Bontempi: “Tamberi? Guerriero come me, ma mi ha fatto commuovere prima di Tokyo”

Bontempi: “Tamberi? Guerriero come me, ma mi ha fatto commuovere prima di Tokyo”

Il futuro suocero del campione olimpico ci ha raccontato il dietro le quinte delle proposta di matrimonio di Gianmarco a Chiara, del suo successo alle Olimpiadi, di come si è rivisto in lui, ma anche di quello che spera di rivedere in pista. Ecco le sue parole

04.08.2021 13:25

Queste soddisfazioni vanno vissute a pieno, sono cose che vanno assecondate e collocate su dei ricordi della vita che rimarranno nel tempo”, parole di Piergiorgio Bontempi, futuro suocero di Gianmarco Tamberi. L’ex pilota della Superbike ha dedicato queste parole all’impresa che “Gimbo” ha compiuto nel salto in alto, diventando campione olimpico a Tokyo, ex aequo con l’avversario amico Mutaz Essa Barshim.

Da ex sportivo come ha vissuto quello che ha fatto Gianmarco?

"È stato un percorso molto accattivante, ma anche un momento di grande apprensione. Per ovvi motivi: può sembrare retorico perché è il ragazzo di mia figlia, ma Gianmarco ha fatto qualcosa di unico. Rimarrà nella storia e la storia si ricorderà di lui per questa cosa".

È riuscito nell’impresa, pur avendo alle spalle un periodo molto complicato.

"La sua preparazione è iniziata nove anni fa, quando iniziò a prepararsi per Rio. Ricordo bene quando ebbe l’infortunio a Montecarlo, in una prova della Diamond League, dove fece un suo primato con 2.39 e batté all’epoca tutti gli avversari che poi andarono a quelle Olimpiadi. Per provare il 2.41 si ruppe la caviglia. In queste cose ci sono passato e riesco a capire".

Si è rivisto un po' in Gianmarco?

"In parte. Nel 1998 ebbi un incidente a Laguna Seca dove venni travolto e mi ruppi tutti e due i polsi: radio, urna e scafoide. Per rompersi la caviglia in quel modo, anche lontanamente hai un pensiero: 'Potrò tornare a saltare?' Sono quelle cose che mettono veramente al tappeto un atleta. Tornai a correre non sapendo neanche se ero più capace a tenere una moto. Invece quell’anno rischiai di vincere un campionato del mondo in Supersport, ciliegina sulla torta mancata perché mi ruppi una spalla alla penultima gara".

"Gimbo" dal momento difficile è riuscito invece a rialzarsi in una maniera eccezionale.

"Ha avuto la tenacia di rimettersi in gioco nuovamente. Nel periodo dell’infortunio ha promosso la sua volontà sui social: questo da un punto di vista personale ti dà la forza o quantomeno lo stimolo e l’obiettivo di venirne fuori, ma per il pubblico crea un’aspettative mostruosa. Quindi ha dovuto ricreare tutto un suo percorso che è durato altri 4 anni, più l’anno della pandemia".

Ma prima di partire per Tokyo ha dovuto fare i conti anche con la delusione di Montecarlo.

"È stato il peggior risultato della sua carriera senza riuscire a saltare la misura di 2.21 e per un atleta a poche settimane dalle Olimpiade è una batosta devastante in negativo. Nonostante ciò ha avuto la forza, la tenacia, la testa e soprattutto il talento di fare quello che ha fatto a Tokyo e a mio avviso la differenza è stata il grande cuore che ci ha messo. Una parte di questo cuore, mi piace pensare ce l’abbia messo anche Chiara che gli è stata tanto vicino".

Gli ha dato qualche consiglio?

"Ad un atleta così è sempre difficile dare consigli. Gli ho scritto due righe prima della finale e mi ha risposto: 'Parole migliori non potevi trovarle', con un grande cuore".

Adesso è pronto a portare Chiara all’altare?

"(ride) Questa è un’emozione. Gli atleti sono guerrieri, animali da battaglia, sotto tutti i punti di vista. In passato anche io avevo questa corazza di cemento armato così impenetrabile, poi la maturità e il tempo ti addolcisce e ti rende più sensibile. Una delle cose che ci ha stupito di Gimbo è stata che prima di partire per Tokyo è riuscito a organizzare un apericena di saluto per i pochi amici che l’hanno sempre seguito e ha scritto delle cose per ognuno di noi che ci hanno fatto commuovere. È stato un momento bellissimo. Poi ha portato Chiara a sorpresa in una cena romantica, dove le ha chiesto la mano".

E l'aveva chiesto anche a lei prima?

"Sì, nel pomeriggio mi aveva portato nel locale. Davanti ad un bellissimo panorama, ho visto questo ragazzo nella miglior forma fisica possibile, un tirante in acciaio inox, che quasi con timidezza mi ha detto: 'Piero ti dovrei dire una cosa, a cui tengo tantissimo, ma non so come dirtelo'. Lì ho intuito, mi sono commosso, ci siamo abbracciati e poi ha verbalizzato la richiesta. È stato un momento bellissimo. Auguro a tutti papà che hanno figlie femmine di provare queste emozioni uniche. Questi gesti di altri tempi e di nobiltà normalmente non appartengono ad uno sportivo che nasce dall’asfalto".

Guardando lontano, dovesse arrivare un erede maschio, sarebbe favorevole a metterlo su una moto? O meglio il salto in alto?

"Da ex agonista nelle moto, direi… salto in alto. Però se un ragazzo ha il motore nell’animo, non puoi lasciarglielo spento. Soffrirebbe troppo. Se un domani così sarà e se prenderà una decisione lui stesso, sarà sicuramente quella giusta".

Guardando alla Superbike di oggi, secondo lei chi vincerà il titolo?

"Le gare, i campionati e le stagioni disputate insegano tante cose. Oggi è facile puntare il dito su Rea, perché ha un team e una moto competitivi, è un pilota che è un fuoriclasse, però è altrettanto vero che ha dei rivali validi in termini di talento, che non hanno nulla da perdere. Lui è l’uomo da battere. Dire chi vincerà, in ogni categoria, di moto è veramente difficile. Quello che auspico e mi piacerebbe da qui a breve è rivedere tanti italiani battersi e giocarsi il campionato del mondo come era una volta. Ci sono gli ingredienti per farla tornare ai fasti di allora".

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