MotoGP, Poggiali: “Dovizioso che rimane a casa? Qualcosa di inspiegabile”

MotoGP, Poggiali: “Dovizioso che rimane a casa? Qualcosa di inspiegabile”

Nel 2003 Manuel Poggiali vinceva il suo ultimo titolo e da quegli anni di cose nel motociclismo ne sono cambiate. Ecco il suo racconto, ora che è tornato nel paddock da coach

31.01.2021 ( Aggiornata il 31.01.2021 13:08 )

Nei primi anni 2000 chi disputava le classi minori del Mondiale ha dovuto fare i conti con un ragazzino terribile che rispondeva al nome di Manuel Poggiali (qui i suoi consigli da coach), che ha dominato e ha portato a casa un titolo in 125 cc e un altro in 250 cc. Poco meno di vent’anni dopo il sammarinese lo troviamo di nuovo nel paddock – sia del Mondiale sia del CIV – impegnato a far crescere i giovani talenti nel team Gresini. E non sono poche le differenze che trova rispetto ai suoi tempi, dal paddock all’esposizione mediatica dei piloti, per non parlare dei GP stessi e in veste di tifoso dice: «Sono meno passionali rispetto ad una volta».

Quanto è cambiato il mestiere del pilota dai tuoi tempi ad oggi?

"In maniera più importante è cambiato tutto l’aspetto preparatorio alle gare. La preparazione fisica in particolar modo. Oggi il pilota è veramente un atleta, mentre vent’anni fa lo era in maniera molto diversa. E poi sono cambiati anche altri aspetti perché legati alle moto che negli anni sono cambiate".

L’immagine del pilota invece?

"Ha poco a che fare con il risultato. Oggi c’è questo aspetto mediatico che fa apprezzare un pilota anche per aspetti che vanno al di là delle gesta sportive. Valentino Rossi vive di rendita per certe cose e ora che non vince, ha più importanza a livello mediatico di Joan Mir che è il Campione del Mondo in carica".

Qual è il pilota che secondo te poteva essere competitivo anche ai tuoi tempi?

"Queste sono moto diverse, ma un pilota che andava forte allora sarebbe capace anche adesso o viceversa. Anche uno come Giacomo Agostini se avesse gareggiato attualmente, avrebbe fatto il suo in questi anni. Il pilota veloce non ha ere e non ha anni".

C’è un pilota in cui ti rivedi?

"Ci sono piccoli sprazzi da certi punti di vista. Sono stato un pilota molto metodico, ero molto avanti nella preparazione in funzione delle gare, poi quando ero in pista ero puro talento. Nei ragazzini giovani vedo un po’ meno fuoco nel fare il lavoro a casa, rispetto a quella che è stata la mia esperienza. Kevin Zannoni, con cui ho vinto il Campionato Italiano in Moto3 l’anno scorso, penso abbia delle caratteristiche molto simili a me".

Chi sono invece gli italiani in attività che più ti emozionano?

"In Moto3 mi ha entusiasmato molto Celestino Vietti, lo vedo un ragazzo molto semplice, buono, sincero e ha una cattiveria agonistica pazzesca. Ha fatto una stagione incredibile. Ma anche Tony Arbolino, che ha fatto una super stagione, con alti e bassi, e in qualche occasione anche Romano Fenati mi ha emozionato".

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A proposito di Moto3, pensi che insegni a correre in modo un po’ troppo garibaldino?

"Difficile da dire. Vengo, come molti ragazzini, dalle minimoto e lì ci sono contatti continui, anche se il rischio è diverso. Il pericolo c’è nel nostro sport, ma sono stati fatti tanti passi in avanti se pensiamo a qualche anno fa".

Cosa pensi che i piloti di oggi abbiano di troppo?

"Ci sono un po’ troppe comodità a 360° e tutto è un po’ troppo semplice. Questo comporta che manchi un po’ di “fuoco” in certe situazioni. Una cosa che ti sudi e che conquisti ti fa capire il suo vero valore. Ci sono piloti nel Mondiale con molto meno talento di altri che invece sono a casa o non hanno avuto le potenzialità di altri. Guarda Dovizioso che rimane a casa, è qualcosa di inspiegabile".

