supporto di un tecnico come Bud Aksland. Certo, le stranezze che lo accompagnavano erano evidenti quanto il talento, e dividere il motorhome con un maniaco della pulizia come John non era facile per Rainey, spesso costretto a chiedere al compagno di squadra di spegnere l&rsquo;aspirapolvere nelle ore notturne.  Non fu per questo, per&ograve;, che i rapporti all&rsquo;interno del team si guastarono. Per esempio, John avrebbe voluto rivincere in 250, ma prevalse la filosofia di Roberts: One and done, bersaglio al primo colpo, e si sale al livello successivo. In 500, Kocinski si vide privato di Aksland (&quot;Se me l&rsquo;avessero lasciato chiss&agrave; dove saremmo arrivati&quot;). E non am&ograve; vedere lo sviluppo della ciclistica fatto per Wayne - e provate a spiegare a Kocinski che si trattava &ldquo;soltanto&rdquo; del campione della 500&hellip; - n&eacute; tantomeno essere trattato da &ldquo;cavia&rdquo;, per sperimentare le nuove sospensioni oppure altre innovazioni.  All&#39;interno&nbsp;del box di Roberts, infatti, non si lavorava soltanto sulla messa a punto. In quel 1990, in cui per il titolo in 500 fu determinante anche il passaggio dalle Dunlop alle Michelin, il Team Roberts era un reparto corse. &quot;Per me non era mai abbastanza, volevo sempre che la moto fosse migliore, perch&eacute; sapevo quanto potesse essere gratificante vincere da manager, condividendo la gioia con altre persone&quot; disse Kenny.  Fece storia l&rsquo;introduzione, gi&agrave; nell&rsquo;88, dei freni in carbonio: &quot;Se li avessi chiesti alla Yamaha, ci avrebbero detto che era troppo presto, cos&igrave; ci pensammo noi&quot; aggiunse Roberts, spiegando come il budget per tale sviluppo non arrivasse da Iwata, ma dallo sponsor tabaccaio. Lo stesso accadeva per molto altro: cilindri, pistoni e scarichi, non ultima un&rsquo;innovativa centralina per la raccolta dei dati, sviluppata dall&rsquo;elettronico Tom O&rsquo;Kane, uno dei numerosi tecnici determinanti all&rsquo;interno del team, come Warren Willing e Mike Sinclair. Roberts avrebbe continuato con la visione avveniristica, e convincendo la Yamaha a vendere i motori a telaisti come ROC e Harris evit&ograve; che la 500 rimanesse con una dozzina di partecipanti. Successivamente divenne costruttore, ma con risultati inversamente proporzionali all&rsquo;impegno&nbsp;e al coinvolgimento anche di menti brillantissime della F1, come John Barnard. Resta per&ograve; la soddisfazione dell&rsquo;ultima pole di una moto due tempi in MotoGP, nel 2002 in Australia, con la Proton KR guidata da Jeremy McWilliams.  Rainey resta il simbolo della seconda vita di Roberts in pista. Terzo nel Mondiale del 1988, secondo nel 1989, l&rsquo;escalation del californiano prosegu&igrave; con il dominio del 1990, il bis del 1991 e l&rsquo;incredibile rimonta in un 1992 caratterizzato prima dal proprio infortunio e poi da quello di Mick Doohan. Nel 1993, Rainey sembrava aver portato dalla propria il duello con Schwantz, ma il sogno del quarto titolo si infranse sull&rsquo;incidente dalle conseguenze tremende di Misano. Soltanto parecchi anni dopo aver perso l&rsquo;uso delle gambe, 26 per l&rsquo;esattezza, Rainey &egrave; risalito in sella a una Yamaha con livrea biancorossa, accanto proprio a Lawson e Roberts, in un luogo simbolico come Suzuka. Trent&rsquo;anni fa, con gli stessi uomini al suo fianco, in Giappone inizi&ograve; la leggenda del californiano, capace di ripetere il tris di Roberts in un&rsquo;era di fenomeni, battendo i Doohan, Schwantz, Lawson e Gardner. Questa volta &egrave; iniziata la sua nuova vita in sella.    Wayne Rainey, il doppio ritorno 

Nel 1990, Roberts non si limit&ograve; a conquistare il primo titolo da manager, ma&nbsp;fece doppietta: Rainey campione della 500, Kocinski della 250. 10 anni prima, il marziano aveva completato il tris iridato da pilota

