Ritiri eccellenti: cosa sto facendo qui?

Ritiri eccellenti: cosa sto facendo qui?©  Milagro

Se lo domandò Angel Nieto nel 1986: fu il segno che la sua leggendaria carriera era finita. Come lui, Agostini, Roberts, Hailwood, Spencer, Stoner, Lawson e Gardner dimostrano che l’addio ha mille volti. E che la riflessione davanti a Rossi è complicata

Manuel Pecino e Antonio Lopez

28.03.2020 09:10

Nella vita di un pilota, arriva il momento di dire basta, quel giorno in cui ci si lascia alle spalle un’intera vita dedicata ai GP, una vita di adrenalina. Piloti che sono stati protagonisti per anni, che ci hanno fatto saltare sulla sedia per l’eccitazione, e che ci hanno fatto soffrire per le loro cadute, quei piloti hanno compiuto un passo per lasciare spazio ai più giovani. Piloti che per due decenni avevano riempito gli schermi, hanno deciso di smettere: Dani Pedrosa poco più di un anno fa, Jorge Lorenzo meno di 4 mesi fa – ma a Sepang è già risalito in sella come collaudatore Yamaha – sono andati sul muro delle leggende. La loro decisione è stata difficile, perché hanno smesso con ciò che facevano meglio di tutti. 

Giorno di gloria


Se veniamo ai giorni nostri, a Valentino Rossi basterebbe una sola vittoria - una goccia nel mare di una carriera che fin qui l’ha visto vincitore 115 volte - per giustificare la prosecuzione della carriera nei GP. Tutto per rivivere un giorno di gloria, che oggi avrebbe un’importanza paragonabile a un Mondiale.

Vincere a 41 anni dopo un digiuno così lungo, arrivato a 46 (triste coincidenza) gare, porterebbe ancora più su la leggenda di uno dei più grandi piloti di sempre. Senza contare quello che sarebbe l’impatto mediatico, nonché la festa per un pilota che ha tifosi in tutto il Mondo. Purtroppo, però, quel tipo di epilogo romantico non sempre avviene nei GP, e pochi piloti hanno assaporato la gloria sul finale.  

Tra i fortunati ci sono Eddie Lawson e Wayne Gardner. Il californiano, iridato con Yamaha e Honda, scelse di chiudere la carriera con una sfida differente, la Cagiva: "L’obiettivo è un podio il primo anno e una vittoria il secondo". Lawson non poteva essere più profetico: la moto italiana non era competitiva come le giapponesi, e la promessa di Eddie non sembrava potersi concretizzare. Ma, fedele al suo stile e lavorando sodo, la moto più bella mai progettata nei GP arrivò a battere Honda, Yamaha e Suzuki.

Merito anche di condizioni particolari come quelle del GP Ungheria, dove la gara partì con il bagnato ma Lawson decise di rischiare montando - caso pressoché unico quel giorno - le gomme da asciutto. A metà gara, la Cagiva era a più di 50 secondi dalla vetta, ma Eddie rimase in pista aspettando il momento giusto, e soprattutto una traiettoria asciutta. Quando questa arrivò, all’improvviso il quattro volte iridato divenne il pilota più veloce in pista, fino a guadagnare sei (!) secondi al giro sui primi. Lawson si prese il comando, vinse e mantenne la promessa. 

In quello stesso 1992, Gardner esaltò tutti al GP Gran Bretagna, lieto fine di un’annata iniziata con un grave infortunio rimediato con la caduta sotto il diluvio a Suzuka. La seconda caduta di quel giorno, dato che dopo la prima l’australiano era stato capace di rimontare nonostante il cupolino rotto e gli scarichi danneggiati. Ma nella seconda caduta Gardner finì violentemente contro le barriere e le sette fratture alla gamba destra lo tennero lontano dai GP per mesi. 

Ma a Donington, dove alla vigilia annunciò il ritiro a suo modo ("L’asfalto sta diventando sempre più duro") vinse la gara interrompendo un digiuno durato due anni, nei quali Gardner aveva perso la speranza di poter aggiungere un trofeo alla sua bacheca. Quel giorno, sul podio Wayne capì che era il suo giorno speciale, e le lacrime di dolore del giovedì divennero di gioia. 

1 di 4

Avanti
  • Link copiato

Commenti

Leggi motosprint su tutti i tuoi dispositivi