MotoGP Story: Valentino Rossi, un 2005 da schiacciasassi

MotoGP Story: Valentino Rossi, un 2005 da schiacciasassi© Milagro

Il quinto titolo consecutivo di Valentino arrivò dopo una stagione di dominio assoluto:
11 successi e 16 podi in 17 GP e persino una… laurea. Gibernau, distrutto nel morale
dopo la “spallata” del Dottore a Jerez, lasciò il ruolo di riferimento Honda ai giovani Hayden e Melandri

18.12.2021 ( Aggiornata il 18.12.2021 18:02 )

La fama planetaria delle imprese sulle due ruote, gli stessi guadagni e persino l’identico numero di titoli: per una congiunzione astrale che non si sarebbe più ripetuta, nel 2005 Valentino Rossi e Lance Armstrong erano accomunati da vari traguardi. A giugno la rivista Forbes li collocò entrambi al nono posto nella classifica degli sportivi più pagati al Mondo, con un reddito annuo di 28 milioni di dollari (23 milioni di Euro). Oltre a essere il primo motociclista di sempre nella Top 10, quell’anno il pesarese era il terzo atleta europeo, dietro Michael Schumacher e David Beckham.

Il 24 luglio a Parigi lo statunitense conquistò il suo settimo Tour de France, imitato due mesi dopo a Sepang da Rossi, campione del Mondo per la settima volta a soltanto 26 anni. Sulla carta, l’avversario più duro per Valentino, affiancato questa volta dall’amico Colin Edwards, con cui nel 2001 si era preso la 8 Ore di Suzuka, avrebbe dovuto essere Sete Gibernau, sia perché il catalano era reduce da due campionati chiusi in seconda posizione che perché era stato l’unico dei rivali, a parte l’inesperto Nicky Hayden, a non aver cambiato team, moto né tantomeno pneumatici. Anche Max Biaggi si trovò nuovamente in sella alla RC211V ma dopo due stagioni con Pons passò in HRC, mentre Alex Barros fece il percorso inverso, trovandosi come compagno Troy Bayliss, scaricato dalla Ducati che gli imputava i pochi podi (quattro) in un biennio.

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Tra novità e addii


Al suo posto, a Borgo Panigale arrivò Carlos Checa, a fianco del riconfermato Loris Capirossi che però dovette adattarsi al passaggio dalle Michelin alle Bridgestone. La Ducati, infatti, divenne la squadra di riferimento per lo sviluppo dei giapponesi che divorziarono dalla Honda. Una mossa inattesa perché nel 2004, grazie ai pneumatici nipponici, Makoto Tamada vinse due GP e nelle ultime dieci gare totalizzò 131 punti, lo stesso bottino di Gibernau, meno soltanto del campione del Mondo Rossi.

Nel 2005, infatti, tutte e sette le Honda in pista furono gommate Michelin, così come le quattro Yamaha, la Proton e la Moriwaki. Alle Bridgestone si affidarono, oltre alle Ducati ufficiali, anche le Kawasaki e le Suzuki, mentre Blata WCM e la Ducati dell’anno precedente portata in pista dal Team D’Antin montavano le Dunlop. Tra i big, uno degli ultimi a firmare fu Marco Melandri, reduce da una seconda parte di stagione deficitaria.

Ciò nonostante Fausto Gresini, che lo ingaggiò, non aveva dubbi: “Sono convinto che Marco ha un grandissimo potenziale. Lo abbiamo cercato perché è un pilota italiano e perché crediamo nel suo valore. Per la nostra squadra è un momento impor tante, visto che non avevamo un italiano dal 1999, quando con noi correva Loris”. Chi invece salutò la compagnia fu l’Aprilia, perché come spiegò Rocco Sabelli, amministratore delegato della Piaggio che acquisì la Casa di Noale “Rimanere in MotoGP ci costerebbe soltanto soldi e brutte figure. La presenza è anti-economica, non competitiva e senza influssi positivi”.

