Polvere di Stelle: il motociclismo...secondo Dante

Polvere di Stelle: il motociclismo...secondo Dante

A 700 anni dalla scomparsa del “Sommo Poeta”, la ricostruzione della Divina Commedia a due ruote di Luraschi. Con Tenni e Pagani, e i sidecaristi...

07.10.2021 20:13

Settecento anni fa a Ravenna Dante Alighieri, il “Sommo Poeta”, esalava l’ultimo respiro. L’anniversario è celebrato in tutta Italia con eventi di ogni genere, quasi tutti ispirati al suo capolavoro universale, la “Divina Commedia”, e promotori di queste manifestazioni sono soprattutto paesi e città della Toscana, dell’Emilia Romagna e del Veneto, regioni nelle quali visse, operò o viaggiò Dante. Ovviamente qui nella mia Romagna è tutto un fiorire di iniziative sull’argomento ed è quindi impossibile ignorarlo. Così, tra una riflessione e l’altra, l’idea balzana non ha mancato di trovar posto nella mia mente: che cosa avrebbe pensato Dante dei motociclisti? Dove li avrebbe collocati nella sua opera? Nell’Inferno, nel Purgatorio o in Paradiso? Considerato il personaggio, temo che la nostra passione sarebbe stata condannata dal Poeta affliggendoci orrendi supplizi, fantasie tenebrose e trucide ideando le quali il “Ghibellin fuggiasco” – come venne chiamato da Ugo Foscolo – non si risparmiava… È chiaro che una simile domanda è improponibile e certamente non meriterebbe spazio di discussione su “Polvere di Stelle”.

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La rivisitazione di Luraschi


Ma insisto con Dante perché ho trovato, consultando il mio archivio, un legame che unisce direttamente la Divina Commedia all’argomento di cui settimanalmente ci interessiamo: il passato del motociclismo. Nel 1948 sulla rivista La Moto, diretta dal 1937 da uno dei più noti giornalisti del settore, Italo Luraschi, e pubblicata con anomala periodicità ogni dieci giorni, comparve una rubrica decisamente originale: la rivisitazione in rima della Divina Commedia ambientata nell’attualità motociclistica italiana del tempo.

Il Dante della situazione era un altro famoso giornalista e scrittore di cose motociclistiche, Abramo Giovanni Luraschi, che diede inizio alla sua opera dal canto primo dell’Inferno, attenendosi fedelmente alla struttura poetica del “Sommo”. "Nel mezzo del ritorno da una gita – io mi fermai per una foratura – proprio sul culminar di una salita – E quanto a dir qual era è cosa dura – quella punta selvaggia et aspra e storta – che m’avea messo in tale seccatura – solo e senza una camera di scorta". Chi ha studiato a scuola la Divina Commedia potrà senz’altro apprezzare l’assonanza con la stesura originale dantesca: “Nel mezzo del cammin di nostra vita – mi ritrovai per una selva oscura – ché la diritta via era smarrita – Ahi, quanto a dir qual era è cosa dura – questa selva selvaggia et aspra e forte – che nel pensier rinnova la paura – Tanto è amara, che poco è più morte”.

Dante-Luraschi si mette dunque in cammino dopo aver appoggiato la moto a un albero e a un certo punto, scendendo dal monte gli parve di scorgere un uomo. “Miserere di me, gridai a lui – quel che tu sia, ombra o uom certo – Risposemi: son Bianchi, un giorno fui – il presidente d’un dei club lombardi – e dopo gli anni della guerra bui – oggi quest’uomo che tu in volto guardi – la FMI presiede con ardore e tatto”.

Come Dante incontrò Virgilio, così Luraschi immagina di imbattersi in Emanuele Bianchi, in quel momento presidente della Federazione Motociclistica Italiana. “Sei tu dunque quel Bianchi, quella fonte – che spande di parlar sì tanto fiume?”. Il presidente accetta di far da guida al Dante virtuale e gli annuncia che lo condurrà a vedere cose terribili: “Sarò ben lieto d’esser la tua guida – ed in un luogo ti farò apparire – ove udirai le disperate strida – vedrai gli antichi spiriti dolenti – come al Congresso quando ognuno grida”. Bianchi si riferisce al Congresso della Federazione, dove il disaccordo fra i membri è continuo e distruttivo.

I due avanzano e a un certo punto Dante-Luraschi così si esprime: “Quivi sospiri pianti ed altri guai – facevan raggrinzire le budella – perch’io al cominciar ne lacrimai. – Diverse lingue, orribili favelle – parole di dolore accenti d’ira – voci alte e fioche e suon di campanelle…”.

“Ed io che avea di orror la testa cinta – dissi: Bianchi, che è quello che sento? – E che gent’è che par nel duol sì vinta? – Ed egli a me con sospiroso accento – Questi son color che dal Congresso – furo eletti a far parte (oh che tormento) – del Consiglio, e che son veduti spesso – girinzolar qua e la per il Paese – per discuter come fanno adesso”.

Il lungo e spaventoso cammino nella bolgia infernale prosegue fin quando i due visitatori incontrano qualcosa che desta la loro meraviglia: quattro volti notissimi di campioni del motociclismo che vagano fra gli spiriti “Come gagà fra i tavolini del Biffi di Milano” – paragone proposto dallo stesso Luraschi nella prefazione della quinta puntata della sua Divina Commedia. “Vidi quattro grand’ombre a noi venire – sembianze avean né triste né lieta – ed il buon Bianchi cominciò col dire: - mira colui con quel manubrio in mano – che vien dinanzi a tre, sì come sire! – È quegli Tenni, campione sovrano – l’altro è Pagani, tutto stil, che viene – Balzarotti lo segue e dà la mano – a Serafini: a tutti si conviene – il grande onor di gire fra i dannati – senz’esser tali e non subire pene”.

Omobono Tenni, il supercampione della Moto Guzzi, che proprio nel 1948, il 30 giugno, perderà la vita nelle prove del GP Svizzera, a Berna; Nello Pagani, Ferdinando Balzarotti e Dorino Serafini: Luraschi nel suo poema evita loro ogni pena, mentre condanna altri corridori a pesanti punizioni. Il peggio lo immagina però non per i piloti scorretti in gara o per chi aggira i regolamenti, ma per... i piloti grassi, che evidentemente non gli piacciono proprio: li condanna a bollire nell’olio e fra questi inserisce Ferruccio Colucci, futuro presidente della Federazione Motociclistica Italiana…

Più avanti giunge nella bolgia dei sidecaristi ai quali riserva un trattamento speciale: siccome in corsa si sporgevano dalla moto inclinandosi da ogni parte, nell’Inferno vengono incatenati e confitti nelle scocche delle carrozzette fino a mezzo busto. Inizialmente gli sembrano torri, ma Bianchi lo smentisce: "Sappi che non son torri, ma giganti – e nelle scocche son, lungo la ripa – dall’umbilico in giuso tutti quanti". Tra i piloti delle moto sciolte, Luraschi, come abbiamo visto, ha salvato i campioni più popolari, ma per i sidecaristi non mostra alcuna pietà: tutti i grandi dell’epoca sono sottoposti allo stesso supplizio: Marcelli, Frigerio, i fratelli Milani, Toni, Dobelli, nessuna grazia per nessuno. E con questa bolgia si chiude la Divina Commedia di Abramo Giovanni Luraschi. O almeno, pur cercando con cura, non ne ho trovato altre puntate.

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