Quella (s)volta che: niente due ruote alla Pikes Peak

Quella (s)volta che: niente due ruote alla Pikes Peak

La Corsa sulle Nuvole ha bandito le moto, a lungo terreno di caccia di Vahsholtz

16.08.2021 ( Aggiornata il 16.08.2021 23:21 )

Per il secondo consecutivo la Pikes Peak International Hill Climb ha visto in azione soltanto le auto. Le due ruote sono bandite dal programma dopo il tragico incidente di Carlin Dunne nell’edizione del 2019 in sella a un prototipo Ducati Streetfighter V4. L’ultimo di una serie di schianti che più di una volta hanno portato all’esclusione delle moto dalla gara in salita più celebre al Mondo: 19,99 km da un’altitudine di 2862 metri fino a quota 4300 metri dopo aver affrontato 156 curve. Per esempio, dopo la prima edizione del 1916, che vide il successo di Floyd Clymer con una Excelsior in 21’58”410 – un paio di minuti in più della miglior auto – le moto andarono incontro a un lungo stop, riapparendo soltanto nel 1954. Dal 1956 al 1970 furono di nuovo escluse e ancora dal 1977 al 1979 e dal 1983 al 1990. Per minimizzare i rischi, dal 1991 le moto partirono a ondate di cinque, mentre in precedenza scattavano tutte insieme.

Essendo il tracciato sterrato, si sosteneva come fosse fondamentale memorizzare le prime cinque curve per non fermarsi a causa del polverone sollevato dai fuggitivi. A partire dai primi anni Duemila c’è però stata una progressiva asfaltatura di The Race to the Clouds (la Corsa fin sulle Nuvole), fino al 100 percento per l’edizione del 2012 che non a caso ha visto il nuovo record di Dunne, primo motociclista sotto il muro dei 10 minuti. Per la verità nel 1995 Clint Vahsholtz vinse con una Wood-Rotax impiegando appena nove minuti, 17 secondi e un decimo. Un’edizione tramandata ai posteri per il successo della Suzuki Escudo di Nobuhiro Tajima, che la fece diventare l’auto più ambita dagli appassionati del videogioco Gran Turismo. Il giapponese impiegò sette minuti e 53 secondi, ma quell’anno la corsa fu accorciata per la presenza di ghiaccio e nebbia in vetta.

Quella (s)volta che: Il coraggio di Carl Fogarty al Nurburgring

La dinastia Vahsholtz


Vahsholtz aveva esordito alla Pikes Peak nel 1992, dopo essersi infortunato dodici mesi prima in prova. Pur al debutto fece vedere i sorci verdi al campione uscente Brian Anderson, che riuscì a prendere il comando soltanto al sedicesimo km, a Bottomless Pit. Guadagnato un leggero vantaggio, riuscì a conservarlo fino al traguardo, complice un errore nel set up della moto di Clint: Il mio vecchio mi aveva detto di usare i rapporti corti del cambio ma non l’ho fatto, l’inesperienza mi è costata la gara. È più una corsa mentale che fisica, l’anno prossimo dovrò crescere da questo punto di vista”, disse. Anderson vinse con quattro secondi su Vahsholtz e cancellò il record di Rick Deane che resisteva dal 1976. Entrambi guidavano Wood-Rotax, modelli da Flat Track e Dirt Track realizzati da Ron Wood che li equipaggiava con i motori Rotax. Con moto simili Vahsholtz ottenne tre vittorie di fila: nel 1993 con 12’29”380, e quell’anno il padre Leonard vinse sia nella categoria Stock Car con una Ford Probe che tra i camion con un Ford-F150, demolendo i due record di una trentina e una quarantina di secondi. L’anno dopo Clint concesse il bis con 12’21”130, primato che ha resistito fino al 2005, quando Micky Dymond, con la KTM, approfittò del 21 percento di asfalto.

Nel 1996 seguì le orme del padre, passando alle auto. Una scelta spiegata al Gazette Telegraph: “Ho avuto alcuni incidenti gravi, così sono felice di salire a bordo, mi sento più sicuro. Anche se la moto la puoi controllare mentre in auto devi reagire a causa della sua massa”. Con una Ford Mustang si aggiudicò la classe Stock Car, continuando a vincerla fino al 2012 tranne che nel 2007, quando si ritirò. Con la scomparsa dello sterrato, Vahsholtz cambiò classe, passando alla Open Wheel ma continuò a imporsi, con rare eccezioni, come il terzo posto del 2015. Meno fortuna, per modo di dire, ebbe al volante della McLaren: secondo sia nel 2018 con la 12C che l’anno dopo con la 650S. Tornato a un prototipo artigianale spinto da un motore Ford, nel 2020 ha conquistato il successo nella generale, agguantando il 24° trionfo (ma 20 di classe) in 29 edizioni della Pikes Peak. Quest’anno ha ceduto l’auto al figlio Codie, secondo nella Opel Wheel, un’onta per la dinastia Vahsholtz.

Carl Fogarty: “La Petronas fu un'esperienza frustrante”

  • Link copiato

Commenti

Leggi motosprint su tutti i tuoi dispositivi