MotoGP, Petrucci: “Salire sulla KTM mi ha fatto venire la pelle d’oca”

"Il colore della KTM mi dona: abbiamo fatto il contratto  in un giorno e mi è piaciuto avvertire la considerazione e l’attenzione alle mie indicazioni. In Ducati arrivare primi non basta..."

31.01.2021 18:47

Esiste una certezza legata al precampionato della MotoGP: Danilo Petrucci ha ritrovato la propria luce. Il Danilo taciturno dell’ultimo periodo della passata stagione, che trasmetteva poca motivazione e persino tristezza, ha lasciato il posto al solito Danilo. Dopo il passaggio dal rosso Ducati all’arancione KTM, il volto del pilota umbro mostra un senso di liberazione. E questo emerge anche dalle risposte fornite nella lunga chiacchierata, tra passato, presente, futuro e rivali... 

Con i test di Sepang annullati e rimpiazzati da una seconda sessione a Losail, c’è il rischio di vivere nuovamente tra calendari precari.  

"La notizia ci ha colti di sorpresa, i test in Malesia sembravano sicuri. Sapevamo invece che sarebbe stato improbabile andare in America per i due GP, e invece anche la situazione apparentemente tranquilla della Malesia è peggiorata. Un campionato come quello dell’anno scorso è difficile da affrontare, con tante gare in pochi mesi. Mi auguro che per il 2021 si trovi una soluzione più “umana” rispetto all’anno scorso".  

È stata una stagione più estenuante a livello fisico o mentale? 

"Mentale, senza dubbio: eravamo abituati ai 18 GP più i test, restando parecchio tempo lontano da casa, ma correre una gara dopo l’altra come l’anno scorso è difficile. Ho patito soprattutto l’impossibilità di disconnettere tra un GP e l’altro. E credo che il problema sia stato anche per i membri dei team".  

Per te inizia una nuova vita: raccontaci le motivazioni con cui arrivi in KTM, una Casa che quando ti ingaggiò non aveva ancora vinto, e invece ora sostituisci nel Team Tech 3 quel Miguel Oliveira che ha trionfato due volte.  

"Mi ricordo molto bene la prima visita in fabbrica alla KTM: una giornata favolosa. Mi portarono a mangiare, e poi andammo nel reparto corse, dove potevano lavorare sul motore perché ai tempi avevano ancora le concessioni. Però mi dissero che ero stato ingaggiato affinché la KTM perdesse quelle concessioni. Ma nemmeno due mesi dopo hanno vinto la prima gara, senza di me...".  

Come ti sei sentito? 

"Ammetto che avrei voluto essere il primo vincitore con la KTM, e invece è stato Brad Binder. Allora ho sperato di essere il primo pilota di Tech 3 a vincere in MotoGP, e invece è stato Oliveira... Però resta l’obiettivo di vincere, sono qui per questo".  

Quando abbiamo chiesto a Cal Crutchlow la differenza tra essere un pilota satellite e un ufficiale, ci ha risposto con una domanda: “Credete che Rabat sia un pilota peggiore di Aleix Espargaró?”. Tu hai corso sia con Pramac che nel Team Ducati, e ora torni in una squadra satellite.  

"Quando sei in un team ufficiale, si presuppone che tu debba stare davanti alle altre moto, vincere è quasi obbligatorio. In Pramac, era un grande risultato precedere le Ducati ufficiali, e quando finivamo dietro, a breve distanza, avevamo fatto il nostro. Questa differenza di approccio cambia molto le cose: se un “satellite” ha la tua stessa moto, tu che sei ufficiale devi comunque stargli davanti. In Ducati come in KTM, le quattro moto sono identiche, il supporto tecnico è lo stesso. Se poi parliamo di Rabat, credo gli sia mancato il supporto adeguato".  

Petrucci: “Il 2021 sarà per me un lascia o raddoppia”">Di recente hai ringraziato Gigi Dall’Igna per averti comunicato la mancata conferma così presto, perché ti ha lasciato la possibilità di accasarti altrove, oltretutto in un progetto in crescita.  