Oggi più di un tempo ci sono tanti sponsor nel Mondiale.

"Penso che la Formula 1 abbia un po’ rovinato l’ambiente del motorsport, perlomeno ha dato il via a un principio meno meritocratico e più legato ad un aspetto economico. Spero che negli anni ci possa essere un’inversione".

E che peso può sentire il pilota di tutto ciò?

"Per la mia esperienza, non sentivo il peso degli sponsor, ma lo sentivo di più da pilota ufficiale per la Casa costruttrice rispetto a quando ero in un team privato. C’è una enorme differenza. In quel caso arriva la tensione, si percepiscono le responsabilità e se non arriva il risultato: largo ad un altro. Gli sponsor personali penso siano prima di tutto amici, persone che credono in te e con cui hai un certo tipo di rapporto".

Rispetto ai tuoi tempi com’è cambiato il rapporto tra pilota e tifoso?

"Prima il tifoso alle gare era molto più vicino al pilota, il contatto era più ravvicinato. Era molto semplice vivere il contesto e fare una foto con il tuo idolo. Oggi non è più possibile e a tutto questo ha preso il sopravvento il social. Sta diventando tutto più virtuale".

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Approfondendo il tema della preparazione fisica, pensi che il motocross sia importante?

"In termini di attività bisogna fare tutto quello che è funzionale a un determinato risultato, cercando di contenere il più possibile i rischi, anche se si sa che il motociclismo comporta dei rischi. Non penso che la tecnica e la gestione che ci vuole nei salti siano funzionali alla velocità. Un altro aspetto sfavorevole è l’ottica, non è la stessa che si utilizza nella velocità. Il cross è, a livello di sforzo fisico, forse la massima espressione del motociclismo e può aiutare a gestire l’imprevisto. Ha pro e contro come ogni sport, va cercato un compromesso nel trovare quello che serve in funzione dei propri punti deboli che bisogna riconoscersi, che vanno capiti e quindi migliorati".

Quanto è cambiato il paddock in questi anni?

"Quello di una volta, visto da appassionato, è sicuramente molto più figo. Ricordo che nel 2003 al Mugello il mio motorhome era a fianco di quello di Valentino Rossi e nella notte del sabato c’era gente che gli bussava alla porta per l’autografo. Questo fa capire quanto fosse aperto l’ambiente, faceva sentire l’appassionato più partecipe del contesto. Oggi questa atmosfera è nel libro dei sogni. Per gli addetti ai lavori è favorevole, è tutto più controllato e gestibile".

In MotoGP le moto di oggi hanno tanta elettronica e c’è anche molta aerodinamica, cosa ne pensi?

"Tutto fa parte di un normale processo evolutivo. Credo che la tecnologia deve andare avanti se in funzione di una performance, che può essere sia di velocità che di sicurezza. Dal punto di vista del pilota è chiaro che viene agevolato e non poco. Così si può concentrare di più nel lavorare su altri aspetti".

Se consideriamo il motociclismo, qual è un aspetto che se potessi vorresti migliorare?

"Tantissimi limiti sono imposti da un rispetto dei costi. Da una parte si ragiona in una certa maniera, dall’altra tra un po’ arriviamo a correre tutte le domeniche, e con un infortunio si butta via una stagione. È sempre un equilibrio che va trovato e ora siamo ad un punto abbastanza estremo. Farei meno gare distribuite un po’ tutto l’anno".

Qual è il tuo pensiero sulla Direzione Gara?

"Quello che non andrebbe mai tralasciato è che le regole devono essere esattamente uguali per tutti. Ci dev’essere una grande democrazia, per non creare condizioni di serie A e serie C all’interno dello stesso ambiente, tra situazioni similari che possono accadere negli anni. Ci vogliono regole corrette, etiche, precise. Se non lo sono abbastanza si miglioreranno, per mettere a parità tutti i piloti e tutte le situazioni nella stessa maniera. Questo è il principio che non dovrebbe mai mancare".

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