Duelli da leggenda: quando Freddie Spencer piegò Kenny Roberts

Duelli da leggenda: quando Freddie Spencer piegò Kenny Roberts© Milagro

Fast Freddie seppe resistere alla rimonta di King Kenny, che pur conquistando l’ultima gara nel mondiale non riuscì a ritirarsi da campione della 500. Il giovane Spencer fu il primo a vincere con la Honda nella classe regina

31.10.2021 ( Aggiornata il 31.10.2021 19:30 )

Testa o croce, bianco o nero, yin e yang: la stagione 1983 della classe 500 si sviluppò lungo l’asse Roberts-Spencer, senza contemplare soluzioni intermedie in nessuno dei 12 GP del Mondiale. O vinceva l’uno o si imponeva l’altro, un duopolio senza precedenti negli ultimi 40 anni della classe regina. Alla leggendaria sfida tra i due statunitensi contribuì la contrapposizione tra le altre variabili della contesa: Kenny con la Yamaha dotata di gomme Dunlop, una guida rotonda, tre Mondiali già in bacheca, Giacomo Agostini e l’ex pilota Kal Carruthers (iridato con la Benelli in 250 nel 1969) a guidarlo nei box.

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Una contesa tiratissima


All’altro angolo del ring l’emergente Freddie con la Honda, i pneumatici Michelin, uno stile che lo portava a spigolare le curve ed Erv Kanemoto (nessuna esperienza in sella ma soltanto ai box) nelle vesti di capotecnico. Ad aggiungere pepe alla contesa, l’annuncio di Roberts di appendere il casco al chiodo al termine della stagione, a prescindere dal risultato finale. Già, perché si trattava anche di un duello generazionale: tra il californiano pluriiridato e la giovane stella della Louisiana, la differenza era di dieci anni esatti.

Il ventunenne Fast Freddie iniziò il 1983 alla grande vincendo i primi tre GP, guadagnando 25 punti di vantaggio sul rivale (la vittoria ne attribuiva 15). King Kenny, beffato a Monza prima da una scivolata alla Parabolica quando era al comando e poi, una volta risalito in sella, dall’esaurimento del carburante, trionfò in Germania Ovest e Austria, finendo secondo in Spagna. E così a metà campionato il suo ritardo era sceso a sei lunghezze. Spencer vinse anche in Jugoslavia una corsa in cui il rivale finì quarto dopo una furiosa rimonta, obbligata dalla partenza disastrosa (ai tempi ancora a spinta) che costituiva spesso il punto debole per Roberts e la Yamaha. Ma il californiano si riscattò con una tripletta, in Olanda (nella gara che rischiò di essere fatale al campione uscente Franco Uncini), Belgio e Gran Bretagna. E in quel modo, il Marziano si portò a due punti dalla vetta. Restavano il penultimo round, in Svezia, e il successivo, un mese dopo, a Imola.

Nervi tesi in Svezia


Ad Anderstorp, Roberts sembrava destinato alla vittoria ma alla penultima curva fu infilato da Spencer. I due finirono larghi, sull’erba, e Freddie fu il più rapido a rientrare: il pilota della Honda vinse per 16 centesimi e portò il suo vantaggio in campionato a cinque punti. Roberts la prese malissimo: “Gli parlai subito dopo, ma nulla di quanto dissi era pubblicabile. Se avesse detto una parola l’avrei fatto volare giù dall’auto” disse riferendosi alla Mercedes cabrio su cui salivano i primi tre all’arrivo per effettuare il giro d’onore e salutare il pubblico. Poiché il secondo classificato incassava 12 punti, nel GP San Marino al californiano dagli occhi di ghiaccio non sarebbe bastato vincere per conquistare il trono: Spencer sarebbe dovuto arrivare terzo o peggio.

Roberts aveva bisogno di un alleato, tuttavia le altre due OW70 ufficiali erano guidate dal compagno di squadra Eddie Lawson, ancora troppo acerbo nel suo primo anno completo in Europa, e Marc Fontan (Team Sonauto), mai a podio. Si vociferò persino che Agostini avesse chiesto aiuto a Virginio Ferrari, che in tutta la stagione con la Cagiva non aveva conquistato nemmeno un punto. Roberts non se ne preoccupò più di tanto e approfittò della lunga sosta per viaggiare con la prole, come spiegò una volta arrivato al circuito, ai tempi intitolato al solo Dino Ferrari: “È stato un mese di vacanza, i miei bambini sono qui perché questa è la mia ultima corsa in Europa, la loro ultima chance di vedere il loro papà come pilota da GP. Vivono con la mia ex moglie in California, così se gareggiassi ancora nel Mondiale non avrei abbastanza tempo per loro, per questo mi ritiro dai Gran Premi”.

