L'intervista: Bagnaia, occasione d’oro

L'intervista: Bagnaia, occasione d’oro

‘Per la prima volta mi sento in corsa per un mondiale: la KTM è cresciuta parecchio, ma aspetto la risposta della Kalex, che ci porterà telaio e forcellone nuovi. Ho imparato diverse lezioni, e alcune provengono da Morbidelli: devo fare come lui’

12.01.2018 11:24

Un consiglio: non gettatevi in una sfida di cultura del Motomondiale con Pecco Bagnaia, fareste la fine dei vari Brad Binder, Fabio Quartararo e Jorge Navarro nella corsa al rookie dell’anno della Moto2, una battaglia che ha visto prevalere di larga misura il torinese dello Sky VR46. Quindi se chiedete a Bagnaia quali piloti abbiano ottenuto più punti di lui al primo anno in Moto2, la risposta (esatta) arriverà in pochi secondi: «In ordine sparso... Marquez, Viñales, Iannone, Rins. Tutti grandi nomi, che oggi corrono in MotoGP da ufficiali. Un giorno spero di esserci anch’io, con loro». Quel giorno non sembra lontano ma Pecco vuole arrivarci per gradi, e dopo il titolo di miglior debuttante ora punta al bersaglio grosso nella classe di mezzo: «Sono consapevole di avere le carte in regola per poterci provare: non sto affermando che vincerò, ma allo stato attuale perché non dovrei dire che ci proverò?». Domanda lecita per un pilota che negli ultimi tre anni è cresciuto in modo esponenziale, sotto l’aspetto mentale, della guida e anche a livello fisico.  


 
- Si è chiuso un eccellente 2017, con il tuo record di punti nel Mondiale (174) sebbene fossi al debutto in Moto2: che voto ti daresti? 
«Sette e mezzo, anzi mi allargo: otto. Penso di potermelo permettere». 

- Per quale motivo? 
«Perché ero convinto che sarei andato forte, ma mi aspettavo un apprendistato più lungo. La tipologia di gara che ho disputato a Jerez, dove sono stato secondo ottenendo il primo dei miei quattro podi, credevo che sarebbe arrivata più in là, magari ad Assen, dove nel 2016 avevo vinto in Moto3, oppure al Sachsenring». 

- Qual è stato il principale adeguamento nel passaggio dalla Moto3 alla classe di mezzo? 
«Si potrebbe pensare alla potenza del motore, ma in realtà quella ho imparato a gestirla, anche perché nel mezzo avevo vissuto quel mini-test a Valencia sulla Ducati MotoGP, che ha il doppio, se non il triplo della potenza di una Moto2. L’adeguamento è stato soprattutto a livello di gestione del peso della moto. Un aspetto che ci ha costretto a intraprendere un lungo lavoro, nel quale forse abbiamo trovato una svolta definitiva nei recenti test di Jerez e Valencia (sessione nella quale Pecco ha girato con passo da record, ndr), quando abbiamo visto subito i benefici legati al cambio di sospensioni, con il passaggio alle Öhlins».  

- Quali problemi dovevi risolvere? 
«Penso al comportamento della moto con il pieno di benzina. L’andamento delle mie corse, lo scorso anno, ha avuto una costante: negli ultimi giri, a serbatoio vuoto, andavo molto meglio che a inizio gara: si è verificato in tanti casi – penso alla Germania, all’Austria, a Valencia – e mi chiedo cosa avrei fatto se fossi stato più efficace nei primi 5-6 giri. Con le nuove sospensioni riusciamo a far andare subito in temperatura le gomme, e posso essere più efficace in avvio di gara. Nei test, in cui abbiamo girato spesso con il serbatoio pieno, abbiamo avuto indicazioni confortanti». 

- Non c’è però il rischio dell’effetto contrario, con l’eccessiva usura delle gomme? 
«Non credo, la mia guida è dolce, di solito non maltratto i pneumatici».  

- Quello delle sospensioni era il salto di qualità che cercavi? 
«Il comportamento nei primi giri, con la possibilità di spingere anche con il serbatoio pieno, era il punto principale da risolvere. Poi, intendiamoci, nei test post-campionato sono partito da una buona base, perché la mia annata è stata soddisfacente, se è vero che ho chiuso metà delle gare tra i primi 5». 

- Il titolo di “rookie dell’anno” era il tuo obiettivo? 
«Sì, e mi inorgoglisce perché la concorrenza era di alto livello: con me erano saliti dalla Moto3 il campione del Mondo, Binder, più Navarro, Quartararo e Andrea Locatelli. Tutti piloti forti». 

