Polvere di Stelle: il triste epilogo tra Giacomo Agostini e Yamaha

Polvere di Stelle: il triste epilogo tra Giacomo Agostini e Yamaha

L’uscita del team tre volte trionfatore nella 500 fu una delusione per Ago, prima tradito da Lawson e poi bloccato nel tentativo di prendere Schwantz

14.08.2021 ( Aggiornata il 14.08.2021 16:39 )

Giacomo Agostini nel 1974 festeggiò il suo passaggio alla Yamaha offrendo alla Casa di Iwata i suoi primi titoli mondiali piloti e marche della classe 350. L’anno dopo procurò alla Yamaha e all’intero Giappone una soddisfazione immensa: la conquista per la prima volta dei Mondiali piloti e marche della classe regina, la 500. L’impresa era già stata tentata nel 1966 e 1967 dalla Honda con Mike Hailwood, ma proprio Agostini con la MV l’aveva vanificata, e la Casa di Tokyo si era dovuta accontentare del titolo marche nel 1966. Da quel momento, per tanti anni il rapporto fra il 15 volte iridato e la Yamaha è stato molto stretto.

Alla fine del 1977 Ago appese il casco al chiodo, ma quando, nel 1982, decise di diventare team manager di una squadra tutta sua, la Yamaha gli affidò le moto ufficiali. Tutto andò per il meglio fino alla fine del 1988: il Team Agostini-Yamaha fu sempre il principale antagonista di Suzuki e Honda e per tre volte si aggiudicò con Eddie Lawson il Mondiale della 500. Ma il 19 ottobre 1988 un fulmine a ciel sereno sconvolse l’armonia del Mondiale, con un comunicato che annunciava il passaggio di Lawson dalla Yamaha alla Honda.

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Fulmine a ciel sereno


Tutti si misero alla ricerca del transfuga, compreso Agostini che sosteneva di non essere stato messo al corrente di una simile decisione dal suo pilota e di averla appresa dai giornali. E lui, Lawson, dov’era? Si trovava in California, a Laguna Seca, per un’iniziativa pubblicitaria della Marlboro... Raggiunto al telefono, il campione del Mondo della 500 in maniera del tutto inattesa, ma anche imbarazzata, smentì il comunicato asserendo di non aver ancora deciso e soprattutto di non aver firmato nulla. Poi mise giù la cornetta, tornò in albergo, ci fece una dormita sopra e il giorno dopo, tranquillo e soave, firmò il contratto con la Honda.

Agostini a quel punto si ritrovò totalmente spiazzato, visto che tutti i piloti vincenti erano già accasati. Tutti meno uno, ma questo “uno” era un grosso rischio. E Agostini decise di correrlo. Quando tutti stavano pensando che il 1989 sarebbe stato per lui la stagione più grama della sua luminosa carriera sportiva, caricò il pezzo da novanta e sparò. La “bomba” di Agostini aveva un nome: Freddie Spencer, e la deflagrazione fu enorme nel mondo del motociclismo. Grandissimo Ago oppure mossa dettata dalla disperazione? I dubbi sullo stato psicologico e fisico dell’asso americano erano tanti e giustificati, ma Freddie assicurava di aver ritrovato sia la forma atletica, a parte qualche chilo di troppo che avrebbe presto smaltito, che gli stimoli mentali. Un caso come quello del pilota della Louisiana non si era mai visto nella storia del motociclismo. Era arrivato nel Motomondiale come una grande promessa nel 1982, e già nell’83 era campione del Mondo della 500 e nell’85 addirittura aveva vinto contemporaneamente i titoli di 250 e 500, impresa mai riuscita prima ad alcuno. Aveva convinto tutti: era il più forte indiscutibilmente. Poi nel 1986 il crollo improvviso, motivato da una tendinite.

