Luca Cadalora: “Vincere a Misano mi dava un grande gusto”

Luca Cadalora: “Vincere a Misano mi dava un grande gusto”© Fraternali

Il modenese ha conquistato due GP indimenticabili, per ragioni differenti: "Nel 1991, in 250, tagliai il traguardo agganciato a Bradl. Due anni dopo, in 500, vinsi contro Schwantz e Doohan. Ma fu il giorno del dramma di Rainey..."

13.09.2021 ( Aggiornata il 13.09.2021 19:42 )

Per raccontare la storia del circuito di Misano non si può prescindere dal percorso di Luca Cadalora, tre volte iridato (una in 125 nel 1986 e due volte in 250 nel biennio 1991-92) che su questa pista lasciò il segno con imprese entrate nella leggenda del motociclismo. Tutt’altro che divo, il modenese era un pilota molto tecnico, preciso e completo, capace di lottare per il titolo anche in 500 con prestazioni capolavoro. Al Santamonica vinse nelle ultime due edizioni del GP con il circuito che girava in senso antiorario: nel 1991 si aggiudicò la 250 in un duello spalla a spalla, nel vero senso dell’espressione, contro Helmut Bradl, rompendo così il sortilegio che negli anni precedenti l’aveva visto uscire di scena nei primi giri. E nel 1993 vinse la 500 in un duello nientemeno che con Mick Doohan, nel giorno del dramma di Wayne Rainey, suo compagno di squadra nel Team Roberts.

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Dal 1987 al 1991


Riavvolgiamo il nastro: al 1987 risale una tua prestazione incredibile a Misano, in 250, con la consueta (per i tempi) pessima partenza e il secondo posto.

“Ero partito penultimo, proprio malissimo! Mi misi lì di buona lena, recuperai tantissime posizioni, però il Reggio (Loris Reggiani, nde) con l’Aprilia aveva preso margine. Quella tra l’altro fu anche la prima vittoria dell’Aprilia nel Mondiale. Fu una gara mitica. Ricordo che ne avevo passati tantissimi, quando mi diedero la bandiera a scacchi mi rammaricai: ‘Ma no! Ne devo prendere ancora un altro!’ (ride). Fu comunque una bella gara, una rimonta incredibile”.

Un risultato degno di nota, no?

“Era un secondo posto importante, io ero al primo anno in 250 con la Yamaha del Team Agostini. Puntavamo a vincere le gare, ma era comunque un buon secondo posto sudato, arrivato al termine di una bella corsa. Ricordo che i giornalisti erano tutti carichi per la doppietta italiana. Ho anche un foto, molto bella, delle interviste dopo quel podio”.

E Giacomo Agostini cosa ti disse?

“Era contento, però ero partito male. Mi disse che se fossi partito bene avremmo vinto la gara, che poi era vero”.

Quattro anni più tardi, nel 1991, invece, l’epilogo è stato diverso.

“Eh! Grande gara anche quella. C’era stata proprio una grande lotta, prima in prova e poi in gara, con Helmut Bradl. Fu un duello di quelli epici. Fu un arrivo da volata in bici, gomito contro gomito, vinsi per un’inezia. Il mio gomito era davanti al suo, sapevo di aver vinto, anche se per pochissimo”.

Un divario di nove millesimi...

“Ce la giocammo veramente fino in fondo. Io ero davanti all’inizio dell’ultimo giro, lui mi sorpassò al Tramonto e io lo ripassai alla Brutapela, ma in uscita ci agganciammo e arrivammo sul traguardo proprio attaccati l’uno all’altro, con le moto inclinate”.

Che tipo di rivale era Bradl?

“Era uno tostissimo, tedesco di quelli veri (lo dice ridendo, ndr). Però era anche molto leale. Quell’episodio poi ebbe qualche strascico: ci fu il richiamo da parte della Federazione internazionale perché non volevano che un contatto del genere succedesse di nuovo, parlarono con entrambi separatamente. Ci dissero che non avremmo dovuto ripetere una cosa del genere. E poi la gara successiva fu anche in Germania, a Hockenheim, e non fu piacevolissimo andare nel suo Gran Premio di casa dopo quello scambio molto duro”.

Vi siete parlati dopo l’arrivo?

