La positività di Rossi e lo stop precauzionale di Arbolino lo confermano: nemmeno il paddock della MotoGP è “asettico”
20.10.2020 16:00
Il Covid-19 era già arrivato nel paddock del Motomondiale alcune settimane fa, colpendo piloti come Jorge Martin della Moto2, Matteo Bertelle della Red Bull Rookies Cup e alcuni tecnici e ingegneri di vari team. Lo scorso weekend, però, ha fatto capire a tutti con che potenza può condizionare anche il nostro sport preferito sia a livello di visibilità che sul piano prettamente sportivo.
A livello di immagine, non poteva “scegliere” testimonial migliore, suo malgrado: Valentino Rossi è rimasto fermo. In attesa che il Dottore torni nella “corsia” dei box, la MotoGP perde temporaneamente un possibile protagonista delle gare e uno dei suoi piloti simbolo dal punto di vista della comunicazione. Uno che, ancora oggi, indirizza il livello di attenzione di centinaia di migliaia di spettatori.
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A livello sportivo, la presenza del Covid-19 è ugualmente grave: perché non ha permesso a un pilota come Tony Arbolino di partecipare a una delle sfide fondamentali per la lotta al titolo mondiale della Moto3. Con tutte le ripercussioni negative del caso anche per il suo team e gli sponsor.
Dire che questi due tipi di stop equivalgono a un infortunio o a una caduta è il tentativo, ammirevole, di far sembrare normale tutta questa situazione. Ma di normale c’è poco, purtroppo. Nonostante i notevoli sforzi compiuti dalla Dorna, dalla FIM e dai circuiti, tutti grandi esempi di resilienza, il Covid-19 ha condizionato, sta condizionando e condizionerà il pazzo Mondiale 2020: dalla caduta di Marquez al titolo della Moto3. Ai piloti in pista, ai tecnici al box, agli addetti ai lavori nel paddock e a noi giornalisti, il compito di portare a termine nel migliore dei modi possibili questa stagione così anomala.
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