Un altro capitolo sulle moto plurifrazionate mai viste in gara: dalla MV con motore "boxer" bloccata dallo Stato alla Ducati “inglese” fino al prototipo tedesco
Insomma, fra le due aziende motociclistiche in crisi di sua proprietà, Roma decise di salvarne una soltanto, la Ducati. E tra gli investimenti programmati a questo scopo negli anni precedenti c’era stata anche la partecipazione al Mondiale di Velocità nella 350, dove la MV in quel momento teneva ancora banco. Era il 1971 e l’ingegner Fabio Taglioni era impegnatissimo a sviluppare la bicilindrica 750 a “L” di 90° finalmente deliberata dalla dirigenza.
Fu probabilmente questa la ragione che indusse chi in quel momento era a capo della Ducati per conto dell’EFIM (Ente partecipazioni e Finanziamento Industrie Manifatturiere) a commissionare all’estero il progetto di un prototipo di 350 cm³ da competizione.
Fu scelto (o si propose) lo studio inglese di ingegneria Ricardo, un centro tecnico noto fin dagli anni Venti, che presentò un tre cilindri in linea trasversale con distribuzione bialbero a quattro valvole per cilindro comandata da cinghia dentata sul lato destro della bancata.
La cilindrata effettiva era di 349,3 cm³ data da un alesaggio di 60 mm e da una corsa di 41,2 mm. Il raffreddamento era a liquido e gli scarichi erano uno per ciascuna valvola, quindi sei; l’alimentazione era a iniezione meccanica. La trasmissione usufruiva di frizione multidisco a secco e di cambio estraibile a sette rapporti.
La Ricardo dichiarò allora che le prove al banco avevano dato 80 CV a 15.000 giri, ma i successivi test non soltanto non confermarono il risultato, ma rivelarono numerosi difetti d’origine del progetto: fu necessario sostituire l’iniezione meccanica con una batteria di carburatori e rifare manualmente alcuni importanti componenti che avevano denunciato difetti di fusione. Nell’agosto del 1972 i rappresentanti di Ducati e Ricardo concordarono di interrompere la collaborazione.
Nessuno si curò più di quel motore, tanto che rimase in Inghilterra per oltre 25 anni, finché qualcuno non riuscì a portarlo a Bologna, dove ora è esposto al Museo Ducati. La Casa di Borgo Panigale non è stata l’unica a commissionare a uno studio di ingegneria straniero la realizzazione di un bolide da corsa con cui correre nel Mondiale.
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