Ritorno al Futuro, 2000: Edwards al posto giusto

Ritorno al Futuro, 2000: Edwards al posto giusto©  GPAgency

Edwards confermò la velocità delle stagioni precedenti, sfruttando la nuova bicilindrica Honda, il ritiro forzato di Fogarty e la sanzione di Haga. Nel 2000, al texano mancò soltanto il successo alla 8 Ore di Suzuka con Rossi

19.05.2020 18:30

La stagione 2000 è ricordata come una delle più controverse della storia della Superbike. Il primo di due titoli mondiali vinti da Colin Edwards con la Honda è tutt’ora avvolto da strascichi e condito da polemiche perdurate nel tempo. Il ritiro forzato del campione in carica Carl Fogarty e la squalifica del diretto contendente Noriyuki Haga - che corse sub iudice, in attesa di conoscere il verdetto sul caso-doping - ebbero un peso sugli esiti della pista, lasciando anche qualche dubbio.  

Non vanno, tuttavia, sottratti i meriti del pilota statunitense, al via con il numero 2, a testimonianza di come già nel 1999 il texano di Houston stesse preparando il colpaccio; per riuscirci, gli serviva una moto nuova. Pensionata la RC45, modello a quattro cilindri da 750 cm³ sul trono nel 1997 con John Kocinski, l’HRC sfidò la Ducati ad armi pari. La bicilindrica VTR 1000 SP venne concepita dal reparto corse di Tokyo, poi sviluppata dai collaudatori, in seguito portata in Europa con tanto di ingegneri giapponesi allegati.

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Quando il Team Castrol ricevette il tutto, il manager Neil Tuxworth rimase a bocca aperta: "Soltanto gli uomini della Casa sanno cosa ci sia lì sotto. Dal canto mio, posso dire che la moto è bella". La VTR 1000 SP andava pure forte. Malgrado una voce somigliante al borbottio di un trattore, la V Twin dell’Ala Dorata mangiava metri alle avversarie e le superava. Nei test invernali, Colin ne esplorò i limiti, ogni tanto oltrepassandoli: una caduta a Valencia costò a Edwards qualche sbucciatura, ma non fu quello il problema. La moto ruzzolò ripetutamente nella ghiaia, finendo poi contro le barriere. I nipponici erano disperati: nel capitombolo, volarono via carene e componenti, svelando i “segreti” celati nel garage da grandi paratie portate in giro nei box di ogni paddock. Quel capitombolo fu il primo brivido di un’annata da thriller, che vale la pena ripercorrere capitolo dopo capitolo.  

La prima sfida dell’anno presentò subito il “Millennium bug” SBK. A Kyalami, Edwards e Haga si spartirono i successi di manche, però se andate a controllare le statistiche, non troverete il nome del portacolori Yamaha. Più in là, infatti, Nori e la sua R7 con gomme Dunlop (che lui desiderò ardentemente, tanto da lasciare le Michelin) vennero cancellati dall’ordine di arrivo, a causa di un controllo antidoping nel quale il giapponese risultò positivo all’efedrina, Quei 25 punti mancanti risultarono pesanti nelle addizioni finali.

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Il secondo episodio determinante arrivò subito dopo, a Phillip Island. La storica vittoria di Anthony Gobert sulla Bimota e il primo gradino del podio ottenuto da Troy Corser con l’Aprilia finirono in secondo piano: Fogarty, infatti, non si alzò con le proprie gambe dal fradicio prato australiano. Il tamponamento su asfalto umido da parte della sua 996 ai danni di Robert Ulm fu fatale alla carriera di The King, che tornò a casa con il braccio legato al collo, danno che sancì il suo ritiro dalle corse.  

Il terzo round portò a Sugo i vertici delle aziende giapponesi. Ciò era sinonimo anche di tante wild card all’assalto e occhi puntati su tre piloti: Edwards, perché la Honda desiderava vincere in casa; Haga, voglioso di regalare almeno un trofeo alla Yamaha; Troy Bayliss, novità Ducati in sostituzione di Foggy. Edwards ebbe un terzo posto, Haga un secondo e l’australiano due incidenti senza completare un giro. Trionfò a bottino pieno Hitoyasu Izutsu con la Kawasaki

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Altra pagina importante fu a Donington, dove il Team Infostrada schierò Luca Cadalora, stella dei GP al posto di Bayliss. Ma il tre volte iridato con moto a due tempi trovò pane per i suoi denti nelle derivate di serie a quattro tempi. Per il ducatista, nessun punto ottenuto, mentre là davanti se le davano di santa ragione. La prima manche fu di Texas Tornado, nel pomeriggio il pilota “ospite” Neil Hodsgon si sbloccò, mettendo in riga i titolari della griglia.

