Carl Fogarty, il Campione allergico alla sconfitta

Carl Fogarty, il Campione allergico alla sconfitta

Il poker in Superbike fa dimenticare che i titoli mondiali sono ben sette: Foggy, infatti, ha trionfato anche nel TT-F1 e nell’Endurance. Il suo essere vincente l’ha portato a prevalere persino in un... Reality show in inghilterra

Gordon Ritchie

22.04.2021 13:01

L'avventura in Superbike


Con l’avvento del concetto italo-americano di Superbike divenuto rapidamente globale, per la seconda volta Carl lasciò le due tempi e il sogno del Motomondiale per guidare le quattro tempi. La parentesi con la Honda-Britain targata Silkolene fu utile per iniziare nel mondiale Superbike nel 1991, accanto a Mackenzie, che però presto gettò la spugna – per tornare nel Mondiale 500 – a causa della scarsa competitività di una RC30 ormai datata e di un team dal budget limitato. Nel 1992, il cambiamento divenne necessario anche per Foggy, visto chela carriera sembrava giunta a un binario morto senza che il pilota avesse alcuna colpa. Assieme al padre, Carl acquistò una Ducati 888 privata ma di buona “specifica”, con il supporto di Sports Motorcycles, lo stesso che aveva avuto la leggenda Mike Hailwood quando abbandonò il ritiro per ottenere l’incredibile successo al TT del 1978.

Arrivò in breve tempo la prima delle 59 vittorie in Superbike, un’impresa incredibile per una moto privata. E incredibile fu l’intera annata di Fogarty, che da pilota part-time si cimentò anche nel Mondiale della 500 su una Harris-Yamaha, con cui salì fino al sesto posto a Donington quando una perdita d’olio causò la sua caduta e quella di altri piloti. Si trattò dell’ultima gara vinta dal grande Wayne Gardner. Ma in quello stesso anno Carl si cimentò anche all’Isola di Man, sfidando con una Yamaha OW01 marchiata Loctite nientemeno che Steve Hislop, alla fine vincitore con la Norton e il suo motore rotativo. Fogarty si tolse la soddisfazione di battere il record sul giro, un primato capace di resistere fino alla fine del Millennio. Non male per un pilota in sella a una moto che aveva alcuni pezzi ormai pronti a staccarsi e altri che si erano rotti nel corso di quel giro. E con la sua incredibile duttilità, Fogarty si aggiudicò il mondiale Endurance sulla Kawasaki accanto al connazionale Rymer. Tutto qui? No, perché per aggiungere un po’ di “spezie orientali” al 1992, Foggy si cimentò sul pericolosissimo circuito di Macao, dove vinse con la Harris-Yamaha. Degna conclusione di un anno straordinario, ancora più entusiasmante per un pilota che all’inizio di quel 1992 rischiava di non avere una sola prospettiva.

Quel tipo di versatilità, Fogarty non la perse nemmeno nel 1993, quando – grazie a una telefonata di un vecchio rivale come Raymond Roche – entrò in un team ufficiale come quello della Ducati Superbike, chiudendo il Mondiale secondo alle spalle di Scott Russell, vincendo addirittura 11 manche ma pagando la discontinuità. In quello stesso anno, Foggy ricevette la wild card per correre in 500 a Donington sulla Cagiva, per il leggendario Giacomo Agostini. Autore del secondo tempo il venerdì, si qualificò in seconda fila e in gara mantenne il terzo posto finché la sua Cagiva preparata frettolosamente non rimase senza benzina. Fogarty vide così svanire il podio in favore di Mackenzie. E questo fu doppiamente doloroso per il patriottico Fogarty, costretto a rinunciare all’unica possibilità di un podio nel Mondiale GP in favore di uno scozzese. Quella prestazione non fu sufficiente per ottenere un contratto nella 500, e così la Superbike divenne la destinazione di Fogarty per il 1994 e per il resto della sua carriera. L’inglese non dovette attendere molto per ottenere lo scettro tra le derivate dalla serie, trionfando con la Ducati del team diretto da Virginio Ferrari. Uno scettro tolto nel 1994 a Russell all’interno di un’era in cui la Superbike era così importante da costituire una vera minaccia per il Mondiale GP. Una situazione tale da spingere gli organizzatore del Motomondiale a lasciare le due tempi per passare al tonante suono dei motori a quattro tempi per la classe regina, motori con i quali Fogarty stava iniziando a scrivere la storia.