"Io ho sempre avuto un buon rapporto con Gigi, anche se diverse volte mi ha proposto di passare alla Superbike, anziché continuare in MotoGP. L’ho sempre vissuto come uno stimolo per migliorare e per guadagnarmi la permanenza in MotoGP con i risultati. Quando Gigi mi chiamò per comunicarmi che era stata decisa la mia mancata conferma, mi augurò anche di trovare un posto da ufficiale, perché era ciò che meritavo. E secondo loro, Jack (Miller) era un giovane che meritava un’opportunità. Erano i primi di maggio, a due mesi e mezzo dal via del Mondiale, e così ho avuto la libertà di parlare con Aprilia e KTM. Con gli austriaci abbiamo chiuso in un giorno: è stata una sorpresa per me e per loro, che non si sono lasciati scappare la possibilità di ingaggiare un pilota libero che aveva vinto in MotoGP. Ed ero felice anch’io, con una KTM analoga alle ufficiali".  

Tra i sei piloti della Ducati 2021, chi ritieni il più forte? 

"Penso Miller. I tre rookie, Jorge Martin, Enea Bastianini e Luca Marini, sono grandi talenti, ma non hanno l’esperienza. Jack è il più rapido, ha talento e a livello mentale non avrà problemi in certe situazioni. Credo che Jack sia il pilota ideale per la Ducati".  

MotoGP: è Jack Miller l'ultima speranza (australiana) della Ducati?

Cosa ti hanno lasciato gli anni in Ducati? Hai qualche rimpianto? 

"Non rimpiango nulla. Con il senno di poi si fanno tante valutazioni: avrei potuto vincere già con Pramac e avrei potuto fare meglio da ufficiale. Ma so di aver dato tutto. Cosa mi resta degli anni da ufficiale? Che in Ducati arrivare primo non è sufficiente, è un messaggio che ti viene trasmesso continuamente. È un’attitudine dura, che può rivelarsi utile in alcuni casi ma non funziona con tutti i piloti. In Pramac mi ero trovato molto bene, per due anni avevo guidato una moto come le ufficiali, quindi non ero un pilota factory ma avevo gli aggiornamenti e una moto di altissimo livello, e infatti andai più volte sul podio, lottando anche per vincere".  

Poi hai vinto al Mugello.  

"Sì, però non sono mai stato il cavallo su cui scommettere, nemmeno in quel caso, e nemmeno quando, un mese dopo, al Sachsenring avevo gli stessi punti di Dovizioso, un fatto che però era visto non attraverso meriti miei, ma i demeriti di Andrea, che non stava facendo bene. Ci rimasi male. In Ducati ti trasmettono sempre il fatto che devi essere orgoglioso di guidare la loro moto. Credo che invece sarebbe utile essere più vicini al pilota a livello umano. Ma non è lo stile della Ducati. I rapporti con i piloti vengono intesi sotto un profilo ingegneristico: se qualcosa non funziona, si cambia. Credono sempre che la moto sia la migliore, e se i risultati non lo confermano, il problema è relativo al pilota. È un qualcosa in cui secondo me devono migliorare, ma non è più una questione che mi riguarda".  

La Yamaha non è veloce sul dritto, la Ducati ha problemi in curva, la Suzuki fatica sul giro secco. E com’è invece la KTM? 

"Considerando che la maggior parte dello sviluppo l’ha realizzata Dani Pedrosa, ero un po’ preoccupato, perché non è un pilota che frena forte, semmai controlla bene la moto in uscita di curva. Ma in KTM mi hanno tranquillizzato, spiegandomi che anche Pol Espargaró è forte in staccata come me. Per quanto ho potuto vedere in pista, il punto forte della KTM è il motore, anche se a stuzzicarmi è il fatto che sembri una moto molto completa. Se ripensiamo alle ultime gare della scorsa stagione, il più forte era Franco Morbidelli, con la moto più lenta. Alla fine conta avere la moto più equilibrata, il motore può aiutarti a vincere una gara ma non è tutto. Anzi, è più probabile che con un motore potente nascano problemi nel gestirlo".  

