MotoGP Story: 2011, l'addio all'amato Marco Simoncelli

MotoGP Story: 2011, l'addio all'amato Marco Simoncelli© Getty Images

La tragedia di Sepang ha segnato un'era: il campione di Coriano, il grande emergente della MotoGP, aveva vissuto un 2011 al centro dell'attenzione, tra sprazzi e polemiche. A vincere il titolo fu Stoner

20.01.2022 ( Aggiornata il 20.01.2022 11:31 )

Sepang International Circuit, SIC la sigla, il destino nel nome. Su questo circuito domenica 23 ottobre 2011 alle ore 16.56 locali fu dichiarato morto Marco Simoncelli dopo gli inutili tentativi di Michele Zasa e di otto medici malesi di rianimarlo per oltre mezz’ora. Quell’anno, in occasione del GP Malesia, le tre classi assommarono 71 cadute, 31 in più rispetto all’edizione precedente. Tra queste, anche il terribile volo che, nelle prove della Moto2, causò a Marc Marquez il primo episodio di diplopia. Un’anomalia inspiegabile perché nonostante si sia corso a Sepang fino al 2019 questo picco di cadute non è più stato toccato.

E proprio con due violente cadute a Sepang, una delle quali gli aveva procurato una commozione cerebrale, nei test del 2010 Simoncelli aveva iniziato la sua esperienza in MotoGP. Marco chiuse l’annata da rookie con tredici cadute, più di tutti, ma a febbraio 2011, a Sepang, la ruota sembrò girare. Il terzo giorno si mise tutti dietro, dando ragione a Shuhei Nakamoto che l’aveva voluto e riconfermato con un trattamento simil-ufficiale. Anche Andrea Dovizioso era rimasto sulla RC212V, blindato da un contratto di ferro, così come Dani Pedrosa ma a loro, in HRC, si era affiancato Casey Stoner.

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Rossi e la Rossa


Numerose le novità in casa Ducati, a partire ovviamente da Valentino Rossi nel team ufficiale, mentre Pramac mise sotto contratto Loris Capirossi e Randy De Puniet e un’altra GP11 andò a Karel Abraham, al debutto. Parecchi anche i cambi in Yamaha, con Ben Spies promosso ufficiale e Cal Crutchlow al suo posto in Tech 3, così come nei team italiani fedeli alla Honda: Fausto Gresini rimpiazzò Marco Melandri, diretto in Superbike, con Hiroshi Aoyama accanto al SIC, mentre Lucio Cecchinello prese Toni Elias.

Pur quantitativamente ridotta, soltanto 17 piloti, la qualità della MotoGP era altissima: soltanto De Puniet, Hector Barbera e Abraham non avevano conquistato almeno un Mondiale.

Nei celebri test autunnali di Valencia, al debutto sulla Honda-Repsol Stoner si mise tutti alle spalle e anche a febbraio la RC212V si dimostrò la moto da battere, grazie anche al cambio rivoluzionario: l’australiano in testa il primo giorno, Dani Pedrosa il secondo e Simoncelli il terzo grazie al passaggio dal telaio del Dovi a quello dello spagnolo con evidente aumento del grip, e all’affiancamento di un nuovo tecnico.

In un buco nero finì invece la Ducati, non soltanto con Rossi, che confessò di essere preoccupato, ma anche con Capirossi: “La Desmosedici non è facile da guidare”. Le prime gare confermarono questa duplice tendenza con l’intrusione di Jorge Lorenzo, deciso a difendere il suo titolo. Il maiorchino balzò al comando della classifica con il successo sul bagnato a Jerez dopo il secondo posto in Qatar. In entrambe le gare salì sul podio pure Pedrosa ma sempre alle sue spalle, complici i dolori alla spalla sinistra picchiata in allenamento con una Kawasaki da Cross. Stoner invece vinse a Losail ma in Andalusia fu abbattuto da Rossi all’ottavo giro e non riuscì a ripartire, a differenza della moto numero 46 su cui si affrettarono tutti i commissari. Abbandonato al suo destino, l’australiano attese il passaggio dell’investitore per applaudirlo ironicamente. A fine gara Rossi andò al box Honda per scusarsi ma Stoner rispose: “L’ambizione ha superato il tuo talento”.

