Dakar, il fisioterapista di Picco racconta: “In moto è ancora un ragazzino”

Dakar, il fisioterapista di Picco racconta: “In moto è ancora un ragazzino”

Dalla Clinica Mobile ad un ambiente completamente diverso, come quello della Dakar. Il medico Filippin ci racconta la sua esperienza con il suo eroe, parlando anche degli altri italiani

19.01.2022 ( Aggiornata il 19.01.2022 13:34 )

Nei bivacchi che compongono la Dakar c’è anche spazio per coloro che si prendono cura del corpo dei piloti, che vengono fortemente sollecitati nelle due settimane di gara. Quest’anno, per la prima volta, si è unito anche il fisioterapista Luca Filippin, che alle spalle vanta quasi vent’anni di operato nella Clinica Mobile di Superbike e MotoGP, e che ha vissuto a pieno questa nuova brillante esperienza, al fianco, tra gli altri, di Franco Picco.

Come sei arrivato alla Dakar?

Grazie a Franco Picco, la leggenda della prova. L’ho seguito nella preparazione a inizio estate e all’inizio l’abbiamo buttata sullo scherzo. Poi la cosa ha iniziato a prendere sempre più in forma fino ad aggregarmi e seguirlo. Il tutto si è allargato anche ad un altro team, RS Moto, e quindi ho seguito anche tanti altri piloti italiani. Ovvero Giovanni Gritti, Francesco Catanese, Nicolas Monnin, Julien Barthelemy, più altri piloti privati come Giovanni Stigliamo, Domenico Cipollone e Paolo Lucci”.

Che trattamenti hai eseguito?

“Per le congestioni muscolari, ho svolto terapia manuale. Invece per i piccoli traumi legati a distorsioni e altro, ho svolto trattamenti classici fisioterapici con gli strumenti, i bendaggi funzionali, il taping. Sono ritornato dopo aver finito nella Clinica Mobile nel 2016 a rifare i bendaggi per le vesciche delle mani. C'è stata qualche tendinite e infiammazione particolare alla colonna, classici effetti del motociclismo in tutte le discipline. Logico che chi fa il rally non corre per 45 minuti, ma per diverse ore, diventa quindi molto impegnativo e vengono sollecitate le articolazioni, i polsi, i gomiti e le spalle".

Che spirito hai trovato alla Dakar?

“Qualcosa di completamente diverso rispetto alla velocità. È un ambiente molto famigliare, caldo, ci si aiuta molto, è molto aperto. Non c’è quella situazione un po’ particolare e ambigua che si trova nell’altra specialità. È tutto molto più facile, tutti mangiamo insieme e stanno insieme. Sono tornato un po’ agli albori quando in SBK e MotoGP il paddock era così”.

Quando hai iniziato a lavorare nei due campionati mondiali?

“Nei primi anni 2000 e ho concluso nel 2016. Sono stati 17 anni di attività in Clinica Mobile. La mia prima gara è stata nelle derivate di serie a Phillip Island, poi da lì sono stato a Sugo in Giappone e ho coronato quello che era il mio sogno da ragazzino”.

Che ricordi ti porti dietro da questa esperienza?

“Tanti, il più bello te lo racconto con il sorriso, perché per me Franco Picco è sempre stato un eroe. E me lo sono ritrovato 66enne mentre in moto sembra ancora un ragazzino, fa i numeri e quando scende poi è un uomo di 66 anni, con le difficoltà e la stanchezza che può avere”.

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