Ritorno al Futuro, 1990: il team Roberts e la legge dello zero

Dieci anni dopo l&rsquo;ultimo successo di Kenny Roberts &egrave; stato un altro americano, Wayne Wesley Rainey, a vincere la classe 500. Cio&egrave; la pi&ugrave; iconica, meravigliosa, stupefacente categoria che ogni appassionato di motociclismo che ha potuto vivere anche quell&rsquo;epoca ricordi. A met&agrave; tra Roberts e Rainey, altri piloti a stelle e strisce avevano dominato la scena, Freddie Spencer e Eddie Lawson, vincendo rispettivamente due e quattro titoli della top class, dove quello americano era un autentico impero, arricchito anche dai numeri di Randy Mamola e Kevin Schwantz.  Era il 1990 e il ventinovenne Rainey viveva la terza stagione nella classe regina, la quarta nel Mondiale dopo aver disputato la 250, nel 1984, senza lasciare il segno. Un terzo posto era stato il miglior risultato di quell&rsquo;anno di apprendistato, e il biglietto di ritorno in America, nell&rsquo;AMA, fu timbrato con la ramanzina di Kenny Roberts, al debutto come team manager: &quot;Rainey non &egrave; pronto. Questo &egrave; il Motomondiale, non l&rsquo;AMA. Qui corrono i migliori piloti del mondo e credo sia meglio rispedirlo in California&quot;. Detto, fatto. Un ritorno in patria cos&igrave; utile che tre anni pi&ugrave; tardi, proprio Roberts avrebbe richiamato Rainey per il Mondiale. Considerandolo pronto per la classe mostruosa. Nel 1988 arriv&ograve; subito un successo, il primo nel Mondiale, a Donington, l&rsquo;anno dopo Wayne sal&igrave; sul podio tredici volte in 14 gare - ma l&rsquo;unico &ldquo;zero&rdquo;, ad Anderstorp, fu fatale nella corsa al titolo - e dal terzo anno il californiano non ha pi&ugrave; smesso di vincere fino a quando il destino si &egrave; messo di traverso, ponendo fine alla sua carriera motociclistica nel GP di Misano del 1993.  Il 1990 &egrave; stato il suo anno. Quello di Roberts era un dream team con Rainey da una parte e il campione in carica Eddie Lawson dall&rsquo;altra, ma il quattro volte iridato usc&igrave; subito dai giochi. Primo Gran Premio, in Giappone, sulla spettacolare e difficile Suzuka: Rainey trionf&ograve; in solitario come suo stile - celebre il ritmo infernale che imprimeva nei primi giri, quando partiva al comando e faceva selezione - lanciando il leit motiv dell&rsquo;annata, mentre Lawson cadde trascinato a terra da Mick Doohan, rimediando un primo infortunio.    Secondo GP, ed ecco l&rsquo;incidente che gli fece dare l&rsquo;addio ai sogni di gloria: a Laguna Seca, un errato fissaggio delle pastiglie dei freni anteriori lasci&ograve; Eddie senza freni. Nella caduta, la rottura del tallone costrinse il californiano a due mesi di stop. Durante i quali Rainey allung&ograve; le mani sul campionato, vincendo anche a Laguna Seca, la pista che oggi vede da casa sua e dove gli &egrave; stata intitolata una curva. Il duello qui fu con Kevin Schwantz, che prov&ograve; a resistergli ma cadde, infortunandosi al polso sinistro. Due vittorie su due gare per Rainey, pilota sportivo, leale, corretto, il biondino dal tono pacato che rappresentava, ora s&igrave;, il peggior incubo per gli avversari. E come avrebbe fatto Marc Marquez nel 2019, anche il Rainey del 1990 chiuse l&rsquo;anno salendo sul podio in ogni GP portato a termine, con un solo &ldquo;zero&rdquo;, rimediato in Ungheria, a Mondiale vinto.  La differenza tra Marc e Rainey sta nella moto: le 500 venivano paragonate a cavalli imbizzarriti e no, non perdonavano. Ai &ldquo;cavalieri&rdquo; serviva la giusta dose di follia e di coraggio. Basti pensare che gli unici piloti a non incappare in infortuni pesanti quell&rsquo;anno furono soltanto Rainey e Doohan (proprio loro che successivamente avrebbero pagato un conto salatissimo) mentre Schwantz, seppur acciaccato, riusc&igrave; a non saltare nessun GP. Tutti gli altri - Lawson, Gardner, Chili, Sarron, Mamola, Pons, Haslam per non parlare di Kevin Magee che rischi&ograve; la vita a Laguna Seca - saltarono gare, con griglie di partenza ridotte ben sotto le 20 unit&agrave;. All&rsquo;epoca restava in piedi soltanto il pi&ugrave; bravo e il californiano con la sua guida pulita, precisa, elegante e la sua capacit&agrave; di guidare &ldquo;sui&rdquo; problemi fu il campione indiscusso.  