Monza, Italia. Il pubblico delle grandi occasioni festeggiò Pierfrancesco Chili, profeta in patria sulla Suzuki. La seconda manche andò a Edwards, che a fine gara spiegò di aver appena visto il proprio futuro a breve. "Ho lottato con Frankie, Nori e Yanagawa, ma a sorprendermi è stato quel diavolo di un australiano. Da dove è uscito fuori?". Il riferimento era ovviamente a Bayliss, stavolta non abbattuto ma capace di sorpassare quattro avversari in un sol colpo. Edwards compreso. Quel duello si sarebbe rivisto. Anche e soprattutto in Italia... 

La tensione salì perché a Hockenheim, a metà Mondiale, si sarebbero viste le reali prestazioni motoristiche di ogni modello. Volava la VTR, con i suoi 190 cavalli. Faticava la Yamaha, a cui mancava lo spunto finale, sopperito da Haga, che staccava a ruote bloccate, come in Gara 2, con un sorpasso su Edwards al Motodrom. Ma l’americano ci aveva visto bene a Monza: Bayliss vinse la prima gara internazionale della carriera iniziando ad alleggerire la dipartita di Fogarty. Edwards andò via dalla Germania da leader iridato, ma insoddisfatto. La missilistica Honda era da vittoria, sfuggita.

Discorso tutto italo-australiano a Misano, dove Corser e l’Aprilia fecero doppietta, sempre davanti a Bayliss e alla Ducati. Male il texano, caduto in Superpole il sabato e opaco nelle due gare: "Devo migliorare il feeling con l’avantreno, ci sono fasi in cui non sento la ruota anteriore" disse, invocando anche l’ausilio del gommista Michelin. Aiuti che non arrivarono in tempo per Valencia, dove Colin ottenne un totale (misero) di 24 punti, Haga fu terzo e primo, per un computo di 41 punti, come il suo numero di gara.  

Di fronte al pubblico di casa, a Laguna Seca, il biondo texano preparò la riscossa, ma venne beffato proprio dal giapponese, primo e poi secondo. Sofferenza anche alla prima uscita a Brands Hatch per il leader del Mondiale, decimo e sesto, mentre la Ducati visse di piacevoli conferme: quella di Bayliss meritevole del posto e di Hodgson pronto per un Mondiale da protagonista. Edwards, invece, pativa non soltanto la “gioventù” di una moto nuova, ma anche l’impegno (numerosi test e la gara) per la 8 Ore di Suzuka, particolarmente sentita dall’HRC che in quell’epoca schierava Valentino Rossi e Texas Tornado. E dopo il flop del 2000, l’anno dopo i due trionfarono.

In quella stagione della Superbike, invece, Colin non ebbe un compagno di squadra “fisso”, perché Aaron Slight dovette risolvere importanti problemi di salute prima di tornare in sella, mentre il sostituto Simon Crafar non riuscì ad ambientarsi nel box Castrol, tantomeno sulla bicilindrica Honda. Perciò, tutto il lavoro era sulle spalle di Edwards che però venne ricompensato dall’HRC, con aggiornamenti importanti per la moto del Mondiale

Infatti, in Olanda, l’allora ventiseienne siglò pole e una vittoria, poi arrivò Oschersleben, dove Haga patì la già illustrata condizione di sub iudice, che ebbe il culmine in Inghilterra, appuntamento conclusivo dell’anno. 

Il tribunale sportivo della FMI confermò la positività di Nitro Nori, che venne estromesso dagli ordini di arrivo, con tanto di ulteriori 25 punti tolti per la vittoria di Kyalami. Colin tirò fuori l’orgoglio e fece sua la seconda manche di Brands Hatch (dove quell’anno si corse sia la tappa d’Europa che quella d’Inghilterra) e la vittoria si rivelò la più importante: "Piango perché sono emozionato" dichiarò il neo iridato. "È stato tanto il lavoro da fare, tra incognite e difficoltà. Ho sentito mille voci a mio sfavore, quindi oggi volevo dimostrare di meritare il titolo".  

Cancellati i sospetti dei maligni, Texas Tornado avrebbe fatto ancora meglio, due anni dopo. L’alloro 2002 fu un successo da leggenda, meritato, pulito e senza polemiche. Chiedetelo a Troy Bayliss, rivale sconfitto con l’onore delle armi nonché il primo a riconoscere il valore dell’americano e della Honda.

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