Prove Amarcord: il ruggito della Gilera 250 di Marco Simoncelli

Prove Amarcord: il ruggito della Gilera 250 di Marco Simoncelli© Getty Images

"Guidare questa brillantissima due tempi mi ha fatto tornare ventenne! È difficile sfruttare al meglio l’agilissima ciclistica", ci ha raccontato Randy Mamola, autore di questa prova

Archivio Conti

21.02.2022 ( Aggiornata il 21.02.2022 15:22 )

Ha sempre bisogno di "attenzioni"


Il motore veniva definito dai meccanici “un bambino piccolo” bisognoso di attenzioni continue ed in effetti così era: dopo ogni turno in pista le termiche venivano aperte per verificare usura e carburazione, ogni 1.000 km venivano sostituite le bielle e i pistoni addirittura ogni 200 km. I dati provenienti dai sensori di battito e di temperatura venivano analizzati con la massima cura per valutare i parametri di carburazione e gli anticipi dell’accensione. I getti dei carburatori andavano sostituiti anche per minime variazioni di temperatura, per non parlare della frizione multidisco a secco che veniva sostituita ad ogni week end di gara. Il tutto per fare rendere al meglio i circa 100 CV che il motore riusciva a fornire in un ristretto range di giri.

Il motore in effetti risultava così spinto che non riesce ad autosostentarsi sotto i 6.000 giri/min, ma era meglio non scendere sotto i 10.000, soprattutto con le marce alte, considerando che la potenza massima era disponibile sopra i 13.000 giri e a 14.000 è posto il limitatore. Il telaio, un classico doppio trave in alluminio, grazie alle migliorie del motore era più corto, dotato di pivot con il fulcro di attacco del forcellone più vicini al cannotto. Interamente saldato a mano, presentava molti particolari realizzati dal pieno. All’anteriore era possibile modificare tramite boccole eccentriche sia l’offset che l’inclinazione della piastra di sterzo.

Il telaio al posteriore disponeva del fulcro del forcellone regolabile in altezza. Sempre in tema di ciclistica Simoncelli stava utilizzando nuove piastre di sterzo più compatte che dovevano garantire maggiore maneggevolezza, ma che imponevano l’utilizzo di pinze freno anteriori modificate per non andare in interferenza con il cerchio. I dischi per regolamento erano in acciaio, il diametro standard è di 255 mm e solo a Motegi hanno dovuto utilizzare dischi speciali perché molto sollecitati. Le pinze erano montate sui piedini di una forcella Ohlins con steli da 43 mm di diametro pressurizzate e dotate del sistema TTX.

Al posteriore il monoammortizzatore, che ovviamente agiva con un sistema a leveraggi progressivi, era sempre Ohlins ed era incastrato in una angusta nicchia fra telaio, motore e lo splendido forcellone in carbonio veramente imponente. I pneumatici Dunlop Slick forniti mediamente in quattro differenti varianti per ogni gran premio erano alloggiati su cerchi che sono indifferentemente in magnesio o carbonio... il peso non cambiava.

Tendenzialmente, Simoncelli adottava i cerchi in carbonio in gara. Per limitare il peso del veicolo tutte le sovrastrutture erano realizzate in carbonio, compreso il serbatoio con una capacità superiore ai 22 litri.

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