Nel 1995, Foggy bissò il titolo in maniera netta, con 139 punti di margine sull’altro pilota del Team Ducati diretto da Ferrari, l’australiano Troy Corser. Il britannico non fu altrettanto fortunato alla celebre Daytona 200, dove il dominio di Fogarty fu nettissimo.

Fogarty tirò in ballo l’ingresso della safety car e un controverso conteggio dei giri compiuti, per spiegare il successo dello statunitense. Fogarty, abituato a “sparare alto” a livello comunicativo per poi tenere fede alle parole con le performance in pista, non prendeva prigionieri e soprattutto non aveva mezze misure: era odiato oppure idolatrato, di certo non lasciava indifferenti. Come ha detto lui stesso, l’ingresso nel Team Honda Castrol nel 1996 fu generato dalla curiosità di chi vedeva l’erba del vicino più verde rispetto alla propria. Ma più aumentano le dimensioni della Casa per cui si corre, e più è difficile sentirsi coinvolti, in più il V4 era veloce ma difficile da sfruttare per un pilota abituato a fare la differenza con la velocità di percorrenza in curva. Tutti fattori che resero scomoda la sua vita alla Honda. Per questo, a fine 1996, Fogarty tornò alla Ducati, una decisione presa quando era ancora in corsa per il Mondiale con la Honda, grazie alla doppietta ad Assen, la pista perfetta per il suo stile di guida con angoli di piega estremi. Ma alla fine, il titolo del ‘96 andò a Corser con una Ducati non factory ma assistita direttamente dalla Casa bolognese.

In assenza di Fogarty, le cose in Ducati cambiarono, e al suo ritorno sulla moto italiana Foggy non ebbe le stesse sensazioni che aveva lasciato. Per questo, nel 1997 fu suo malgrado costretto a vedere John Kocinski vincere il titolo su quella Honda che l’americano aveva ereditato proprio da Fogarty. Il riscatto di Carl sarebbe arrivato nel 1998, la stagione più rocambolesca degli anni ‘90 della SBK. Una stagione risoltasi a Sugo, in Giappone, nell’ultima corsa, quando tre piloti erano ancora in lizza per il titolo (Fogarty, Aaron Slight e Corser), ma soltanto due tappe prima, erano cinque i concorrenti in corsa per il Mondiale (c’erano anche Chili e Colin Edwards). A Sugo, le gomme di Slight non funzionarono a dovere, Corser cadde nelle prove e fu costretto a rinunciare per una lesione alla milza, e in mezzo ai piloti locali – Noriyuki Haga e le wild card Kitagawa e Ryo – Fogarty prevalse tra gli “stranieri” con un terzo e un quarto posto, sufficienti per superare Corser e Slight e aggiudicarsi il titolo. Il lieto fine di un’annata in cui vinse soltanto tre manche. Il tutto in un weekend finale convulso, con tanto di incidente con una wild card giapponese che Fogarty investì nel warm up, e fortunatamente le conseguenze non furono gravi quanto il rischio corso. Il 1999 fu un’altra stagione dominata da Fogarty, alla vecchia maniera, anche se Edwards e la Honda dimostrarono di essere una forza emergente, in grado di minacciare la posizione predominante dell’inglese e della Ducati.

  • Link copiato

Commenti

Leggi motosprint su tutti i tuoi dispositivi