La terza gara and&ograve; in scena a Jerez: dopo aver dominato 18 dei 29 giri, Rainey sub&igrave; un sorpasso in staccata dal suo omonimo australiano, Gardner, portando a casa un secondo posto ugualmente importante. Il ventinovenne torn&ograve; poi alla vittoria a Misano con una prova di forza in una gara iniziata asciutta e conclusa in condizioni insidiose, dopo esser partito dalla pole position. Dalla sua qui aveva il grande numero di curve a sinistra, l&rsquo;ideale per chi si &egrave; sempre allenato nel Dirt Track. Proprio in quella disciplina impar&ograve; a guidare mettendoci del proprio per ovviare alle lacune dell&rsquo;assetto e delle gomme, derapando anche senza avere quella sensazione di fiducia desiderata. Tutto questo, rendeva Rainey - magari non spettacolare come Schwantz, ma coraggioso e tremendamente efficace - un vero animale da gara. Dall&rsquo;Italia, il Circus si spost&ograve; poi in Germania, al N&uuml;rburgring, dove nelle libere Gardner cadde e rimedi&ograve; nove fratture al piede destro. Lasciando cos&igrave; campo libero soltanto a Rainey e Schwantz nella corsa al titolo, una rivalit&agrave; divampata gi&agrave; anni prima, da &ldquo;compagni&rdquo; nella selezione americana al Transatlantic Trophy, quando i migliori piloti AMA venivano a fare capolino in Europa.    Una rivalit&agrave; che sarebbe proseguita fino al &rsquo;93, con duelli mozzafiato. In terra tedesca fu il texano a trionfare, con Rainey limitato da una lussazione al mignolo della mano sinistra rimediata in prova, un infortunio da niente considerando cosa accadeva agli altri piloti della 500 di quell&rsquo;anno. Rainey raccolse poi un secondo posto anche in Austria, sempre alle spalle di Schwantz dopo un duello acceso per tutti i 29 giri di una gara tiratissima, a 192 km/h di media. Il terzo? Un &ldquo;certo&rdquo; Doohan, poi cinque volte iridato, che sulla Honda NSR rimedi&ograve; 25 secondi...  Rainey torn&ograve; alla vittoria la settimana successiva a Rijeka, nello storico ultimo GP Jugoslavia, dominando. In Olanda, tornarono a lottare anche Lawson e Gardner, ma fu Schwantz a calcare il gradino pi&ugrave; alto del podio, inseguito da Rainey. Al nono GP stagionale arriv&ograve; il crollo di Schwantz, che sotto la pioggia di Spa-Francorchamps non riusc&igrave; a far valere le doti di funambolo: fu settimo, staccatissimo da Rainey. Teatro del decimo GP fu Le Mans, dove Schwantz torn&ograve; alla ribalta con una rimonta clamorosa dalla settima casella. Rainey non pot&eacute; fare altro che inchinarsi al suo strapotere, terzo sotto la bandiera a scacchi alle spalle anche di Gardner. E anche la gara britannica port&ograve; la firma del pilota Suzuki, che non aveva alcuna intenzione di mollare la presa del sogno iridato: con questo quinto successo pareggi&ograve; il numero di vittorie di Rainey. Ma la differenza la fece la continuit&agrave;: quando le cose non giravano per il verso giusto, Schwantz non limitava i danni.&nbsp; Rainey si rifece in Svezia, nel dodicesimo appuntamento, ipotecando il titolo iridato (+47 punti), in una gara che senza colpi di scena sarebbe stata favorevole a Honda e Suzuki. Invece Schwantz cadde dopo due giri. Ad aiutare Rainey fu Lawson, che fece da guardaspalle del compagno, difendendolo da un possibile ritorno di Gardner.  Brno fu il teatro della festa di Rainey che non si accontent&ograve; di arrivare al traguardo, come gli sarebbe bastato dopo la caduta di Schwantz: Wayne decise di laurearsi campione del Mondo da vincitore del GP. Il ragazzo preciso e posato, non un personaggio da grande audience, perse finalmente la sua compostezza dopo la bandiera a scacchi e festeggi&ograve; come meritava il suo ingresso nell&rsquo;albo d&rsquo;oro del motociclismo: &quot;Che liberazione! L&rsquo;ultimo giro mi ha regalato sensazioni indescrivibili. E sul traguardo, poi, con tutta la squadra in piedi sul muretto, mi sono commosso fino alle lacrime&quot; comment&ograve; a caldo. &quot;Portarmi nella classe regina &egrave; stata una scommessa nella quale credevano soltanto due persone: io e Kenny Roberts Sono davvero felice di averlo ripagato&quot;.  La sua tattica &egrave; sempre stata chiara: &quot;Pensare sempre a vincere &egrave; stata la mia arma migliore in questo campionato e non ho voluto cambiare strategia. Se fossi caduto inseguendo un piazzamento sufficiente a darmi la matematica certezza del successo non me lo sarei mai perdonato&quot;. Il pensiero sottolinea quella purezza d&rsquo;animo e quell&rsquo;umilt&agrave; che lo contraddistinguevano: &quot;Lo dedico a Mike Sinclair (il capomeccanico, ndr) e a tutti i ragazzi della squadra, senza di loro non ce l&rsquo;avrei mai fatta&quot;. Ragazzi con i quali avrebbe festeggiato anche nel 1991, dopo un&rsquo;altra annata sempre in vetta, e nel 1992, dopo l&rsquo;incredibile rimonta ai danni di Doohan.  Eguagliato il tris del mentore Roberts, per Wayne il poker sembrava vicino, ma a Misano la sua strada si interruppe. E quel giorno, l&rsquo;epilogo della carriera di Rainey coincise con l&rsquo;inizio della fine del predominio - nei risultati e nel dettare il modo di guidare - dei piloti statunitensi.  Wayne Rainey, il doppio ritorno 