Freddie Spencer, un calvario


Da quel momento, ogni tentativo di risalire la china era stato inutile, tanto che, all’inizio dell‘88, dopo una stagione fatta di appuntamenti mancati e di promesse non mantenute, Spencer aveva annunciato il ritiro. A distanza di un anno Agostini, messo alle strette dall’addio di Lawson, lo richiamò in servizio offrendogli la Yamaha 500 ufficiale. Da quel momento, però, iniziò il calvario: 14° in Giappone, caduto in Australia, assente in America per forti dolori all’orecchio, 5° in Spagna, non partito in Italia per lo sciopero dei piloti di fronte al diluvio di Misano (ma era caduto tre volte in prova), 9° in Germania e in Austria, fermo al primo giro in Jugoslavia per motivi imprecisati, tredicesimo in Olanda, nono in Belgio, ritirato in Francia per lancinanti dolori di stomaco. Così era impossibile continuare, sia per Spencer che per Agostini e la Marlboro. La spinosissima questione fu risolta prima del GP Gran Bretagna, dove Agostini fece debuttare in 500 Luca Cadalora (sua punta di diamante nella 250) lasciando a piedi Spencer. Il campione americano fu licenziato in tronco per scarso rendimento, e per convincerlo a non impugnare il contratto fu pagato fino alla fine della stagione, come da accordi presi, dopodiché di lui non si seppe più nulla: la Marlboro diramò un breve comunicato e considerò chiusa la faccenda. Fu un brutto episodio, una macchia nella carriera di un talento fra i più luminosi del motociclismo e anche in quella del team manager Giacomo Agostini.

Il quale, costretto da una situazione contingente, aveva sollecitato e allettato Spencer a tornare in sella pur sapendo quanto elevato fosse il rischio di insuccesso. Spencer si era illuso di poter tornare il trionfatore di una volta, ma aveva dovuto fare i conti con un’evidente mancanza di stimoli, con un fisico problematico e con il suo carattere molto chiuso che rendeva difficili i rapporti con i componenti della squadra: appena sceso di sella, l’ex Fast Freddie si chiudeva nel motorhome e non si faceva più vedere. Non fu facile per nessuno.

Il sogno Schwantz, mai realizzato


Non fu soltanto il fallimento dell’operazione Spencer ad avviare l’uscita di scena del Team Agostini-Yamaha dalla 500. A dargli il colpo fatale fu proprio la Casa dei tre diapason. Ago si stava confrontando con la crisi più difficile del suo team e per risalire la china aveva disperatamente bisogno di un grosso calibro. Così, pressato dalla Marlboro e dalle proprie esigenze di sopravvivenza, avvicinò Kevin Schwantz in un momento in cui il pilota della Suzuki era risentito nei confronti della sua squadra per i troppi guai in cui era incorso il motore della RGV appiedandolo e privandolo di possibilissime vittorie. Un po’ per la rabbia, un po’ per la maxi-proposta economica di Agostini, Schwantz si convinse e firmò un pre-contratto, con la condizione determinante che la Yamaha gli garantisse lo stesso materiale messo a disposizione di Wayne Rainey, pilota del Team Roberts. Ago, esultante, volò in Giappone sicuro che a Iwata avrebbero fatto ponti d’oro a lui e a Schwantz, invece fu informato di due novità che lo annichilirono. Innanzitutto soltanto al Team Roberts (che schierava Rainey e Lawson, di rientro in Yamaha dalla Honda con il quarto titolo in tasca) sarebbe stata assegnata la YZR 500 ufficiale in versione 1990 con gli aggiornamenti disponibili nel corso della stagione, mentre a lui sarebbe stata fornita con ufficialità e aggiornamenti la sola 250 per Cadalora.

Inoltre di assumere Schwantz come pilota Yamaha non se ne parlava nemmeno, perché la Yamaha aveva concluso con la Suzuki un gentlemen agreement che escludeva che le due Case si portassero via reciprocamente i piloti. “Fu una fortissima delusione – conferma oggi Agostini – ma non ebbi modo di oppormi. Il presidente della Suzuki telefonò al presidente della Yamaha e questi due massimi dirigenti, ai quali nulla importava di Agostini, o di Schwantz, si accordarono per non farsi la guerra. Mi fecero fare una brutta figura con la Marlboro, con i piloti e con il pubblico, ma dovetti rassegnarmi. Penso che un caso analogo non si sia mai più ripetuto”.

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