- Si è trattato del tuo primo “titolo” nel Mondiale.  
«Ma si viene ricordati per altri titoli...». 

- Pensi sia arrivato il momento di puntare a uno di quei titoli per cui si viene ricordati? 
«La concorrenza non mancherà, ma io ci voglio provare».  
 
- Per la prima volta inizierai una stagione facendo parte del novero dei candidati al titolo mondiale: senti pressione? 
«No, perché avere il pacchetto giusto per provare a vincere è la sensazione più bella! Effettivamente è la prima volta che sono nella lista dei pretendenti al titolo, e questo mi esalta. So bene che il cammino non sarà semplice, e che ci saranno parecchie regole fondamentali da rispettare». 

- Quali? 
«Non sprecare niente, non lasciare nulla al caso, essere costanti e lavorare con la testa del vincente. Significa non sottovalutare nessuno ma al tempo stesso essere totalmente convinti dei propri mezzi. È quella convinzione che ti permette di credere che, facendo le cose giuste, sarai destinato a stare davanti. Si tratta di mettere a frutto due lezioni apprese in questi anni». 

- A cosa ti riferisci? 
«Nel primo caso, ai due anni in Moto3 con la Mahindra, il 2015 e il 2016, perché è lì che è cominciata la mia maturazione. Il lavoro con il Team Aspar mi ha fatto crescere perché guidavo una moto che, con tutto il rispetto, non era la migliore sulla griglia, e dovevo recuperare in curva ciò che perdevo sul dritto. Quindi ho dovuto lavorare tanto sulla guida e sulla messa a punto, ho imparato parecchie cose importanti, a cominciare dal fatto che nulla va lasciato al caso».  
 
- E l’altra lezione? 
«Viene ovviamente da Franco Morbidelli. Quando parlo di “testa del vincente” rivedo la sua stagione. in cui è diventato campione del Mondo. Franco era assolutamente convinto dei propri mezzi e questo gli consentiva di vincere anche quando non era a posto. Chi vince la gara dopo aver vissuto un weekend difficile dimostra di essere un gradino sopra gli altri». 

- Pensi a una gara in particolare? 
«Penso a Le Mans, dove dopo una decina di giri gli ero arrivato alle spalle, viaggiando con ritmo da record della pista. Morbidelli aveva distrutto le gomme tirando al massimo in avvio di gara, eppure negli ultimi 15 giri anche lui ha preso a girare con i miei tempi e ha respinto il mio assalto. Franco aveva già conquistato le prime tre gare, e vincendo in quelle condizioni in Francia mi ha tolto ogni dubbio residuo: il titolo non poteva che essere suo».  
 
Cosa pensi di avere in comune con lui?  
«A livello caratteriale siamo riservati ma ci piace anche fare festa. Sul lavoro l’approccio è simile, siamo molto attenti ai dettagli. Poi, fra quattro mesi non mi dispiacerebbe avere in comune con Franco pure le tre gare vinte prima di arrivare in Europa (sorride)».  

- Quali saranno gli ostacoli nella corsa al Mondiale? 
«Miguel Oliveira, che ha chiuso l’anno andando fortissimo, Alex Marquez e Mattia Pasini sono da titolo. Per Paso ho un’ammirazione particolare, perché ha due palle gigantesche. Poi attenzione a Brad Binder, anche se non lo vedo per il titolo, e sono curioso di vedere Lorenzo Baldassarri con Pons».  

- Joan Mir ti succederà come rookie dell’anno? 
«Probabile. Nei test non l’ho incrociato in pista e quindi non so bene come abbia iniziato l’apprendistato sulla Kalex. Dai video e dalle foto, però, mi è già sembrato a suo agio sulla moto». 

- Oliveira ha vinto le ultime tre gare, nelle quali Binder è sempre salito sul podio: l’ascesa della KTM è inquietante? 
«Di sicuro è un dato da non sottovalutare, ma non sorprende, considerando le dimensioni e l’esperienza della Casa, che ha portato avanti un ottimo sviluppo nel corso dell’anno. Le KTM hanno compiuto il salto di qualità definitivo grazie al nuovo forcellone, utilizzato nelle ultime quattro gare, nelle quali noi abbiamo faticato a essere incisivi. La KTM ha raggiunto il suo picco, ora però ci aspettiamo anche la risposta della Kalex». 