Biondo, californiano, vincitore di tre titoli consecutivi sulla Yamaha 500: non &egrave; Roberts, ma il suo erede, Rainey, che trent&#39;anni fa entrava nella leggenda

Ritorno al Futuro, 1990: Wayne Rainey, il figlio del re

Il ritorno in sella: &egrave; un concetto che Wayne Rainey pu&ograve; spiegare meglio di tutti. Pochi mesi fa, il tre volte campione del Mondo della 500 &egrave; tornato a guidare una Yamaha, prima a Willow Springs poi a Suzuka, 26 anni dopo l&rsquo;incidente di Misano che aveva messo fine alla sua carriera e cambiato la sua vita. Oggi, Rainey ha promosso un altro ritorno in sella storico: il suo MotoAmerica, infatti, &egrave; stato il primo campionato di alto livello a ripartire, dopo il lungo stop per la pandemia. Una pausa che non ha avuto confini, come ha spiegato il cinquantanovenne: &quot;Siamo tutti sulla stessa barca&quot;.  Com&rsquo;&egrave; stata la situazione in California?  &quot;Meglio che a New York, perch&eacute; il lockdown &egrave; iniziato una settimana prima. Per fortuna io e la mia famiglia siamo stati bene: ogni giorno mi sono svegliato felice di non avere la febbre. E poi, dato che a mia moglie piace cucinare, ce la siamo passata bene! Lei ha potuto fare esercizio visto che dove viviamo noi non c&rsquo;&egrave; tanta gente. &Egrave; stata pi&ugrave; dura per me. In pi&ugrave; abbiamo comprato una casa nuova e speravamo di poterci entrare, ma il virus ha fermato tutto&quot;.&nbsp;  E ora &egrave; ricominciato il MotoAmerica.&nbsp;  &quot;S&igrave;, &egrave; stata una fase particolarmente intensa, per ripensare il calendario e organizzare tutto. Negli States, IndyCar e IMSA corrono anche sui nostri circuiti, non &egrave; facile trovare le date giuste. Non abbiamo avuto grandi stravolgimenti, cancellando soltanto una gara, quella in Virginia, e cos&igrave; potremo disputare dieci eventi, a cominciare da Road America in Wisconsin. Austin, dove si doveva correre assieme al Motomondiale, andr&agrave; a novembre nella teorica data della MotoGP, mentre Road Atlanta &egrave; passata ad agosto. Cos&igrave; Road America da quarta data &egrave; diventata l&rsquo;apertura&quot;.&nbsp;  Avete pensato anche a un piano B di qualche tipo?  &quot;Abbiamo anche il piano C, perch&eacute; in ogni Stato la situazione era differente: per esempio, in California si &egrave; parlato a lungo del divieto ad avere pi&ugrave; di tre persone nello stesso luogo. Abbiamo valutato l&rsquo;idea di far correre soltanto la Superbike in modo da avere maggiore distanziamento all&rsquo;interno del paddock. Abbiamo pensato all&rsquo;ipotesi di disputare pi&ugrave; eventi sulla stessa pista, come Miller Park, nello Utah, dove si correva il mondiale Superbike. L&igrave; il paddock &egrave; molto grande e sono possibili quattro-cinque configurazioni del tracciato. Ma da quello che vedo, anche la MotoGP ha problemi simili&quot;.&nbsp;  Hai parlato con Carmelo Ezpeleta?  &quot;S&igrave;, anche di recente. Ci siamo sentiti innanzitutto per avere notizie sulle rispettive condizioni di salute, poi ci siamo confrontati sui nostri campionati. Alla fine abbiamo vissuto tutti una situazione senza precedenti, e che nessuno avrebbe potuto prevedere. Ora le priorit&agrave; sono due: stare bene e riprendere le nostre attivit&agrave; lavorative&quot;.&nbsp;  Hai temuto che la MotoGP potesse non partire?  &quot;S&igrave;, proprio per i motivi di cui sopra. E se salta la stagione di una categoria del genere, pu&ograve; esserci un effetto a catena&quot;.&nbsp;  Potrebbe essere la fine delle gare?  &quot;No, le gare non finiranno. Anche con un eventuale anno di stop saprebbero sopravvivere. A quel punto, per&ograve;, servirebbe un nuovo modello di gestione&quot;.&nbsp;  Il MotoAmerica &egrave; stato il primo a ripartire: significa che non sarebbe stato possibile gestire un anno senza correre?  &quot;Sarebbe stato possibile. Il Governo anche qui ha aiutato, attraverso prestiti, attivit&agrave; come la nostra. Anche perch&eacute; il Governo ha un obiettivo prioritario: evitare i licenziamenti dei lavoratori&quot;.  Un aiuto pubblico: &egrave; inusuale per gli Stati Uniti.&nbsp;  &quot;Direi anche incredibile. &Egrave; stato chiamato &#39;piano di protezione degli stipendi&#39; e abbiamo ricevuto questo prestito dal Governo con un tasso molto contenuto, pi&ugrave; o meno l&rsquo;1%. Avremmo potuto chiudere tutto per un anno, negli Stati Uniti, probabilmente avremmo neutralizzato il virus ma avremmo avuto oltre 300 milioni di americani a fare la fame. Con questo tipo di iniziativa, invece, manteniamo un equilibrio. E l&rsquo;America andr&agrave; avanti, anche perch&eacute; questa emergenza ha toccato un senso di patriottismo che qui &egrave; sempre forte: abbiamo preso questo virus come una guerra. Per questo abbiamo rispettato le precauzioni e i dettami del Governo&quot;.    Sei l&rsquo;uomo al vertice del MotoAmerica, ma il tuo nome &egrave; anche quello di un anche un campione che ha lasciato un segno indelebile nel Motomondiale. Cosa ricordi di quel periodo, a trent&rsquo;anni dal primo dei tre titoli consecutivi?  &quot;Ammetto che se devo parlare dei miei risultati del 1990, ho bisogno dell&rsquo;aiuto di Google&quot;.&nbsp;  MotoAmerica: l&#39;altro pianeta  E cosa dice il motore di ricerca?  &quot;Sono rimasto sorpreso dalla mia continuit&agrave; del 1990: in fondo era soltanto il mio terzo anno in 500, e avevo un compagno del livello di Eddie Lawson, proveniente dalla Honda con cui aveva vinto il titolo. Il cambiamento fu legato a due fattori&quot;.   Quali?  &quot;Il passaggio alle gomme Michelin, dopo due anni con le Dunlop: fui scioccato dal livello di prestazioni delle gomme francesi. E poi il cambio di sponsor del tabacco. Quando hai il marchio Marlboro, sei quasi obbligato a vincere. Mi sentivo a mio agio su quella Yamaha, ero pronto a giocarmela con Lawson e con chiunque altro&quot;.  Com&#39;era correre accanto a Lawson?  &quot;Ci conoscevamo quasi dall&rsquo;infanzia, sin dalle gare di Flat Track, anche perch&eacute; veniamo dalla stessa zona. Lui si trasfer&igrave; in Europa prima di me, seppe affermarsi e quando facemmo coppia nel Team Roberts, Eddie era gi&agrave; quattro volte campione, quindi sapeva cosa serviva per vincere, non si curava di chi fosse il compagno di team. Quindi i rapporti personali erano buoni, ma c&rsquo;era inevitabile tensione: volevamo batterci a vicenda. Sin dai test invernali in Australia, studiavo i suoi cronologici, volevo batterlo, perch&eacute; avrebbe significato vincere. Test o gara che fosse. Si vide dal mio primo GP in Giappone, decollai sin dalla partenza, gli altri mi videro soltanto al traguardo&quot;.   Eddie per&ograve; si infortun&ograve; subito: chi fu il vero rivale del 1990?  &quot;Dopo i problemi fisici per la caduta di Suzuka con Mick Doohan, Eddie ebbe quell&rsquo;incredibile incidente a Laguna Seca, dove rimase senza freni. Alla fine restarono Kevin Schwantz e anche Doohan: Mick fin&igrave; alla grande&quot;.  Cosa ricordi di Brno, quando la vittoria ti diede il titolo?  &quot;Ricordo che soltanto sotto la bandiera a scacchi realizzai di essere campione. Ricordo che Lawson era rientrato e pensava che il team mi fornisse materiale migliore, quindi era arrabbiato con la squadra. Io proposi di mettere la mia carena sulla sua moto, cos&igrave; avrei guidato con il suo materiale, e a Eddie quell&rsquo;idea non piacque. A me sarebbero bastati pochi punti per ottenere il titolo, ma volevo vincere. E lo feci. Eddie fin&igrave; terzo e si rifiut&ograve; di salire sul podio&quot;.  Questo, perch&eacute; era arrabbiato?  &quot;Perch&eacute; ero campione, o forse perch&eacute; gli avevo detto che avrei guidato la sua moto, o perch&eacute; forse gli piaceva essere arrabbiato. Non saprei&quot;.   I titoli del 1991 e soprattutto del 1992 furono decisamente meno scontati.&nbsp;  &quot;Nel &lsquo;91 tornammo alle Dunlop e and&ograve; bene perch&eacute; la Michelin decise di limitare il proprio coinvolgimento nel Mondiale, mentre Lawson pass&ograve; alla Cagiva. Credo di non aver mai guidato cos&igrave; bene come in quella stagione, non ho mai avuto tanta fiducia nei nostri mezzi come quell&rsquo;anno. Non credo di essermi mai divertito tanto&quot;.&nbsp;  Trent&#39;anni fa: Rainey e Kocinski servono a Roberts l&#39;antipasto mondiale  Ma il titolo che ti ha emozionato di pi&ugrave; resta il primo.  &quot;Certo, poi nel 1990 fu proprio un dominio: andai sempre sul podio a parte l&rsquo;Ungheria, quando testammo nuovi freni e ci fu un guasto durante la gara. Nel 1990 fu tutto favorevole a me. Ricordo invece che gli altri piloti finivano spesso a terra in modo violento, con high side dovuti alla potenza delle moto, al grip e alla sensibilit&agrave; delle gomme. La Honda propose di limitare la cilindrata a 375 cm&sup3;, con tre cilindri, per limitare le nostre performance. Noi opponemmo un rifiuto totale anche perch&eacute; sapevamo che la Honda avrebbe potuto rivincere con il tre cilindri. Per fortuna si rimase con le 500. Il titolo del 1991 &egrave; stato il pi&ugrave; divertente. Quello del 1992 il pi&ugrave; impegnativo, a livello fisico&quot;.&nbsp;  Ti infortunasti a fine 1991 nei test.  &quot;Una gamba fratturata, e faticai a ritrovare la forza e la mobilit&agrave; alla guida. Poi nel precampionato commisi un altro errore, che mi cost&ograve; un dito. Inizi&ograve; il Mondiale e Doohan e la Honda volarono via con il loro motore &ldquo;big bang&rdquo;, mentre la Yamaha fu l&rsquo;ultima a realizzarne uno. Compresi che tutti, io, il team e la Yamaha, dopo due anni di dominio avevamo perso il passo. Poi Doohan ebbe l&rsquo;incidente in Olanda, e io ebbi la possibilit&agrave; di rimontare fino a sorpassarlo&quot;.&nbsp;  E c&rsquo;&egrave; il 1993, con l&rsquo;incidente di Misano.&nbsp;  &quot;Kevin Schwantz era maturato, e questa volta la storica rivalit&agrave; con lui non era per un GP, ma per il Mondiale. Tra noi i rapporti non erano fantastici, e ognuno ci teneva a battere l&rsquo;altro. Alla fine commisi un errore, e fino a quel giorno ero stato in grado di indurre lui a sbagliare&quot;.  Dopo l&rsquo;incidente, quanto &egrave; stato difficile tornare nel paddock come team manager?  &quot;Potessi tornare indietro, quella &egrave; una fase della mia vita in cui agirei diversamente. Utilizzai la disabilit&agrave; come una sfida da vincere, come quando correvo. A me piacevano le sfide, se andavo male in qualifica, questo mi dava l&rsquo;adrenalina per la gara. Dopo l&rsquo;incidente, ebbi tante opportunit&agrave;, tante persone erano pronte ad aiutarmi, e cos&igrave; decisi di tornare alle gare. Anche su una sedia a rotelle. Ma era una cosa differente, non essere pi&ugrave; pilota ma lavorare con i piloti. A distanza di 25 anni, dico che avrei dovuto essere pi&ugrave; paziente e comprensivo, perch&eacute; ognuno fa le cose secondo il proprio modo. Era frustrante per me, a quei tempi, e allora decisi di tornare a casa. E mi sentii pi&ugrave; leggero. Ma iniziai a fare i conti con la realt&agrave; e la vita di tutti i giorni, non fu un processo facile&quot;.  Oggi gli Stati Uniti non sono molto presenti nel Motomondiale ma Joe Roberts ha brillato nel GP Qatar in Moto2. &Egrave; lui il futuro per il movimento americano?  &quot;Conosco Joe da molto tempo. Mio padre, quando era vivo, lo portava alle gare di Flat Track in giro per la California, e portammo Joe anche al ranch di Kenny Roberts, per mostrargli come ci si allenava in passato. Poi ha corso nel MotoAmerica, prima di andare in Spagna a fare esperienza. Lui ha talento, &egrave; maturato, ma aspettiamo a tirare conclusioni: un GP non ti rende un campione. Ma ovviamente tifo per lui: dovesse ottenere buoni risultati, sarebbe fantastico per il movimento statunitense. Potrebbe aprire la porta ad altri piloti. E non dimentico Garrett Gerloff nel mondiale Superbike, dove &egrave; andato dopo un paio di buone stagioni nel nostro campionato. Lui ha un talento purissimo, &egrave; velocissimo, diamogli tempo per conoscere le Pirelli, ho molta fiducia in lui&quot;.  La scuola americana &egrave; passata dal dominio degli anni &lsquo;80 a una fase di stanca, e l&rsquo;ultimo titolo in top class &egrave; stato con l&rsquo;indimenticato Nicky Hayden. Qual &egrave; il futuro?  &quot;Partiamo da Roberts e Gerloff, sono giovani. Poi vi segnalo Rocco Landers, 15 anni, selezionato per la Red Bull Rookies Cup. E poi Brandon Paasch, 18 anni, che ha vinto nella Moto3 inglese. Stiamo tornando&quot;.&nbsp;  Sei una bandiera della Yamaha: come giudichi il presente di Iwata, con Valentino Rossi destinato a uscire da un team ufficiale che avr&agrave; la coppia giovane Maverick Vi&ntilde;ales-Fabio Quartararo?  &quot;Credo sia fantastico che a 41 anni Valentino sia ancora in pista e voglia proseguire. Non ottiene pi&ugrave; certi risultati come in passato, e i suoi pensieri sul futuro sono legati a questo, alla sua competitivit&agrave;, non certo all&rsquo;entusiasmo, che &egrave; sempre vivo. Per&ograve; Rossi &egrave; uno che corre per vincere, con il pensiero del titolo, non &egrave; uno di quei piloti il cui obiettivo &egrave; semplicemente essere in MotoGP. E correre con certe ambizioni non &egrave; facile. Vedere Quartararo che da rookie va cos&igrave; forte, genera certi pensieri. Rossi &egrave; intelligente e ha capito le mosse della Yamaha&quot;.&nbsp;  Ti ha convinto Quartararo?  &quot;Moltissimo. &Egrave; sempre bello vedere un nuovo talento che emerge, poi lui porta con s&eacute; la freschezza, la gioia di guidare, il suo stile di guida &egrave; un simbolo di come la nuova generazione sappia andare forte. Marquez continua a guidare gestendo il posteriore con l&rsquo;acceleratore, ma non so se potr&agrave; continuare a essere la via migliore, con tutta questa elettronica. Dovessero togliere l&rsquo;elettronica, Marc sarebbe favorito. Ma con questo trend, per piloti come Quartararo sar&agrave; meglio. Questa MotoGP mi appassiona&quot;.    Il ritorno del MotoAmerica ha fatto notizia, ma c&rsquo;&egrave; stato un altro ritorno in sella che ha catturato l&rsquo;attenzione: il tuo. &Egrave; stato bellissimo rivedere il tuo sorriso sotto il casco.&nbsp;  &quot;Onestamente &egrave; stato sorprendente. E non tutto &egrave; andato secondo le previsioni: a Suzuka, dove ho guidato con Roberts e Lawson, non era arrivato il mio equipaggiamento, cos&igrave; ho perso la sessione del venerd&igrave;. Il sabato, &egrave; arrivato tutto, e cos&igrave; sono andato con mia moglie, mio figlio e sua moglie, poi con Kenny e sua moglie, a provare la moto. Ho compiuto un giro, e quando sono rientrato ai box, tutti avevano le lacrime agli occhi, persino Kenny! E io volevo dire: &ldquo;Ma se piangete poi non riuscite a vedermi in moto!&rdquo;. A parte mia moglie, che era con me nella prova a Willow Springs, per mio figlio, Kenny e tutti gli altri era la prima volta che mi rivedevano in moto da Misano. Sono tornato in pista, accompagnato da Nobuatsu Aoki, e ricordo che nel tornante a sinistra ho avuto la stessa esitazione che ebbi nel 1993. Meraviglioso: non dimenticher&ograve; quell&rsquo;esperienza anche perch&eacute; non era certo attesa&quot;.&nbsp;  L&rsquo;ultima volta in sella o tornerai ancora?  &quot;Forse non &egrave; stata l&rsquo;ultima&quot;.  In Europa ci sono corse per piloti disabili, accadr&agrave; anche negli USA?&nbsp;  &quot;Con tutte le leggi e gli avvocati che ci sono qui, non lo so. Ho visto quei piloti con disabilit&agrave; importanti correre a Le Mans, e sono rimasto scioccato dalla loro bravura: mi ha fatto riflettere. Io non saprei andare forte come loro. Se qualcuno paralizzato vuole riprendere a correre in moto, merita supporto, perch&eacute; oggi ci sono mezzi che lo consentono. Io sono rimasto sorpreso dalla velocit&agrave; della R1 sul rettilineo in discesa di Suzuka. Un brivido enorme, che chiunque merita di vivere&quot;.  10 milioni per un circuito &ldquo;chiavi in mano&rdquo; 

