Paul Smart e il trionfo Ducati alla 200 Miglia di Imola

Il trionfo della 750 Desmo GT è una pietra miliare della storia di Borgo Panigale. Per la Rossa arrivò una doppietta, grazie al secondo posto di Spiaggiari, che finì la benzina all'ultimo giro 

Dario Ballardini

07.02.2023 ( Aggiornata il 07.02.2023 09:30 )

La gara del secolo


Soprattutto non era sicuro di quella Ducati allestita in fretta e furia trapiantando la distribuzione desmodromica sulla 750 GT di produzione, la prima moto di Borgo Panigale con il bicilindrico a L: era stata offerta a diversi piloti che per lo stesso motivo l’avevano rifiutata. Tra loro anche il fratello di sua moglie, tale Barry Sheene… La concorrenza era agguerritissima, quella doveva essere la gara del secolo: Checco Costa, il principe degli organizzatori e papà del dottor Claudio Costa, l’aveva ideata a imitazione della 200 Miglia di Daytona che per noi europei era mitica: la prima dell’anno, con tutti i campioni d’oltreoceano in sella a moto ufficiali derivate dalla serie, nelle quali il pubblico poteva identificare la propria.

Le difficoltà organizzative furono tali che i primi due tentativi, nel 1970 e nel 1971, erano falliti, ma Costa non si era dato per vinto e viaggiando l’Europa in lungo e in largo riuscì a convincere Case e piloti di livello altissimo. Compresi la MV Agusta e Giacomo Agostini: l’insistenza di Costa addirittura aveva spinto il conte Corrado Agusta ad accelerare la produzione della 750 quattro cilindri con la trasmissione a cardano, derivata dalla 600 stradale, per schierare a Imola il Campionissimo. “Mio padre – ricorda Carlo Costa, l’altro figlio – domandò al Conte il costo della partecipazione della MV. E lui rispose che non avrebbe richiesto nessun ingaggio”.

C’erano anche Jack Findlay e Vittorio Brambilla – che ancora non era passato alle auto – con le Guzzi ufficiali, la Norton schierava sulle sue rivoluzionarie bicilindriche Phil Read, Peter Williams e Dave Croxford, la Triumph aveva Tony Rutter, Ray Pickrell e il vincitore di Daytona, Don Emde, mentre sulla Triumph dell’importatore italiano, Koelliker, c’era Walter Villa; Ron Grant e Guido Mandracci guidavano le Suzuki, la Kawasaki schierava Dave Simmonds su una 500 tre cilindri maggiorata, c’erano la BMW con Helmut Dähne e la BSA che aveva portato John Cooper e Percy Tayt. Un cast da Guerre Stellari.

I dirigenti della Ducati nicchiavano all’idea di uno scontro così impegnativo, ma l’ingegner Taglioni era andato a spese sue a Daytona, dove si era convinto della possibilità di fare un buon risultato e al ritorno aveva strappato l’assenso a partecipare. Restavano soltanto cinque settimane per preparare la moto. Telaio di serie – conservava gli attacchi del cavalletto – distribuzione desmodromica, un albero a camme più spinto, carburatori Dellorto 40 PHM e doppia accensione, per arrivare a 84 cavalli a 8800 giri. Tanti.

Livrea colore argento come le Ducati da GP degli anni ‘50 e sul serbatoio una caratteristica striscia trasparente per controllare il livello del carburante: su una gara di 200 miglia, quasi 322 km, era necessario il rifornimento. Piloti Bruno Spaggiari ed Ermanno Giuliano, già con la Casa di Borgo Panigale, Alan Duscombe proposto dall’importatore inglese, e Paul Smart. Nei test sul vecchio circuito di Modena la moto aveva eguagliato il record stabilito da Agostini con la MV Agusta 500 e in Ducati cominciavano a crederci: vennero spedite a Imola sette moto e dopo che Spaggiari e Smart si erano qualificati in prima fila, il direttore della squadra, Fredmano Spairani, fece loro questo discorsino: “Domani voi due sarete primo e secondo. Vorrei che vi metteste d’accordo per dividervi il premio in denaro che spetta ai primi due classificati, quando vinceremo”. E aggiunse che chi avesse vinto la gara, avrebbe potuto tenere la moto. Accettarono.

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