Alex Gramigni: “Rinaldi mi ha emozionato quando ad Aragon ha dato paga a tutti”

Alex Gramigni: “Rinaldi mi ha emozionato quando ad Aragon ha dato paga a tutti”

Il primo pilota che ha regalato un alloro iridato ad Aprilia, ha ripercorso con noi il mondo attuale del motociclismo, commentandone ogni aspetto, anche quello più virtuale

30.01.2021 ( Aggiornata il 30.01.2021 20:04 )

La prima vittoria e il primo titolo iridato dell'Aprilia in 125 cc portano il suo nome. Quello di un pilota fiorentino che al suo terzo anno nel Mondiale riuscì a far convergere tutti i fattori nel successo, ovvero Alex Gramigni. E dire che in quel 1992 fu costretto a correre gran parte della stagione con i postumi di una gamba fratturata in un incidente stradale, e così nei GP passava dalla sella della sua Aprilia alle stampelle.

Classe 1968 il “Gram” ha scritto una storia importante nel motociclismo italiano e oggi lo troviamo sempre legato all’ambiente, con la sua Old School Racing e la collaborazione con Pirelli per sviluppare le gomme della Superbike. Il primo toscano iridato è tornato con noi indietro nel tempo, ragionando su cosa è migliorato e peggiorato nel motociclismo e ci ha raccontato le emozioni più forti che gli hanno regalato i piloti italiani, non ultimo il successo di Michael Ruben Rinaldi in SBK, non a caso pilota su cui quest’anno Ducati ha deciso di puntare.

Quanto è cambiato il mestiere del pilota al giorno d’oggi?

"Una volta il pilota ufficialmente era meno professionale, poi in realtà magari lo era allo stesso modo. È pur sempre un lavoro che prende 24 ore su 24 e bisogna essere motivati sempre. L’essere più o meno professionale dipende da come lo si vive".

E come pensi ne sia cambiata invece l’immagine?

"Oggi è molto più perbenistica, sono tutti contenti. Arrivano ventesimi e quando li intervistano sono sempre sorridenti. Un tempo eri più libero di essere te stesso, oggi magari lo vorrebbero essere ma non possono perché il mondo li obbliga a essere sempre con il sorriso".

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Credi che questo dipende dall’ampia esposizione mediatica?

"Forse è un interesse anche dei piloti stessi. Oggi dici qualcosa a qualcuno o fai una foto e la vedono su larga scala, a seconda della popolarità sui social. Una volta, senza social, ti sentivi più libero anche di essere te stesso. Tutto è un po’ storpiato dal sistema della realtà nuova in cui tutti possono dire tutto".

Come pensi che vivano questo mondo dei social i piloti?

"Male, o meglio i più bravi sono più soli. Quelli invece che sono falsi e disonesti con sé stessi sono più contenti. Siccome vince uno e gli altri sono tutti peggio, penso che sia una cosa che alla fine fa più del bene a tutti anche se crea falsità. Sono contente più persone che sono lì non per qualità, ma per l’abilità di saperci stare. Conosco persone brave nel loro lavoro – non parlo di piloti – che non vogliono più lavorare nell’ambiente per questo sistema attuale. Anche perché succede che intorno al pilota si forma un gruppo di persone che non sono più appassionate e competenti come quelle di una volta".

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Pensi che la forte esposizione mediatica sia un peso per loro?

"A livello Mondiale forse è un fastidio. A livelli più bassi è una cosa che cercano".

Quali sono gli italiani che più ti emozionano?

"In MotoGP coloro che hanno fatto qualcosa in più: Valentino Rossi, Andrea Dovizioso e Danilo Petrucci con la vittoria al Mugello due anni fa. In Superbike Michael Ruben Rinaldi mi ha emozionato quando ad Aragon ha dato paga a Rea e a tutti gli altr".

Cosa pensi che manchi oggi ai piloti e cos’hanno invece di troppo?

"Forse hanno più personalità all’esterno e poi in realtà non sono da soli a decidere. Una volta c’era più personalità all’interno e anche nelle decisioni e veniva fatta meno pubblicità del personaggio da parte di sé stesso".

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Oggi tutti i piloti sono affiancati dalla figura del manager che è diventata necessaria, cosa ne pensi?

"Ci sono i manager famosi e importanti perché sono capaci, oppure perché sono manager di un pilota bravo e in realtà non è il loro lavoro. È una valutazione difficile da fare. Ci sono piloti che hanno manager che li hanno rovinati e altri che invece sono emersi proprio grazie a questo aiuto. Io sono sempre stato diffidente da quel tipo di figura, però ho raccolto anche molto meno perché non ce l’ho mai avuto. Però il mondo delle corse posso solo che ringraziarlo guardando a com’ero prima di iniziare a correre".