&quot;Ventisei anni dopo Misano ho vissuto il brivido del rettilineo di Suzuka in sesta. Ora il mio MotoAmerica mi fa emozionare. Ammiro Rossi ma anche Quartararo: &egrave; pi&ugrave; adatto persino di Marquez alle MotoGP di oggi&quot;

Wayne Rainey, il doppio ritorno

Il 18 giugno del 1964 nella citt&agrave; di Houston, in Texas, nasceva Kevin Schwantz. I suoi genitori avevano una concessionaria di moto e lui ha iniziato a guidare una minibike quando aveva solo tre anni. Nessuno ancora poteva immaginare che sarebbe diventato campione del mondo di velocit&agrave; nella classe regina. Anche perch&eacute; all&rsquo;inizio Kevin si era appassionato di motocross: quando era un teen-ager correva in off-road e dimostrava gi&agrave; allora un talento fuori dal normale.  Gli esordi   Quando ha iniziato a correre in pista, continuava a usare lo stesso stile, come se fosse sulla terra. &ldquo;Ero solito bloccare il freno posteriore entrando in curva, con la moto che saltava e scivolava dappertutto. Non era bello da vedere, ma pensavo che si dovesse fare cos&igrave;&rdquo;, ricorda Kevin Schwantz.  Poi per&ograve; Kevin Schwantz ha capito come guidare sull&rsquo;asfalto. Al primo test con il team Yoshimura Suzuki Superbike, a Willow Springs, ha quasi battuto il record e si &egrave; immediatamente assicurato il posto nella squadra.  La stagione successiva ha ottenuto la sua prima vittoria nell&rsquo;AMA National, proprio a Willow Springs, e poi si &egrave; aggiudicato altri due round, concludendo la stagione al settimo posto nonostante fosse entrato solo a met&agrave; anno. Era il 1985, Kevin aveva soltanto 21 anni.  La rivalit&agrave; con Wayne Rainey   Due anni pi&ugrave; tardi Schwantz ha vissuto una stagione da protagonista lottando con Wayne Rainey per il titolo in quella che sar&agrave; ricordata come la stagione pi&ugrave; rovente nella storia dell&rsquo;AMA Superbike. Avevano stili di guida opposti stili: Rainey millimetrico e pulito, Schwantz spettacolare e funambolico.  &quot;Quando ho saputo di non piacergli, ho pensato altrettanto di lui&rdquo;, ricorda Schwantz a proposito del suo antagonista, per il quale rivela di non aver avuto antipatie particolari, ma solo una reazione innescata dal californiano.  Alla fine il titolo AMA lo vinse Rainey, ma Schwantz concluse quella stagione aggiudicandosi cinque delle ultime sei gare. Nel 1988 Schwantz e Rainey si ritrovarono nel Motomondiale, e l&#39;intenso duello continu&ograve; fino al terribile incidente di Rainey, nel 1993 a Misano, che ha messo fine alla carriera del californiano.  Schwantz pot&eacute; mettere il sigillo al suo primo campionato mondiale, ma l&#39;incidente di Rainey lo colp&igrave; profondamente: vinse altre due gare nel 1994 e si ritir&ograve; 18 mesi dopo la caduta del suo rivale, dopo aver disputato i primi tre round del 1995.    GP Legend   Kevin&nbsp; Schwantz ha vinto 25 Gran Premi, uno in pi&ugrave; di Rainey e, tra i piloti americani, &egrave; secondo solo a Eddie Lawson. La FIM ha ritirato il suo numero, il &rdquo;34&rdquo;, che a sua volta Kevin aveva &ldquo;ereditato&rdquo; dallo zio Darryl Hurst (nella foto qui sopra). Ed &egrave; stata la prima volta nella storia del motociclismo che la FIM ritirasse un numero di gara. Nel 1999 Kevin Schwantz &egrave; entrato nell&rsquo;AMA Hall of Fame e l&rsquo;anno successivo la FIM lo ha nominato Grand Prix Legend.  Schwantz ha collaborato alla realizzazione del disegno del circuito delle Americhe con l&rsquo;architetto Hermann Tilke e dal 2001 ha una Riding School a Birmingham, in Alabama.  Nel 2011 &egrave; tornato in pista a Valencia, guidando la moto di Marco Simoncelli.  La sua popolarit&agrave; &egrave; tale che in suo onore molti hanno dato il nome &lsquo;Kevin&rsquo; ai propri figli: il primo &egrave; stato Pierfrancesco Chili, ma pochi giorni fa Kevin Zannoni ha rivelato a Motosprint che anche lui si chiama cos&igrave; anche perch&eacute; Schwantz &egrave; sempre stato considerato una leggenda.  E se vi state chiedendo come Kevin stia festeggiando il suo compleanno, la risposta ce la d&agrave; lui stesso, dal profilo social: con una bella giornata in mare, a pesca!  Honda non &egrave; &ldquo;un affare di famiglia&rdquo;: i retroscena del mercato HRC 

Campione del mondo della 500 nel 1993, GP Legend dal 2000: il texano ha vinto &lsquo;solo&rsquo; un titolo, ma il suo stile spettacolare lo ha reso un mito. Tanto che il suo numero, il 34, &egrave; stato ritirato

56 candeline per Kevin Schwantz

Il MotoAmerica va controcorrente: la serie a stelle e strisce USA, diversamente da quantroproposto dai principali eventi sportivi che hanno compiuto la ripartenza, ospiter&agrave; il pubblico pagante, senza nessun tipo di restrizione. Sede del secondo round del campionato di Wayne Rainey &egrave; - ancora - Road America. Elkhart Lake aveva ospitato la prima tappa a porte chiuse, a fine giugno lo far&agrave; con tifosi, sponsor, attrazioni e tutto il resto.  Il californiano, tre volte iridato in 500, &egrave; uscito molto soddisfatto dall&#39;esordio 2020: &quot;Siamo estremamente contenti di come il round di apertura della MotoAmerica Series 2020 nello Wisconsin - ha dichiarato il Presidente di MotoAmerica - &ldquo;Avevamo enormi numeri televisivi con FOX Sports, Eurosport, MAVTV, NBC Sports, YouTube e MotoAmerica Live +. L&#39;evento si &egrave; svolto senza intoppi, grazie all&#39;impegno del nostro personale interno, lo staff di Road America, i nostri volontari, i piloti e le squadre. Ora torniamo nello stesso posto e corriamo di fronte ai nostri fan, il che render&agrave; ancora migliore questa seconda gara in Wisconsin. La pandemia di COVID 19 ha influenzato in qualche modo la vita di tutti e siamo felici di dare ai fan l&#39;opportunit&agrave; di uscire e vedere alcune corse in una struttura di classe mondiale come Road America. Lo faremo, ovviamente, usando le linee guida imposte&quot;.  Volete sapere come va la nuova Triumph Daytona? Ecco qui!    &nbsp; 

