Polvere di Stelle: il culto della storica Motom

Polvere di Stelle: il culto della storica Motom

A Monza, un “raduno nel raduno” ha dato lustro a un Marchio capace di offrire modelli innovativi. Non tutti, però, entrarono nella produzione di serie

29.07.2022 ( Aggiornata il 29.07.2022 20:13 )

Un Marchio unico


Che questa marca avesse dei cultori era scontato, e non soltanto per la straordinaria diffusione dei suoi ciclomotori a quattro tempi per quasi un quarto di secolo, ma soprattutto per le caratteristiche uniche che fecero del telaio un capolavoro di industrial design e del motore un portentoso connubio fra semplicità, rendimento e affidabilità.

La De Angeli-Frua era un’impresa industriale milanese fondata nel 1896 e che nell’anteguerra aveva raggiunto un ruolo di preminenza nel settore tessile, con oltre 11.000 dipendenti. Gli eredi dei fondatori, in particolare Ernesto Frua-De Angeli, nel 1945 ritennero necessario diversificare la produzione affiancando al tessile un settore in quel momento più promettente. Desiderando l’approdo nel mondo del piccolo trasporto privato con qualcosa all’altezza dell’immagine della De Angeli-Frua entrarono in contatto con Battista Giovanni Falchetto, un tecnico abituato a risolvere questioni difficili.

Sulle automobili Lancia, delle quali era progettista, già negli Anni ’20 aveva sperimentato con successo, e per primo, sia la carrozzeria portante che le sospensioni a ruote indipendenti.

L’ingegnere accettò la sfida e si mise subito al lavoro. Il frutto del suo talento e del potenziale industriale del Gruppo fu esposto per la prima volta al Salone di Ginevra del 1947 e destò scalpore. Il veicolo, corrispondente al progetto siglato 12/A, era stato battezzato Motomic (Moto Atomica) e non era né una bicicletta a motore, né una piccola motocicletta e tantomeno uno scooter. Il punto focale del progetto era il telaio in due semigusci simmetrici di lamiera stampata assemblati per saldatura.

Concettualmente si poteva parlare di monoscocca, pur se esteticamente si riallacciava a un classico telaio motociclistico. Da questo differiva non soltanto per il sistema costruttivo, ma anche per l’esclusiva conformazione a “X”, studiata in modo razionale perché la struttura comprendesse ogni elemento portante del veicolo.

Il trave obliquo longitudinale all’estremità posteriore – conformata a forchetta – ospitava l’attacco del mozzo della ruota motrice e a quella anteriore il cannotto di supporto dello sterzo.

E già questa era una proposta originale e semplificativa perché univa direttamente i due punti essenziali nella geometria del telaio senza soluzione di continuità (è servito attendere il 1973 e la Bimota di Tamburini affinché la soluzione si imponesse). Circa al centro del veicolo il trave obliquo longitudinale presentava perpendicolarmente due rami facenti parte dei semigusci stampati: uno reggeva superiormente la sella monoposto, l’altro scendeva in basso a supportare il motore. Con due stampate di lamiera e una saldatura di unione si otteneva tutto ciò che serviva ad assemblare il ciclomotore: geniale!

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