Polvere di Stelle: l'avventura a due ruote di Eddy Ottoz

Polvere di Stelle: l'avventura a due ruote di Eddy Ottoz

Ottoz, dopo il bronzo nei 110 ostacoli a Città del Messico, raggiunse New York in sella a una Laverda 650 assieme al compagno azzurro Gian

25.10.2022 ( Aggiornata il 25.10.2022 12:35 )

Alcuni anni fa su Polvere di Stelle raccontai la storia di Renato Dionisi, dieci volte campione italiano e stella internazionale del salto con l’asta. Accennai soltanto brevemente al suo curriculum nell’atletica, soffermandomi invece sulla passione per la moto che lo spinse anche a partecipare ad alcune corse. Una delle quali, la 500 km di Vallelunga del 1972, ebbe un risvolto tragico essendosi trovato coinvolto con altri al primo giro nella caduta mortale di Maurizio Cecere.

Ottoz e Carlo Laverda


Oltre a Dionisi, altri celebri esponenti italiani dell’atletica in quegli anni nutrivano una forte passione per la moto. Tra loro, Eddy Ottoz, titolare di un impressionante curriculum in campo internazionale nei 110 metri ostacoli. Vincitore di cinque titoli europei (di cui tre Indoor), cinque titoli nazionali consecutivi dal 1965 al 1969, fu quarto nel 1964 alle Olimpiadi di Tokyo, poi nel 1968 conquistò la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Città del Messico.

Avevo conosciuto personalmente Dionisi, ma non avevo mai avuto modo di incontrare Ottoz. Un mese fa mi trovavo nella sua città, Aosta, e non ho resistito alla tentazione di cercarlo per farmi raccontare l’avventura motociclistica che lo vide protagonista nel 1968 al termine dei Giochi quando, lasciata Città del Messico sulla sua Laverda 650, dopo oltre 7000 km raggiunse New York prima di tornare in Italia.

“Nella squadra nazionale di staffetta c’era Carlo Laverda – racconta Eddy – i cui parenti erano titolari della Casa motociclistica di Breganze che aveva appena presentato la 650 bicilindrica. Io, Sergio Ottolina e Ippolito Giani decidemmo di acquistarla e Carlo riuscì a farci ottenere non soltanto le moto, ma anche un apprezzabile sconto”.

Ottolina, olimpionico a Tokyo, titolare della staffetta 4x100 e recordman europeo dei 200 metri, e Giani, due ori ai Giochi del Mediterraneo nella staffetta e nei 200 metri, erano stati convocati, come Ottoz, per rappresentare l’Italia alle Olimpiadi di Città del Messico. Una volta entrati in possesso delle rispettive Laverda 650 i tre atleti trovarono anche il modo di portarsele appresso in Messico.

“Il CONI – spiega Ottoz – si era riservato un aereo-cargo per trasportare i materiali per la partecipazione alle Olimpiadi. Trovare il posto per le nostre tre moto non fu un problema: una volta ottenuta l’autorizzazione, portammo le Laverda all’aeroporto della Malpensa e le recuperammo all’aeroporto di Città del Messico, portandole al Villaggio Olimpico dove, fino al termine delle gare, non le toccammo più".

Il piano di Eddy


La ragione della trasferta delle moto dall’Italia alla lontanissima capitale centramericana era semplice. Il proposito comune di Ottoz, Ottolina e Giani era di rientrare in patria da New York raggiungendo la Grande Mela in moto dal Messico: occasione unica per un viaggio entusiasmante, coinvolgente e avventuroso. Nei piani di Ottoz, il raid motociclistico aveva anche un secondo scopo: prima di partire dall’Italia aveva detto alla fidanzata, Lyana Calvesi, di raggiungerlo a Città del Messico alla chiusura dei Giochi. Lì si sarebbero sposati, per poi partire insieme per il viaggio di nozze in sella alla Laverda. Il piano, però, non si realizzò perché il padre di Lyana, apprezzatissimo allenatore degli ostacolisti e tecnico federale, si oppose al matrimonio in Messico poiché in quel Paese il divorzio era legale.

Le Olimpiadi furono turbate dalla sanguinosa repressione delle manifestazioni studentesche contrarie alle ingenti spese effettuate per organizzare i Giochi in un Paese dove ancora regnava la povertà. Molti furono i morti e anche la giornalista italiana Oriana Fallaci fu ferita dalla Polizia. Il grande evento sportivo non uscì indenne da questo clima: Tommie Smith e John Carlos, primo e terzo nella finale dei 200 metri, una volta sul podio con le medaglie al collo, abbassarono la testa e alzarono un pugno chiuso indossando dei guanti neri, un gesto che sarebbe diventato un simbolo della lotta per la conquista dei diritti civili degli afroamericani.

Eddy Ottoz, pur turbato da questi avvenimenti, era in splendida forma. Vinse la propria batteria stabilendo anche il miglior tempo delle eliminatorie, si piazzò secondo in semifinale e terzo nella finale. Willie Davenport trionfò con il nuovo record olimpico e secondo fu Ervin Hall che ebbe ragione di un soffio su Ottoz dopo una gara serratissima. In quell’occasione Eddy stabilì anche il primato italiano in 13”46, imbattuto fino al 1994, quando suo figlio Laurent in un meeting a Berlino lo migliorò di quattro centesimi.

Il 17 ottobre 1968 Eddy Ottoz e Ippolito Giani lasciarono Città del Messico senza Sergio Ottolina, che aveva optato per un itinerario diverso. Dopo 1200 km passarono il confine con gli Stati Uniti ed entrarono in Texas, dove la Laverda di Ottoz incolpevolmente si fermò. “Fortunatamente rimasi appiedato a Orange, cittadina al confine con la Louisiana. Non sapevo spiegarmi la ragione di questo improvviso stop del motore, ma tutto fu chiarissimo dopo aver spinto la moto fino a una vicina officina della Honda e aver smontato i carburatori e la testa. Per la prima volta dalla partenza del viaggio ero rimasto in riserva, avevo girato su quella posizione il rubinetto della benzina e in questo modo il serbatoio si era quasi completamente svuotato. Così, i fondi di caffè che un nostro compagno della squadra olimpica aveva versato a mia insaputa nel serbatoio – ovviamente lo scoprii una volta tornato in Italia – e che si erano depositati sul fondo, erano scesi nelle vaschette dei carburatori e da lì nelle camere di scoppio creando danni alle valvole”.

Il motore dopo questo scherzo riprese vita, ma perse potenza e divenne difficile da avviare. Tuttavia macinò stoicamente e quotidianamente centinaia di chilometri fino a New York, dove i due compagni di viaggio sbrigarono le pratiche per la spedizione delle moto a Napoli.

Polvere di Stelle: la breve gloria di Cremona

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