La serie USA torna a Road America, sede del primo weekend 2020, stavolta aprendo l&#39;accesso ai tifosi e a tutti gli addetti ai lavori

MotoAmerica controcorrente: secondo round aperto al pubblico

Disputato il round di Phillip Island SBK, viste in azione Moto3 e Moto2 in quel di Losail, &egrave; seguito poi il silenzio dei motori spenti ed &egrave; arrivato il lockdown mondiale, che ha costretto tutti fermi a casa.  La ripartenza vede MotoAmerica quale primo campionato a scendere in pista, con gare ufficiali in cui si assegnano punti.  Seppur a porte chiuse, ad Elkhart Lake - Wisconsin - i piloti della serie di Wayne Rainey apriranno le ostilit&agrave; 2020, in un tracciato spettacolare, selettivo, ostico. Il round di Road America &egrave; programmato per i giorni 29, 30 e 31 maggio e sar&agrave; trasmesso in diretta TV sul canale Fox Sports e tramite MotoAmerica Live+: una buona occasione per chi &egrave; rimasto a digiuno di competizioni e desidera vedere duelli, bagarre, sorpassi e vincitori.  I protagonisti   Vincitori, appunto. Chi potr&agrave; battere il campione Cameron Beaubier? Il californiano e la sua Yamaha R1 rappresentano il duo, sulla carta, favorito; lo dice il palmares di Cam, lo conferma il buon supporto garantito dalla filiale USA dei tre diapason al team Monster Energy, lo ha spiegato il pilota nel pre season: &ldquo;Finch&eacute; correr&ograve;, sar&agrave; con e per il numero 1. Altrimenti, smetto e vado a divertirmi con il cross&rdquo;. Pi&ugrave; chiaro di cos&igrave;.  Toni Elias - l&rsquo;unico contendente in grado di battere Beaubier nel 2017, con la Suzuki Yoshimura, squadra factory a tutti gli effetti - avr&agrave; ancora una GSX-R, ma dalla diversa vestizione: Il team Hammer, una compagine sicuramente preparata, tuttavia, sprovvista del CV che Yoshimura poteva vantare. Al fianco di Elias, Bobby Fong, detentore della Supersport nazionale. Per lui, oltre alla necessit&agrave; di imparare i segreti della 1000, la voglia di inserirsi immediatamente nel gruppo dei migliori.    Gruppo nel quale ammireremo sicuramente, il sudafricano Mathew Scholtz, altissimo corridore gi&agrave; visto in Europa, negli States con una R1 color oro - nero - rosso. Lo ha detto egli stesso: &ldquo;Vanno bene i successi di tappa ed i podi, ma io voglio il titolo&rdquo;. Ecco tutto.  L&rsquo;ex Middle Class Josh Herrin salta su una BMW, messa in pista dal team Scheibe, formazione seguita con attenzione da Motorrad America, che vuole far volare la S1000 RR, una motocicletta sofisticata, dal grande potenziale.  Jacob Gagne - detto Jake - dopo parentesi non propriamente proficue nel Mondiale SBK, &egrave; tornato in patria nel 2019. Per il ragazzo di San Diego, quest&rsquo;anno una Yamaha messa in pista da Attack Performance, che annovera un primo posto ottenuto lo scorso anno grazie a JD Beach, passato a Estenson Racing, sempre su R1 M.  Doppio Rosso, in USA  Per Ducati, una parentesi dedicata. La Panigale V4 R, nel 2019 ha sfiorato il colpo grosso con Bautista nella serie iridata delle derivate, dimostrandosi un progetto nato bene. Nel BSB ha conquistato il titolo insieme a Scott Redding, che oggi &egrave; nel mondiale.  Nel MotoAmerica, &egrave; stato Kyle Wyman a portare in gara la Rossa che, a dir la verit&agrave;, nella prima uscita montava ancora carene tutte nere. La bellissima livrea sfoggiata nel weekend successivi si rivelata la pi&ugrave; apprezzata dagli appassionati, ed il team KWR, nel frattempo, riceveva aiuti da Borgo Panigale: centralina elettronica Marelli, software e ingegnere di pista al lavoro per migliorarne le prestazioni.    Confermata la presenza di Wyman, si &egrave; aggiunto PJ Jacobsen, anch&rsquo;egli visto dalle nostra parti. Il pilota dello stato di New York ha una Ducati del team Celtic HSBK Racing, con una V4 R numero 99 pronta alla sfida.  Guardando le foto, abbiamo notato l&rsquo;adesivo Ducati Corse appiccicato sul parafango anteriore: ci&ograve; significa che tra le parti vige un rapporto di collaborazione? Ci ha risposto Paolo Ciabatti: &ldquo;Il team Celtic ha un supporto da parte nostra, attraverso Ducati North America; la V4 R di Jacobsen &egrave; in versione Superstock, noi aiuteremo pilota e squadra nello sviluppo, Kyle Wyman ha, invece, una full SBK, preparata da Barni. L&rsquo;elettronica segue le specifiche del CIV Superbike e abbiamo fatto un training al tecnico elettronico KWR, rivelatosi molto bravo. Ogni qualvolta avr&agrave; bisogno, possono chiamare ed inviare i dati per dei suggerimenti&rdquo;.  Ciabatti: &ldquo;Lorenzo non &egrave; un candidato per noi&rdquo; 

Nel weekend di settimana prossima vedremo ad Elkhart Lake i piloti della serie di Wayne Rainey, con Beaubier e Yamaha a difesa del numero uno, Elias che ci riprova su Suzuki e due Ducati al via

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