Oscar Rumi: “La vera SBK? Quella pane, salame e... vino”

Oscar Rumi: “La vera SBK? Quella pane, salame e... vino”© GPAgency

Il team manager bergamasco vinse nel 1988 e 1989, con la Honda preparata in casa e affidata a Merkel: "Per Fred ero un sorta di papà e ancora oggi ricordiamo insieme i bei vecchi tempi"

08.04.2020 ( Aggiornata il 08.04.2020 18:20 )

Oscar Rumi non pensa più alle corse. Perlomeno, dall’alto dei suoi 77 anni appena compiuti e portati bene, con due titoli mondiali vinti in SBK e tante battaglie in pista da raccontare, l’ex team manager bergamasco si gode la vita tra natura ed animali e, solo se sollecitato nelle giuste corde, rimembra i fasti del passato.

Il primo nome che lo stuzzica è Fred:Merkel, certo - attacca convinto - lo portai in Italia dopo i suoi successi in America, quando lui non ebbe più un ingaggio valido. Entrò a casa mia e lì resto per un lungo tempo. I due mondiali vinti nel 1988 e 1989 furono possibili grazie al suo talento e ad una buona moto. La nostra Honda RC30 era ben preparata, in tempi nei quali ancora il tecnico poteva intervenire con le proprie mani su tutto. Fred si fidava di me e posso dire di essere stato una sorta di secondo papà per l’americano due volte campione”.

 Hai detto che i preparatori potevano determinare risultati interessanti?

Sì, perché all’epoca le Case ufficiali non erano presenti come lo sono oggi. Si comprava la moto, il kit e ci si lavorava sopra. Noi operavamo di fino, facendo attenzione ad ogni particolare. Provavamo in pista ciò che realizzavamo in officina. Ci divertivamo, andavamo alle trasferte con uno spirito di avventura unico. Merkel era un bel matto e, forse, lo ero pure io. Avrei tanti di quegli aneddoti da raccontare...”.

 Parliamo delle vittorie.

Mica è stato facile vincere, perché il livello della competizione era alto e c’erano tanti piloti in grado di cogliere il primo posto. Nel 1988 rappresentavamo l’incognita, con Fred che doveva imparare tante cose, tra cui alcune piste. La RC30 si rivelò buona con le coperture Michelin, ma l’anno successivo andava pure meglio con le Pirelli, sviluppate insieme a Giorgio Barbier. Partendo come squadra da battere, il bis fu addirittura più soddisfacente del primo alloro conquistato”.

 Chissà che festeggiamenti.

Sì, sempre. Ovviamente, era più bello quando si vinceva. Tuttavia, la SBK era una festa di sport e spettacolo. Il paddock, molto ruspante ed accessibile, raggruppava gente proveniente da ogni parte del mondo. Dopo le prove si festeggiava, non importava con quale team si corresse, l’unione era tra tutti. Lo spirito era ‘pane e salame’, come piace dire a me. La vera la vera SBK può essere raccontata a pane, salame e.. vino, di quelli buoni e di qualità”.

 Cosa si è perso di quello spirito?

“Diverse situazioni. Ora i piloti si fanno gli affari propri. Per carità, da un lato è giusto così: il professionismo impone atteggiamenti e condotte piuttosto... sobrie. Però, a me sembra che manchino i sorrisi. Ai tempi miei il divertimento era evidente, mi pare che oggi sia messo in secondo piano. E poi, le moto. Impossibile vincere se si è privati o, come si dice, indipendenti. Per stare davanti occorre materiale e supporto ufficiale, altrimenti vattelapesca. Per un artigiano non è possibile mettere mano e apportare modifiche importanti. Non so quanto mi ci troverei bene”.

 L’Oscar Rumi di oggi a cosa si dedica?

“Ho diverse passioni, soprattutto le grandi camminate all’aria aperta, possibilmente in salita di montagna. Le moto? No. Sono contento del mio percorso, ho tanti amici e spesso mi sento con Fred Merkel. Ci piace ricordare i bei vecchi tempi andati, quando insieme abbiamo conquistato coppe e ammiratori".

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