Loris Reggiani e la 250: “Il 1992 fu un dominio tricolore”

Loris Reggiani e la 250: “Il 1992 fu un dominio tricolore”© Milagro

Cadalora, Reggiani, Biaggi e Chili vinsero tutti i GP di quella stagione irripetibile. Loris ci racconta: "Eravamo fortissimi, ma c'era tanta rivalità"

08.12.2021 ( Aggiornata il 08.12.2021 20:48 )

Come si è sentita la Spagna, quando, nel 2013, ha visto i suoi piloti vincere tutte le gare della Moto3 e monopolizzare le prime quattro posizioni della categoria? Se qualcuno poteva fornire una risposta, quello era il motociclismo italiano, che nel 1992 aveva compiuto un’impresa molto simile nella 250.

Merito dei nostri quattro moschettieri, capaci di vincere tutte e tredici le gare di quella stagione della classe intermedia: Luca Cadalora si confermò campione con sette successi, davanti a Loris Reggiani (due vittorie) e Pierfrancesco Chili (tre), mentre Max Biaggi (un successo, il primo nel Mondiale) finì quinto nel Mondiale alle spalle di Helmut Bradl, unico pilota capace di impedire il nostro poker in classifica. Ma non di fermare una sequenza di vittorie storica.

A quasi 30 anni di distanza da quella fantastica stagione è Loris Reggiani a raccontare i retroscena: dalla topica di Chili a Jerez (dove esultò per il secondo posto con un giro d’anticipo, chiudendo poi sesto sotto la bandiera a scacchi) al vantaggio acqui sito da Cadalora nelle tre gare iniziali, fino ai rapporti tesi tra i piloti italiani. Proprio lui che, con le sue 11 stagioni intere nella 250, è stato il decano per l’Italia nella classe di mezzo, non riuscendo però ad andare oltre il secondo posto di quell’incredibile 1992 vissuto con l’Aprilia.

Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250

Reggiani: "Aprilia super competitiva, ma il mio campionato fu pregiudicato da un infortunio"


Loris, cosa ricordi di quella stagione?

“Fu bellissima anche perché l’Aprilia era molto competitiva. Il primo ricordo però è triste perché partii per quel campionato con un infortunio non grave nei test invernali e le prime tre gare le feci da convalescente, per cui presi pochissimi punti. Tre corse vinte da Luca Cadalora con la Honda, che andò subito a +52 su di me. Dalla quarta gara, che vinsi a Jerez, qualcosina riuscii a recuperare ma ormai il Mondiale era andato (il modenese prevalse per 44 lunghezze, ndr)”.

Tra i moschettieri azzurri, era Cadalora il rivale principale?

“Sì, però è vero che siamo stati spesso a lottare insieme, Chili mi batté più volte, anche Biaggi mi tolse punti, che comunque non sarebbero stati sufficienti per recuperare su Luca”.

L’unico a inserirsi tra gli italiani, pur non vincendo, fu Bradl.

“Sì, durante le gare poi c’era anche Carlos Cardus. Ma in effetti eravamo noi quattro italiani i più accreditati”.

Hai ricordato Jerez, dove la tua vittoria finì quasi in secondo piano per l’incredibile gaffe di Chili.

“A vederla dopo è stata esilarante (ride), probabilmente lo sarà anche per lui dopo tanti anni, ma quel momento ovviamente fu drammatico per Chili, che era convinto di essere arrivato secondo battendo i piloti con cui era in bagarre, tra i quali Cadalora. Li aveva regolati tutti in quello che pensava fosse l’ultimo giro, per cui il risultato ci sarebbe stato in ogni caso. Invece poi scoprì che non era l’ultimo giro: è una cosa che non auguro a nessuno di vivere, anche se capisco che può succedere”.

Qual è stata la gara più bella di quella stagione?

