MotoGP Story: il 2002, l'alba di una nuova era

MotoGP Story: il 2002, l'alba di una nuova era© Milagro

Il 2002 coincise con l’arrivo dell’Euro e delle mille quattro tempi: il primo anno della MotoGP venne dominato dal binomio Rossi-Honda

10.12.2021 ( Aggiornata il 10.12.2021 11:33 )

Una è sopravvissuta 141 anni, l’altra 53 stagioni, ed entrambe sono rimpiante da milioni di nostalgici (l’ultimo è stato Casey Stoner). Il 2002 fu un anno storico perché furono pensionate le monete nazionali, fra cui la Lira, e la classe 500. E come i prezzi che con il cambio valutario raddoppiarono, anche il regolamento della classe regina stabilì quasi il raddoppio delle dimensioni dei motori da 500 cm³ a Mille (990 cm³ per essere precisi), con l’abbandono della tecnologia a due tempi a beneficio dei quattro tempi. Nel triennio precedente c’erano stati tre diversi campioni del Mondo della 500, tutti per la prima volta, una circostanza che non si verificava dal 1984.

Con Alex Criville costretto al ritiro a causa degli attacchi epilettici provocati da un vecchio trauma cranico e Kenny Roberts junior in fase involutiva, l’unico che poteva impedire la salita al trono di un quarto neoiridato della classe regina era Valentino Rossi, ultimo campione della 500. Sulla carta il principale sfidante era Max Biaggi, per il quarto anno di fila con il Team Marlboro Yamaha e per di più in progressione: quarto posto finale nel 1999, seguito dal terzo e dal secondo, sempre aumentando il bottino di vittorie.

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I primi test e la superiorità Honda


Invece fin dai primi test fu evidente la superiorità della Honda RC211V rispetto alla Yamaha M1, che pure era scesa in pista in anticipo. Dopo aver firmato il rinnovo biennale, superando una fase di stallo nelle trattative per lo sfruttamento dei diritti d’immagine, Valentino polverizzò i record sul giro a Sepang (dove utilizzò per la prima volta i tappi per le orecchie) e Phillip Island. Molti più dubbi regnavano nel frattempo in casa Yamaha che aveva spostato la sede da Amsterdam a Gerno di Lesmo, in Brianza, e si affidava a un nuovo direttore sportivo, l’ex Superbike Davide Brivio.

Loris Capirossi, dotato ancora di Honda NSR 500 così come Daijiro Kato che l’anno prima aveva dominato la 250 (11 vittorie e tredici podi in 16 GP), inquadrò subito la questione: “Forse nella prima parte del Mondiale ci sarà equilibrio perché le quattro tempi saranno un po’ indietro nella messa a punto, ma dopo cresceranno, noi resteremo dove siamo”. Sia l’imolese che Biaggi caddero nei test IRTA di Valencia e soprattutto non riuscirono a migliorarsi più di tanto. Preceduto dalle Yamaha YZR 500 di Garry McCoy e Shinya Nakano, Max aveva il morale a terra: “Adesso il motore conta il 70% della moto, può darti più o meno vantaggi. In un mese è difficile fare le rivoluzioni”.

Capirex allora gli buttò lì: “Si lamenta della Yamaha lenta? Faccia cambio con la mia Honda”. Il primo confronto diretto tra i tre italiani avvenne a marzo, nei test IRTA di Barcellona, e quelli che erano soltanto sospetti furono confermati dal cronometro: Rossi abbassò di otto decimi la pole dell’anno prima e la sua moto risultò di nove km/h più veloce della migliore delle M1.

L'esordio a Suzuka


Un mese dopo a Suzuka, nel GP inaugurale, si diedero appuntamento tredici 500 e nove MotoGP: tre Honda per Rossi, Tohru Ukawa e la wild card Shinichi Itoh, le tre Suzuki di Kenny Roberts Jr, Sete Gibernau e Akira Ryo, le Yamaha di Max Biaggi e Carlos Checa e l’Aprilia di Regis Laconi. Complice la pioggia, a fare il ritmo furono i piloti di casa, Itoh e Ryo. Rossi infilò l’occasionale compagno di marca all’ottavo giro, trovandosi a un secondo e tre decimi dalla Suzuki gommata Dunlop. Colmato il gap, al 16° giro Valentino portò l’attacco decisivo in staccata e da lì non perse più la posizione, concedendosi anche il lusso di allungare nell’ultimo giro. In Sud Africa invece un errore nella tornata conclusiva gli costò il bis, a beneficio di Ukawa mentre Capirossi si tolse lo sfizio di conquistare l’ultimo gradino del podio.

Poi venne il cinque maggio e lo sport italiano non sarebbe più stato lo stesso. A Jerez, nemmeno una sportellata ricevuta al secondo giro da Kenny Roberts Jr e la concomitante fuga di Ukawa impedirono a Rossi di prendersi il secondo successo stagionale. Con lui sul podio Kato e Ukawa, mentre Capirossi fu medaglia di legno e Biaggi, vittima di una partenza anticipata, incappò nella bandiera nera per non aver effettuato lo stop-and-go nei tempi previsti. Aggiungendo la caduta in Giappone dopo aver messo la ruota davanti sulla riga bianca e il nono posto in Sud Africa per un guaio alla frizione, il romano si trovò al penultimo posto della classifica con la miseria di sette punti dopo tre round: soltanto Pere Riba, attuale capotecnico di Jonathan Rea, ne aveva di meno. Rimontare 61 punti a Rossi, in fuga con 29 lunghezze di vantaggio sul compagno Ukawa, apparve subito un’impresa disperata. E il nervosismo salì al punto che al Mugello, di fronte al “no” degli uomini di Iwata a concedergli l’hospitality Yamaha per la cena con i suoi tanti ospiti, parenti e amici, Max lanciò il proprio scooter a tutta velocità contro il tendone in questione…

Rossi imbattibile


A differenza della sua Inter, che il 5 maggio gettò alle ortiche inopinatamente lo scudetto all’ultima giornata, Rossi non perse più. Valentino vinse sette GP consecutivi, serie mai inanellata in precedenza (e mai più ripetuta in seguito). Ciò unito alle prestazioni incostanti dell’unico dotato della sua stessa moto, Ukawa, costretto anche a saltare la gara di Donington per un volo a 200 km/h alla curva Craner, portò all’archiviazione della pratica già alla sosta: con 220 punti guadagnati su un massimo di 225, Rossi si trovò con 96 lunghezze di vantaggio su Ukawa, primo inseguitore, e il doppio del bottino di Biaggi, diventato terza forza.

Alla ripresa, vincendo a Brno e con il concomitante zero del fuggitivo, tradito dal pneumatico posteriore, Max credette per qualche giorno di poter emulare Steven Bradbury, sei mesi prima diventato campione olimpico sui 1000 metri short track grazie alle disgrazie altrui. Invece, sotto l’acqua dell’Estoril e di Rio, Rossi tornò a far valere la sua legge. E proprio in Brasile, grazie alla caduta di Ukawa al 2° giro, divenne aritmeticamente campione, primo e unico iridato in quattro classi. Una gioia festeggiata con la t-shirt con davanti la scritta ‘Ecco perché ho vinto il Mondiale MotoGP 2002’ e sul retro un cruciverba di 240 caselle. Ammettendo: “Ero convinto che la 500 andasse più forte, sbagliavo clamorosamente”.

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