In salita fu, fin da subito, la stagione di Biaggi, fratturatosi il malleolo e l’astragalo del piede sinistro mentre si allenava con un Motard il 6 novembre. Operato a Lione, il romano ironizzò: “Mi hanno messo tre viti dell’HRC, una fa andare più forte in rettilineo, l’altra mi da più stabilità in curva, la terza toglie il chattering”. L’unico problema di Valentino fu invece uno scontro sulle nevi di Madonna di Campiglio con uno sciatore romano, che oltre a rompersi l’omero lo denunciò per lesioni colpose. L’inverno servì alla Honda per rivoluzionare il reparto corse: Koji Nakajima uscì di scena, rimpiazzato come direttore generale HRC da Tsutomu Ishii, che riportò ai box Erv Kanemoto, assente nel team ufficiale Honda dal lontano 1988. Un’operazione che sembrò dare i suoi frutti perché nel GP inaugurale, a Jerez, la Casa di Tokyo piazzò sei moto ai primi otto posti. Peccato che davanti a tutti fosse arrivato Rossi, autore di un sorpasso frutto di una sportellata all’ultima curva ai danni di Gibernau.

Valentino dominatore assoluto


Un segnale inequivocabile che il pesarese volle lanciare dopo che nei test invernali il nemico aveva girato spesso con tempi spaventosi. Sette giorni dopo, in Portogallo, la Honda confermò due moto sul podio e si prese pure il successo con Barros. Morale sotto i tacchi invece per Gibernau, che in 16 giri aveva accumulato un secondo e due decimi di vantaggio sul brasiliano e 12 secondi su tutti gli altri prima di scivolare sull’asfalto umido. Il debutto in Cina, caratterizzato dal diluvio, vide prevalere nuovamente Rossi: “Sulla lavagna dei box leggevo la O e mi chiedevo chi fosse. Sarà mica un cinese?”. Era Olivier Jacque, splendido secondo al debutto con la Kawasaki, con cui firmò a “gettone” per i continui problemi fisici di Alex Hofmann.

Il dominio del figlio di Graziano continuò a Le Mans e al Mugello, dove l’Italia tornò a realizzare dopo 37 anni una quaterna in classe regina, al termine di una gara tra le più spettacolari di quel periodo. Alla premiazione Rossi si presentò con il tocco in testa perché in settimana l’Università di Urbino gli aveva attribuito la laurea Honoris Causa in Comunicazione e Pubblicità per le organizzazioni. La serie vincente del Dottore proseguì al Montmeló e ad Assen, malgrado un sempre più convincente Melandri, in testa in Olanda per metà gara e piegato per un secondo e mezzo. Di tutti i piloti Honda, il ravennate risultava fino a quel punto il più costante: un secondo posto, tre terzi e altrettanti quarti gli valevano 107 punti, a fronte degli 87 di Biaggi e degli 84 di Gibernau.

I festeggiamenti di Sepang


Con Valentino a quota 170 punti, non restava che sperare in una rimonta come quella compiuta il mese prima a Istanbul dal Liverpool ai danni del Milan. La Honda tornò a vincere a Laguna Seca ma, in ottica titolo, fu con il pilota “sbagliato”, Hayden, appena 60 punti, e ancora una volta Rossi andò a podio. Non ne approfittò Melandri, a terra al primo giro negli USA e al terzo a Donington, con il bagnato che mandò KO cinque piloti Honda, a beneficio della Suzuki, seconda con Kenny Roberts Jr dietro al Dottore, che al Sachsenring eguagliò i 76 GP vinti da Mike Hailwood e lo omaggiò con la bandiera “I’m sorry Mike” (scusa Mike).

A Brno, il tricolore tornò a monopolizzare il podio, ma soltanto per il ritiro di Gibernau, rimasto a secco all’ultimo giro dopo essersi alternato al comando con Rossi, vincitore per la nona volta in 11 GP (con un secondo e un terzo posto). In quell’istante aveva più punti (261) rispetto alla somma del secondo (Biaggi) e del terzo (Melandri) nel Mondiale. Il primo match-point, però, Rossi lo gettò alle ortiche tamponando proprio Marco a Motegi. Non fallì il secondo, con la piazza d’onore in Malesia, dietro a Capirex, che dopo essersi sbloccato in Giappone (dopo oltre due anni di digiuno) regalò a Ducati e Bridgestone le prime vittorie back-to-back. Nemmeno i festeggiamenti con Biancaneve e i Sette Nani placarono la sete di successo del campione, trionfatore pure in Qatar e in Australia prima degli ultimi due podi che gli valsero il nuovo record di punti, 367.

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