- Come si concretizzerà? 
«A Jerez e a Valencia abbiamo provato una versione evoluta della moto 2017, ma ci siamo concentrati soprattutto sul lavoro a livello di sospensioni. Per i prossimi test ci aspettiamo un nuovo telaio e un nuovo forcellone. La Kalex sta lavorando sodo, perché vuole continuare a regnare in Moto2». 

- La prossima Kalex sarà la Moto2 dei tuoi desideri? 
«Me lo auguro. Il mio stile di guida si adatta meglio a una moto rigida nella parte posteriore, e con le Öhlins l’inizio è stato eccellente. In queste condizioni viene favorita la trazione, ma c’è anche più feeling con il davanti. E comunque in Moto2 bisogna stare attenti a non esagerare, perché forzando è più facile perdere due decimi, invece di guadagnarli. Serve una guida pulita». 

- Sembra un ossimoro pensando alle Moto2 sempre di traverso in ingresso di curva. 
«Io la metto di traverso in staccata, perché questo mi aiuta a girare, però non è possibile farlo tirando una staccata al limite, perché la moto va in crisi. E poi bisogna essere moderati anche in accelerazione, con queste moto serve dosare l’apertura del gas altrimenti il posteriore fa “spin” ed è un problema». 

- In cosa ti senti forte, invece? 
«Nel finale di gara, e non si parla soltanto di comportamento della moto con il serbatoio vuoto. Il lavoro con il preparatore atletico, Carlo Casabianca, e con il nostro nutrizionista, il dottor Angelini, mi permette sempre di arrivare al top negli ultimi giri, a livello fisico e mentale. Carlo è bravo perché alimenta la mia autocritica, e questo serve: nei giri conclusivi devi andare anche contro il tuo istinto che, per la stanchezza, potrebbe farti mollare, e invece quelli in cui si è più stanchi sono i momenti in cui si deve dare tutto». 

- Vivrai il cambio di compagno di team, da Stefano Manzi a Luca Marini.  
«Con Luca ho un buon rapporto, ci conosciamo da tanto anche perché siamo coetanei. Possiamo svolgere un bel lavoro assieme, anche se a livello di setting abbiamo preferenze agli antipodi. Luca sarà uno sprone, soprattutto in qualifica, dove avere un compagno in grado di andare forte è particolarmente utile».  

- Entrambi fate parte della VR46 Academy: com’è il rapporto tra piloti che si confrontano tutto l’anno, anche lontano dai GP? 
«Penso che questa “riunione” di piloti sia un fatto unico nel Motomondiale. Questa sorta di gara continua, e con un modello come Valentino Rossi, è la nostra forza, e siamo amici ancora prima che avversari in pista. Io sono l’esempio principale: lo scorso anno ho vissuto il salto in Moto2, una categoria che altri piloti dell’Academy conoscevano meglio di me, e da tutti ho avuto consigli e aiuti. Non è scontato, in questo mondo. Poi si arriva agli eventi come la Corsa dei Campioni, che è sentita come una finale: questa volta io e Manzi siamo arrivati quarti, perdendo tempo nei cambi di transponder, e io ho patito l’arrivo del freddo».  

Lo scorso anno sei tornato a correre per lo Sky VR46, com’è stato il rientro nel team? 
 «Ho trovato una struttura molto migliorata, ho passato tanto tempo con chi mi circonda – con cene di gruppo e non soltanto – perché voglio avere il miglior rapporto possibile con chi lavora accanto a me, è importante creare la fiducia necessaria e fare squadra. E questo è uno dei punti di forza del mio pacchetto, oggi».  

- È anche per questa ragione che hai respinto le lusinghe di almeno tre team della MotoGP? 
«Le ragioni sono molteplici: per esempio, non mi sento del tutto pronto per un salto che ti costringe a cambiare tutto. Sto per compiere 21 anni, il tempo per provarci non mi manca. E poi, scusate, una volta che posso puntare al titolo, mica mi farete buttare questa occasione?». 

- A chiederti di sfruttare la chance è anche il tuo neonato fans club. 
«Sono già 350, gli iscritti, il presidente Luca Cena sta facendo un lavoro clamoroso: vogliamo portare a Chivasso un po’ di cultura del Mondiale GP. Avrò anche perso l’accento torinese, e tutti mi dicono che parlo come un pesarese, ma le origini non le dimentico». 

- Per soddisfare Pecco Bagnaia, il 2018 deve portare il titolo? 
«Per essere soddisfatto dovrò aver dato il 100 percento. Poi, se le cose dovessero effettivamente funzionare nel modo auspicato, potremo provarci per davvero. Sono consapevole che io, le persone che mi circondano e il mio pacchetto siamo forti». 

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