MotoGP: ecco perché è giusta la sanzione comminata a Yamaha

MotoGP: ecco perché è giusta la sanzione comminata a Yamaha© Milagro

Ha scatenato più di un malumore la mancata penalizzazione dei piloti della Casa Iwata, con persone che parlano di campionato falsato. Ma la scelta di togliere i punti solo a team e costruttori era la decisione migliore, non solo per la salvaguardia dello spettacolo

07.11.2020 20:24

La mancata penalizzazione dei piloti Yamaha non ha lasciato indifferente nessuno. Dai team e i piloti del Motomondiale, per arrivare agli appassionati, in molti si sono detti scontenti della sanzione inflitta alla casa di Iwata, considerata da tanti un brutto precedente, nonché una grazia che i rider del costruttore giapponese non avrebbero meritato.

Ma siamo sicuri che la penalità sia stata ingiusta? L'analisi dei fatti dice altro.

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Causa ed effetto


Ci sono scelte che non piacciono a tutti. È un dato di fatto. Come è un dato di fatto che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Azione e reazione. È uno dei principi base della dinamica. Ma il rapporto di causa ed effetto è anche una delle leggi universali, quella che si dice regoli il karma. Per questo prima di compiere ogni scelta e ogni azione, ne vanno valutate attentamente le conseguenze.

Yamaha avrebbe dovuto rispettare il protocollo e chiedere all'Associazione dei costruttuttori, la MSMA, il permesso per utilizzare le valvole di un secondo produttore. Non avendolo fatto, andava punita. Su questo non ci piove. Ma è più facile a dirsi che a farsi, quando ci si trova a gestire un campionato e a decidere, con una sanzione, le sorti di un intero Mondiale.

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Scelta politica


A logica la soluzione è semplice: togliere tutti i punti conquistati da team e piloti nella prima gara a Jerez, quella in cui le quattro M1 montavano i motori con le valvole difettose che hanno scatenato l'inferno. Ma la risposta più logica è anche quella più giusta?

Non sempre e, sicuramente, non in questo caso specifico, in cui la Federazione stessa ha deciso di non mettere in mezzo i piloti, limitandosi a cancellare dalle classifiche team e costruttori i punti conquistati da Morbidelli, Quartararo e Vinales nel GP di Spagna (più un punto supplementare tolto al team Petronas, aveva nella gara successiva aveva riutilizzato uno dei motori, con Franco, nelle prove libere).

Un gentlemen's agreement - se così vogliamo chiamarlo - che lascia le cose (più o meno) come stanno, scontentando (quasi) tutti per non fare (grossi) torti a nessuno. Una decisione politica, ovvio. Ma anche l'unica scelta prendibile, per tener vivo il campionato. E non solo per quello.

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Nessun vantaggio


Pure se qualcuno potrebbe obiettare che team e piloti sono un tutt'uno è abbastanza evidente che il quartetto di piloti Yamaha non abbia tratto alcun vantaggio da questa situazione. Se mai, un sacco di problemi, tra guasti; rotture; presunte o reali limitazioni di giri e dulcis in fundo, il rischio di restare senza propulsori, come successo a Vinales, che dovrà scattare dalla pit lane, per la punzonatura del sesto motore.

“Non c'è stata cattiva intenzione nell'utilizzo di valvole provenienti da due aziende diverse, in quanto entrambe hanno prodotto le valvole seguendo una singola specifica”, recita il comunicato diffuso dalla Casa dei tre diapason, che a sua difesa ha dichiarato di aver compiuto un errore in buona fede.

"Le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni", dice il detto, ma siamo obiettivi: che vantaggio può aver tratto la compagine giapponese usando valvole prodotte da due aziende diverse, sulla base delle stesse identiche specifiche? Nessuno. Anche il vecchio produttore, capito cosa era andato storto con la prima partita di valvole, avrebbe ottenuto il medesimo risultato di quello nuovo.

Del resto, vi è mai capitato di comprare due paia di scarpe della stessa azienda e poi scoprire che erano prodotte in due paesi diversi? A me sì: erano identiche.

L'imperativo per qualunque campionato è sempre lo stesso: "the show must go on". Lo spettacolo deve continuare. A prescindere dal Covid-19. Dalle assenze. A prescindere da tutto. E allora, quando si ha davanti una delle stagioni più combattute e avvincincenti degli ultimi anni, con una classifica che lascia aperto ogni possibile scenario, perché andare a estromettere dalla lotta per il titolo i piloti di una squadra che non ha tratto nessun vantaggio dall'errore commesso? Soprattutto quando esiste un precedente che leggettima la scelta di non farlo.

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Il precedente in F1


"It's all over, Hamilton's 7th. By my calculations we win the championship by one point". Così il 21 ottobre del 2007 Chris Dyer annunciava a Kimi Raikkonen di essere diventato Campione del Mondo. Il primo, e ad oggi l'unico, pilota Ferrari a centrare l'iride dopo Michael Schumacher.

Una frase entrata nella storia, quella con cui l'ingegnere australiano comunicava al suo pilota che "È tutto finito, Hamilton è settimo. Secondo i miei calcoli abbiamo vinto il campionato per un punto". Uno dei ricordi più belli di chi vi scrive e di tanti altri tifosi del biondo finlandese e della Ferrari, che quel giorno attendevano trepidanti la bandiera a scacchi. Un'impresa che non sarebbe stata la stessa se la Spy Story, che quell'anno aveva scosso il mondo della Formula 1, avesse avuto un epilogo diverso, assengando a Raikkonen il titolo, a tavolino.

Appurato il caso di spionaggio industriale che vedeva coinvolte Ferrari e McLaren - con il team di Woking in possesso di informazioni confidenziali della Scuderia di Maranello, confermato da uno scambio di messaggi tra il pilota Fernando Alonso e il collaudatore Pedro de la Rosa - la FIA aveva infatti deciso di sanzionare la squadra britannica con una multa da 100 milioni di dollari e l'azzeramento del punteggio nella classifica Costruttori.

Una sentenza che non aveva minimamente intaccato il Mondiale di Alonso e Hamilton, lasciati liberi di giocarsi il titolo fino all'ultimo; benché in quel caso non solo i piloti fossero implicati nella vicenda, ma avessero anche tratto un vantaggio accertato.

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Il campione si decide in pista


Dopo una vicenda del genere, perché la Race Direction avrebbe dovuto comportarsi in maniera diversa, andando a infierire sui piloti Yamaha? Non di sicuro per placare le polemiche perché, seppur caldeggiata dalla maggioranza, anche una sanzione più severa non le avrebbe riparmiato le critiche e le accuse di aver falsato il campionato.

E allora ben venga una decisione politica che, scontentando tutti, tiene ancora vivo il Mondiale Piloti, garantendo lo spettacolo fino alla fine e una battaglia colpo su colpo, che tiene ancora vivo il sogno di tutti.

Del resto, non è più onesto lasciare che sia la pista a parlare, che assegnare un titolo a tavolino?

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