Kenny conquistò la pole position a Imola con un tempo di 1’53”49, ma Spencer con 1’54”00 si tenne dietro tutti gli altri. Questo sancì il primo pareggio del weekend: sei pole stagionali a testa. In prima fila anche Marco Lucchinelli, all’ultima uscita con la Honda ufficiale (1’54”65) dove era arrivato due anni prima da iridato ma con cui non aveva mai vinto, Randy Mamola con la Suzuki (1’54”96) e Lawson (1’55”00). Roberts conosceva a menadito gli allora 5040 metri di Imola, avendoci corso sin dal lontano 1974, con due successi nella 200 Miglia.

A Imola la resa dei conti


Al via, però, le Honda NS 500 a tre cilindri mostrarono le loro qualità: Spencer scattò subito in testa seguito da Lucchinelli e Ron Haslam, anche se quest’ultimo venne presto scavalcato da Roberts. Al quarto giro Kenny infilò anche Lucky, guadagnando la seconda piazza, mentre Lawson era risalito in quarta, seppur a debita distanza. Grazie anche al nuovo record della pista, a 160,056 km/h di media, nel giro di altre quattro tornate il leader della corsa cambiò, con l’ingresso vincente di Roberts su Spencer alla staccata della Tosa. Tuttavia per completare il ribaltone in classifica sarebbe servito il secondo posto di Lawson, il quale invece faticava a mettersi dietro Lucchinelli.

Davantti a 80mila spettatori, i due rivali per il titolo si scambiarono la posizioni altre quattro volte nei nove giri seguenti. Approfittando delle chicane il californiano rallentava quel tanto che bastava per aumentare i tempi sul giro, così da aiutare la rimonta di Lawson. “Kenny era veloce in pista e lento allo stesso tempo – spiegò dopo l’arrivo Spencer – ogni volta che potevo, senza rischiare, cercavo di superarlo per allungare e non dare corda alla sua tattica. Più che dura, è stata una gara strana”.

Soltanto al giro numero 17 Eddie si liberò della compagnia del ligure, poi ringraziato pubblicamente da Freddie, e a cinque tornate dalla fine ridusse il ritardo a cinque secondi dal duo di testa. Al 21° passaggio Spencer tornò in testa per scongiurare l’aggancio ma alla Tosa venne ripassato da Roberts. La sua iniziativa ebbe in ogni caso effetto perché al penultimo giro l’altra Yamaha era lontana sei secondi e mezzo. All’ultimo giro Spencer rinunciò a correre rischi e finì secondo a 1”23 da Roberts – ma davanti a Lawson di oltre sei secondi – che pareggiò anche il conto delle vittorie in quel campionato: sei a testa. Il neopensionato era inoltre avanti per il numero dei giri veloci in gara, sette contro i tre del neocampione del Mondo. Un dato figlio delle rimonte a cui spesso Roberts era costretto dalle partenze deficitarie.

Il trionfo di Spencer


Ma nella classifica che più contava, quella del Mondiale, Spencer prevalse per due punti e nel giro di rientro trovò ad attenderlo in pista la fidanzata Sarie Joubert, che due anni dopo sarebbe finita quarta a Miss USA, nonostante il punteggio più alto di tutte (9,311) alla voce “Intervista”. Quel giorno del settembre del 1983, però, tutti gli occhi erano puntati sul suo Freddie e sulla Honda, allo storico primo titolo piloti della 500 dopo un inseguimento iniziato nel lontano 1966. Un titolo che aprì una nuova era, non tanto per Spencer – capace di compiere l’impresa dei titoli di 250 e 500 nello stesso anno, il 1985, prima del crollo repentino – ma della Honda. Da quel 1983 al 2019, l’HRC ha conquistato 21 titoli piloti e 24 costruttori nella top class.

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