Jan Witteveen: “Io e l'Aprilia, una storia d'amore”

Jan Witteveen: “Io e l'Aprilia, una storia d'amore”© Milagro

Il racconto esclusivo dell'uomo che ha fatto la storia del Marchio italiano: "Quando arrivai a Noale decisi di creare know-how, utilizzando le tecnologie che si trovavano in Europa. Alla fine i giapponesi cercarono di copiarci: che soddisfazione"

28.12.2021 ( Aggiornata il 28.12.2021 12:02 )

Parlare con Jan Witteveen è come leggere un libro pieno di dettagli poco noti, grazie ai quali i lati oscuri del mondo delle corse diventano stanze piene di luce. Di Witteveen stupiscono la semplicità e la modestia, oltre alla competenza che gli ha permesso di emergere in fretta, diventando uno degli ingegneri più vincenti e rispettati della storia del motociclismo. E, ancora oggi, anche se, come dice lui “Ho una certa età e vorrei lavorare collaborando ma alla fine mi ritrovo sempre in azienda e sui campi di gara”, accetta sfide impegnative, perché osare, anche con un pizzico di incoscienza, è nel suo DNA.

Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250

Un matrimonio che viene da lontano


Il tuo nome è legato all’Aprilia. Quando è iniziato il matrimonio?

“Nel 1989 lavoravo in Cagiva. Claudio Castiglioni aveva detto basta con il Fuoristrada ma io volevo lavorare nel racing e passare al settore Velocità, però il presidente mi disse ‘no’. Dopo una settimana mi chiamò Massimo Fiorentino, dell’Aprilia, e venne a trovarmi con un mazzo di fiori per mia moglie!”.

Hai iniziato a lavorare in Aprilia nello stesso anno?

“Sì. All’inizio scegliemmo Loris Reggiani come collaudatore. Nel 1990 non avevamo piloti “interni” perché fu l’anno in cui costruimmo il progetto. Quando arrivai, infatti, non c’era la struttura per affrontare il Mondiale, in nessuna categoria”.

Quale fu la prima evoluzione del tuo progetto?

“Nel 1990, oltre a Reggiani, lavoravo con Didier De Radigues, Carlos Lavado, Martin Wimmer. Nel 1991 arrivò Pierfrancesco Chili che prese il posto di De Radigues e avevamo anche un team interno di sviluppo, gestito da Rossano Brazzi, che seguiva Reggiani. Questa combinazione funzionò: Chili vinse ad Assen e Reggiani al Paul Ricard”.

Era alle porte l’inizio del vostro lungo ciclo vincente...

“Nel 1992 proseguimmo l’avventura affiancando a Chili il giovane Max Biaggi, che nel 1991 aveva vinto l’Europeo, assieme a Fabrizio Guidotti. Quell’anno Chili vinse tre gare, Reggiani una e anche Biaggi una, l’ultima, a Kyalami dove salirono sul podio tre piloti con moto Aprilia, con Reggiani al secondo posto e Chili al terzo. Che soddisfazione!”.

Aprilia, fonte d'ispirazione per i colossi jap


Perché ti considerano il papà del reparto corse Aprilia?

“Quando arrivai in Aprilia, decisi di creare know-how, utilizzando le tecnologie che si trovavano in Europa. Appoggiarsi ai giapponesi avrebbe significato utilizzare materiale di 'Serie B' volevo sviluppare quello che i giapponesi non avevano, creando un sistema italiano-europeo. Avevo molta esperienza sui due tempi con ammissione a disco rotante. Tutti dicevano che era una tecnologia vecchia, superata. Io, però, continuavo a dire: ‘Seguiamo la nostra strada e alla fine si vedrà chi ha ragione’. Volevo diversificare, non tanto per il gusto di avere qualcosa di particolare ma per battere la concorrenza”.

Il tuo progetto divenne vincente in fretta...

“Siamo arrivati al punto che i giapponesi si sono interessati alla nostra tecnologia. Yamaha e Honda hanno cercato di copiare Aprilia, costruendo un prototipo con motore a disco rotante. La Yamaha lo ha fatto anche correre con Tetsuya Harada, ma di fatto nessuno dei due funzionava bene, perché i giapponesi hanno fatto quello che volevano far fare a me, cioè copiare. Quando ho visto che loro stavano cercando di copiare, che è sinonimo di non capire bene come migliorare, sono stato contento. Quando copi il lavoro di altri, se sei molto, molto bravo, al massimo puoi ottenere lo stesso risultato di colui che hai voluto copiare”.

Qual è stata la stagione più bella?

