Duelli da leggenda: Andrea Dovizioso e la sfida a Marc Marquez del 2017

Duelli da leggenda: Andrea Dovizioso e la sfida a Marc Marquez del 2017© Milagro

Pungolato dalla presenza di Lorenzo, ingaggiato con uno stipendio-record dalla Ducati, Dovizioso visse una stagione al vertice della classe regina. Ma nemmeno la migliore versione del romagnolo fu sufficiente contro Marquez, campione a Valencia grazie al più celebre dei suoi salvataggi

26.12.2021 ( Aggiornata il 26.12.2021 15:58 )

Eugenio Lizama, chi era costui? A conti fatti, si tratta di una figura fondamentale per la stagione al vertice della MotoGP di Andrea Dovizioso. “La rabbia è generalmente un sentimento negativo, ma se ben canalizzata può trasformarsi in una forza positiva”. Lo disse Lizama, neuropsicologo protagonista della metamorfosi del ducatista, capace di vivere un cambio di mentalità proprio in quel 2017 in cui la Casa di Borgo Panigale decise di andare all in. Rialzatosi dopo la pessima parentesi dell’era-Rossi, il Reparto Corse capì di poter dare l’assalto al titolo. Gigi Dall’Igna aveva avuto abbastanza tempo per progettare la propria moto, e secondo la visione dell’ingegnere veneto, alla Ducati mancava soltanto un ingrediente per vincere: il pilota giusto. E quel pilota venne identificato in Jorge Lorenzo.

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L'anno dell'arrivo di Lorenzo in Ducati


Dall’Igna convinse il cinque volte campione del Mondo a sbarcare a Borgo Panigale, in cambio dello stipendio più alto (ai tempi) nella storia della MotoGP. Il 2017 sarebbe stato l’anno dell’ambientamento alla non semplice Desmosedici, per poi lottare per il titolo nell’annata successiva. Lorenzo si ritrovò nel box Dovizioso. Diciamo “ritrovò” perché in un primo momento il suo compagno di team avrebbe dovuto essere Andrea Iannone, il primo pilota a far vincere un GP alla Ducati dopo quasi sei anni di digiuno.

Ma al momento di compiere la scelta su quale dei due Andrea confermare, Dall’Igna optò per mantenere Dovizioso. Una decisione figlia anche del mancato accordo economico con Iannone, che portò l’abruzzese alla Suzuki. In questo modo, Dovi tornò d’attualità ma per restare in Ducati dovette accettare condizioni tutt’altro che favorevoli. In quel momento, però, non aveva alternative tra i top team.

Dovizioso e Lorenzo si conoscevano bene, molto bene. Avevano trascorso l’intera carriera a battagliare, salendo di categoria, prima in 250 e poi in MotoGP, in contemporanea. E spesso e volentieri, le battaglie avevano visto Jorge prevalere. Sulla carta, sarebbe stata la gerarchia anche nel team ufficiale Ducati, la prima volta con i due nella stessa squadra. Eppure quel Mondiale sembrò prendere subito la strada del successore di Lorenzo in Yamaha, Maverick Viñales, vincitore di tre delle prime cinque gare. L’anti-Marquez doveva essere il giovane catalano.

Per questo, la vittoria di Dovizioso al Mugello, in una giornata storica per la Ducati e il motociclismo italiano – con tre successi azzurri nelle tre classi – venne salutata con favore da Marc Marquez: in fondo, Andrea aveva sventato la vittoria di Maverick. Dichiarazioni simili si sentirono anche una settimana più tardi, quando al Montmeló il ducatista rivinse davanti a Marquez, mentre Viñales non andò oltre la decima posizione. Soltanto due mesi più tardi, dopo aver perso un duello spettacolare e deciso all’ultima curva del Red Bull Ring, Marquez intuì che il pericolo arrivava non dal conterraneo Maverick, ma dal binomio italiano. E da quel giorno, il campione in carica iniziò a marcare stretto Dovizioso.

