Lucchinelli: “Il mio arrivo dalla 500 portò prestigio alla SBK”

Lucchinelli: “Il mio arrivo dalla 500 portò prestigio alla SBK”© GPAgency

"Avendo vinto nel Motomondiale, ero l'uomo da battere nelle derivate. Con Ducati sfiorari l'alloro da pilota, lo centrai da manager di Roche, non talentuoso come Falappa, ma più strategico", racconta Marco

04.04.2020 ( Aggiornata il 04.04.2020 17:47 )

In un'enciclopedia interamente dedicata al motociclismo, Marco Lucchinelli potrebbe ricoprirne tranquillamente più di un volume e, senza esagerare, anche la copertina.

La scelta della sua foto ha motivi ben precisi: nella stagione 1990, Lucky era il manager della squadra Ducati che colse il titolo nel mondiale SBK, campionato dedicato alle moto derivate di serie.

Fu Roche a spuntarla, con la 851 preparata a Borgo Panigale e poi perfezionata dagli uomini del team:La nostra era una struttura ufficiale - ricorda Marco - me c’erano Franco Farné e tutti i veri ducatisti dell’epoca Quel professionismo mi piaceva: parlavano in dialetto, mangiavano la piadina, eravamo una famiglia. Ho avuto la fortuna di vivere la fine di un paddock in cui ci si divertiva parecchio e si lavorava tanto, comunque senza lo stress che vediamo oggi. Io ero come un figlio per Castiglioni, il reparto corse era in fabbrica lì a Borgo Panigale, eravamo bene organizzati e competitivi”.

Come era la 851?

"Una moto molto competitiva già in partenza e più avanti capimmo quale modifiche apportarle per renderla ulteriormente performante. Bello il bicilindrico, perché offriva coppia e potenza, in un equilibrio assai godibile. Il problema grande fu l’elettronica. Tutto era nuovo, bastava una cagata e la moto si spegneva. Non c’era telemetria che indicasse dove intervenire, bisognava smontare molte parti e risolvere la noia”.

 Avevi una coppia di piloti formidabile.

Il mio era un equipaggio della madonna. Roche e Falappa, due piloti velocissimi e determinati. Seppur diversi, Raymond e Giancarlo potevano fare squadra. A fatica, però: all’inizio non andavano d’accordo, sicché ebbi un’idea delle mie: farli viaggiare insieme da una trasferta all’altra, mi pare dall'Hungaroring a Hockenheim. Ho pensato che nel tragitto avrebbero potuto conoscersi meglio. Arrivai nell’hotel tedesco e mi chiamarono al telefono. Si trattava del commissariato di polizia locale: in pratica, Giancarlo era alla guida della sua auto, Raymod seduto a fianco. Falappa tirò al limite, direi a 250, per tutto il viaggio ma, ad un certo punto, il francese gli disse: 'oh, puttana! Ci ha superato un’ombra dall’alto!”

 Cosa era??

“Cazzo, Raymond aveva ragione. Sulle loro testa stava volando l’elicottero della polizia. I miei piloti sono stati fermati, auto sequestrata e loro... pure. Ci ho messo del mio, convicendo i gerdarmi e riuscendo a far venire i miei piloti a correre in circuito”.

Le classifiche dicono Roche meglio di Falappa. Cosa aveva in più il francese?

“Nulla. Solo che aveva più doti di esperienza ed usava meglio la testa. Giancarlo era il talento più grande del periodo, faceva paura a tutti. Falappa non si accontentava di semplici piazzamenti. A lui interessava il primo posto, oppure niente. Preferiva cadere. Me lo ricordo in Canada: in una curva entrava completamente di traverso, proprio come fanno i piloti di oggi. La differenza è che il leone riusciva a derapare con moto e gomme dell’epoca. Invece, Roche era più preciso, regolare, costante. A volte strategico".

 Costante tanto da vincere il mondiale 1990, regalandoti un secondo alloro.

Sì, il primo in 500 con la Suzuki, mi fece entrare nell’olimpo del Motomondiale. Quando poi andai in SBK, c’era chi pensava che il livello dei piloti fosse basso, ma non era vero. Anzi. I già citati Roche e Falappa, Merkel, Tardozzi. Rymer, Mertens... andava fortissimo, credimi. Anche in SBK avrei voluto vincere il titolo come pilota, non ci sono riuscito, peccato. Non mi presentai nei due round finali 1988 e la conta dei punti non mi risultò favorevole. Però, per il rapporto che avevo con Ducati, il successo nelle vesti di team manager fu per me una cosa speciale, sentimentale”.

 Eri cambiato o sempre te stesso?

"Entrambe le cose. Il Lucky che correva in SBK non era lo stesso visto nel Motomondiale. Sui podi del Motomondiale avevo la cravatta. Foulard, camicia e cravatta. Un look basato sulla scaramanzia. Cambiai paddock e modo di vestire. In SBK girava un Lucchinelli “normale”, partendo dal casco, la tuta, tutto. Magari più sobrio, ma altrettanto appassionato e passionale. E credo di poter dire, senza presunzione, che io abbia portato prestigio alla SBK, perché rappresentavo il riferimento da battere, dato che avevo vinto in 500 contro personaggi del calibro di Roberts, Crosby, Mamola e compagnia bella".

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