“Nel 1998 ci siamo tolti molte soddisfazioni. È stato l’anno in cui abbiamo vinto 250 e 125, con Loris Capirossi e Kazuto Sakata. È stata una stagione fantastica; anche quando partivamo ultimi, vincevamo lo stesso. Al Mugello, Marcellino Lucchi, il nostro collaudatore, è salito sul gradino più alto del podio. È stato bellissimo, anche perché Lucchi è arrivato davanti ad altre tre Aprilia! Alla fine del 1998, inoltre, c’erano tre Aprilia nelle prime tre posizioni del Mondiale con Capirossi, Valentino Rossi e Harada. E poi il titolo 125. Un trionfo!”.

Il 1998 e quel finale controverso


Del duello Capirossi-Harada, con il controverso finale di Buenos Aires, se ne parla ancora oggi...

“Secondo me quel finale si poteva evitare. Durante l’ultimo giro, Harada non è andato abbastanza forte, perché era troppo sicuro di vincere. Capirossi, invece, ha dato tutto. Harada ha pensato ‘Dietro di me c’è un compagno di squadra…’. Io, ovviamente, ho analizzato l’acquisizione dati e ho notato che Capirossi, in quella curva, non è entrato più forte rispetto al giro precedente. Certo, Loris si è appoggiato ad Harada e Tetsuya è andato fuori pista. All’epoca non c’era il dato dell’inclinazione della moto, quindi non so esattamente quanto fosse inclinata la moto di Loris. La velocità, come detto, era la medesima, ma avrebbe potuto avere una maggiore inclinazione per fare meno strada. Nessuno lo sa. Lo sanno soltanto loro… alla fine”.

Capirossi, Harada, Rossi: chi era il tuo preferito?

“Secondo me Rossi era il più furbo. Harada guidava meravigliosamente, però era troppo gentile e quando sei troppo gentile non contrasti l’avversario. Lui sapeva di essere veloce, però se arrivava un pilota più veloce, lo faceva passare. Aveva un comportamento strano, per un pilota. Rossi e Capirossi, invece, erano molto più aggressivi. Il motivo di queste diversità non lo conosco. Posso dire che non è così semplice comprendere i giapponesi, perché hanno un’altra cultura. Tra i giapponesi, quello più faci le da gestire era Sakata. Era “testone” ma anche un combattente e faceva la differenza, nella 125; quando avevamo un problema, induriva la taratura delle sospensioni e ci metteva del suo”.

Parlaci degli altri campioni che hai gestito.

“Luca Cadalora, quando aveva la moto a punto, vinceva, ma se non aveva la moto a posto, non vinceva. Max Biaggi era molto bravo a sistemare la moto, perché voleva partire forte e gestire la gara, senza rischiare. Così facendo, poteva amministrare le gomme, stressare meno la meccanica e guidare come meglio credeva. Esattamente come faceva Casey Stoner”.

Witteveen: "La 250 era la moto perfetta per preparare i piloti"


Molti tra piloti, tecnici e ingegneri dicono che la 250 era la moto da corsa perfetta.

“La 250 è stata la migliore moto per preparare i piloti, perché era leggera ma molto prestazionale. Infatti, Aprilia e Honda hanno realizzato delle 400 e 500 bicilindriche, cioè delle 250 più veloci. Quei prototipi erano leggerissimi e si impennavano molto. Girando insieme alle 500 con quattro cilindri, in curva le bicilindriche dovevano andare più lente del loro standard e in accelerazione si impennavano ancora più del normale, perdendo quindi tempo. Per questo, in gara, le 400 e le 500 bicilindriche avevano dei limiti. Però, se parliamo di prestazioni sul giro, erano competitive, e infatti con quel progetto Aprilia ha conquistato anche delle pole position. Questo discorso spiega che la 250, 100 cavalli per 100 kg, era una scuola eccezionale per tutti i piloti”.

Qual è stato il pilota che, più di tutti, ha aiutato l’Aprilia a evolvere il progetto della 250?

“Loris Reggiani è stato bravissimo. Mi ha dato tante informazioni per sviluppare la moto. In seguito, Marcellino Lucchi ha fatto un lavoro incredibile, nello sviluppo. Per questo motivo, lui, al Mugello, era molto preparato; conosceva ogni centimetro della pista. Aveva anche talento, altrimenti a 40 anni non avrebbe potuto battere i giovani”.

Secondo la tua visione legata al presente, l’Aprilia avrebbe dovuto costruire una Moto2?

“Secondo me sì. La Moto2 è diventata quasi un monomarca. Sarebbe stato bello che l’Aprilia, da dominatrice della 250, avesse proposto una Moto2. Chissà, magari al posto della Kalex sarebbe potuta esserci l’Aprilia...”.

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