Invece della presenza delle famiglie dietro a ogni pilota cosa dici?

"È come ai miei tempi, rompono le palle! Scherzi a parte, il 70% delle volte penso sia negativa. Spesso il genitore o una persona vicina diventa manager perché il pilota diventa bravo, e quindi prende importanza e valore, ma in realtà non è in grado di fare quel lavoro. A volte capita che sia obbligato per proteggerlo, perché i piloti sono sempre stati usati e il pilota per la sua passione si fa usare".

Oggi i piloti hanno anche tanti sponsor, come pensi che ricada questo sulle loro spalle?

"Li tocca poco. Sono più i manager che devono gestire queste cose. A meno che il pilota non sia uno dei primi tre della MotoGP, non sa neanche che rapporto c’è con lo sponsor. Quello che arriva decimo in Moto3 penso che non conosca neanche tutti gli sponsor che ha sulla carena".

La preparazione fisica dei piloti è cambiata molto negli anni.

"Oggi si preparano molto meglio e più di quanto non si facesse allora. Io sono stato tra i primi a fare motocross, ma lo facevo perché mi piaceva, non perché pensavo che servisse. Non lo svolgevo in maniera professionale come viene fatto adesso".

Quindi sei favorevole agli allenamenti con questa disciplina?

"È forse una delle cose più rischiose che può fare un pilota di velocità, però non posso dire che non serva. Ha un suo vantaggio, ma se il mio pilota si giocasse il mondiale, cercherei di farglielo fare meno possibile quando inizia la stagione".

Com’è cambiato il paddock rispetto ai tuoi tempi?

"Molto, oggi c’è meno contatto umano. È tutto molto più professionale, assomiglia più alla Formula 1. Ai miei tempi era un po’ più per tutti, adesso è per pochi, sia per entrare sia perché quando sei dentro non è detto che riesci a vedere il tuo pilota preferito. Il paddock in Superbike è già più vivibile, ma noti la distanza. La gente è più schiva, magari anche perché hanno anche più lavoro".

Parlando da un punto di vista tecnico, cosa ne pensi del fatto che in MotoGP oggi ci sia così tanta elettronica e aerodinamica?

"Mi piace, ci vuole. Altrimenti non riusciresti a domarle queste moto. Fino all’anno scorso ho fatto 8mila km l’anno per sviluppare le gomme del mondiale Superbike e se non ci fosse l’elettronica di oggi non sarei riuscito a guidare. Aiuta un po’ anche me che ho un’età, come anche chi è meno bravo a migliorare di più. L’aiuto è anche per la squadra. Prima si dovevano fidare totalmente di quello che diceva il pilota, adesso si fanno un’idea guardando i dati. È un valore aggiunto".

In Moto2, invece, troviamo la Kalex che domina e tutte le moto che hanno il motore Triumph. Sei favorevole a questa uniformità?

"Alla fine sì. Forse è più rischiosa perché ha meno controlli, ma crea anche un po’ di esperienza da parte dei piloti e delle squadre, è un buon banco prove per poi andare in MotoGP. Se ci fossero più marche, così come nelle gomme, diventerebbe difficile controllare chi rispetta le regole".

Pensando ai piloti che ci sono oggi in pista, chi è colui che meglio si sarebbe adattato alle moto dei tuoi tempi?

"In generale i piloti si adeguano sempre. Se prendi un pilota di oggi e lo metti nelle gare di ieri ci sta, funziona".

Come valuti il lavoro della Direzione Gara? Nel 2020 ci sono state tante polemiche.

"Forse ci sarebbe bisogno di un team di parte che fa le regole, ma che non sia pagato dall’organizzatore del campionato. E secondo me dovrebbe essere la Federazione, l’organo che un po’ manca. Il Mondiale è diventata una cosa privata, Dorna fa la parte della Federazione e forse potrebbe essere stata anche l’unica maniera per poter creare un’azienda che funziona".

Infine, se potessi qual è un aspetto che andresti a migliorare nel motociclismo?

"Quello della reale comunicazione. Tutti i piloti dovrebbero comunicare al mondo che li guarda come sono loro davvero. Come si allenano e come sono i piloti di oggi. Ci si potrebbe lavorare, visto che ci sono i social come organo trasmettitore. L’unico in grado di far vedere un po’ questo è Valentino, con la sua VR46 Riders Academy".

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