Ma a lottare per il titolo fu Andrea


Nel frattempo, la super-scommessa di Dall’Igna, Lorenzo, pativa più del previsto l’adattamento alla Ducati. La prima metà della stagione fu così deludente da generare dubbi a Borgo Panigale. Non tanto nella mente di Dall’Igna, mosso da una fiducia incrollabile nei confronti di Jorge e del suo potenziale, ma nei vertici della Casa di Borgo Panigale. Perché non era Lorenzo, il pilota con uno stipendio-base dieci volte (!) superiore a quello del compagno, a lottare per il titolo. Anzi, non fosse stato per Dovi, il flop ducatista sarebbe stato drammatico. Dopo la vittoria in Austria, Dovizioso seppe ripetersi a Silverstone, favorito dalla rottura del motore di Marquez. Andrea era “caldissimo”, in quella fase, e la Desmosedici era la moto più veloce in pista. Marquez però riprese quota vincendo a Misano e Aragón, e si arrivò in Giappone, all’inizio del trittico, con Marc a +16 su Dovi.

Un vantaggio giudicato insufficiente dallo spagnolo, considerando la fiducia ritrovata dal rivale. E i timori di Marquez vennero confermati dal finale di Motegi dove, come in Austria, lo spagnolo subì un’altra sconfitta all’ultima curva, questa volta sotto il diluvio.

Si trattò di uno dei migliori duelli sul bagnato nella storia del Motomondiale, con un giro finale da consegnare ai libri di storia. Perché mai si erano visti tanti sorpassi nelle ultime curve, su un tracciato dove già rimanere in piedi era un’impresa. Marquez attaccò Dovi all’ultima variante, da cui però Andrea uscì meglio, facendo assaporare allo spagnolo l’amarezza di un altro duello perso in volata. Un’amarezza a cui Marc non era abituato. La sconfitta, oltretutto, arrivò sul circuito della Honda, davanti allo stato maggiore dell’HRC. E con il -11 in classifica a due gare dalla fine, la Ducati e Dovizioso erano in corsa più che mai per il titolo. L’anatroccolo era diventato cigno.

La doccia fredda di Phillip Island e la caduta di Valencia


La gioia per la prodezza di Motegi durò poco, perché arrivò subito la doccia fredda di Phillip Island, il circuito tabù di Dovizioso, che chiuse tredicesimo, nettamente il peggior piazzamento di quel campionato, che arrivò nel momento più inappropriato. Dovi poteva fare meglio? Oppure si arrese al “Qui la Ducati non può fare meglio di così”? La risposta, forse, è sì, a entrambe le domande. Quel risultato sgonfiò la Ducati e le sue possibilità. A poco servì la sesta vittoria stagionale di Andrea, ottenuta pochi giorni dopo a Sepang, davanti a Lorenzo. Certo, alla vigilia della stagione, il forlivese e il team avrebbero firmato per un cammino del genere, e avrebbero firmato per vincere due delle tre gare del trittico. Ma il fiasco del GP Australia lasciò il segno. Specialmente nella mente di Dall’Igna, che mai considerò quel risultato come il “migliore possibile”.

Dovizioso arrivò alla sfida finale di Valencia con 21 punti da recuperare a Marquez. Una missione impossibile: l’unico istante in cui apparve possibile fu quando Marc, in testa alla corsa con Dovi quinto, rischiò di cadere alla Curva 1, ma mostrò forse il suo più grande salvataggio, considerando anche la velocità. Pochi secondi dopo e Dovi finì fuori pista, dando l’addio definitivo ai sogni di gloria. La sua fu comunque un’annata da applausi: sei vittorie, mentre Lorenzo non andò oltre tre podi. Per Dovi fu l’anno del riscatto, dopo essere stato trattato da seconda guida. E fu anche l’anno dei ricchi bonus da aggiungere allo stipendio-base dopo ogni vittoria. I bonus da soli superarono lo stipendio-base draconiano che gli era stato sottoposto dopo il rifiuto di Iannone. Di solito, per evitare di sforare il budget, quei bonus sono garantiti e quindi sono già certi, cosa che la Ducati non fece quell’anno. Del resto, chi poteva immaginare che Dovizioso avrebbe vinto sei GP? Per la risposta, tornate all’inizio: “La rabbia è generalmente un sentimento negativo, ma se ben canalizzata può trasformarsi in una forza positiva”.

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