Credi che dovrai cambiare stile di guida? Perché alla fine chiedere agli ingegneri la moto perfetta è un errore, e per esempio Jorge Lorenzo dovette cambiare completamente il modo di guidare per adattarsi alla Ducati.  

"Sì, per Jorge fu un percorso faticoso: con la Yamaha frenava presto, lasciava subito i freni e aveva una velocità di percorrenza della curva impressionante. Ma con la Ducati non poteva farlo, e poco a poco cambiò. Finì tante volte a terra, ma nel 2018 fece diverse gare impressionanti e vinse anche con la Ducati: faceva la differenza perché continuava a frenare poco, ma staccava più tardi rispetto a quando guidava la Yamaha. Io e Dovi vedevamo la sua telemetria e non capivamo come riuscisse a fare certe cose. Noi frenavamo più tardi di lui, ma per fermare la moto frenavamo di più, applicavamo maggiore pressione sul freno. Lui riusciva ad aiutarsi parecchio con il retrotreno per frenare. Io, però, non ho ancora provato la KTM: ci sono salito in sella tre volte, ma con la moto ferma. Una di queste occasioni è stata in galleria del vento, dove le ruote giravano, ma la moto non si muoveva...".  

Sei il pilota di maggiore stazza tra quelli della KTM: avrai una carena speciale? 

"Credo che troveremo un punto d’incontro tra tutti i piloti. Il regolamento dice che si possono omologare soltanto due pacchetti aerodinamici, quindi in KTM ne faranno uno “standard” e uno per condizioni di vento forte. Stanno lavorando molto in quest’area".  

Mike Leitner, direttore tecnico del progetto MotoGP della KTM, ha detto che realizzare una moto efficace anche con un pilota della tua stazza è una sfida.  

"Mi è piaciuto, perché sin dal primo incontro, quando firmai il contratto, mi lasciarono salire in sella. Dopo tanti anni, salire su una MotoGP così differente mi ha fatto venire la pelle d’oca. Pochi giorni fa siamo stati in un centro in cui si studia l’ergonomia, e hanno analizzato la mia posizione in sella, e si segnavano ogni cosa che dicevo. Ho visto un grande desiderio di fare le cose nel modo giusto. Dovevo restare tre ore in galleria del vento, invece vi ho trascorso sette ore! Abbiamo provato tante cose, anche a livello di tuta, casco, carena, postura. Per loro, il mio punto di vista è importante, perché gli altri tre piloti sono giovani mentre io ho quasi dieci anni di esperienza in MotoGP. Mi è piaciuto avvertire questa considerazione. Ora tocca a me ripagarla".  

Ti sei sentito valorizzato.  

"Sì, è la parola giusta".  

Sul titolo di Joan Mir: sei tra coloro i quali sottolineano la particolarità della scorsa stagione? 

"Il Mondiale di Mir è esattamente come tutti gli altri. Joan ha un talento incredibile, e a livello mentale ha mostrato di essere superiore. Non l’ho mai visto né troppo felice né infuriato, è sempre rimasto concentrato su ciò che serviva fare. E quando doveva vincere, ha vinto. Il suo tallone d’Achille è stata la qualifica, se fosse partito davanti più spesso, avrebbe vinto il Mondiale ancora prima e con maggiore vantaggio. Il suo è stato un titolo meritato".  

A Jerez dicesti che Marc Marquez stava facendo un altro sport: credi che saprebbe vincere con qualsiasi moto? 

"Non lo so, però lui non ha paura di cadere. Gli altri, invece, quando sono al limite vedono riemergere l’istinto di conservazione: per la testa ti passa il pensiero che potresti farti male e pregiudicare la gara o la stagione. Marc invece non ha questi pensieri, lui ci prova sempre. Ed è il pilota di maggiore talento della MotoGP".

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