La parabola di Marco: le polemica, la prima pole, i podi


Grandi anche i rimpianti di Simoncelli, in testa dal sesto all’11° giro prima di finire a terra. Uno “zero” che replicò all’Estoril dove perse il controllo alla quarta curva e divenne bersaglio degli attacchi verbali di Lorenzo. L’impiego di un forcellone in alluminio non migliorò il rendimento delle GP11 e la tensione tra Rossi e Stoner si acuì. L’unico dei big a restare in disparte era Pedrosa, reduce dall’operazione alla spalla, che in Portogallo portò a tre i vincitori in altrettanti GP stagionali. Alla vigilia del GP Francia Marco fu messo all’indice dalla Commissione Sicurezza ma non cambiò il suo modo di correre. Dopo 11 giri, a Le Mans, aveva oltre due secondi di ritardo su Dani che annullò in breve. Al 18° giro lo passò prendendosi la seconda piazza ma nel rettilineo seguente l’iberico lo affiancò all’interno. Simoncelli impostò la curva ma la sua ruota posteriore si toccò con l’anteriore del rivale che cadde, rimediò la frattura della clavicola destra e fu costretto al saltare tre GP. Le polemiche sovrastarono i due tricolori sui pennoni - grazie a Dovizioso e Rossi - anche se su quello più alto campeggiava la Union Jack con la stella del Commonwealth per Stoner.

Sebbene Simoncelli avesse spiegato che “Quando vado in pista lo faccio per andare il più forte possibile, non per trovare beghe, anche perché rischieremmo di farci male tutti, anche io”, con l’avvicinarsi del GP Catalunya la situazione divenne ancora più tesa. Al romagnolo arrivarono minacce di morte, inclusa una lettera con un proiettile, per cui fu approntata una scorta al suo arrivo a Barcellona. Invece di essere frastornato, il SIC - che coinvolse i due agenti dell’Interpol nelle celebri partite a carte con gli uomini del team - conquistò la sua prima pole in MotoGP ma a vincere fu ancora Stoner che, non contento, replicò in Gran Bretagna. Sotto l’insistente pioggia inglese Lorenzo restò a lungo dietro a Dovizioso finché non patì un high side con cui interruppe una serie di 25 gare consecutive sempre fra i primi quattro. Casey balzò al comando della graduatoria e allungò ad Assen, dove vinse per la prima e unica volta in classe regina Ben Spies. In Olanda la foga giocò un altro brutto scherzo a Simoncelli, ancora in pole, che nella prima curva a sinistra infilò Lorenzo ma poi perse il controllo, trascinandolo a terra.

Il numero uno quasi dimezzò il gap con la vittoria al Mugello e il secondo posto in Germania ma Stoner rimise le cose a posto con un’altra tripletta (Laguna Seca, Brno e Indianapolis) che lo proiettò a +44. In Repubblica Ceca Simoncelli ottenne il primo podio in MotoGP che bissò in Australia, salendo un ulteriore gradino. A Phillip Island, Stoner conquistò successo e titolo, agevolato dall’assenza di Lorenzo, ferito all’anulare sinistro nel warm up. A quel punto il successo del pilota di Coriano sembrava soltanto questione di tempo e anche la Honda, pur costretta a ridurre del 30% gli investimenti, gli rinnovò il contratto.

La tragica Sepang


Nelle qualifiche in Malesia fu però costretto a impiegare il muletto, ma ciò nonostante all’inizio del secondo giro di gara era quarto, dietro alle tre HRC. Alla Curva 11 però perse l’appoggio del piede sinistro restando appeso al manubrio e cercò di tirare su la moto con il gomito. Come aveva sperimentato Stoner a Jerez, la RC212V era una moto impossibile far ripartire. Un limite che Simoncelli conosceva e che probabilmente lo indusse a restare attaccato al gas, mentre la moto, riprendendo grip sul posteriore, tagliò trasversalmente la pista. Alvaro Bautista e Nicky Hayden, che erano alle sue spalle, lo sfilarono, ma poi sopraggiunsero Colin Edwards e Rossi che non poterono evitare l’impatto. Erano le 16.05 e dopo il tremendo botto il casco, che riporterà segni di gomma sulla parte destra, rotolò via. Il cinturino, che dai test doveva resistere a un carico di 375 kg, si era strappato. Fatali le lesioni alla testa, al collo, al torace. Il GP venne fermato e non venne fatto ripartire. La MotoGP perse il grande emergente, e l’Italia perse il top rider del futuro.

Quattro giorni dopo i funerali a Coriano furono seguiti in diretta TV da 5.857.000 spettatori con uno share di oltre il 42%. L’ennesima dimostrazione dell’affetto che l’Italia provava per Marco.

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