“Indubbiamente Jerez, per me. Fu una grande vittoria dopo tre gare mostruosamente incolori, dopo le quali sembrava che la stagione potesse rivelarsi disastrosa. Quella vittoria per distacco fu una specie di riscatto, una liberazione. E da lì la ripartenza”.

Dopo, però, Cadalora ha continuato a vincere.

“Lui vinse sette gare contro le sei di noi tre piloti Aprilia, quindi credo che la sua supremazia fosse indiscussa e indiscutibile. Tre di quelle sette corse le conquistò proprio in avvio, quando io ero fuori gioco, ma credo che avrebbe vinto lo stesso perché Suzuka, Eastern Creek e Shah Alam erano circuiti sui quali non ero mai fortissimo. Lui aveva trovato un equilibrio con quella moto e quelle gomme che usava soltanto lui”.

Quali?

“Luca aveva ancora le Michelin, fornitore che di lì a poco sarebbe uscito di scena, contro le Dunlop di tutto il resto della griglia e se non ricordo male andava a cercare delle gomme anteriori vecchie di qualche anno perché erano le uniche con le quali si trovava bene. Nei circuiti dove c’erano le buche e su piste particolari riusciva a fare la differenza. Io persi il Mondiale nel corso della stagione ma soprattutto nelle prime tre gare, e ogni tanto saltava fuori un circuito dove ci massacrava”.

Noale al centro del mondo


Il 1992 coincise con il primo titolo dell’Aprilia nella Velocità con Alessandro Gramigni in 125, ma anche in 250 le moto di Noale fecero furore.

“La nostra era una grande Aprilia, soprattutto a livello di motore. Come sempre rispetto alle moto giapponesi in quegli anni. Con quel motore molto potente, sui circuiti veloci potevamo fare la differenza: a Hockenheim riempimmo il podio. La moto dell’anno prima era già molto veloce ma la versione 1992 aveva anche risolto un problema di ciclistica: la moto dell’anno prima non chiudeva le curve e faticavamo ad arrivare alla corda, invece quell’Aprilia lì era fantastica. L’aveva sistemata molto bene Marcellino Lucchi durante l’inverno e quando ce la diedero a inizio stagione non ci furono dubbi”.

L’Aprilia monopolizzò il podio due volte, in Germania e nella chiusura in Sud Africa.

“Sì, ma non ero molto contento perché in quelle due occasioni non c’ero io sul gradino più alto del podio. In Germania vinse Chili, a Kyalami fu la prima volta di Biaggi. Tre Aprilia sul podio ma io non ero felicissimo (ride)”.

E tre piloti italiani ai primi tre posti alla fine del Mondiale.

“Anche in quel caso non ero felice perché c’era un altro davanti a me (ride). Se devo essere sincero avrei preferiito ci fosse uno straniero davanti a me, credo che un po’ tutti siamo così. Essere ipocriti vale fino a un certo punto, specialmente dopo oltre vent’anni”.

Non correva buon sangue tra voi italiani.

“Non correva. Quando abbiamo smesso di correre ci siamo ritrovati e ci siamo conosciuti meglio. Quando sei avversario, oltretutto della stessa Nazione e nella stessa categoria, è impossibile che corra buon sangue, anche se i caratteri potrebbero essere compatibili. Quando poi non c’è più quella rivalità si capisce che si arriva tutti dalla stessa storia. Io e Cadalora poi siamo molto simili: fin da piccoli ci truccavamo i motorini da soli in garage. Ancora prima che piloti, siamo nati meccanici, amanti della tecnica e del motore, allora è facile andare d’accordo. Io e Luca ora siamo amici anche se ci vediamo poco perché non viviamo nella stessa città. La stessa cosa non la posso dire di Biaggi. Con lui non c’è quell’affinità di carattere che c’è con Cadalora, siamo molto diversi anche nel concepire le sfide, le corse e il modo di battere l’avversario”.

Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al Nürburgring

  • Link copiato

Commenti

Leggi motosprint su tutti i tuoi dispositivi