La storia di Stefano Perugini, dalla 250 alle nocciole

La storia di Stefano Perugini, dalla 250 alle nocciole© Milagro

"Oggi coltivo le nocciole da cui si ottiene la crema al cioccolato, ma un tempo il sapore dolce era quello della mia guida 'alla Stoner'. Ho sfidato Rossi, Capirossi, Harada, Biaggi. Ma ero un ufficiale con motori vecchi e gomme standard"

10.12.2021 ( Aggiornata il 10.12.2021 20:22 )

Coltivare le nocciole migliori, scegliere quelle giuste e fornirle ai produttori della crema di cioccolato che più ci piace: ecco la professione di Stefano Perugini, ex pilota del Motomondiale, protagonista di stagioni iridate complete dal 1994 al 2004, quando il viterbese alternò campionati in sella a 125 e 250 “Rigorosamente due tempi” come spiega lui, amante dell’odore e dall’ebbrezza emanati dalle espansioni montate sulle moto da Gran Premio.

In dieci anni di militanza, il laziale ha collezionato cinque vittorie (tutte in 125), 19 podi, cinque pole position, contraddistinguendosi per uno stile di guida ritenuto più avanti da più di un critico, uno stile “alla Stoner”, poiché abile nel fuggire nei primi passaggi, a gomme fredde, creando il vuoto alle proprie spalle.

Il veicolo che Stefano porta al limite nel presente attuale è un trattore, non poi così performante ma, sorridendo, ci fa notare un particolare: “È dotato di ‘kit racing’ – scherza – e se la cava bene. Anche quando correvo io c’erano le moto kit, ma era meglio disporre di un mezzo ufficiale. Soprattutto nella quarto di litro, classe formativa, selettiva, divertente, assai diversa dalla 125”.

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L'esperienza nella classe di mezzo


Torniamo al salto di categoria: provando per la prima volta la 250, in vista della stagione 1997, cosa notasti?

“Devo dire la verità, la 250 mi spaventò parecchio. In realtà la provai quando ancora facevo l’europeo Sport Production 125, quindi la differenza tra le due moto era abissale. Me lo ricordo bene, ero al Mugello: a fine rettilineo, arrivato in fondo, mi dissi che per me era meglio l’ottavo di litro mondiale...”.

E poi?

“Nelle esperienze successive non ho più avuto quella tremenda sensazione di velocità. Risaltandoci sopra, ebbi buone sensazioni”.

In 250 sei andato bene, con tre podi e il Mondiale 1999 chiuso nella Top 5, ma non hai raccolto come in 125.

“Non ho mai avuto una dueemmezzo ufficiale. Dissi all’Aprilia: ‘Passo in 250 e lascio il posto a Valentino Rossi in 125. Pero voi mi fornite materiale factory’. In quella classe, senza moto ufficiale, non si vinceva. Il meglio lo aveva il tester Marcellino Lucchi, un vero laboratorio. Io avevo il motore di qualche anno prima. Nel salto dalla piccola alla media trovai tanta differenza nella guida. Il meglio lo aveva il tester Marcellino Lucchi, un vero laboratorio. Io avevo il motore di qualche anno prima. Nel salto dalla piccola alla media trovai tanta differenza nella guida’.

In quali dettagli in particolare?

“Presente come faceva Dani Pedrosa? Lui piegava secco e per poco tempo, rialzava subito la moto e dava tutto gas. Ecco, dovetti imparare a guidare così pure io. Arrivavo in curva con grande velocità, la percorrenza era notevole ma, avendo più cavalli della 125, la differenza si otteneva in uscita”.

I podi in 250 li centrasti con una Honda NSR, a cui passasti dopo la prima stagione nella categoria.

“Con la Honda mi trovai bene, anche se si rivelò assai diversa dall’Aprilia. In particolare per l’affidabilità: con la moto giapponese non si avevano mai problemi, si doveva soltanto pensare a guidare. Però, ebbi una sfortuna: nel 1997 Max Biaggi vinse il suo quarto titolo con la NSR del Team Kanemoto, poi l’HRC cambiò tutto il progetto. Io provai la Honda di Ralf Waldmann, davvero buona. In seguito, mi venne data una moto che non c’entrava più niente con quella del tedesco e notai subito che era maledettamente lenta e poco potente. Il passaggio dalla benzina rossa alla verde e l’assenza di test di sviluppo crearono un gap esagerato con l’Aprilia, decisamente più veloce e potente. La mia era inguidabile: noi con le Honda arrivavamo sempre dietro alle Aprilia di Rossi, Capirossi e Harada. Io usavo le gomme Dunlop, ma erano le standard. Mi capitò di avere moto ufficiale e gomme standard...”.

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Perché in 250 eravate in tanti italiani forti?

“Era un trampolino che lanciava i futuri piloti della 500, ma non tutti poi passavano alla mezzo litro. In 125 e 250 noi italiani eravamo forti e numerosi, forse perché non essendoci ancora movimenti importi nelle Minimoto, si iniziava con la Sport Production. Da lì, si passava subito o quasi al Mondiale dueemmezzo. Ci trovammo in tanti italiani, per semplice questione di annate, una coincidenza. Gli americani, invece, amavano le potenze e le grosse cilindrate, arrivando loro dal Dirt Track e dalle moto grandi”.

Perché ti paragonano a Stoner?

“Sono piuttosto autocritico, ma onesto: non ho mai avuto mezzi per vincere il Mondiale. Ho notato che, seguendo gli altri, mi andavano via in accelerazione, sempre. Mi ricordo anche che nessuno mi superava in curva, mai. Nemmeno Rossi o Capirossi. Se mi paragonano a Stoner mi fa piacere, perché in fondo, un po’ a lui somigliavo. Sapevo scappare nei primi giri, seminando tutti”.

Nuova vita


Ora semini e raccogli.

“Sono un agricoltore, ho un’azienda mia che produce nocciole. Nel viterbese questa attività si fa bene. Lavoro in mezzo alla natura, mi sento portato per fare questo mestiere. Ti piace la Nutella? Ecco. Io ho parecchie piante, ogni tanto lavoro pure col trattore, non sarà una moto, però mi piace starci sopra”.

Cosa ti è rimasto dell’amore per le corse?

“Mi sono divertito, ho viaggiato, accumulando esperienze e momenti duri. Ho capito che un pilota deve saper dimenticare. Dopo una scivolata, è meglio scordare l’accaduto e saltare subito in sella. Questa attitudine è utile in pista e pure nella vita. Voltare pagina, senza guardarsi indietro. Io provo a fare così”.

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