“No anzi, non parlammo per un bel po’. Poi l’ho rivisto, dopo tanti anni che ci eravamo ritirati tutti e due, perché correva suo figlio Stefan. Ed è stato molto buffo perché suo figlio, che non avevo mai conosciuto prima, mi disse che ero stato il suo incubo da bambino, perché davo del filo da torcere a suo padre e perché vinsi anche il Mondiale contro di lui. Poi con Helmut ci siamo parlati e ritrovati, era passato tutto. Il tempo aggiusta tutto, almeno queste cose".

Di quella gara cos’altro ti ricordi? Hai un flash in particolare?

"Ricordo che quando tagliai il traguardo c’era la gente impazzita già a bordo pista, una cosa che non si vedeva sempre”.

E che festa fu?

“Niente di particolare. Eravamo un po’ all’antica, non c’erano i social, le cose non ‘rimbalzavano’ tantissimo. Ricevetti tantissimi complimenti, ma fu una cosa un po’ al limite. La cosa bella è che questa gara è ricordata perché è un caso più unico che raro con due piloti a tagliare il traguardo agganciati l’uno all’altro”.

Misano 1993 e il dramma di Rainey


L’altra tua vittoria a Misano risale al 1993, due anni dopo, in 500, con un’altra prova memorabile. Ma quel GP è ricordato per altre ragioni.

“La gara fu spettacolare. Purtroppo una delle più belle corse della mia carriera coincise con il grave incidente occorso a Wayne Rainey, che era il mio compagno di squadra. Il dopo-gara fu una cosa davvero tremenda, però la corsa fu veramente incredibile”.

Come la racconti?

“Avevo Wayne davanti a me, e all’inizio ci seguiva Kevin Schwantz che stava lottando per il titolo con Rainey. Credo che dal muretto box non ci mostrarono mai una tabella con più di un secondo di vantaggio su Schwantz. Tiravamo come matti e purtroppo a un certo punto Rainey cadde davanti a me, nella curva dopo i box, e passai in testa. Lottai prima con Schwantz, poi nel finale arrivò Mick Doohan con la Honda, battagliai un po’ con tutti. Fu un duello bellissimo, una gara stupenda. Purtroppo poi imparammo che quella di Rainey non era stata una banale caduta... Questo ci tolse la gioia della giornata, ma la cosa più brutta è che ha tolto l’uso delle gambe a lui. Fu il mio successo più triste, dopo la gara la sera andai al Bufalini a Cesena a trovarlo”.

Come descrivi i duelli di quella gara?

“Se devo ripensare soltanto a quelli... direi duelli straordinari. Arrivai al traguardo con la carena completamente sverniciata in alcuni punti perché toccava per terra per via delle pieghe che avevamo fatto durante la gara. Veramente incredibile! Fu una gara veramente tosta e velocissima”.

L'amore per Misano


Che sensazioni provavi nel vincere a Misano?

“Bellissime, un gusto enorme. Per me era il Gran Premio di casa, come il Mugello, quelle erano gare particolari”.

Che pista era quella di Misano?

“Bellissima! Si girava al contrario rispetto a oggi e c’era questa serie di curvoni che venivano fatti in accelerazione dal Carro al Tramonto. Adesso vengono fatti quasi in fase di rallentamento, mentre prima era una continua accelerazione fino al curvone finale che ti immetteva sul rettilineo. Era una roba tosta! Ho dei ricordi piacevoli nella versione ‘vecchia’. Su questa nuova configurazione ho girato, ho fatto qualche prova per divertimento, e comunque devo riconoscere che è una bella pista anche adesso”.

Cosa bisognava fare all’epoca per tirar fuori tutto il potenziale?

“C’era il curvone che era la sequenza delle curve del Carro, 1, 2 e 3, e lì potevi fare la differenza. Si sapeva che se riuscivi ad andare più forte di tutti in quel tratto poi la gara probabilmente te la portavi a casa. Era il pezzo che mi dava più gusto. Da dopo il traguardo fino al rettilineo, quindi comprendendo anche le prime tre curve, era un pezzo veramente tosto”.

Invece una cosa che non ti piaceva della pista?

“La curva della Quercia, non l’ho mai trovata piacevolissima da fare”.

Con una parola, come descriveresti la pista?

“È piatta, è una sua caratteristica. Non ha dei dislivelli come invece li ha il Mugello. Ma resta una pista storica”.

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