Polvere di Stelle: la scoperta dell'elettricità

Polvere di Stelle: la scoperta dell'elettricità

Sulle moto avvenne a fine ‘800, con i progetti di Millet. Ma la scarsa affidabilità dei primi impianti di accensione favorì iniziative alternative, mutuate dall’idea di Trouvé

13.05.2021 19:53

La scorsa settimana ho sviluppato il tema dell’origine della motocicletta: dalla diffidenza iniziale per la sensazione di precarietà d’equilibrio data dalle due ruote nei confronti della maggior stabilità e sicurezza teoricamente offerte dal triciclo, alla sua affermazione, nel volgere di pochi anni, una volta migliorati alcuni punti troppo trascurati all’inizio: il telaio, la posizione del motore, la trasmissione finale. Nei primissimi anni del 1900 la motocicletta acquisì dunque una sua precisa identità, che la distinse dalla bicicletta a motore e dal triciclo; si creò un mercato specifico e si avviò immediatamente una grande competizione industriale in tutt’Europa e in America. Ovviamente, però, lo sviluppo di questo veicolo era solamente all’inizio, esattamente come quello dell’automobile e dell’aeroplano che praticamente si era appena sollevato da terra – siamo alla fine del 1903 – lanciato dai fratelli Wright con una specie di catapulta su
un prato di Kitty Hawk, un paese americano della Carolina del Nord.

I due elementi instabili dal punto di vista dell’affidabilità del motore erano l’accensione e la carburazione. La Hildebrand & Wolfmuller, prima motocicletta prodotta in serie fra il 1894 e il 1897, per incendiare la miscela aria-carburante aveva utilizzato un sistema tipo “bruleur” con tubi di platino resi e mantenuti incandescenti da bruciatori a benzina che ovviamente andavano accesi prima dell’avvio del motore. Questo complicato, costoso, pericoloso (per via dei possibili incendi) e arcaico impianto fu presto messo da parte a favore dell’accensione elettrica. L’elettricità nel corso del 1800 era passata dai primi esperimenti applicativi, che avevano portato alla costruzione di dinamo e alternatori nonché alla fondamentale invenzione del telegrafo, a un progresso continuo di scoperte e di nuove potenzialità che andavano dall’illuminazione notturna nelle città, alla realizzazione di motori elettrici di varia potenza, ad applicazioni medicali, alle comunicazioni telefoniche, al fonografo... Il “rocchetto di Ruhmkorff”, costruito e sperimentato con successo nel 1851, aprì la strada all’accensione elettrica dei motori a combustione interna. Nel 1885 Daimler lo applicò alla sua “Einspur”, motocicletta-laboratorio senza intenti produttivi e l’anno dopo lo stesso fece Benz per il motore del suo triciclo, che invece mirava alla creazione dell’industria automobilistica. In campo motociclistico la priorità dell’accensione elettrica – almeno per quanto è dato conoscere – fu conquistata da Felix Theodore Millet, che tra il 1888 e il 1895 realizzò una motocicletta con motore stellare rotativo a cinque cilindri alloggiato nella ruota posteriore.

L'accensione


Il sistema di accensione, da lui ideato e brevettato, si basava su una pila dal peso di ben otto chilogrammi da ricaricarsi ogni 12 ore, su una bobina di quattro kg, su un ruttore (puntine) e su un distributore discoidale. La pila era ospitata in un contenitore cilindrico posto in basso fra le ruote del veicolo e munito di sportello di ispezione. Il punto debole dell’apparato, decisamente in anticipo sui tempi, si rivelò il distributore; probabilmente su un monocilindrico questa accensione avrebbe funzionato in maniera accettabile, ma su cinque cilindri causò continui problemi che convinsero Millet a rinunciare ai suoi piani imprenditoriali. Lo stesso problema non lo ebbero infatti i costruttori delle prime moto-
ciclette monocilindriche o bicilindriche prodotte industrialmente, anche se i guasti all’accensione perseguitarono costantemente i pionieri del motociclismo.

Su uno dei primi libri dedicati esclusivamente alla motocicletta e scritto nel 1904 dal celebre giornalista francese Louis Baudry de Saunier, si legge: "Quando la fata nera chiamata 'La Panne' si avvicina a una motocicletta, nove volte su dieci, possiamo dire che è sull’accensione che dà la sua bacchetta. La tua moto si ferma? Ispeziona attentamente l’accensione. L’accensione e di nuovo l’accensione; l’accensione è quasi sempre il colpevole!". Stando ai manuali dell’epoca, una
buona batteria di pile (non di accumulatori) – inizialmente non era prevista la ricarica – poteva fornire corrente elettrica all’impianto di accensione per una percorrenza di 4-5000 km. Gli accumulatori erano considerati inaffidabili e per una motocicletta si giudicavano bastanti due elementi, per un totale di circa quattro volt. Si faceva notare che molti meccanici incompetenti, per controllare che gli accumulatori fossero ben carichi usavano provocare un cortocircuito ponendo a contatto i due poli con un qualsiasi attrezzo metallico. L’impianto elettrico era allora concepito esclusivamente in funzione del motore, e come abbiamo visto, costituiva il punto di massima criticità dei veicoli dei primordi della motorizzazione.

L'idea di Trouvé


Alcuni costruttori pensarono di risolvere il problema seguendo l’esempio di Gustave Trouvé, che nel 1881 aveva assemblato un triciclo spinto da un motore elettrico Siemens alimentato da batterie ricaricabili di sua progettazione. Il 19 aprile di quell’anno, il più grande (quanto sconosciuto) genio francese dell’elettricità diede pubblica dimostrazione di questa sua invenzione (si intitolò più di 300 brevetti) facendo guidare a un suo assistente il triciclo – uno Starley asimmetrico prodotto in Inghilterra – nella centrale Rue de Valois a Parigi.

Molti veicoli elettrici a due, tre e quattro ruote, furono prodotti in Francia e in Inghilterra dopo la dimostrazione di Trouvé, che nel frattempo applicò con successo quello stesso motore sia a un’imbarcazione che a un modello
funzionante di elicottero. A Parigi fu creato già prima del volgere del secolo anche un centro pubblico di ricarica per veicoli elettrici, tuttavia i progressi dei più autonomi e performanti motori a benzina, divenuti intanto più affidabili anche grazie alla messa a punto di sistemi di accensione a magnete a bassa e alta tensione, provocarono il fallimento di ogni iniziativa industriale in tal senso. Il passo in avanti decisivo avvenne nel 1902, quando la Bosch brevettò un dispositivo d’accensione ideato dal suo ingegnere Gottlob Honold e costituito dalla prima candela prodotta industrialmente accoppiata a un magnete ad alta tensione. Fino a quel momento le rudimentali candele applicate ai motori a combustione interna si erano rivelate scarsamente efficienti e assai fragili; l’impianto Bosch, oltre a garantire
un’affidabilità ben superiore, permise di elevare notevolmente il regime di rotazione del motore e di produrre veicoli di alte prestazioni che contribuirononotevolmente alla crescita del mercato delle due e delle quattro ruote.

continua

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